9 dicembre forconi: 02/17/17

venerdì 17 febbraio 2017

Mps, la superconsulenza affonda la banca: dubbi sugli ultimi bilanci della banca

Il Monte dei Paschi di Siena, come Alitalia e il Pd, ci dà sempre grandi soddisfazioni.

Mentre monta la suspense per il prossimo maxiprocesso milanese del 21 febbraio (per falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla vigilanza, 2.600 parti civili, per l’affaire Nomura e Deutsche Bank, Alexandria e Santorini) spunta un documento inoppugnabile che potrebbe far rinviare a giudizio Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, ex ad e presidente del Monte; ed invalidare l’intero aumento di capitale del 2014/2015. Ergo, la banca non avrebbe potuto chiedere gli aiuti di Stato, i «Monti Bond»; né quindi produrre quel leggendario aumento di capitale di 8 miliardi che spinse i banchieri e il governo Renzi ad un tronfio ottimismo: «Abbiamo salvato il Monte dei Paschi, potete tranquillamente investire», chè, poi, infatti, s’è visto...

Il suddetto documento è una consulenza di parte firmata da Roberto Tasca Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari e Francesco Corielli, associato di Metodi Matematici per le Scienze Economiche - tra i migliori periti sul mercato - datata 10 gennaio 2017, ordinata dall’autorevole procuratore aggiunto della Procura Generale Felice Isnardi. Il quale Isnardi, mosso dal dubbio, ha voluto svolgere «ulteriori accertamenti istruttori» sulla posizione di Monte dei Paschi indagata per la violazione della legge 231 del 2001, nell’inchiesta che ipotizzava i reati di falso in bilancio e manipolazione del mercato a carico di Viola, Profumo e di altri nove personaggi. Reati per i quali, occhio, nel settembre scorso la stessa Procura di Milano di Francesco Greco aveva chiesto l’archiviazione. Si trattava del caso dei famigerati derivati: 5 miliardi che Viola e Profumo curiosamente, contabilizzarono a patrimonio come fossero titoli di Stato. Titoli, però, che la banca, non aveva acquistato e neppure pagato. E senza i derivati contabilizzati a patrimonio la banca avrebbe dovuto chiudere gli sportelli, dato che «togliendo i suddetti 5 miliardi, il var e i profili di rischio Mps sarebbero aumentati del 200%», dice l’avvocato Paolo Emilio Falaschi, difensore di un centinaio di clienti del Monte sotto choc. Epperò, con quei dineri farlocchi si fece l’aumento di capitale di 8 miliardi del 2014-2015 «che sapevano non sarebbe servito a nulla».

I clienti massacrati chiesero giustizia. Ma la Procura di Milano dopo una lettera del legale di Mps - che attestava che anche fossero quelli stati derivati, i profili di rischio dei clienti non sarebbero stati alterati, e quindi addio ipotesi di falso in bilancio - chiese l’archiviazione. I risparmiatori presentarono opposizione, e il Gip milanese Cristofano fissò l’udienza per discuterne il 15 marzo 2017. Sembrava una formalità, difficilmente due Procure si fanno la guerra. Ma la consulenza di Tasca e Corielli rimette tutto in gioco. Difficilissima da decifrare, dalla sua sintassi bancaria si estraggono concetti come: «I derivati relativi alle operazioni Santorini e Alexandria non sono “destinati a coprire da rischio di insolvenza un portafoglio di finanziamenti” bensì corrispondono ad una “vendita” di questa copertura; non potrebbero, quindi, essere inseriti nel perimetro dei derivati di credito compresi nel banking book ai fini di vigilanza. Qualora questa fosse la giustificazione per l’inclusione di tali derivati nel banking book, la stessa sarebbe contraddittoria rispetto ai criteri specificati dalla stessa BMPS». Oppure: «La situazione di BMPS risultava cagionata da fenomeni di cattiva gestione delle attività/passività o da strategie rischiose, quali devono intendersi l’acquisizione di una banca a prezzi troppo elevati, le perdite sul portafogli crediti, o la sottoscrizione di derivati di credito. In questo caso è chiaro che le previsioni della Commissione Europea potevano essere diverse perché sarebbero state valutate procedure di intervento: «nel normale quadro degli aiuti al salvataggio... nonché misure compensative per limitare le distorsioni della concorrenza».
Tutto ciò difficilmente avrebbe condotto «all’autorizzazione all’emissione dei Monti bond». E si attesta che «i profili di rischio aumentarono «di 28 volte». E si prospetta, dagli artt. 22 e 23 della Comunicazione CE (2009/C 10/03) che la banca «dovrebbe essere posta in amministrazione controllata o liquidata in conformità del diritto comunitario e nazionale». In soldoni, il documento dà ragione ai risparmiatori, e non alla Procura generale. E non si può dire che ci siano contrasti personali sui consulenti, dato che Tasca e Corielli sono gli stessi periti che la Procura di Milano già utilizza per le vicende Mps. Soltanto che ora sono subentrati nuovi elementi; e, banalmente, sulla base di quegli elementi ai due professori sono state fatte altre domande. Probabilmente quelle giuste. La consulenza è di un’importanza capitale.
Di fatto, attesta che la situazione mortifera della banca deriva da scelte manageriali storicamente scellerate: 

