9 dicembre forconi: 07/06/18

venerdì 6 luglio 2018

PD. Bandiera rotta

Un minuto di silenzio e una prece per il Partito Democratico, che certo non è morto, ma giace esanime, in attesa di soccorsi, sotto le rovine di quelle che erano le sue roccaforti: Siena, Massa, Pisa, Imola, Sarzana, dove regnava dal secondo dopoguerra.  Sono rovine che si aggiungono a quelle dei terromoti precedenti:Genova, Torino, Carrara, ecc..Nel caos che segue i crolli, i supertiti invocano un’ autocritica, un cambio di linea, un Comitato Centrale, che è stato abolito da tempo, una guida e mentre la Provvidenza si rifiuta di mandare un uomo, molti dicono di essere inviati da lei: Martina il reggente, che non ha retto nulla, neppure il suo pensiero leggero, Calenda che vuole portare il partito ancor più a destra, dove si registra il tutto esaurito, verso un fronte repubblicano forse con un altro partito “esaurito” come Forza Italia. 

Poi Zingaretti, un po’ di lotta, tipo svoltiamo a sinistra, ma anche di governo, non si butta niente, neppure Lotti e la Boschi. Renzi ormai segue le orme di Obama, vende chiacchiere a pagamento, insomma, un Veltroni salvinizzato, da non si interrompe un’ emozione, a basta con la discussione, ci vuole il chiarimento. Infine Beppe Sala, il sindaco dei salotti milanesi, che siccome viene da destra, stava col sindaco Letizia Moratti, viaggia verso sinistra, come tutta la buona borghesia milanese, abituata a fare la rivoluzione con il maggiordomo. Ha organizzato un pranzo normale, dopo i tanti galà, al Parco Sempione con gli immigrati, una cosa cosi trendy, da pubblicità Benetton, mentre la Lega, dopo Sesto San Giovanni, conquistava pure Cinisello Balsamo. 

Caduta quasi tutta la Toscana, restano in piedi i bastioni emiliani dove si andrà al voto nel 2019, con le Europee. Segni di cedimento ne abbiamo già avuti molti: alle recenti politiche il centro-destra salvinizzato ha conquistato Piacenza, Parma, Cento, Ferrara; Modena ha retto a fatica, centro- destra vittorioso a Sassuolo e sconfitto al Senato per 49 voti, Bologna con il progressista Pierferdinando Casini e Reggio Emilia. Nella nostra amata Reggio, Graziano Delrio ha preso un ottimo 38%, che però significherebbe, se riconfermato, ballottaggio sicuro. Ora è facile prevedere che Reggio sarà la Stalingrado del Pd, facile prevedere che lotteranno coi denti per mantenere il potere assoluto che detengono da sempre e che accompagna i reggiani dalla nascita alla morte. Il blocco di potere che è oggi il Pd, controlla ospedali, asili, mense, fino alle aziende funebri. 

Per anni questo blocco poltico- sociale è stato un elemento di crescita della Città, oggi viene percepito come un comitato d’ affari, che ha come obbiettivo l’occupazione delle poltrone e la difesa della propria sopravvivenza. Mentre  politici “moralisti” come Delrio, trasmettono rabbia  non contro la destra, cosa legittima, ma contro gli italiani che l’hanno votata, dalle parole sprezzanti trasuda una vuota arroganza, mentre agitano una Costituzione che nessuno minaccia e che volevano cambiare e credono che la colpa dei loro guai  sia di quel 60% di italiani che, non capendo nulla, hanno votato no al referendum costituzionale. Il “moralismo”, oltre che  per combattere il “populismo”, serve anche a coprire la lotta di fameliche correnti che si disputano ferocemente gli ultimi brandelli di potere. 

Viene agitata la bandiera dell’antifascismo, in assenza di fascismo, per coprire sotto il gonfalone decorato, il fallimento di un’ esperienza di governo in cui abbiamo un primo cittadino che non ha mai risposto alle domande sull’acquisto e la ristrutturazione della sua casa, dove nessuno spiega come  mai a Reggio si tenga un processo contro la ‘ndrangheta in cui i pubblici ministeri chiedono condanne per 1700 anni di carcere, al netto, temiamo, dei riti abbreviati. Dove il crollo di molte cooperative: Unieco, Coopsette, Orion, Cormo, Reggiolo, ha portato perdita di posti di lavoro e di denaro da parte dei prestatori. Dove il Comune  e la Provincia hanno inanellato il fallimento delle Fiere di Reggio, l’irrilevanza dell’aeroporto  o il restauro di Monfalcone, oggi abbandonato a se stesso e stanno spendendo milioni di denaro pubblico nella creazione di un Tecnopolo che  temo fallirà per mancanza di utenti. Nel mentre continua la sistemazione di amici e clientes in posti pubblici o in Iren, con stipendi che non sarebbero dignitosi per  loro, se non toccassero almeno i centomila euro. Il sacco edilizio gestito dal Pd, che ha reso ricchi pochi, ha cambiato la fisionomia dei quartieri, molti dei quali sono stati investiti dai problemi di un’ immigrazione forte, sempre difesa dal Pd, nel nome di un’ integrazione che non è mai avvenuta, ma che ha scaricato i suoi problemi sui quartieri popolari, ma su questo che è il duro vivere quotidiano, torneremo ancora. Come torneremo a parlare di insicurezza, per il Pd non esiste, ma basta leggere ogni giorno i giornali locali per trovarci molta cronaca nera, molti reati e molti extracomunitari coinvolti. 

Dire questo è essere razzisti? O significa semplicemente non essere ipocriti e non aver paura di dire che è ora di cambiare. Un potere che dura da così tanto tempo, crea una serie di opacità, collusioni, intrecci di interessi, mediocrità, conformismo, che bloccano la crescita della Città e ne segnano il declino. Questo dovrebbero capirlo anche i politici “moralisti”, quelli che la politica è solo “servizio”, quelli che la mafia esiste solo quando vota gli altri. Quelli che stanno sempre con la ragione e mai col torto, è un Pd che è morto.

