Dicono: i francesi sono più ricchi degli italiani, quindi possono sforare, sforare sforare e tanto meglio se lo faranno anche oltre il 3% per soccorrere i poveri, per soccorrere chi è rimasto indietro, per aiutare le vittime del feticismo del debito pubblico.
Debito rigidissimo per la Grecia, debito rigidissimo per l’Italia, debito rigido per la Spagna, debito rigido per il Portogallo, debito flessibile per gli amici.
Quello che non ci si chiede mai è: ma la Francia da dove prende questa montagna di soldi?
Per non porgere le terga alla commissione europea, il governo italiano è stato costretto, per il prossimo triennio, a sottrarsi alla logica di porre il lato B davanti al calcio già in canna.
E per evitare la temutissima procedura di infrazione, una roba che solo a pronunciarla fa tremare le vene ai polsi, ha dovuto negoziare la propria politica economica. Pensate: la procedura di infrazione, che manco avessero detto la recisione dell’arteria femorale.
Però non importa, andiamo avanti, facciamo finta che si tratti di cosa buona e giusta, ma cerchiamo di capire per quale ragione, al contrario di altri paesi UE, la Francia può permettersi di fare ciò che vuole. La risposta per certi aspetti è perfino banale: i francesi emettono debito sapendo di poterlo sostenere.
Il problema è che la sostenibilità di queste operazioni (che peraltro fanno tutti gli Stati per mantenersi) riconduce ad un’arma segreta, o perlomeno ad un’arma semi sconosciuta, una specie di super missile che in questo caso corrisponde a una moneta battuta da Tesoro francese al di fuori del sistema europeo, e con la funzione di regolare i rapporti commerciali con 14 ex colonie africane.
Si tratta di una specie di turbo finanziario concesso soltanto alla Francia da parte dell’Unione Europea, una divisa super fotonica e privilegiata e “spintaneamente” imposta alle 14 ex colonie, di cui non dispone nessun altro paese facente parte del pollaio Ue: si tratta della Guinea Bissaue della Repubblica Centroafricana e poi di altri 12 stati (Benin, Burkina, Costa d’Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Camerun, Ciad, Congo-Brazzaville, Guinea Equatoriale e Gabon), stati questi che utilizzano la valuta CFA, stampata in una città della Francia, e ora legata al valore dell’euro ma che fu istituita all’inizio della seconda guerra mondiale.
Cosa prevede l’accordo? Come denuncia da anni il leader panafricano, Mohamed Konarè, la Francia garantisce: a) la convertibilità illimitata del Franco CFA e del Franco delle Comore in qualsiasi valuta straniera; b) il tasso fisso fisso di parità con la valuta francese (prima il Franco, poi l’euro); c) i trasferimenti di capitale all’interno dell’area valutaria gratuiti.
Il problema è che in cambio di questi primi tre principi, il 50% delle riserve valutarie dei Paesi della zona monetaria del franco CFA e il 65% delle riserve del franco delle Comore sono depositate in un conto di transazione della Banque de France a Parigi.
Tanto per capirci, se tizio volesse investire 1000 € per un progetto in Senegal dovrebbe farlo con il franco CFA e la Francia tratterrà il 50% del valore del cambio. Proprio così.
In altre parole, la Francia trattiene le riserve in franchi CFA (Franco delle Colonie Francesi d’Africa coniato nel 1945) presso la Banque de France, e queste riserve sono stimate in circa 10 miliardi di euro (4,6 miliardi per CEMAC – Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale – a gennaio 2016 e 5,1 miliardi per WAEMU – West African Economic and Monetary Union – a dicembre 2015).
La fonte è il prestigioso Le Monde, che conferma il meccanismo messo in piedi dalla Francia. Conferma che arriva anche dalla comunità scientifica composta da numerosi economisti.
Come ad esempio il professor Massimo Amato dell’Università Bocconi di Milano, e come conferma anche un servizio di Raidue firmato da Filippo Barone, mandato coraggiosamente in onda nelle tenebre della notte.
La cifra totale che, insomma, i francesi trovano ogni anno sotto il tappeto, è di 10 miliardi di euro, un doping monetario come denunciato anche da Claudio Messora di Byoblu che lungi dall’essere il risultato di politiche economiche, oppure di emissione di titoli pubblici, è in realtà frutto di una tassa dei ricchi imposta ai poveri per sostenere la crescita economica francese.