a) acquisto assurdo di Antonveneta; 

2) concessioni incredibili di crediti a pioggia a clienti «pregiati» (leggi Sorgenia), soldi a cani e porci; 

c) inerzia totale sul recupero degli stessi crediti sfociata, appunto, nell’operazione derivati. 

La banca insomma, era un verminaio già da prima. Ora, scartata - ma non si sa mai- la costituzione ad adiuvandum di Isnardi, se tra un mese il gip Cristofano decidesse di accogliere l’opposizione all’archiviazione, per Viola e Profumo scatterebbe il rinvio e a giudizio. «E si finirebbe per invalidare, dati i bilanci falsati anche l'aumento di capitale del 2014», aggiunge Romolo Semplici, Associazione Buongoverno di Siena, «con tutto ciò che potrebbe conseguire».
E cioè una reazione a catena. La richiesta di amministrazione straordinaria nella quale, acclarato lo stato d’insolvenza dell’istituto, la prescrizione dei reati non decorrerebbe più dalla data del fatto (più di 10 anni fa), ma dal momento della dichiarazione d’insolvenza stessa, cioè da ora. 

E si aprirebbero scenari di sana galera per tutti i coinvolti in un’ipotetica bancarotta fraudolenta. «Metterebbero ai ferri anche gli uscieri...», è il commento malizioso dei senesi. Sembra una fiction, lo so. Ma gli studi legali, grazie a questa consulenza dal sen fuggita, ci stanno lavorando...
di Francesco Specchia

Fonte: qui

Pensioni: NON sono in equilibrio, è un welfare NON per giovani, famiglie e poveri