Fonte: qui

I passi che avvicinano l'Italia all'Argentina

L'Argentina non sta attraversando un buon momento e l'Italia potrebbe anche fargli presto compagnia se il Governo Conte non sarà prudente

Accidenti che botta l'Argentina! Certo, i Mondiali hanno reclamato altre vittime eccellenti, vedi la Germania, la Spagna o il Portogallo, ma il mesto addio di Lionel Messi alla Coppa del Mondo in corso in Russia ha in sé qualcosa di simbolico, quasi la resa di un Paese intero. E, mai come oggi, il calcio è davvero una metafora della vita. Guardate questi grafici, relativi alle giornate di giovedì e venerdì scorsi, quando ancora la nazionale albiceleste nutriva sogni di rivincita dopo il poco entusiasmante girone di qualificazione. 
Cosa ci dicono: in primis, che nel giorno del primo anniversario di vita, il bond argentino a 100 anni (sì, avete letto bene, cento anni) ha toccato il minimo storico, prezzando qualcosa come 76 centesimi sul dollaro e garantendo un rendimento record del 9,3%. Tanto per dare un'idea di cosa questo significhi, basti pensare che nel giugno del 2017, l'asta da 2,75 miliardi di dollari di questa obbligazione vide una domanda pari a 3,5 volte l'offerta, tanto era l'entusiasmo per l'arrivo al governo del "liberista" Mauricio Macri. Peccato che nel frattempo il peso argentino si sia deprezzato del 40% e quella carta (non vi dico utile a fare cosa) abbia conosciuto un sobrio aumento del prezzo da pagare per essere detenuta dell'1,5%: a complicare il tutto, l'inezia rappresentata dal fatto che, in punta di cronaca, non più tardi di due settimane fa il Fmi ha dato il formale via libera a un prestito record da 50 miliardi di dollari per l'Argentina, nel frattempo svenatasi a livello di riserve proprio per cercare di frenare il crollo della propria sovranissima moneta. 
 
Direte voi, proprio per questo non c'è problema, stando al mantra del momento, basta che la Banca centrale stampi denaro e il problema è risolto. Certo e infatti quanto questa ricetta funzioni lo dimostrano gli altri grafici, i quali ci dicono chiaramente come non solo venerdì scorso il peso abbia toccato il minimo storico di 29 sul dollaro, ma che per tentare di frenarne la caduta, in perfetto stile Bankitalia nel 1992, la Banca centrale di Buenos Aires abbia gettato letteralmente nel wc qualcosa come oltre un miliardo di dollari, ottenendo il risultato ridicolo che ci mostra l'ultimo grafico. Gioie del sovranismo! E attenzione, perché potremmo doverci abituare a questa situazione. 
Ancorché la nostra nazionale abbia voluto portarsi avanti con il lavoro, evitando accuratamente di andarci proprio in Russia, il governo Lega-M5S sta lavorando alacremente per seguire l'esempio argentino: non tanto a livello monetario, avendo noi grazie al cielo l'euro (sì, l'ho detto), ma a livello di prospettiva di finire con il cappello in mano al Fmi, un qualcosa che Mario Monti ha prospettato sia ospite a Otto e mezzo su La7 che nel suo discorso dai banchi del Senato in sede di fiducia al governo, senza che si desse troppa importanza alla sua messa in guardia. E che dire delle parole di domenica di Carlo Cottarelli, relative proprio al fatto che senza il tanto vituperato due Monti-Fornero la nostra ratio debito/Pil oggi sarebbe oltre il 145%? E infine, le parole d Pier Carlo Padoan, relative al fatto che saranno prima i mercati che l'Europa a farci pagare il conto di eventuali manovre senza copertura? 
Ma si sa, ormai l'unico tema che conta e di cui si parla sono i migranti (e in questo l'informazione a una responsabilità enorme, visto che dovrebbe informare la gente e non gettare ossa a cani latranti rabbia o piangenti buonismo). E vale ovunque, basti vedere l'ennesima pantomima negli Usa, con oltre 700 città americane che nel weekend hanno ospitato manifestazioni contro la politica sull'immigrazione del governo. La distrazione globale di massa prosegue. Anzi, aumenta esponenzialmente di volume. E se sono molti i fronti di fondamentale importanza geopolitica che stiamo ignorando in onore del nuovo totem delle Ong e degli sbarchi, ecco che è il tema economico a tornare prepotentemente alla ribalta. 
Al netto dell'innegabile bagno di folla e dei risultati sempre più stupefacenti nei sondaggi, quante volte ha proferito la parola "flat tax" il ministro Salvini nel suo bel discorso di domenica a Pontida? E quante volte la parola "Fornero"? Nessuna nel primo caso, due volte nel secondo: un po' pochino, non vi pare? In compenso, le parole "porti", "migranti", "ong" ed "Europa" hanno registrato il tutto esaurito. Non stupisce, occorre capitalizzare prima che l'autunno porti con sé il triste dono della realtà, come già anticipato dal ministro dell'Economia: ovvero, senza coperture, addio flat tax, reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero. Ma il buon sottosegretario Siri, guru economico leghista, non ha dubbi: si finanzieranno in deficit. Sicuri che ce lo lasceranno fare? 
E qui, ecco che arriva il parallelo con l'Argentina. È inutile che vi riproponga per l'ennesima volta i grafici e le cifre relative alle dinamiche di servizio del debito che il nostro Paese dovrà affrontare quando sarà finito il Qe della Bce, tanto che - come vi dicevo la scorsa settimana - l'Eurotower stessa sta pensando di replicare quanto fatto dalla Fed nel 2011 con Operation Twist, ovvero sostituire i bond a breve termine in detenzione con carta a scadenza più lunga, in modo da garantire una continuazione della compressione dei tassi anche una volta che il programma di stimolo sarà terminato. Ora, guardate questi grafici, non a caso contenuti in un allarmistico report pubblicato domenica da Deutsche Bank, la quale ha tutto l'interesse in questo momento a sviare l'attenzione dei mercati dalle proprie rogne e da quelle del governo di Angela Merkel, casualmente proprio legate queste ultime allo strumentale tema dei migranti. 
 
