 Non c’è miglior esempio di “guerra ibrida” della guerra economica di Washington contro Mosca.
Non c’è miglior esempio di “guerra ibrida” della guerra economica di Washington contro Mosca.
Questa  domenica (10 aprile 2016) la guida suprema dell’Iran Ali Khamenei ha  dichiarato ad una vasta folla riunita nella città santa di Mashad che  “Gli americani non hanno agito come promesso nell’accordo sul nucleare  (JCPOA); essi non hanno fatto ciò che avrebbero dovuto. Secondo il  ministro degli esteri (Javad Zarif), essi hanno messo nero su bianco ma  alla fine hanno impedito il concretizzarsi degli obiettivi della  Repubblica Islamica per mezzo di svariati diversivi.”
Questa dichiarazione rilasciata durante il Nowruz (discorso  di fine anno) va colta in maniera cristallina: non c’era nessun intento  retorico. E non era una semplice stoccata agli Stati uniti (come  qualcuno potrebbe pensare). Era forse più un garbato avviso al governo iraniano di preoccuparsi delle possibili conseguenze politiche.
Quello che sta accadendo è significativo: qualunque sia il motivo, il tesoro Usa è occupato a svuotare di ogni contenuto la revoca delle sanzioni del JCPOA (e i motivi di ciò meritano grande attenzione). Il  Leader Supremo ha sottolineato inoltre che l’Iran incontra difficoltà  nel far rientrare i suoi capitali esteri, precedentemente bloccati.
Fin  dal momento dell’ “implementazione”, i funzionari del Tesoro Usa,  durante gli incontri, hanno avvertito le banche europee che le sanzioni  Usa all’Iran sarebbero rimaste in vigore, e che esse non avrebbero  dovuto pensare, neanche per un secondo, di attingere al mercato dei bond  in dollari o in euro al fine di finanziare il commercio con l’Iran, o  di partecipare ai progetti di finanziamento di infrastrutture in Iran.
Le  banche hanno capito bene il messaggio: avviate il commercio con l’Iran e  verrete colpiti da una multa di un miliardo di dollari, contro la quale  non vi sono appelli, ne cavilli legali o validi argomenti da opporre.  La banche (comprensibilmente) sono titubanti. Non una sola banca o  istituto di credito era presente quando il presidente dell’Iran Hassan  Rohani ha visitato Parigi per tenere degli incontri con l’elite  imprenditoriale locale.
L’importante quotidiano persiano Keyhan  il 14 Marzo ha scritto su quest’argomento: “Parlando all’assemblea  generale dell’Onu a Settembre, Rohani ha dichiarato: “oggi è iniziata  una nuova fase nelle relazioni tra l’Iran ed il resto del mondo”. Ha  inoltre dichiarato quanto segue in una discussione col pubblico alla  radio e alla televisione il 23 tir (mese del calendario  Persiano tra giugno e luglio ndr) “L’implementazione passo dopo passo di  questo documento demolirebbe lentamente il muro della sfiducia”.
Il giornale prosegue: “ Queste  osservazioni sono state rilasciate mentre l’Occidente, guidato dagli  Stati uniti, non aveva nessuna intenzione di abbattere o di abbassare  quel muro di sfiducia tra sé e l’Iran. …inoltre, essi ritardano la  realizzazione dei loro obblighi derivanti dal JCPOA. L’eliminazione  delle sanzioni è rimasta una semplice promessa su un pezzo di carta, al  punto di provocare la protesta dei politici Iraniani.
“La  controparte americana sta ponendo condizioni tali che, al giorno  d’oggi, anche le banche e le imprese europee non si azzardano ad avviare  relazioni finanziarie con l’Iran — dato che tutti quanti temono la  reazione americana sotto forma di sanzioni (imposte a quelle stesse banche). Attualmente,  la ragione per il ritardo dell’avvio della cooperazione finanziaria con  le banche iraniane e della facilitazione delle transazioni bancarie e  finanziarie, è il fatto che le sanzioni Usa sono ancora in vigore, e le  transazioni finanziarie delle banche iraniane devono ancora affrontare  delle restrizioni. Inoltre, le istituzioni finanziarie europee sono  preoccupate riguardo la violazione delle sanzioni americane che  continuano a restare in vigore, visto il loro persistente timore della  legislazione stringente e delle multe per le violazioni delle stesse.