Si spiega così, o perlomeno si spiega in parte, il motivo per cui nonostante le varie crisi susseguitesi negli anni, l’Eliseo è sempre riuscito a mantenere un rapporto deficit Pil più basso rispetto a quello di altri paesi, come ad esempio l’Italia.
Tutto questo, come è facile intuire, a scapito dell’economia dei paesi in cui è in vigore questa divisa, la quale, essendo molto forte ed avendo un tasso di cambio pari al 50%, praticamente strozza ogni forma di credito, il che equivale a creare i presupposti del disastro. E non è che i francesi non lo sappiano, anzi lo sanno benissimo.
E infatti se ne guardano bene dal rinegoziare gli accordi con i paesi africani, e si guardano bene anche dal difendersi dagli attacchi della Germania della Merkel, la quale più volte ha cercato di mettere in discussione questo sistema parallelo, senza peraltro riuscirci, ma ottenendo in cambio la sopravvivenza dell’asse carolingio. Tant’è vero che non c’è traccia di una revisione dei trattati, né per l’anno in corso, né per quello successivo, e a quanto pare neppure per quelli a venire.
La Francia, insomma, usa il pugno di ferro. Ma anche la maschera di ferro. Questi trattati non si toccano. Questa moneta non si tocca. La nostra divisa non è in discussione. Punto.
Il problema è la ricaduta sui paesi africani, che è paradossale e drammatica. Tra le altre cose, non ultima quella di non avere una propria moneta sovrana, gli africani lamentano di essere costretti ad usare la divisa francese, che però ha un valore talmente alto da non essere prestabile per mancanza di garanzie finanziarie o materiali, perché nessuna banca sarà mai disposta a erogare credito senza garanzie, e poiché l’Africa non ha una banca centrale, nessuno riesce a mettere le mani su questa valuta per creare sviluppo.
In sostanza, gli africani sono ancora schiavi, e non solo perché non hanno una loro valuta, ma perché sono costretti ad acquistarla dalla Francia, lasciando ai francesi il 50% del valore degli scambi. Libertè egalitè, ma i soldi a me.
A Dakar, ad esempio, le banche non prestano soldi, manco per sbaglio. Perché i soldi a Dakar servono a difendere il cambio fisso, e in ogni caso anche quando (raramente) i prestiti vengono erogati, il tasso di interesse varia dal 15 al 25%.
Il sistema di cambio del sistema CFA, quindi, costringere gli istituti di credito a non finanziare alcuna attività, ma senza il microcredito queste terre continueranno ad essere povere in eterno pur essendo tra le più ricche del mondo per quanto riguarda le materie prime tra le quali l’uranio che la Francia preleva per alimentare le sue centrali nucleari.
Così la povertà avanza, la gente vive di stenti, il lavoro non c’è, la sanità è rudimentale.
Tutto è precario. La vita è scandita da un orizzonte temporale di 12 ore invece di 24. Le condizioni sono terribili, in alcuni paesi manca sia l’acqua che l’elettricità, e perfino alcuni generi alimentari come ad esempio le cipolle che vengono importate dall’Olanda a costi altissimi.
E allora perché stupirsi se poi migliaia di persone si riversano sulle coste del Mediterraneo, pagando pure il pizzo ai trafficanti di carne umana i quali poi investono immediatamente quei denari per comprare armi e droga.
“Quello che chiede l’Africa – dice Mohamed Konaré – è una moneta propria, una divisa libera dai vincoli con la Francia, una banca centrale. Le persone muoiono nel deserto. E il paradosso, è che l’Africa pur essendo ricca di materie prime, si trova nella miseria più assoluta. Noi africani chiediamo semplicemente di poter stare nelle nostre terre, ma liberi dalla politica monetaria imposta dell’Occidente”.
Qui l’Unione Europea mostra il volto feroce, quello di un’entità geografica ma non politica, quella di un bambino senza genitori, quello di un orfano per il quale è difficile distinguere il bene dal male, quello avido degli istinti monetari e finanziari.
Nel marzo 2008 Jacques Chirac affermava: “Senza l’Africa, la Francia scivolerebbe a livello di una potenza del terzo mondo”.