Cosa ci dicono quei grafici? Che nel mese di maggio i conti italiani legati a Target2 hanno conosciuto un significativo deterioramento, qualcosa nell'ordine dei 40 miliardi di euro, cifra che non si registrava dal marzo 2012. Il secondo grafico, però, ci mostra che al netto di questa dinamica, le banche italiane non hanno registrato in quel periodo significative fughe di capitali, con il calo dei depositi interni nell'ordine dei 2,8 miliardi a fronte di un totale di 1,1 triliardi di euro e ben all'interno del normale range di volatilità mensile. 
A cos'è dovuto quel deterioramento negli equilibri di conto di Target2? Prova a spiegarcelo il terzo grafico, il quale ci mostra come proprio nel mese di maggio si sia registrato il volume record da sempre di acquisti di Btp da parte delle banche italiane. Ora, unite le tre dinamiche (peggioramento di Target2, pressoché assente fuga di capitale dai conti e forte aumento di detenzioni di bond sovrani da parte delle banche) e la soluzione dell'enigma pare servita: le riserve in eccesso dei nostri istituti di credito sono state utilizzate come arma supplementare agli acquisti pro quota del Qe per tenere a galla lo spread, acquistando i titoli che i detentori esteri hanno venduto durante il periodo di volatilità da incertezza politica di maggio. 
Ora, la questione è duplice. E in nessuna delle due ipotesi di studio c'è da stare allegri. Anzi. Primo, se con il Qe ancora attivo, il Tesoro ha bisogno che le banche divengano soggetto attivo sul mercato secondario, siamo alla canna del gas e la fine del Qe potrebbe rappresentare l'anticamera della presentazione in tribunale dei libri dell'azienda Italia. Tanto più che, in un loop perverso, se le banche usano quanto accantonato dopo anni di tassi a zero e operazioni espansive pressoché di ogni genere per comprare debito pubblico, ovviamente saranno ancora meno in grado e meno portate a prestare denaro a famiglie e imprese: quindi, se anche lo spread non ci ammazzerà, lo farà il tasso di crescita che aggraverà le necessità di bilancio, imporrà sempre nuove manovre correttive e quindi un aumento delle tasse, se si vuole tamponare l'emorragia. Altro che flat tax e reddito di cittadinanza! 
Seconda ipotesi, fantasiosa quanto inquietante. Una certa vulgata vorrebbe gli Stati Uniti dietro al ritorno alla calma del nostro spread nei giorni caldi di maggio, ovvero il calo degli acquisti pro-quota da parte della Bce sarebbe stato controbilanciato da acquisti miliardari di fondi Usa su mandato Fed, magari proprio in modalità primary dealers. Quindi, per molti quegli acquisti da parte delle nostre banche sarebbero la prova che Washington sta operando come acquirente di prima e ultima istanza, come backstop, a favore del nostro debito, chiaramente in chiave anti-tedesca, motivazione che spiegherebbe il feeling a pelle immediatamente scattato fra Donald Trump e Giuseppe Conte al G7. Insomma, siamo il proxy della guerra degli Usa contro la Germania intesa come architrave di un'Europa che Washington vuole prima disgregare alle fondamenta e poi ricostruire a proprio vantaggio, geopoliticamente e finanziariamente. 
Se anche fosse così - il che implicherebbe l'esistenza di swap-lines fra la Fed e le banche italiane, un qualcosa di cui immagino a Francoforte si sarebbe accorti oppure il fatto che Bannon o Bolton siano arrivati in Italia con sacchi di iuta pieni di contanti da dividere fra i vari istituti di credito -, cosa c'è da essere felici e soddisfatti? Per caso quel debito andrà contabilizzato nel bilancio Fed o in quello delle nostre banche, già schiacciate dal peso degli Npl che stiamo letteralmente svendendo proprio ai fondi locusta di Oltreoceano? Volete dirmi che la Fed, in pieno deleverage del proprio bilancio ingrossato a dismisura per gli acquisti degli scorsi anni, sta finanziando acquisti di debito sovrano italiano, sperando che gli altri partner - francesi in testa, i cui istituti scoppiano di Btp - non se ne accorgano e non abbiano nulla da ridire al riguardo? E poi, in ultima istanza, voi vi sentireste tranquilli nel sapere che dietro la stabilità relativa del nostro servizio del debito e del nostro spread c'è uno come Donald Trump, capace per interesse di parte di cambiare idea e alleato cinque volte al giorno, fra un tweet e l'altro? 
Attenzione, perché io pensavo che questo governo fosse pericoloso per il suo carattere di dilettantismo allo sbaraglio. Qui, invece, siamo all'irresponsabilità che rasenta il suicidio volontario in ossequio al potere e al suo mantenimento. C'è da sperare, paradossalmente, che davvero Padoan abbia ragione, ovvero che i mercati ci mandino un segnale molto chiaro e in fretta. Prima che sia troppo tardi e il danno diventi irreparabile. Stile Argentina, per capirci. 
Fonte: qui

E' UN ECONOMISTA TEDESCO CHE SVELA LE MAGAGNE DELLE BANCHE TEDESCHE

''LA SIMBIOSI TRA POLITICI TEDESCHI E ISTITUTI DI CREDITO LOCALI HA SPINTO IL MINISTERO DELLE FINANZE A 'DISTRARRE' I REGOLATORI SONO SERVITI INTERVENTI PUBBLICI PER 250 MILIARDI, PIÙ QUELLI DALL'ESTERO: GLI USA SALVANDO AIG HANNO TUTELATO DEUTSCHE BANK. 

