9 dicembre forconi: 12/04/18

martedì 4 dicembre 2018

LA PROSSIMA CRISI ECONOMICA

Nel gioco economico in cui viviamo, fatto di avidità, stupidità e tanta cattiveria, le crisi economiche sono indispensabili per accentrare potere ed eliminare i pesci più piccoli.
Le crisi, infatti, distruggono risorse, determinano squilibri e tensioni sociali, e mettono fuori mercato le economie più piccole e deboli, lasciate morire per asfissia di capitale… in un mondo dove il denaro viene ormai tutto creato dal nulla.


La diseconomia in cui viviamo, naturalmente, si riflette in tutto e per tutto nella bassa evoluzione dell’uomo moderno che subisce e nella malvagità di chi tira i fili di questo deficiente sistema: siamo tutti schiavi e dipendenti da questo denaro quasi tutto virtuale e completamente farlocco, mentre le cose che davvero contano – le cose concrete paradossalmente – come i rapporti umani, l’amore, le amicizie e via discorrendo passano tutte in secondo piano.

Anzi, vengono danneggiate proprio da questo gioco al massacro che definiamo “economia”.
Ma veniamo alla prossima crisi: nel settembre del 2018, la banca d’affari JP Morgan ha elaborato un dettagliato modello della crisi che verrà, che vedrà nel 2020 un calo della borsa americana del 20% (contro il 54% della crisi del 2018) e di quelle dei paesi emergenti del 48%, cosa che fletterà le loro valute di circa il 15%.

La crisi del 2020 è già stata confermata da diversi fondi speculativi e da “magnati” come Bill Gates, dunque c’è poco da star tranquilli.


Quello che dobbiamo capire è che queste crisi sono solo nuove chiusure dei rubinetti globali del denaro da parte dei detentori del capitale, cosa che innesca lotte nell’arena economica con la vittoria del più “forte”.
Questo nuovo crac nel 2020 nascerà dal fatto che qualcuno a monte – dunque – stopperà questo rubinetto, sicché la liquidità presente nei mercati finanziari si assottiglierà determinando delle perdite. In buona sostanza, mancando improvvisamente liquidità, ecco che gli investitori venderanno in massa i loro titoli, generando panico, paure e nuova povertà.


Nessuno può sapere quanto tutto questo potrà incidere sull’economia reale: nei confronti dei cittadini, del resto, con la scusa di debiti pubblici posticci, i rubinetti del denaro sono stati chiusi da anni, insomma ci si può aspettare solo il peggio visto con chi abbiamo a che fare!
Gli architetti di queste crisi sceniche, come sappiamo, affermano anche che al momento non c’è più recessione, che siamo usciti ormai dalla crisi del 2008, quando in realtà quello che stanno facendo è mantenere semplicemente lo status quo programmato in quell’anno.

E’ così che deve andare il gioco.


La questione è che, paradossalmente, arrivati a questo punto, l’élite che padroneggia il denaro (e le nostre vite) non può fare diversamente: gli stati stanno cadendo in favore di “unioni” come quella europea, africana e asiatica (queste ultime due, per fortuna, sono ancora abbastanza lontane, il che farà supporre per loro delle “crisi dedicate”); per accentrare il potere politico e creare il famigerato Nuovo Ordine, i poteri forti dovranno per forza generare ulteriore povertà, sicché i cittadini se la prenderanno con il proprio stato, non capendo effettivamente come stanno le cose.
La separazione tra stato e cittadini, del resto, grazie a una politica compiacente e/o venduta, è in atto da decenni.

Per quanto riguarda le crisi, dobbiamo registrare dei dati molto importanti: si calcola che fra il 1971 (anno in cui il dollaro è stato ufficialmente stampato dal nulla, in altre parole senza una copertura aurea) e il 2011 la finanza ha provocato in tutto il mondo più di 150 crisi sistemiche o micro-sistemiche, e più di 218 crisi valutarie, ovvero dei debiti cosiddetti “sovrani”. Ecco con chi abbiamo a che fare.