Non date retta a chi dice che sulle pensioni è tutto ormai stabilizzato, e che l’unica cosa da fare è prepensionare. Anche se molti osservatori e l’intera politica da destra a sinistra sostiene queste tesi, i numeri dicono altro. O meglio: lo dicono se non li si manipola. Ma purtroppo molti preferiscono farlo. In queste osservazioni si può sintetizzare la situazione dell’INPS fotografata ieri dal rendiconto della Corte dei conti sul bilancio 2015, e dal IV° rapporto annuale di Itinerari Previdenziali, che analizza andamenti, costi e oneri delle pensioni, assistenza e spesa sociale complessiva nel nostro paese.Cerchiamo di sintetizzare in pillole alcuni punti ipersemplificati, visto che tra conto economico, patrimoniale e gestione finanziaria le tecnicalità sono complesse e insidiose, data la foresta di normative e gestioni diverse che nell’INPS si sommano.
Primo: una rassicurazione, niente paura. Sì, nel 2015 l’INPS ha chiuso con un risultato economico negativo di 16,3 miliardi di euro, per via di 13 miliardi di accantonamenti per crediti contributivi ormai a rischio di inesigibilità. E il conto patrimoniale piange anch’esso: da 21,8 miliardi di attivo del 2012 è sceso in picchiata a 5,8 miliardi nel 2015. E nel 2016 entrerà per la prima volta in territorio negativo, registrando -1,7 miliardi. Nel 2017, secondo il bilancio previsionale INPS, peggiorerà ancora, fino a  -7,8 miliardi. Ma come giustamente ricordato dal presidente dell’INPS, Tito Boeri, sulle pensioni INPS c’è una garanzia di Stato. Di conseguenza, potete stare tranquilli. Anche se non significa che non si debba correre ai ripari. Perché la vostra tranquillità di incassare poggia su esborsi enormi a carico non dei vostri contributi versati ma dei contribuenti. E purtroppo così facendo aggraviamo ancora l’emergenza dell’ingiustizia tra generazioni, a scapito dei giovani.
Secondo; ma come si rimedia al deficit?  La prima via è di far crescere ulteriormente il contributo annuale che all’INPS viene dalla fiscalità generale cioè dalle tasse, che nel 2015 è stato di 103 miliardi e rotti, 5 miliardi più che nel 2014. 
Senza di essi, l’istituto non avrebbe potuto sobbarcarsi al complesso delle sue prestazioni erogate per 307 miliardi, di cui 250 miliardi circa in pensioni “in senso stretto” e il resto nelle diverse forme di assistenza, a fronte di 192 miliardi di contributi previdenziali raccolti.
Terzo: ma non è iniquo, aumentare ulteriormente l’esborso aggiuntivo da tasse, oltre a quello delle aliquote contributive? La risposta a questa domanda è “dipende”. Per i sindacati e molti osservatori- assertori della tesi “il sistema è in equilibrio” – no, non è iniquo. Perché attraverso scomposizioni del totale della spesa INPS che vi risparmiamo perché non basterebbe una pagina, sostengono in realtà che lo squilibrio viene tutto dall’assistenza, non dalle pensioni di anzianità e vecchiaia che sarebbero in anzi in lieve avanzo, tra contributi raccolti annuali e prestazioni erogate nello stesso anno (ricordate che è questa l’unica cosa che conta, il nostro sistema in lenta transizione tra principio retributivo e contributivo è rimasto però a ripartizione: non funziona affatto come molti credono, pensando che il proprio assegno previdenziale sia effetto del totale dei propri contributi versati; sono i contributi annuali raccolti da chi lavora a pagare i trattamenti in pagamento nello stesso periodo).
Quarto: perché altri sostengono che è iniquo? Intanto, perché dire che pensioni pure e contributi sono in pareggio è una deliberata forzatura contabile (è la tesi che trovate sostenuta del rapporto di Itinerari Previdenziali, secondo cui addirittura la gestione delle pensioni “in senso stretto” vede addirittura un attivo di 3 miliardi nel 2015 rispetto ai contributi raccolti, cfr pag 12),  visto che chi propone questo calcolo include nell’assistenza il totale dei 68 miliardi di oneri a carico della GIAS che però includono niente affatto solo prestazioni assistenziali, ma anche ripiani di alcuni sbilanci del tutto previdenziali in senso stretto, nonché considera “assistenza” anche sgravi contributivi concessi dallo Stato, che assistenza non sono affatto. E’ questa la spiegazione per cui la spesa “stretta” previdenziale 2015 va considerata di circa 250 miliardi, non di 168 miliardi o addirittura di 159 come sostiene Brambilla (leggere l’ultimo lungo paragrafo di pag 12 del link richiamato) per argomentarne un equilibrio delle pensioni previdenziali che invece NON sussiste: e oggi l’abbiamo spiegato anche in dettaglio in radio a versionedioscar con Stefano Patriarca, che lavora a palazzo Chigi come consigliere insieme a Nannicini, e di previdenza si occupa da una vita. 
Sette punti di PIL l’anno vanno dalla fiscalità generale ogni anno a sostenere lo squilibrio previdenziale, non la mera assistenza. Se pensate per esempio che il 52% del totale delle imposte italiane sul reddito delle persone fisiche è pagato dal solo 11% del totale degli oltre 60, 8 milioni di italiani, mentre lo squilibrio delle pensioni si deve alla generosità degli assegni retributivi che paghiamo (ancora larghissimamente maggioritari sul totale delle prestazioni erogate), si capisce al volo che è un’iniquità. Effettuiamo ogni anno un massiccio trasferimento di risorse in deficit a vantaggio di milioni di italiani che NON sono affatto i poveri veri (povertà assoluta). Brambilla calcola – e in questo ha ragione – che dal 1980, inizio dello squilibrio previdenziale, a questa posta si debba ” l’accumulo di un debito in moneta corrente di 1.000,087 miliardi di euro pari al 45% dell’attuale debito pubblico complessivo. Calcolando invece, come più correttamente si deve fare, l’incidenza dei disavanzi sul debito pubblico in moneta 2015 si arriva a un totale di 1.491,18 miliardi pari al 67% dell’intero debito pubblico italiano, di cui hanno beneficiato, in buona parte ogni anno gli oltre 16 milioni tra pensionati e assistiti, facendo esplodere il rapporto tra debito pubblico e PIL dal 59,4% del 1980 al 132,7% attuale”. Aggiungo ancora un’altra rilevantissima iniquità: perché in realtà sappiamo benissimo da anni, da dove viene il più recente balzo in avanti dello sbilancio economico e patrimoniale dell’INPS. Ad aver spinto a fondo i conti INPS dal 2012 è stata l‘incorporazione dell’INPDAP, cioè dei pensionati pubblici. Nel solo 2015 la gestione dei dipendenti pubblici ha registrato un passivo di 28,9 miliardi  rispetto a 26,8 nel 2014. Viene poi il fondo  ex Ferrovie dello Stato con perdite di 4,2 miliardi nel 2015, la Gestione Coltivatori Diretti con -3,1 e il Fondo Trasporti con un miliardo di squilibrio. 
Le gestioni in attivo sono solo 3 nel recinto INPS, e il più dell’attivo, che va a coprire almeno in parte la voragine dei pensionati pubblici, viene dal fondo dei parasubordinati: in attivo nel 2015 per oltre 7 miliardi.Ma vi pare accettabile, che lo scalino più basso delle garanzie e della piramide dei redditi italiani, quello appunto dei parasubordinati, debba rifondere ogni anno almeno in parte i buchi delle pensioni pubbliche? E’ ovvio che no: bisognerebbe dunque alzare l’aliquota contributiva a carico del lavoro pubblico fino al pareggio del deficit annuale. Ma su questo, chissà perché, lo Stato non ci sente, quello stesso Stato che per decenni in realtà non ha neanche fatto finta di versarli davvero, i contributi dovuti per la pensione dei suoi dipendenti. mentre poi, se pensassimo a un’aliquota contributiva media generale per l’equilibrio delle prestazioni previdenziali , allora essa dovrebbe salire dal 33% attuale al 44%. Ecco, mi fermo qui: queste sono solo alcune delle più gravi ragioni di iniquità persistenti ancor oggi nel sistema previdenziale italiano. Che NON è in equilibrio, e grazie all’odiatissima riforma Fornero è entrato sì in un regime pluriennale di stabilizzazione: ma nell’arco dei prossimi 30 anni, perché a oggi anno dopo anno la spesa previdenziale cresce ancora eccome (il 2015 segna il record, e salirà ancora nel 2016 e 2017) . Altro che abbassare l’età della pensione di vecchiaia come propongono i partiti ( a oggi sono state introdotte 12 diverse forme di prepensionamento rispetto al testo Fornero): noi continueremo per anni e anni a pagare milioni di trattamenti di anzianità in deficit, maturati in passato a età tra i 40 e i 50 anni…
Quinto: lo squilibrio ulteriore che deve preoccuparci, quello all’interno della spesa sociale. Abbiamo una spesa sociale, sommando tutte le componenti dalla sanità alla previdenza all’assistenza, tra le più elevate in Europa (altra evidenza che viene spessissimo NEGATA nel dibattito pubblico): è pari nel 2015 a 447,3 miliardi cioè al 54% del totale della spesa pubblica. Ma spendiamo troppo più degli altri paesi europei in pensioni: il 15,8 % del PIL nel 2015 (dicono ISTAT ed Eurostat, naturalmente Brambilla con le sue elaborazioni al ribasso sostiene che siano diversi punti di PIL in meno, la solita storia per cui in Italia si gioca coi numeri a seconda della tesi da sostenere invece di affidarsi a quelli univoci della contabilità pubblica….)  rispetto al 11% nell’euroarea. Mentre spendiamo il 50% per cento in meno rispetto alla media europea per la famiglia: solo l’1,2% del PIL. E quasi zero per la casa, rispetto allo 0,6% di Pil annuo nella Ue.
Conclusione amara. Il nostro è non solo un welfare a debito, con 7 punti di PIL l’anno per l’INPS a carico di pochissimi contribuenti. Ma è soprattutto un welfare troppo spostato a favore degli anziani, avarissimo coi giovani, inesistente o quasi per i poveri assoluti : il che aggrava anno dopo anno il nostro deficit demografico e di produttività.