I 'SALVATAGGI' DI GRECIA, IRLANDA E SPAGNA HANNO PROTETTO LE BANCHE TEDESCHE ESPOSTE PER CENTINAIA DI MILIARDI''

Michele Arnese per www.startmag.it

Merkel Schaeuble-1MERKEL SCHAEUBLE-1
In Germania c’è un economista esperto di banche che ha un sospetto, anzi una certezza: “La simbiosi fra politici tedeschi e istituti di credito locali e regionali ha spinto il ministero delle Finanze a convincere i regolatori tedeschi a una certa benevola distrazione mentre le banche assumevano rischi sempre più scriteriati“.

E‘ quello che scrive oggi Federico Fubini sul “Corriere Economia”, dorso del lunedì del Corriere della Sera su economia e finanza.

L’economista in questione si chiama Martin Hellwig, 69 anni, autore di una ricerca in corso di pubblicazione intitolata “La Germania e la crisi finanziaria 2007-2017“.

Martin HellwigMARTIN HELLWIG
“Le conclusioni non sono uno scoop solo perché Hellwig non ha disseppellito chissà quali documenti segreti, ha solo messo in ordine informazioni esistenti”, scrive Fubini.

Secondo le stime dell’economista tedesco, dopo interventi pubblici per oltre 250 miliardi di euro per finanziare dei salvataggi, il costo totale delle crisi bancarie per il contribuente tedesco è di oltre 70 miliardi di euro. Hellwig fa anche notare che questo costo sarebbe stato più alto se non fossero arrivati i salvataggi indiretti con denaro di altri governi, aggiunge l’editorialista del Corsera.

Quello del governo americano a favore di Aig ha tutelato l’esposizione di Deutsche Bank sull’assicuratore americano. 

Quindi i pacchetti di salvataggio europei a Grecia (2010), Irlanda (2010) e Spagna (2012) hanno indirettamente aiutato le banche tedesche nel complesso esposte su quei 3 Paesi per centinaia di miliardi di euro.
DEUTSCHE BANKDEUTSCHE BANK

Questi pacchetti, per la parte Ue dell’intervento, furono finanziati al 70% da governi diversi da quello di Berlino. Le conclusioni di Hellwig non fanno sconti, scrive il Corsera: “Senza l’aiuto pubblico indiretto in queste situazioni, le perdite delle banche – e probabilmente anche l’esigenza di un aiuto diretto da parte dei contribuenti tedeschi – sarebbe stato anche maggiore di quanto sia stato nella realtà“.
john cryan deutsche bankJOHN CRYAN DEUTSCHE BANK

In Germania invece non è mai andata veramente così. Hellwig nota che i creditori sono stati sempre integralmente tutelati, anche quelli esposti su titoli subordinati, ad un alto costo per i contribuenti. E aggiunge che il governo ha preferito stendere un velo sui dissesti di molte banche.

Al contrario degli Stati Uniti, dell’Islanda, della Gran Bretagna, o della Svizzera (e a questo punto potremmo aggiungere anche dell’Italia, ndr), la Germania non ha mai avuto un’indagine sulla crisi e le sue cause da parte di una commissione indipendente. L’accordo di coalizione del nuovo governo nel 2009 prevedeva che una tale commissione fosse creata, ma quel piano non venne mai attuato“.
Hsh NordbankHSH NORDBANK

Eppure in Germania non sono mancati, oltre alla crisi di Deutsche Bank(tutt'ora in corso) – veri e propri dissesti come le banche pubbliche regionali WestLB, Hsh Nordbank, SachsenLB, Landesbank Baden-Wuttermberg, Hypo Real Estate o di Commerzbank e Dresdner Bank.

Il perché della “dimenticanza“? Risposta di Fubini sulla base dello studio dell’economista tedesco: “Al governo servivano (e servono) nel Bundesrat i voti dei politici regionali, legati alle banche del loro territorio”.

P.S. su Deutsche Bank e Commerzbank il finale è tutto da scrivere ... la crisi non è mai finita. 

