Il 2 novembre l’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha pubblicato i risultati degli stress test del 2018 per quarantotto grandi banche europee, giungendo alla conclusione che esse oggi siano “più resilienti agli shock finanziari”.
Naturalmente, i risultati non avrebbero potuto essere differenti perché i test sono una sceneggiata. La stessa idea che la vigilanza bancaria pubblichi dati riguardanti una o più banche nei guai è assurda. Rendere pubblica la situazione critica di una banca equivale ad assicurarne il crollo in borsa e una fuga dei depositi.
Ecco quindi che i test sono confezionati apposta per offrire una versione plausibile, ma sicuramente falsa, dello stato del sistema bancario, a cominciare dalle dimensioni dello choc prefigurato, piuttosto mite, e dal rinnovato occhio benevolo sulla parte più problematica del sistema e cioè gli attivi.
Lo scenario su cui si basavano i test era:
Calo cumulativo del PIL del 2,7% in tre anni; disoccupazione al 9.7% nel 2020; inflazione cumulativa all’1,7% in tre anni; caduta cumulativa dei prezzi degli edifici residenziali e commerciali del 19,1% e del 20% rispettivamente in tre anni.
Quanto mite sia questo scenario diventa chiaro se si paragona allo choc causato dalla crisi finanziaria del 2007-2008, che provocò in alcuni grandi Paesi dell’UE una caduta del PIL fino a quattro volte superiore a quella prefigurata dai test. La caduta del PIL nel 2009 fu del 5,6% in Germania, del 5,5% in Italia, del 4,4% nel Regno Unito e del 2,7% in Francia.
Poiché il prossimo choc finanziario, considerato inevitabile persino dai mercati finanziari, sarà sicuramente superiore a quello del 2008, ci si chiede che credibilità abbia lo scenario usato dall’EBA.
Inoltre, l’EBA si è ancora una volta concentrata sul rischio di credito, completamente sottovalutando la parte finanziaria, benché le grandi banche, specialmente quelle Too Big To Fail, siano notoriamente impegnate nel trading finanziario molto più che nel credito commerciale:
“L’impatto degli stress test è per lo più caratterizzato da perdite di 358 miliardi di Euro sul rischio di credito, che hanno un impatto di -425 punti base sul capitale CET1. Le perdite aggregate sul rischio di mercato, compreso il rischio di credito di controparte (CCR), ammontano a 94 miliardi e le perdite sul rischio operativo a 82 miliardi, costituenti un impatto sul capitale di -110 punti base e -100 punti base rispettivamente” (vedi http://storage.eba.europa.eu/documents/10180/2419200/2018-EU-wide-stress-test-Results.pdf).
Detto altrimenti: l’EBA stima che in caso di una grave crisi, le banche perderebbero fino a 358 miliardi nel settore commerciale (credito alle imprese e mutui), quattro volte più che nel settore degli attivi finanziari (speculativi), dove perderebbero un totale di 94 miliardi.
Ciò è risibile, perché mentre le sofferenze bancarie (commerciali) ammontano a mille miliardi in Europa, la somma totale dei titoli derivati di Livello 2 e 3 nei bilanci delle banche europee è di 6,5 mila miliardi. Si tratta di titoli tossici che non hanno prezzo di mercato e dovrebbero onestamente essere azzerati.
Un terzo delle sofferenze bancarie è in mano alle banche italiane, mentre la metà dei titoli di Livello 2 e 3 è in mano a quelle francesi e tedesche. Concentrarsi sul rischio di credito alimenta la narrazione sul rischio bancario in Italia, sviando l’attenzione dalla bomba innescata della bolla dei derivati.
Eppure, a dispetto dell’occhio benigno dell’EBA, alcune delle megabanche nordeuropee hanno superato gli stress test a malapena. In fondo alla classifica troviamo Lloyds, Barclays e Deutsche Bank.
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