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GIANFRANCO FINI S’E’ GIOCATO MEZZO PARTITO ALLE SLOT MACHINE


CORALLO HA FINANZIATO AMICI, SODALI E VECCHI CAMERATI 

E MARCO MILANESE CHIAMA IN CAUSA PURE L’EX SOTTOSEGRETARIO GIORGETTI 

LE MINACCE DI CHECCHINO PROIETTI

Giacomo Amadori per La Verità

LA PRIMA PAGINA DI LIBERO SU GIANFRANCO FINILA PRIMA PAGINA DI LIBERO SU GIANFRANCO FINI
L' inchiesta di Roma sull' imprenditore Francesco Corallo e sulle sue società (i reati vanno dall' associazione a delinquere al peculato all' evasione fiscale) sta facendo emergere una verità che sino a oggi era rimasta sullo sfondo. Il re delle slot machine non aveva bisogno di arricchire i Tulliani (indagati per riciclaggio) in quanto tali, ma per il loro collegamento con il potente di turno, in questo caso Gianfranco Fini, sotto inchiesta a sua volta. Per il giudice Simonetta D' Alessandro la prova è nel fatto che i rapporti con gli uomini di An e i flussi di denaro cominciano ben prima del 2008-2009, quando entrano in gioco i Tulliani.