Dieci anni di crisi sono serviti solo a aumentare i debiti

Dieci anni sono passati da quel drammatico 2008 che segnò la fine di un’epoca e proiettò sul mondo l’ombra inquietante di una seconda Grande Depressione peggiore persino della prima. Abbiamo avuto in cambio una Grande Crisi Finanziaria (GCF), come ci ricorda la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea nella sua ultima relazione annuale. E dobbiamo pure farcela piacere, consolandoci con l’idea che avremmo potuto uscirne assai più malconci, e senza badare al conto, che è stato salatissimo. Già. Perché l’esito più eclatante delle GCF, nata e cresciuta e poi esplosa a causa del livello elevato dei debiti (privati), è che il debito, dieci anni dopo, è aumentato.
L’aggregato del debito complessivo nel 2007, pari al 179% del pil, è diventato il 217% a fine 2017, ma è soprattutto l’assortimento che fa la differenza. Le economie avanzate ormai sfiorano il 270% complessivo, ma sono soprattutto le economie emergenti che hanno visto crescere i propri debiti dal 113 al 176% del pil (+55%), grazie soprattutto al settore corporate e alle famiglie
Al contrario, l’aumento più visibile nei paesi avanzati l’ha dovuto sopportare il settore pubblico, che ha dovuto farsi carico di costosissimi salvataggi. Gli stati e le loro banche centrali hanno dovuto agire insieme, al prezzo di notevoli aumenti delle rispettive obbligazioni, la normalizzazione dell’economia addormentando i torbidi della crisi con grandi elargizioni. “Le banche centrali hanno dovuto ampiamente farsi carico da sole del peso della ripresa, dato che le altre politiche, non da ultime quelle strutturali dal lato dell’offerta, non hanno saputo raccogliere il testimone”, nota con una punta di malinconia la Bri, sottolineando come tale intervento, che ha dilatato mostruosamente i bilanci delle BC, è stato al tempo stesso “uno dei fattori che hanno portato all’espansione smisurata dei bilanci del settore pubblico e privato e all’aumento dei livelli di debito, che caratterizzano il cammino che ci troviamo ora di fronte”.
Dieci anni e molti debiti dopo è opportuno tirare le somme per capire dove si trovi l’economia e soprattutto cosa dobbiamo aspettarci. La situazione attuale è ben rappresentata da questo grafico.
In sostanza l’economia sta marciando bene. I tassi di crescita si sono allineati alle media di lungo periodo,la disoccupazione diminuisce e l’inflazione, grande preoccupazione dei policy maker, dà segnali di risveglio. Da qui il commento della Bri che invita ad “approfittare delle condizioni favorevoli per mettere in atto una combinazione di politiche più equilibrate volte a sostenere un’espansione sostenibile”, nella consapevolezza che “il sentiero che ci troviamo di fronte è stretto”.
E questo è uno dei problemi più rilevanti. Gli spazi di intervento, anche a causa del notevole aumento dei debiti, si sono drasticamente ridotti, sia a livello fiscale che monetario. L’espansione ancora in corso, alquanto inusuale per alcune caratteristiche – emergono i limiti di capacità produttiva, senza che vi siano segnali chiari di un rischio di inflazione – non può celare una notevole quantità di rischi annidati dietro l’ottimismo delle previsioni. Nell’ultimo anno il dollaro si p svalutato, ad esempio, e ciò ha favorito la crescita dell’indebitamento in dollari dei paesi emergenti. Ma adesso l’aria sta cambiando nel mercato valutario e questo non sarà scevro di conseguenze per questi paesi. “I rischi sono sostanziali – scrive la Bri – nei paesi con vulnerabilità finanziarie si sono accumulati con le loro usuali gradualità e persistenza”. Nulla è davvero cambiato, insomma, stiamo proseguendo un ciclo che somiglia pericolosamente a quello precedente che è iniziato con il calo a lungo termine dei tassi di interesse. Non sono solo gli ultimi dieci anni, quindi, ma molti di più quelli che dobbiamo osservare per comprendere gli esiti della GCF.
Fra questi esiti c’è anche quello che mostra come in molti paesi non toccati dalla crisi si osservano squilibri crescenti, che si manifestano con un notevole aumento del credito al settore privato associato molte volte all’incremento dei prezzi degli immobili. Non certo una novità. Fra questi paesi c’è la Cina, dove il governo ha adottato delle misure di contenimento. A livello globale invece a mitigare i rischi c’è la circostanza che il settore bancario appare più robusto, grazie alle riforme messe in piedi in questo decennio, da Basilea 3 alla crescente adozione di misure macroprudenziali. Rimane il punto dolente: “I fattori finanziari sembrano essere destinati ad avere un ruolo di rilievo, sia come determinanti che come meccanismi amplificatori”. Il ruolo dei flussi finanziari negli andamenti del ciclo economico “si è rafforzato in modo sostanziale dall’inizio degli anni ottanta, quando si è generalizzata la liberalizzazione finanziaria”. Dopo la crisi il peso degli intermediari non bancari, come le società di gestione patrimoniale e gli investitori istituzionali, “è aumentato notevolmente e probabilmente influenzerà le dinamiche di tutti gli episodi futuri di tensioni finanziarie, in modi sia noti sia inaspettati”.
Ma più che il futuro, dovrebbe preoccuparci il presente. L’andazzo protezionistico voluto dalla politica sta già producendo danni agli scambi internazionali e, ancor più profondamente, al meccanismo della fiducia: “Vi sono riscontri che indicano che l’aumento dell’incertezza associato al discorso protezionistico e alle relative prime misure intraprese ha già frenato gli investimenti. Inoltre, se dovesse continuare la recente inversione di tendenza del deprezzamento del dollaro USA, le negoziazioni commerciali si complicherebbero”. Già in aprile si sono visti gli effetti nefasti dell’apprezzamento de dollaro su due paesi fragili, perché molto indebitati in dollari, come la Turchia e l’Argentina. Ma in generale “un nuovo aumento del debito mondiale sarebbe particolarmente preoccupante”, sottolinea ancora, pur nella conspevolezza che sarà molto difficile evitare che succeda.

C’è da dubitare che i governi abbiano la forza politica, in un momento in cui emergono i vari populismi che vanno nella direzione opposta, si mitigare la crescita delle proprie obbligazioni e tanto meno il settore privato, che si è abituato a convivere da un decennio con tassi molto bassi che hanno favorito una allocazione poco efficiente delle risorse. La trappola del debito, tanto temuta dalla Bri, è la culla confortevole delle nostra abitudini. Per questo è così difficile evitarla. Le politiche monetarie espansive, spiega la Bri, sia fiscali che monetarie, “si basano entrambe in larga misura sul prelevare domanda dal futuro. E quando il futuro diventa presente, ovviamente c’è un prezzo da pagare”. Ma siamo diventati bravissimi a rimandare.
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IL PRESIDENTE DELLA REGIONE BASILICATA, MARCELLO PITTELLA (PD), È AGLI ARRESTI DOMICILIARI DA QUESTA MATTINA

IL PROVVEDIMENTO GLI È STATO NOTIFICATO DALLA GUARDIA DI FINANZA CHE HA ESEGUITO ALTRE 29 MISURE RESTRITTIVE NELL'AMBITO DI UN'INCHIESTA SUL SISTEMA SANITARIO LUCANO