Il predecessore di Chirac, François Mitterand, già nel 1957 profetizzava che “senza l’Africa, la Francia non avrà storia nel 21esimo secolo”.
Più modestamente Riccardo Cocciante nel 1974 pennellava, a sua insaputa, il ritratto di questa Europa: “E adesso siediti su quella seggiola, stavolta ascoltami senza interrompere, è tanto tempo che volevo dirtelo. Vivere insieme a te è stato inutile, tutto senza allegria, senza una lacrima, niente da aggiungere ne da dividere, nella tua trappola ci son caduto anch’io, avanti il prossimo, gli lascio il posto mio”.
Bella senz’anima. Avanti il prossimo.
CONTE PROVA A RICUCIRE I RAPPORTI CON PARIGI MENTRE SALVINI E DI MAIO CONTINUANO A RANDELLARE MACRON
TRA IL 2000 E IL 2018 SONO STATE REALIZZATE OPERAZIONI ITALO-FRANCESI PER 112 MILIARDI DI EURO CHE, PER I DUE TERZI, HANNO VISTO LORO COME ACQUIRENTI
CANTIERI, TAV, BANCHE E AEREI GLI AFFARI A RISCHIO CON PARIGI…
PARIGI CONTE VUOLE RICUCIRE MA I VICEPREMIER INSISTONO
Giuseppe Conte prova a ricucire. Dopo che Emmanuel Macron lunedì ha fatto convocare al Quai d' Orsay l'ambasciatrice italiana Teresa Castaldo per una protesta ufficiale, il premier italiano in una nota parla di «amicizia forte e salda» con la Francia. E il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi garantisce: «Rimaniamo Paesi amici e alleati».
GIUSEPPE CONTE EMMANUEL MACRON 5
L' uno-due della parte del governo giallo-verde più attento ai consigli del capo dello Stato Sergio Mattarella però non frena né Luigi Di Maio, né Matteo Salvini, determinati a fare di Parigi il nemico sul fronte dei migranti in vista delle elezioni europee del 26 maggio. In più la Commissione europea, chiamata dal leader 5Stelle a «sanzionare chi sfrutta l' Africa come la Francia», risponde picche: «Nessun Paese europeo fa politiche coloniali. Sarebbe meglio collaborare e dialogare invece di lanciarsi accuse».
Il tentativo di mediazione di Conte, dopo le ripetute accuse di «neocolonialismo» coniate da Di Maio e rilanciate da Salvini, scatta a metà pomeriggio. Nella nota, il premier dà un colpo al cerchio: «Dopo ciò che sta accadendo nel Mediterraneo, è legittimo interrogarsi sull'efficacia delle politiche globali che stiamo perseguendo a livello europeo e di singoli Stati, la campagna elettorale può costituire una buona occasione per confrontarsi».
CONTE SALVINI DI MAIO BY SPINOZA
E un colpo alla botte: «Questo non vuol dire mettere in discussione la nostra storica amicizia con la Francia e tantomeno con il popolo francese. Questo rapporto rimane forte e saldo a dispetto di qualsiasi discussione politica e continueremo a lavorare con le istituzioni francesi fianco a fianco per trovare soluzioni condivise» sui migranti. Poi, Conte, chiama in causa Bruxelles: «L'Europa deve battere un colpo e intervenire coralmente per sostenere adeguatamente, potenziando il Trust Fund per l'Africa, lo sviluppo economico e sociale dei Paesi africani».
L'INCONTRO A BRUXELLES
MOAVERO SALVINI
Negli stessi minuti, dopo aver incontrato a Bruxelles l'omologo francese Jean-Yves Le Drian in un colloquio «estremamente aperto ed esplicito», Moavero Milanesi prova a minimizzare la portata dello scontro con Parigi catalogandolo più o meno come un duello elettorale: «Restiamo amici e alleati. Naturalmente tra Paesi amici ci possono essere discussioni. Forse ci dobbiamo abituare a questo dibattito anche nei toni verso le elezioni europee che fanno da catalizzatore di una dialettica più vivace».
E a una precisa domanda sulle accuse di «neocolonialismo» di Di Maio a Parigi, il ministro degli Esteri risponde: «Può far parte del dibattito europeo domandarsi se e in che modo vadano ridefiniti, ridisegnati, i nostri rapporti con gli Stati africani». E proprio nel giorno in cui Berlino abbandona la missione Sophia per il recupero nel Mediterraneo dei migranti e Angela Merkel e Macron firmano il trattato di Aquisgrana che, di fatto, taglia fuori Roma dal gruppo di testa dell'Unione, Moavero Milanesi garantisce: «Non c'è un rischio di isolamento dell'Italia».