Il 2004 è un anno cruciale per la Atlantis world di Corallo, per l' accusa «un' impresa eminentemente criminale». Infatti il governo Berlusconi decide di regolamentare il mercato degli apparecchi da divertimento e indice una gara. A inizio estate si spartiscono la concessione dieci concorrenti e Atlantis world diventa leader del settore. Dopo poche settimane Fini, l' ex moglie Daniela Di Sotto, l' allora segretario particolare del leader di An, Francesco Proietti Cosimi (con signora) e altri 10 amici sono ospiti di Corallo per due settimane da sogno ai Caraibi. Tutto a spese del re delle slot.
gianfranco finiGIANFRANCO FINI

Qui, secondo il rappresentate legale della Atlantis Amedeo Laboccetta (indagato nell' inchiesta romana) Fini e Corallo suggellano un' intesa «che è stata utile ad Atlantis/B plus nello svolgimento dei rapporti con l' amministrazione dei Monopoli». Infatti Atlantis inizialmente non riesce a collegare in rete le macchinette per consentire ai Monopoli di controllare gli introiti e i conseguenti versamenti spettanti allo Stato. Il 21 aprile del 2005 da Roma parte un ultimatum: o Atlantis risolve i problemi o le verrà notificato l' avvio del procedimento di revoca della concessione.

FRANCESCO PROIETTI COSIMIFRANCESCO PROIETTI COSIMI
Dopo pochi giorni la società avverte i Monopoli che ha deciso di ritirarsi. Proprio in quel periodo la procura di Potenza sta indagando sul gioco d' azzardo e sotto intercettazione c' è anche Proietti Cosimi, il segretario di Fini. Il giorno della notifica dei Monopoli ad Atlantis sul suo telefonino giunge la chiamata di Laboccetta, il quale lo aggiorna sui problemi di Atlantis e gli legge la lettera dei Monopoli.

Proietti Cosimi, dopo aver dato alcuni consigli a Laboccetta, conclude così: «Io domani parlo con Giorgio (Tino, presidente dei Monopoli, ndr) e me la vedo. Dai!». Anche grazie all' intervento dell' ex segretario di Fini le parti si incontrano e trovano una soluzione. In questo modo la società italocaraibica non lascia il mercato italiano e anzi accresce la sua quota di mercato.

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Dalle Antille olandesi, quartier generale della Atlantis, iniziano ad arrivare bonifici in Italia. Nel marzo del 2006 l' azienda di Corallo invia 120.000 euro a una minuscola associazione culturale di Subiaco, il paese di Proietti Cosimi. Il presidente è Pierluigi Angelucci, un collaboratore dello stesso Proietti. In un mese e mezzo ritira circa 119.000 euro in contanti. Al cronista ha dichiarato: «Quell' operazione mi è stata chiesta direttamente da Checchino (Proietti Cosimi, ndr). I soldi li ho ritirati per lui. Mi sembra di averglieli portati a casa e in via della Scrofa». Successivamente la società di Corallo ha finanziato anche la Ke.is una azienda della famiglia di Proietti Cosimi sul cui fallimento è in corso un processo per bancarotta.
FRANCESCO CORALLOFRANCESCO CORALLO

Per esempio tra il 2008 e il 2010 Atlantis invia 440.000 euro per la sponsorizzazione di alcuni musical allestiti dalla Ke.is. Oggi l' ex segretario particolare di Fini è imputato per finanziamento illecito proprio a causa di quei bonifici dai Caraibi. Contattato dalla Verità, Proietti Cosimi inizialmente è cordiale, quindi informato del fatto che intendiamo scrivere sul giornale dei finanziamenti di Atlantis perde la calma e si fa minaccioso: «Non scriva nulla. Le conviene».

elisabetta tulliani gianfranco finiELISABETTA TULLIANI GIANFRANCO FINI
Nel 2008 Proietti Cosimi e Laboccetta entrarono insieme in Parlamento con il Pdl in quota An. Ma entrambi giurano di non essersi interessati ai due fantomatici decreti favorevoli a Corallo di cui parla il giudice D' Alessandro. Grazie al cosiddetto decreto Abruzzo, il 39/2009, Corallo può installare ben 12.000 videolottery di nuovissima generazione a condizioni agevolate. Con il successivo provvedimento, il 78/2009, può impegnare i diritti sulle vtl e ottenere così un finanziamento per Atlantis/Bplus da 150 milioni di euro dalla Banca popolare di Milano, da investire nell' acquisto e nella diffusione delle stesse vtl.