(ANSA) - Maxi operazione a Matera. Gli accertamenti eseguiti dalla Procura della Repubblica di Matera e dalla Guardia di Finanza hanno evidenziato il "totale condizionamento della sanità pubblica da parte di interessi privatistici e da logiche clientelari politiche". Lo ha detto il Procuratore Pietro Argentino nella conferenza stampa sull'inchiesta sulla sanità lucana che ha portato a 30 misure di cui 22 arresti (due in carcere e 20 ai domiciliari).
Le misure restrittive sono in corso di esecuzione da parte della Guardia di Finanza di Matera nell'ambito di un'operazione sul sistema sanitario in Basilicata nei confronti di persone coinvolte "a vario titolo in fatti riconducibili a reati contro la Pubblica amministrazione". L'attività "vede impegnati, allo stato, circa cento tra uomini e donne delle Fiamme Gialle". Nel comunicato della Guardia di Finanza è annunciato che alle ore 12 i dettagli dell'operazione saranno illustrati in una conferenza stampa in Procura.
Il presidente della Regione Basilicata, Marcello Pittella (Pd), è agli arresti domiciliari da questa mattina nella sua casa di Lauria (Potenza). Il provvedimento gli è stato notificato dalla Guardia di Finanza, nell'ambito dell'inchiesta su alcuni episodi di manipolazioni di concorsi e raccomandazioni nel sistema sanitario. La conferma dell'arresto è giunta all'ANSA da persone vicine al governatore che hanno definito la sua posizione nella vicenda "surreale".
Falso e abuso d'ufficio: sono queste - secondo quanto si è appreso a Matera - le accuse contestate a Pittella.
Il "deus ex machina' della "distorsione istituzionale" che si è verificata nella sanità lucana è il presidente della regione Marcello Pittella. Lo scrive il Gip di Matera Angela Rosa Nettis nell'ordinanza d'arresto per il governatore della Basilicata sottolineando che Pittella "non si limita ad espletare la funzione istituzionale formulando gli atti di indirizzo politico per il miglioramento e l'efficienza" della sanità regionale, "ma influenza anche le scelte gestionali" delle Asl "interfacciandosi direttamente con i loro direttori generali" tutti da lui nominati. 
Le indagini sono cominciate circa un anno e mezzo fa in seguito all'esposto di un dipendente di una ditta fornitrice di servizi che non aveva ricevuto la sua quota di Tfr.
Ci sono anche i commissari delle uniche due aziende sanitarie lucane, Giovanni Chiarelli (Asp Potenza) e Pietro Quinto (Asm Matera), tra le persone arrestate e poste ai domiciliari nell'ambito dell'inchiesta. Ai domiciliari - secondo quanto si è appreso - anche il direttore amministrativo dell'Asm, Maria Benedetto. Per Quinto, le accuse sono di corruzione e turbata libertà degli incanti.


''DOBBIAMO ACCONTENTARE TUTTI'': LA LISTA VERDE DEI RACCOMANDATI DI PITTELLA, TRA VESCOVI E VICEMINISTRI PD 

IL PADRE DOMENICO, SENATORE PSI, FU ARRESTATO PER TERRORISMO DOPO AVER OPERATO UNA BRIGATISTA. POI GELLI E IL MOVIMENTO SOCIALE, LA FUGA IN FRANCIA E...


«LE PRESSIONI DEI PRELATI E I FAVORI IN QUOTA DEM» CONTATTI COI VICEMINISTRI
Fiorenza Sarzanini per il ''Corriere della Sera''

La linea del governatore della Basilicata Marcello Pittella era esplicita: «Dobbiamo accontentare tutti». 

E nell' elenco l' esponente di primo piano del Pd aveva inserito parenti e amici di parlamentari, politici locali, professionisti e prelati.
fratelli gianni e marcello pittellaFRATELLI GIANNI E MARCELLO PITTELLA

È la «lista verde» dei raccomandati di quello che il giudice definisce nell' ordine di cattura «deus ex machina». Per ottenere il risultato falsificavano verbali di concorso, gonfiavano i punteggi dei candidati prescelti, consegnavano in anticipo le tracce delle prove.

Pittella ordina e il direttore generale dell' Asm, l' azienda sanitaria di Matera, Pietro Quinto - che aveva fatto nominare nel 2015 - fa eseguire. Il giudice sottolinea come «l' impressionante numero di conversazioni e contatti telefonici, quasi 14.000 in meno di tre mesi, dimostra i rapporti di Quinto con membri del precedente governo nazionale, parlamentari anche oggi in carica e non, consiglieri e assessori regionali».

Tra gli altri due esponenti del Pd: l' ex viceministro dell' Interno Filippo Bubbico per una raccomandazione e quello dell' Istruzione Vito De Filippo per soddisfare la richiesta che arriva direttamente dalla Curia. Ma si fa esplicito riferimento anche a due candidati vicini al governatore della Puglia Michele Emiliano e della Campania Vincenzo De Luca scelti perché «le assunzioni venivano decise al fine di ampliare il consenso elettorale e "scambiare" favori ai politici di pari schieramento che governano Regioni limitrofe».
MARCELLO PITTELLAMARCELLO PITTELLA

Il giudice evidenzia «il caso di alti prelati della Chiesa che avrebbero raccomandato dei concorrenti nella selezione, riservata unicamente ai disabili, indetta dall' Asm per assumere 8 assistenti amministrativi» e la particolare vicinanza di Quinto all' ambiente ecclesiastico ritenuto da quest' ultimo un «buon partito», con cio alludendo non di certo al suo potere spirituale.