MARCON MERKEL
Il tentativo di ricucitura del premier e del ministro degli Esteri non ferma l'offensiva di Di Maio. Anzi. Il leader 5Stelle bacchetta Moavero: «Qualcuno vorrebbe derubricare a campagna elettorale le nostre dichiarazioni sul franco delle colonie, invece è una battaglia di civiltà contro le ipocrisie di Macron e una delle soluzioni per fermare i barconi».
Si schiera con i contestatori del presidente d' Oltralpe: «Siamo amici del popolo francese, tant' è, che anche i gilet gialli sono contro il franco Fca». E aggiunge: «Noi non rinunciamo alla legittima richiesta in sede dell' Unione europea di affrontare il tema dello sfruttamento delle risorse africane e della decolonizzazione dell' Africa da parte della Francia, visto che danneggia l' Italia in termini di flussi migratori».
L'ATTACCO LEGHISTA
MOSCOVICI
Sulla stessa linea resta attestato Salvini: «In Africa c' è gente che sottrae ricchezza a quei popoli, la Francia è evidentemente tra questi. In Libia, Parigi non ha nessun interesse a stabilizzare la situazione, perché ha interessi petroliferi opposti a quelli italiani. Io ho l'orgoglio di governare un popolo generoso, solidale, accogliente e lezioni di bontà e generosità non ne prendiamo da nessuno, men che meno dal signor Macron».
E spiega: «Non prendiamo lezioni perché ha respinto in questi anni decine di migliaia di migranti alla frontiera di Ventimiglia, compresi donne e bambini, riportandone alcuni di notte nei boschi piemontesi e lasciandoli, come se fossero bestie». Segue appello: «Sono vicino al popolo francese, spero che possa liberarsi di un pessimo presidente». Non tarda la replica del commissario europeo Pierre Moscovici: «Certe dichiarazioni sono semplicemente ostili, assurde e stupide».
CANTIERI, TAV, BANCHE E AEREI GLI AFFARI A RISCHIO CON PARIGI
FINCANTIERI MONFALCONE
Forse per una dichiarazione di guerra all' Eliseo si potevano aspettare tempi migliori. La preoccupazione serpeggia negli ambiti finanziari dopo l' attacco dei leader della maggioranza sulla presunta politica economica coloniale di Parigi in Africa e la tensione diplomatica.
La crisi potrebbe anche leggersi in un' ottica preelettorale, se non fosse che, proprio mentre sale la tensione con Parigi, sono diversi i fascicoli tricolori sulle tavole di imprenditori, manager e politici d' Oltralpe in attesa di risposte e soluzioni e che potrebbero essere penalizzati. E, d' altro canto, secondo i calcoli di Kmpg, tra il 2000 e il 2018 sono state realizzate operazioni italo francesi per 112 miliardi di euro che, per i due terzi, hanno visto i cugini d' Oltralpe come acquirenti.
MACRON E LE MAIRE A SAINT NAZAIRE STX
Fonti vicine a Fincantieri riferiscono che si guarda con preoccupazione all' escalation di accuse tra Parigi e Palazzo Chigi. A un anno dalla formalizzazione dell' intesa raggiunta con il governo di Emmanuel Macron e a quasi due dal contratto preliminare di acquisizione del 50% di Stx, i vecchi Chantiers de l' Atlantique, l' accordo è appena stato rimesso in discussione dalla petizione congiunta alla Commissione Europea di Francia e Germania (che proprio ieri hanno rinnovato ad Aquisgrana il trattato di amicizia).
L'operazione non necessitava neppure della notifica all' Autorità Ue in quanto non raggiungeva le soglie di fatturato richieste. Ma l' Antitrust francese, a cui si è associato quello tedesco (proprio in Germania ha sede Meyer Werft, il maggiore rivale di Fincantieri), ha ipotizzato che un simile matrimonio potesse nuocere alla concorrenza nel settore della costruzione navale.