“E’  inutile aspettarsi che l’amministrazione Usa cooperi con l’Iran visti i  commenti dei funzionari Usa, tra i quali il consigliere per la  sicurezza nazionale Susan Rice, dal momento che i commenti ed il  comportamento degli americani rivela il loro mancato rispetto degli  obblighi e ci mostra l’assenza di volontà politica da parte  dell’amministrazione Usa di adempiere anche solo in parte ai propri  obblighi”
Qui il giornale si riferisce in particolare all’osservazione fatta da Susan Rice a Jeffrey Goldberg sull’Atlantic che “L’accordo  iraniano di base non provava ad aprire una nuova era di relazioni tra  Usa ed Iran. Lo scopo era piuttosto quello di rendere un paese  pericoloso un po’ meno pericoloso. Nessuno aveva aspettative sul fatto  che l’Iran potesse essere un player positivo”.
Keyhan prosegue: “ogni  azione sulla scena internazionale rimanda ad una giusta ed apporpriata  reazione. Perciò, non possiamo aspettarci che un governo come  l’amministrazione Usa che non si fa sfuggire ogni singola opportunità di  limitare il nostro paese, tolga semplicemente le sanzioni. Le  dichiarazioni della Rice sono solo un piccola parte della recente  retorica anti-iraniana dei funzionari americani negli ultimi mesi.  Queste osservazioni andrebbero viste come dei segnali…che il sogno del  JCPOA non è nient’altro che un pensiero ottimista e lontano dalla  realtà.”
La spinta del Leader Supremo va perciò vista come indirizzata al governo: Non  costruire troppo politicamente su questo accordo: fate attenzione che  le sue fondamenta potrebbero essere costruite sulla sabbia.
Preoccupazioni per una “soluzione immediata” 
Di recente il segretario del Tesoro Jacob Lew ha tenuto un discorso presso il Carnegie sull’ “evoluzione delle sanzioni e lezioni per il futuro”, sul quale ha commentato David Ignatius: “Le  sanzioni economiche sono diventate la “soluzione immediata” della  politica estera americana dell’ultimo decennio, perché sono più  economiche ed efficaci del tradizionale potere militare nel costringere  gli avversari. Ma Jack Lew avverte di un “rischio di abuso” che  rischierebbe di neutralizzare le stesse e di colpire l’America. La sua  cautela contro l’abuso deriva dal fatto che alcuni membri repubblicani  del congresso stanno lottando per mantenere le sanzioni Usa sul  programma nucleare iraniano a dispetto dell’accordo dell’anno scorso che  limitava la minaccia iraniana”.
Quindi  che succede? Se Lew mette in guardia sullo spingersi oltre con le  sanzioni, perché, secondo l’interpretazione dello stesso Ignatius, è  proprio il suo dipartimento uno di quelli che più assiduamente minano la  cancellazione delle sanzioni all’Iran, “in particolare da quando il  punto di vista generale di Lew è che le sanzioni non funzioneranno se i  paesi non otterranno le ricompense promesse- nel rimuovere le sanzioni-  una volta che acconsentono alle richieste Usa”?
Una  ragione di questa apparente contraddizione nelle osservazioni di Lew  probabilmente è la Cina: ricordiamo che quando le borse cinesi erano in  caduta libera e vi era un’emorragia di valuta, la Cina— mentre si  muoveva a supporto delle Yuan — dava la colpa alla Fed americana per i  propri problemi, venendo immediatamente derisa per aver fatto delle  simili accuse verso uno stato estero.
Attualmente,  ciò che la Fed stava facendo era di dichiarare l’intenzione di  aumentare i tassi di interesse (con le migliori intenzioni ovviamente)-  cosi come consigliavano quelli come Goldman Sachs. I profitti delle  banche e delle imprese Usa sono in declino, ed in “tempi di depressione  finanziaria”, salvaguardare il capitale diventa la priorità, e un  dollaro forte fa esattamente questo.
Ma  la Peoples’ Bank of China (banca centrale) non solo si è lamentata per  le azioni della Fed, ma ha reagito: ha lasciato indebolire lo Yuan,  mettendo in subbuglio il mercato finanziario globale, (già preoccupato  per il rallentamento della Cina); in seguito ha fatto risalire la valuta  per stroncare la speculazione, che puntava su un ulteriore caduta dello  Yuan; quindi lo ha lasciato indebolire non appena i commenti della Fed  hanno lasciato presagire un aumento dei tassi di interesse, e di  conseguenza un dollaro forte, come ha fatto notare Zero Hedge:
“Pareva  proprio che il messaggio della PBOC alla Fed sia stato recepito forte e  chiaro. Mettendo in atto la propria volontà di indebolire lo Yuan  (implicando se possibile del disordine), la presidente della Fed Janet  Yellen ha poi tenuto bassi i tassi (mostrando come le condizioni globali abbiano stroncato l’idea di Goldman Sachs e simili di rafforzare il dollaro), e cosi la Cina ha consentito allo Yuan di invertire il passo. In un  doppio colpo per tutti quelli coinvolti, il più grande rafforzamento  dello yuan nell’arco di tre giorni dal 2005 ha spinto pure la valuta  indietro ai minimi dal 2014, mostrando ancora una volta la loro forza  contro gli ignobili speculatori al ribasso.”