FINI TULLIANIFINI TULLIANI
A novembre Sergio Tulliani, il suocero di Fini, considerato dai magistrati un lobbista non molto credibile incassa 2,4 milioni con la causale «liquidazione attività estere decreto 78/2009». Non è finita. Nel biennio 2008-2009 secondo il calcolo degli inquirenti arrivano sui conti dei figli Giancarlo ed Elisabetta Tulliani altri 5 milioni di euro provenienti da Corallo. Ma non sono certo loro ad aver perorato la causa in Parlamento.

MARCO MILANESEMARCO MILANESE
In parte quel ruolo viene svolto dallo stesso Corallo che venne ingaggiato da Laboccetta come assistente parlamentare e in parte da altri politici. Gli inquirenti citano lo stesso Laboccetta (all' epoca in commissione Finanze) e il sottosegretario all' Economia Marco Milanese che avrebbero mediato per far inserire in uno dei provvedimenti legislativi le istanze di un consulente di Atlantis. Milanese, però, indagato a Milano per la stessa vicenda, è stato archiviato. Gli chiediamo chi sia allora il responsabile delle leggi favorevoli a Corallo e la sua risposta è lapidaria: «Le norme arrivavano praticamente già pronte dai Monopoli e io non avevo nessuna delega ai rapporti con loro».

E chi la aveva? «Alberto Giorgetti». Di che partito era? «Anche lui proveniva da An».
ALBERTO GIORGETTI SOTTOSEGRETARIO ECONOMIAALBERTO GIORGETTI SOTTOSEGRETARIO ECONOMIA

Ci sono altri ex fedelissimi di Fini che sostennero l' affermazione dell' Atlantis in Italia. «Mettemmo a punto l' associazione temporanea d' imprese con Atlantis e Bit media nello studio romano dell' avvocato Giancarlo Lanna» ha ricordato a Panorama Remo Molinari, ex socio di Corallo con la sua Plp. Lanna nel 2007 fu tra i promotori della fondazione Farefuturo, il centro studi finiano che con gli attacchi al premier Silvio Berlusconi sarà tra le cause della spaccatura del Pdl. In ogni caso nel 2004, Corallo poteva contare sull' appoggio di altri esponenti di spicco dell' ex An. «Anche perché con alcuni di loro aveva militato nel Fronte della gioventù» ha dichiarato Molinari.

Fonte: qui

                              

FINI FU IL TRAMITE FRA CORALLO E I TULLIANI, LO SCRIVONO I PM ROMANI PER QUESTO E’ INDAGATO PER RICICLAGGIO 

VACANZE A SCROCCO AI CARAIBI PRIMA DI CONOSCERE ELISABETTA, PAGATE DAL RE DELLE SLOT MACHINE 

ED E’ SEMPRE LUI A FINANZIARE LA RISTRUTTURAZIONE DELLA CASA DI MONTECARLO

Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera

elisabetta tulliani gianfranco finiELISABETTA TULLIANI GIANFRANCO FINI
I soldi e i beni sequestrati dalla Guardia di Finanza, per un valore di circa 5 milioni di euro, sono di Elisabetta, Giancarlo e Sergio Tulliani; rispettivamente moglie, cognato e suocero di Gianfranco Fini. Ma al centro dei rapporti considerati illeciti con il «re delle slot machine» Francesco Corallo (arrestato nel dicembre scorso alle Antille olandesi, dove ancora attende l' esito della richiesta di estradizione in Italia) c' è lui, l' ex leader di Alleanza nazionale, nonché ex esponente di punta del governo Berlusconi e poi presidente della Camera.

La conoscenza tra Fini e Corallo, infatti, è precedente all' entrata in scena dei Tulliani. Risale al 2004, quando l' ex deputato del Pdl Amedeo Laboccetta (arrestato anche lui a dicembre) portò l' allora vicepresidente del Consiglio in vacanza sull' isola di Saint Martin, con altre 14 persone, per due settimane. Ospiti dell' imprenditore dei videogiochi, titolare della società Atlantis.

FRANCESCO CORALLOFRANCESCO CORALLO
VACANZA PAGATA
In quell' occasione - ha riferito lo stesso Laboccetta ai magistrati, prima di passare dal carcere di Regina Coeli agli arresti domiciliari - Fini «suggellò con Corallo un' intesa che è stata utile ad Atlantis nello svolgimento dei rapporti con l' Amministrazione dei Monopoli. Infatti lo stesso Laboccetta si rivolse al segretario di Fini, Proietti Cosimi, allorché, nell' aprile 2005, Atlantis ebbe problemi con l' Amministrazione che formulò contestazioni con diffida che avrebbero potuto condurre alla revoca della concessione». E Proietti Cosimi risolse il problema.