GIUSEPPE BONO (2)
Al di là della pura formalità, un atteggiamento ostile di Parigi potrebbe influire sulla decisione che verrà presa dalla Commssione e sui tempi di perfezionamento di questo matrimonio italo francese a cui è appeso il futuro sviluppo della stessa Fincantieri.
E il gruppo guidato da Giuseppe Bono non è il solo a sperare in una distensione. Non sfugge infatti che, in queste ore, il governo stia cercando febbrilmente una sponda per chiudere gli spinosi dossier di ristrutturazione bancari, prima di tutto Carige, commissariata a inizio 2019, ma anche Banca Mps per cui il Tesoro (oggi al 68% del capitale) deve indicare entro giugno, secondo gli accordi presi a luglio 2017 con la Commissione Europea, un percorso di riprivatizzazione da effettuarsi entro il 2021. In entrambi i casi un interlocutore francese (da tempo si guarda al Credit Agricole e a Bnp Paribas) sarebbe più che apprezzato persino dai leader della maggioranza.
VOLO AIR FRANCE
La Francia potrebbe spuntare anche nella definizione di un altro fascicolo bollente: quello di Alitalia. Per il riassetto dell' ex compagnia di bandiera Fs si trova a scegliere tra due alleati industriali: la cordata Air France Klm e Delta, o Lufthansa. E, per ottenere le migliori condizioni per Alitalia, comunque vada è fondamentale che i francesi non si sfilino prima della conclusione delle trattative.
Del deterioramento delle relazioni politiche tra i due Paesi potrebbero poi risentire anche gli sviluppi sulla Tav Torino-Lione e la creazione di un' unica rete tlc, attraverso l' integrazione della rete Tim con quella di Open Fiber, un progetto perseguito dal governo e voluto da Elliott, il fondo Usa che un anno fa, con il sostegno della Cassa Depositi e Prestiti, ha spodestato Vivendi dal controllo di Tim. Vivendi tuttavia, con il 23,9% del capitale pagato oro (4,2 miliardi di euro, oggi vale la metà), potrebbe essere d' ostacolo e, nel frattempo, ha già ottenuto il giorno della resa dei conti: l' assemblea del 29 marzo.
''DI MAIO E DI BATTISTA MI CITANO A SPROPOSITO''. IL BOCCONIANO MASSIMO AMATO, I CUI STUDI SONO LA BASE DEGLI ATTACCHI AL FRANCO CFA, NON CI STA A FARE L'IDEOLOGO DELLA GUERRA (ELETTORALE) A MACRON: ''QUESTA VICENDA È COMINCIATA DOPO UNA MIA INTERVISTA A''NIGHT TABLOID'' (RAI2) CHE MI È COSTATA 15 GIORNI DI RETTIFICHE. ECCO COSA PENSO DAVVERO SU COLONIALISMO E IMMIGRAZIONE''
Massimo Amato, economista esperto di Franco Coloniale, sulle monete parallele
Massimo Amato insegna "Storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario globale" all'Università Bocconi di Milano. Conosce l'Africa, in particolare le ex colonie francesi in cui la moneta è il Cfa, per ragioni di studio e personali. E collabora con vari economisti africani, "quelli seri - dice - come Kako Nubukpo, ex dirigente della Banca centrale africana, non gli agitatori panafricanisti".
Professore, lei è al corrente di essere diventato il guru del Movimento 5 stelle e di esponenti di governo come Luigi Di Maio su Africa e migrazioni?
"Sono al corrente del fatto che il mio nome viene fatto e non sempre in un modo che mi convince".
MASSIMO AMATO
In una trasmissione televisiva le sue tesi sono state citate dal sottosegretario M5S agli Esteri Manlio Di Stefano. Ancor prima, lo aveva fatto Gianluigi Paragone, che ha detto di essere stato il primo. Anche se pare l'abbia preceduto Giorgia Meloni, almeno con la storia del franco.
"Guardi, questa vicenda è cominciata dopo una mia intervista alla trasmissione di Rai2 Night Tabloid che mi è costata quindici giorni di rettifiche".
È stato travisato?
"Diamine, direi di sì. Paragone riprendendo le mie parole aveva detto una cosa che non sta né in cielo né in terra, e cioè che quando doniamo 10 euro agli africani poveri 5 se li pappano i francesi. È più che una bufala. Per questo, per chiarirlo, ho dato un'intervista ad Altraeconomia".