In breve, la “soluzione immediata” in politica estera di Ignatius ( le guerre del Tesoro Usa contro ogni potenziale antagonista dell’egemonia politica e finanziaria americana) deve fronteggiare una crescente guerra finanziaria “ibrida”, proprio  mentre la Nato si lamentava di dover affrontare una guerra convenzionale  “ibrida” da parte degli alleati della Russia.
Così  la Cina reagisce , mentre gli Usa provano ad estendere la loro  influenza, rivendicando il potere di intervento giuridico sulla Banca  Centrale cinese, e inserendo in una blacklist le maggiori compagnie di  telecomunicazioni cinesi, proibendo così alle aziende statunitensi di  fare affari con l’azienda cinese ZTE. Essa ha appena dimostrato con  efficacia che le “soluzioni immediate” del Tesoro Usa possono fallire.
Crediamo  che questo possa essere il punto centrale di Lew, diretto dove  possibile al Congresso, il quale si è realmente appassionato a questa  nuova “bomba neutronica” (così come un ex funzionario del Tesoro ha descritto la guerra geo-finanziaria del dipartimento).
Riguardo  la Russia è importante quanto segue: Russia e Stati Uniti pare stiano  giungendo ad una sorta di “grande accordo” sulla Siria (e possibilmente  sull’Ucraina), che implica probabilmente il ritiro delle sanzioni alla  Russia da metà del 2016. Ma gli Usa manterranno tuttavia le proprie ( o  addirittura ne aggiungeranno di altre, come pensano alcuni nel  Congresso).
Così,  se la Russia non si illude, come Iran e Cina, della promessa Usa di  allentamento delle sanzioni, allora, come sottolinea il giornalista del Keyhan, ne deriverà una reazione adeguata (avversa ndr in orig.).
Effetto boomerang
Ciò  che la Fed e Lew sembrano aver capito è che le economie degli Usa e  dell’Europa sono ora volatili e vulnerabili al punto che la Cina e la  Russia possono, come successo, reagire agli Stati Uniti, specialmente  laddove Cina e Russia si coordinano strategicamente. La Yellen ha  segnalato nello specifico un “indebolimento della crescita gobale” e  “meno fiducia nel processo di normalizzazione” come motivi del  ripiegamento della Fed.
Ironicamente, David  Ignatius nel suo articolo ha svelato il gioco: Lew non ci va cauto nel  dire che gli Usa hanno bisogno di utilizzare i propri strumenti con più  prudenza; ma non è così. La sua vera opinione è diversa ed è svelata da  Ignatius inavvertitamente:
“Il  potere Usa deriva dalla nostra forza militare senza eguali. Ma in un  senso più profondo, essa è un prodotto del dominio dell’economia  americana. Ogni cosa che espanda l’estensione dei mercati Usa, come il  TTIP per esempio, accresce l’arsenale del potere americano. Al  contrario, il potere Usa è limitato da quei provvedimenti che dirottano  le imprese lontano dal suolo americano, o che consentono ad altre  nazioni di costruire un’architettura finanziaria rivale, non gravata da  un complesso di sanzioni.”
L’ultimo  punto è precisamente quello che spaventa Lew ed Ignatius. I tavoli  girano: nei fatti gli Usa e l’Europa possono diventare più vulnerabili  alle rappresaglie, ( per esempio l’Europa, a causa delle contro-sanzioni sui prodotti agricoli Europei) di quanto lo siano Cina e Russia nei confronti della guerra unilaterale della Fed e del Tesoro.
Questa  è la nuova guerra ibrida, (e non quella classica ma ipotetica che viene  dalla Nato). Lew ed Ignatius sanno che è in costruzione un’architettura  parallela, e che l’inclinazione del Congresso a nuove sanzioni la sta  solo accelerando.
Perché  quindi il Tesoro Usa è così zelante nell’indebolire l’efficacia della  revoca delle sanzioni decisa dal JCPOA? Probabilmente perché l’Iran ha  meno presa sul sistema finanziario globale rispetto a Cina e Russia. Ma  forse anche perché le sanzioni all’Iran sono viste (erroneamente) dai  leader americani come il coronamento del loro successo geo-finanziario.
Ciò  che potrebbe mancare da questa interpretazione arrogante, tuttavia, è  la comprensione del fatto che l’esperienza dell’Iran non verrà sprecata  da altri, neanche dalla Shangai Cooperation Organization quando si  incontrerà nei prossimi meeting su come contrastare le rivoluzioni  colorate (con l’Iran che probabilmente diventerà membro effettivo e non più osservatore, entro l’estate).
16.04.2016