Francesco Proietti CosimiFRANCESCO PROIETTI COSIMI
Poi arrivarono i Tulliani e, sempre a detta di Laboccetta, Fini «cercò di far concludere un affare immobiliare a Giancarlo, fratello della compagna Elisabetta, presentandolo come intermediario per l' acquisto di una proprietà a Roma cui era interessata la società di Corallo». L' affare sfumò, ma le frequentazioni continuarono, tanto che alla festa per il compleanno della prima figlia di Gianfranco ed Elisabetta, nell' appartamento di Montecitorio dove Fini si era trasferito in quanto presidente della Camera, «parteciparono pochi parenti, qualche personaggio politico, compagni di partito nonché Francesco Corallo e la sua compagna».

AMEDEO LABOCCETTAAMEDEO LABOCCETTA
A parte le dichiarazioni dell' ex deputato indagato nella stessa inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti - che ieri ha portato al decreto di sequestro e alle perquisizioni di uffici e appartamenti, tra cui quello in cui vivono i coniugi Fini -, sono i soldi inseguiti dagli investigatori della Finanza a rendere sospetti i rapporti tra Corallo e i Tulliani. Instaurati «per il tramite di Gianfranco Fini», specificano gli inquirenti.
GIULIA BONGIORNO ELISABETTA TULIANI E GABRIELLA BONTEMPOGIULIA BONGIORNO ELISABETTA TULIANI E GABRIELLA BONTEMPO

Prima c' è stato il progetto di farli entrare nell' Atlantis con il 10 per cento delle quote azionarie; poi sono arrivati i trasferimenti milionari attraverso società create appositamente, e conti bancari accesi a questo scopo.

VERSAMENTI SOSPETTI
Secondo il giudice Simonetta D' Alessandro, che ieri ha ordinato il sequestro preventivo dei beni, «i Tulliani sicuramente capivano l' illiceità dei contegni cui si accingevano». Ed erano consapevoli dell' interesse di Corallo a tenere buoni rapporti con il governo attraverso un «esponente centrale» come Fini.

giancarlo e elisabetta tullianiGIANCARLO E ELISABETTA TULLIANI
Ai tre - padre e figlio difesi dagli avvocati Titta e Nicola Madia, la figlia assistita da Giulia Bongiorno - viene contestato il riciclaggio dei soldi di Corallo; accumulati illegalmente, secondo l' accusa, grazie a una sostanziale truffa ai danni dello Stato agevolata da appositi provvedimenti di legge tanto «abnormi» da garantirgli un «irragionevole privilegio». Adesso è indagato anche Fini, per concorso nello stesso reato. Lui commenta che è «un atto dovuto» e si dice fiducioso che la magistratura chiarisca tutto.
giancarlo tullianiGIANCARLO TULLIANI

Per adesso, gli inquirenti ritengono di aver chiarito che il riciclaggio era «strettamente correlato» con le leggi fatte in favore di Corallo, che poi si sarebbe sdebitato attraverso i Tulliani. Oltre al denaro per finanziare l' acquisto della famosa casa di Montecarlo ereditata da Alleanza nazionale (comprata nel 2008, ristrutturata con altri soldi di Corallo e rivenduta nel 2015 a 1.360.000 euro), le Fiamme gialle hanno individuato un versamento a papà Tulliani di due milioni e 400 mila euro, effettuato dopo il varo di un decreto molto vantaggioso per l' affare dei videogiochi.
VILLINI DI GIANCARLO TULLIANI ROMA jpegVILLINI DI GIANCARLO TULLIANI ROMA JPEG

Successivamente metà di quel denaro è finito a Giancarlo per acquistare il villino bifamiliare dov' è ufficialmente domiciliato, anche se da dicembre s' è trasferito negli Emirati Arabi; un' altra parte (550 mila euro) è andata su un conto di Elisabetta che l' ha utilizzata per comprare una casa. Commenta il giudice D' Alessandro: «I contegni, basici, rispondono a bisogni primari: la casa per sé, la casa da affittare. Cessate le aspirazioni internazionali, si delinea la piccola delinquenza finanziaria routinière ».