Indicativa la conversazione intercettata il 27 maggio 2017 con il viceministro De Filippo nel corso della quale Quinto giustifica la sua insistenza nel soddisfare una raccomandazione a favore della sorella del Segretario del Vescovo di Matera Antonio Giuseppe Caiazzo, don Angelo Gallitelli, spiegando che certe cose «le fa per il suo bene» e che «qualche parola la spende, così sottacendo a un plausibile ritorno ragionevolmente anche in termini di un possibile consenso elettorale».
VITO DE FILIPPOVITO DE FILIPPO

Per gli indagati i candidati senza raccomandazione sono «una inutile zavorra». Il 9 maggio 2017 Maria Benedetto, la presidente di commissione arrestata, sbotta: «Tutti i raccomandati hanno fatto tutti schifo, guarda e una, è vomitevole, ma dimmi tu come faccio io, come ca... faccio... vescovi, pure i vescovi, che dice che u' vescovo... nessuno dei verdi... come ca... dobbiamo fare». Due settimane dopo, mentre corregge i compiti, dice: «Io... per fare questa cosa sto malissimo, ma come una sorella mi devi credere io non ci dormo la notte, ma non pensando a cosa può succedere, pensando proprio al mio intimo... come responsabile morale. Hai capito cosa voglio dire? ... qualcuno a me dà fastidio che mi, mi ribolle il sangue... fare schifo... ti fa vergognare... io preferisco premiare un poveretto che almeno studia qualcosa e lo supera... mi sento un verme».

Nel marzo precedente era stata una delle dirigenti a preoccuparsi: «Ora mi devo fare pure le... scannerizzare le carte, mi devo fare le fotocopie perche questi siccome sono delinquenti ancora quando io me ne sono andata, le fanno sparire, mica è la prima volta che hanno fatto queste cose, capito?».
Filippo BubbicoFILIPPO BUBBICO

Una delle contestazioni a Quinto riguarda le consulenze affidate a un avvocato per far ottenere al figlio la laurea in giurisprudenza e la pratica presso uno studio. Scrive il giudice: «Dal libretto universitario di Giuseppe Quinto emerge che il 19 dicembre 2015 ha sostenuto l' esame di Diritto Amministrativo I e di Diritto Amministrativo 2, ottenendo per entrambi il voto di 30 e lode, e il 14 dicembre 2015 ha sostenuto ben 3 esami: Diritto Penale I, Diritto Penale 2, Diritto Privato Comparato per i quali ha ottenuto 28, 28 e 27».

pittella domenico gianni marcelloPITTELLA DOMENICO GIANNI MARCELLO

LA DINASTIA LUCANA DALLA COLLUSIONE CON LE BR A STRASBURGO
Leo Amato per ''la Repubblica''

Marcello guida la Regione. Gianni è senatore dopo essere stato vicepresidente dell' Europarlamento, e aver provato addirittura a scalare il Partito democratico, candidandosi alle primarie.

Ma Marcello e Gianni Pittella, in Basilicata, resteranno per sempre i figli di Don Mimì, scomparso ad aprile di quest' anno, consigliere regionale nel 1970, eletto al Senato per tre legislature con i socialisti fino all' incredibile storia legata a Natalia Ligas, una brigatista latitante ferita in un conflitto al fuoco ( provò ad uccidere l' avvocato difensore del terrorista pentito Patrizio Peci) che Don Mimì, medico, operò nel 1981 in anonimato. Per questo ( e anche per l' accusa di aver elaborato con le Br un piano per rapire Ferdinando Schettini, vicepresidente della giunta regionale della Basilicata), Pittella senior fu condannato a 12 anni di reclusione.
domenico mimi pittellaDOMENICO MIMI PITTELLA

Espulso dal Psi, in attesa della condanna definitiva, fondò la Lega italiana di cui faceva parte anche Licio Gelli, si candidò con il Movimento sociale e quando la condanna arrivò, fuggì in Francia fino alla consegna nel 1999 nel carcere di Rebibbia per poi ricevere la grazia, parziale, dal presidente Ciampi. Nel frattempo però la carriera dei suoi figli era già partita. Nel 1996 Gianni viene eletto parlamentare dell' Ulivo prima di intraprendere il suo percorso, tre anni più tardi, nel parlamento europeo dove è capogruppo socialista per quattro anni.

domenico mimi pittellaDOMENICO MIMI PITTELLA
Alla sua ombra cresceva Marcello, il fratello più piccolo, che ha avuto la grande occasione nel 2013 quando sono arrivate le dimissioni dell' ex governatore Vito De Filippo, travolto dello scandalo per l' inchiesta sui rimborsi pazzi. Il Pd aveva scelto di non candidare nessuno dei consiglieri uscenti coinvolti dall' indagine. Ma lui, invischiato per uno scontrino corretto a penna, si è ribellato: ha coalizzato pezzi del centrosinistra e del centrodestra invocando una " rivoluzione democratica" e ha sconfitto per 200 voti il candidato di tutti i maggiorenti dem. Quindi si è ripresentato alle urne e vinto a mani basse.
domenico mimi pittellaDOMENICO MIMI PITTELLA



Accentrando tutto quello che poteva è riuscito, col tempo, a piegare le resistenze degli oppositori che ancora gli restavano all' interno del Pd lucano. Così anche il 5 marzo, dopo la sconfitta alle politiche del fratello ( paracadutato in un seggio sicuro in Campania), si era ripresentato ai suoi come l' unico condottiero capace di difendere il centrosinistra dall' avanzata di 5 Stelle e centrodestra. Era pronto a ricandidarsi, motivo per cui - ha scritto il gip - avrebbe potuto continuare a reiterare quella gestione della sanità che, secondo i giudici, altro non era che un reato. 

Fonte: qui


CONDANNATO IN APPELLO A 6 ANNI E 10 MESI PER IL CRAC DEL CREDITO COOPERATIVO FIORENTINO, L’EX BRACCIO DESTRO DI BERLUSCONI E GRANDE AMICO DI RENZI RISCHIA IL CARCERE

VERDINI USO’ L'ISTITUTO PER FORAGGIARE IMPRENDITORI AMICI E I SUOI GIORNALI DANDO SOLO, “OLTRE OGNI LOGICA CREDITIZIA”, AL GRUPPO FUSI CHE STAVA ANDANDO A ROTOLI

Fabio Amendolara per “la Verità”

verdini berlusconiVERDINI BERLUSCONI
Management e revisori erano appiattiti sulle sue decisioni. E il Credito cooperativo fiorentino di Campi Bisenzio, del quale è stato presidente dal 1990 al 2010, si era trasformato nella banca del presidente, ossia di Denis Verdini, l' ex deputato di Forza Italia che poi ha fondato Ala, la stampella del governo guidato da Matteo Renzi.