E quindi non è tutta colpa della Francia e del Cfa, se le persone partono dall'Africa per fuggire da guerre, carestie, persecuzioni?
"Non c'è nessun vantaggio strettamente economico della Francia a gestire il franco Cfa. Anzi, ci sono un po' di costi. E non c'è un rapporto diretto con l'immigrazione. Le statistiche che sono state fatte vedere, per quanto opinabili, hanno dimostrato che la maggior parte dei migranti che arrivano da noi non provengono da quei Paesi. Quindi, non possiamo inferire che se non ci fosse il franco cfa non ci sarebbero gli immigrati".
MASSIMO AMATO
E non possiamo neanche dire che è l'unica ragione della povertà in Africa, o sbaglio?
"E chiaro che non ci sono una monocausa e un unico effetto".
Mi scusi, è chiaro per lei, ma non per chi ha sentito parlare il vicepremier Luigi Di Maio negli ultimi giorni.
"Ho sentito, ma già Di Battista a Che tempo che fa ha usato espressioni più sfumate, e anche Di Stefano. Quel che voglio dire è che se anche queste forzature non mi appartengono, il problema del Cfa per quei Paesi esiste. Affermare che gli immigrati muoiono perché la Francia è cattiva è come minimo un cortocircuito, se c'è la buona fede. Sennò è anche peggio".
Sinceramente sembra un modo per non pronunciarsi sui porti chiusi da Matteo Salvini e sulle conseguenze nefaste del decreto sicurezza, come dimostrano gli sgomberi di questi giorni.
ALESSANDRO DI BATTISTA CON IL FRANCO DELLE COLONIE
"Questo però non c'entra con i miei studi. Che sposano quelli di molti economisti africani, della parte più illuminata e volenterosa nel promuovere il cambiamento, secondo cui il franco cfa va superato. Perché è vero che è un sistema che preserva dall'inflazione, fa arrivare capitali e protegge dall'instabilità. Ma è anche vero che così facilita i ricchi, chi può permettersi di aprire conti all'estero e comprare case a Parigi, e gli investitori stranieri come la Cina. Non certo un povero africano che vuole metter su una sua attività. Ci sono dei benefici e dei costi, e in economia si deve fare un bilanciamento".
I costi superano i benefici?
"Se a Paesi sottosviluppati diamo una moneta forte, questo rende certa la loro permanenza del limbo dei non sviluppati. L'economista del Togo Kako Nubukpo ha intitolato il suo libro 'La servitù volontaria', perché non sempre i tiranni hanno bisogno di usare la forza".
FRANCO COLONIALE CFA
Quindi secondo lei la Francia fa politiche neocoloniali in Africa?
"Dipende da cosa intendiamo per colonialismo e da quanto vogliamo essere formalisti".
E a sfruttare l'Africa sarebbe solo Parigi?
"Certo che no, l'Africa in questo momento è oggetto di una lotta per la spartizione estremamente sotterranea che rischia di diventare feroce. La Russia è in Centr'Africa e lo abbiamo scoperto perché tre giornalisti russi sono stati trovati morti. I cinesi ci sono da vent'anni e hanno ormai il monopolio su alcune materie prime per i prossimi trenta. Gli americani hanno fatto e disfatto. Gli europei si sono difesi benissimo tra belgi e francesi anche dopo le indipendenze dei Paesi che controllavano. Possiamo aggiungere i canadesi".
FRANCO COLONIALE CFA 3
E gli italiani?
"Ah bè, hanno fatto anche loro quello che potevano. Mi sembra ci siano anche delle inchieste sull'Eni al riguardo".
Allora che senso ha dare tutta la colpa alla Francia?
"Guardi, io sono per smettere di fare del moralismo. Serve un new deal, un nuovo patto con l'Africa, dove ci sono dinamiche demografiche che vedono il raddoppio della popolazione ogni 25 anni. Se non raddoppiano anche i posti di lavoro, raddoppiano i disoccupati. Serve sviluppo, e non può farlo la Francia con il passato che ha. I vecchi Stati non possono essere il soggetto di questo new deal".
E chi può esserlo?
"Parafrasando Kissinger, se ci fosse un telefono, il numero da chiamare sarebbe quello del ministro degli Esteri europeo. Che purtroppo non c'è".