Fonte: qui

 

LA LEGGE DEI TULLIANI: CHI STA CON ELISABETTA SI PRENDE TUTTA LA FAMIGLIA 

ERA GIÀ SUCCESSO A GAUCCI E ADESSO E’ CAPITATO A FINI, INGUAIATO PER LA CASA DI MONTECARLO 

L’EX PRESIDENTE DEL PERUGIA REGALO’ LA PORSCHE A GIANCARLO, LA BMW AL PADRE E POI TERRENI, L’ATTICO A VIA SARDEGNA E CASE A BOCCEA

Massimo Malpica per “il Giornale”

Quella dei Tullianos è la storia di una famiglia unita. Così tanto unita che esserlo di più è difficile anche solo da immaginare. Colpisce, per esempio, il modo in cui gli uomini di Elisabetta si ritrovino rapidamente a far parte - o a fare i conti - anche con la di lei famiglia. Tutti Tullianos d' adozione, almeno fino al prossimo giro, e tutti a collaborare alle fortune imprenditoriali della family.

gaucci, tullianiGAUCCI, TULLIANI
Il primo è stato Luciano Gaucci, fidanzato con la giovane Elisabetta dal 1997 al 2004, dopo che lei era entrata in casa come fiamma del figlio di Lucianone, salvo poi cambiare partner. E Gaucci, dopo la fine della relazione, non le ha certo mandate a dire. Lamentandosi dei beni, mobili e immobili - case, automobili, terreni e gioielli - finiti nel tesoro dei Tulliani anche se solo «prestati» per motivi fiscali. C'era persino una schedina vincente del Superenalotto che Gaucci e i suoi ex parenti acquisiti si litigavano.
GAUCCI, TULLIANIGAUCCI, TULLIANI

Di certo l' ex presidente del Perugia era stato generoso. Assumendo Elisabetta e il fratellino Giancarlo come dirigenti per le sue tante squadre di calcio. E, come raccontava lui stesso, «ho comprato la Porsche a Giancarlo, la Bmw al padre Sergio. Ho regalato loro terreni fuori Roma, a Capranica-Prenestina, Viterbo e Rieti. L' attico in via Sardegna e le case a Boccea dove Elisabetta vive con i genitori e il compagno».

elisabetta tulliani gianfranco finiELISABETTA TULLIANI GIANFRANCO FINI
Il compagno, cioè Gianfranco Fini. Che arriva e trova una famiglia certamente beneficata dal vulcanico Lucianone. Pazienza se l' ex finisce in Repubblica Dominicana spinto dai guai giudiziari: il vecchio va giù dal balcone come una lavatrice rotta a capodanno, il nuovo prestigioso compagno di Eli invece posa per una foto da famiglia reale con tutti i Tullianos in alta uniforme per il battesimo di Martina, una delle due bimbe nate dalla relazione con l' ex presidente della Camera.

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Fini si trasferisce nel quartier generale di famiglia, e difende Elisabetta, il cognato e tutti i suoi acquisiti quando scoppia lo scandalo della casa di Montecarlo. Ci va di mezzo lui, visto che come è noto quell'appartamento era di proprietà di An, dopo la donazione al partito «per la buona battaglia» della contessa Colleoni, militante missina e ammiratrice di Gianfranco. Come è finito il giovin Tulliani in quell'appartamento senza che Fini lo sappia?

Gianfry fa lo gnorri, e sposa acriticamente la posizione di famiglia: negare tutto. Una panzana clamorosa, smentita dall'inchiesta del Giornale e - anni dopo - dall'indagine sul gruppo di Corallo che rivela il castello di bugie costruito dai Tullianos e narrato da Fini intorno a quella storia.
GIANFRANCO FINI ED ELISABETTA TULLIANIGIANFRANCO FINI ED ELISABETTA TULLIANI

Si scopre anche che non solo l'appartamento nel Principato venne dato via a un prezzo irrisorio, ma che quei soldi non vennero nemmeno tirati fuori da Giancarlo, Sergio o Elisabetta. A pagare secondo la magistratura è stato Corallo. E l'uomo delle slot, storicamente vicino ad An, avrebbe anche foraggiato i conti correnti dei Tullianos con altri bonifici.

Tutto mentre Fini andava in tv a negare l'evidenza e, derubricato a traditore della causa dalla comunità della destra italiana, si avviava a un rapidissimo tramonto, scomparendo dall'orizzonte della politica. 

«Un coglione», ha detto di sé l'ex terza carica dello Stato di fronte alla prova che la procura a vendere il quartierino a Montecarlo era firmata da Elisabetta. All'oblio si è aggiunta l'ingiuria. E ora l'iscrizione nel registro degli indagati. Concorso per riciclaggio. L'ultimo legame, il più beffardo, del Fini sedotto ma non edotto con i suoi Tullianos.

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