Quella Bcc a guida Verdini aveva perso la sua natura mutualistica e si era trasformata nel bancomat con cui il presidente finanziava le imprese dei suoi amici d' affari e tutte le sue attività editoriali fallimentari.
VERDINIVERDINI

Ora il crac del Credito cooperativo fiorentino gli costa, in appello, 6 anni e 10 mesi di reclusione. È la pena, scontata (in primo grado Verdini si era beccato 9 anni tondi tondi), decisa ieri dai giudici della Corte d'appello di Firenze (che hanno accolto anche i patteggiamenti dell' ex direttore generale, Pietro Italo Biagini, a 3 anni 10 dieci mesi e di numerosi membri del consiglio d'amministrazione e del collegio dei revisori dei conti a 1 anno e 8 mesi). A questo punto - appena la sentenza sarà definitiva - per il politico c'è rischio concreto di finire dietro le sbarre. In totale le condanne sono venti. I giudici hanno rifilato 5 anni e 10 mesi ciascuno agli imprenditori Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei.
denis verdiniDENIS VERDINI

Erano a capo di un gigante immobiliare e alberghiero e di un' impresa considerata per diversi anni il quinto colosso italiano delle costruzioni. Un colosso malato, però, visto che proprio Fusi in un altro processo ha dichiarato che la sua azienda andava a rotoli già nel 2007.

Condizione questa che avrebbe dovuto spingere la banca di Verdini a una maggiore prudenza nel sostenere quell' impero imprenditoriale decadente, come già nel 2007 aveva ammonito la Banca d' Italia, definita nel corso di una delle udienze «esoterica», «perché», disse Verdini, «scrive una cosa e anche il suo contrario». E ora che le sentenze sono state emesse, Verdini è in una posizione scomoda: «Non è vero che volevo far fallire la banca. Io ho dato tutto per quella banca.
Simonetta Fossombroni Denis VerdiniSIMONETTA FOSSOMBRONI DENIS VERDINI

Ho preso le ceneri di una piccola banca e l' ho fatta sviluppare, trasformandola in una comunità». Quasi una fotocopia delle dichiarazioni fatte in tribunale solo qualche settimana fa al processo per il fallimento della società editoriale che guidava: «Ho solo dato a questo giornale, l' ho sempre fatto, dall' inizio alla fine per tenerlo in vita. Mi fa enorme dispiacere che, con un debito sanato e lo sforzo compiuto, siamo arrivati lo stesso al fallimento».

Alla fine della requisitoria i procuratori generali Fabio Origlio e Luciana Singlitico avevano chiesto di condannare Verdini a 8 anni di reclusione. Una pena inferiore a quella di primo grado perché a Verdini è stata riconosciuta proprio una continuazione tra il reato di bancarotta per il Credito cooperativo fiorentino e la parte del processo che riguarda l' editoria. Il secondo filone giudiziario costa 1 anno e 5 mesi all' altro ex parlamentare di Ala e braccio destro di Verdini, Massimo Parisi.
RENZI VERDINIRENZI VERDINI

La Procura generale, inoltre, aveva contestato il reato di associazione a delinquere a Verdini, che per quell' accusa era già stato assolto in primo grado. Stessa contestazione anche per Fusi e Bartolomei per i quali sono stati chiesti rispettivamente 6 anni di reclusione e 6 anni e 3 mesi. Alla loro azienda venivano erogati sostegni a go go, senza che alla base delle richieste ci fossero le garanzie necessarie. Un aspetto della gestione che ha permesso ai giudici di primo grado di definirla «imprudente quanto ambiziosa, seguita dalla consapevolezza, maturata dapprima dal senatore Verdini e subito dopo anche dal management, di un imminente disastro, ormai inevitabile e reso poi palese dall' ispezione della Banca d' Italia del 2010».

Nonostante lo sfascio e nonostante la crisi del gruppo Fusi-Bartolomei fosse nota, la banca di Verdini aveva continuato a sostenere i due imprenditori, «nella piena consapevolezza della precarietà della loro situazione». Le imprese attive, ha ricostruito il processo di primo grado, vivevano sul filo del rasoio.

VERDINIVERDINI
Le ragioni per cui, nonostante tutto, il Credito cooperativo fiorentino continuò a finanziare «oltre ogni logica creditizia» i due imprenditori vanno ricercate, secondo l' accusa, proprio in quei rapporti «forti e intensi» fra Verdini e Riccardo Fusi, documentati fra l' altro da numerose intercettazioni. Gli affari andati in fumo sono stati quantificati complessivamente in 100 milioni di euro di finanziamenti decisi da Verdini e deliberati dal consiglio d' amministrazione senza battere ciglio. «Un danno enorme», secondo l' accusa, «causato dalla patologia dei finanziamenti concessi, dall' indifferenza verso la vigilanza e dallo spregio delle regole».

maria elena boschi denis verdiniMARIA ELENA BOSCHI DENIS VERDINI
La difesa di Verdini, sostenuta dagli avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro, ha giocato la sua ultima carta, cercando di far leva sui pregiudizi e hanno sostenuto in aula: «È bastato il nome di Verdini, purtroppo, per la colpevolezza». Il gioco, però, è andato male e la loro tesi non ha convinto i giudici. Ora non resta loro che attendere le motivazioni della sentenza e sperare di poter ricorrere in Cassazione.

4 Luglio 2018

Fonte: qui