Un’ulteriore riflessione, infine, riguarda la crisi europea.
L’Europa è il continente-esperimento per quanto riguarda la progressione del progetto del Nuovo Ordine Mondiale, il che, visto ciò che sta accadendo in molti paesi dell’Eurozona a livello politico con l’ascesa di forze nazionaliste, ci lascia qualche speranza.
Nessuno in Europa, infatti, vuole creare un’altra Grecia, neanche l’élite: la povertà, del resto, va generata piano piano, deve essere “elaborata” dai cittadini, e crearla così su due piedi genera solo un profondo malcontento verso le istituzioni europee, cosa che si deve cominciare ad evitare visto l’accentramento dei prossimi anni.

I governi nazionalisti – come sembrerebbe oggi anche il nostro – sono e restano un problema, ma il compromesso si rende indispensabile al momento.
Ecco perché credo che la BCE, a dispetto delle agenzie di rating, non declasserà i nostri titoli, così come non chiederà alle nostre banche di rientrare nelle loro linee di credito consegnando loro titoli di stato dal valore praticamente nullo. Sarebbe l’omicidio dell’Italia ma anche il suicidio dell’Europa, e questo lo si deve evitare.
Per chi vi scrive, è giunto davvero il momento di dire “basta”.

Banchieri centrali in riunione
Serve una forte consapevolezza in questo momento storico, una coscienza dei meccanismi basici dell’economia che parta dalla casalinga e arrivi fino al politico che si interfaccia col banchiere.
Serve spiegare alla “gente” che la crisi è una truffa, a tutti i livelli, e che il denaro viene creato e moltiplicato dal nulla: è giunto il momento di far cadere una volta e per tutte questo stupido castello finanziario, marcio ormai da tutte le parti, iniziando il giorno dopo a stampare e distribuire ai cittadini il denaro che è stato loro sottratto.

Sperare di salvare il meccanismo perverso che è stato messo in piedi è un’utopia.
Occorre ricucire i rapporti tra stato e cittadini, perché lo stato è ostaggio dei banchieri proprio come noi.
Occorre, infine, che la politica, supportata dai cittadini, si riprenda le chiavi di casa (la moneta) così come la gestione del nostro benessere.

Se non lo facciamo, dopo quella del 2020 ci sarà ancora un’altra crisi, e poi un’altra ancora, mentre i media urleranno che è sempre colpa nostra o degli “sprechi” pubblici.
Se non acquisiremo questa nuova consapevolezza, il futuro che attende sia noi che i nostri figli sarà davvero molto, molto negativo.

Fonte: qui

IL PROCURATORE CAPO DI TORINO SPATARO VA SU TUTTE LE FURIE DOPO CHE IL VICEPREMIER ANNUNCIA SU TWITTER L’ARRESTO DI 15 MAFIOSI NIGERIANI


“IL TWEET DI SALVINI HA MESSO A RISCHIO L’OPERAZIONE” 

LA REPLICA DEL VICEPREMIER: "VADA A FARE IL PENSIONATO"

il ministro matteo salvini (2)IL MINISTRO MATTEO SALVINI
Il tweet con cui Matteo Salvini ha annunciato che stamani a Torino la polizia ha fermato «15 mafiosi nigeriani» ha fatto sorgere «rischi di danni al buon esito dell’operazione che è tutt’ora in corso». È quanto scrive Armando Spataro, procuratore capo a Torino, in un comunicato stampa. L’operazione era scattata alle prime ore della mattinata ed era stata resa nota da un messaggio sociale del vicepremier:

spataroSPATARO





«A Torino altri 15 mafiosi nigeriani sono stati fermati dalla Polizia, che poi ha ammanettato 8 spacciatori (titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari e clandestini) a Bolzano». Il testo faceva riferimento a una serie di operazioni compiute dalla polizia tra le quali anche quella con cui a Palermo sono stati condotti in carcere 46 sospetti mafiosi.

LA REPLICA DI SALVINI


armando spataroARMANDO SPATARO
Durissima replica di Salvini al procuratore capo di Torino, Armando Sparato: "Basta parole a sproposito. Inaccettabile dire - dichiara Salvini - che il ministro dell’Interno possa danneggiare indagini e compromettere arresti. Qualcuno farebbe meglio a pensare prima di aprire bocca. Se il Procuratore Capo a Torino è stanco, si ritiri dal lavoro: a Spataro auguro un futuro serenissimo da pensionato. Se il capo della Polizia mi scrive alle 7:22 informandomi di operazioni contro mafia e criminalità organizzata, come fa regolarmente, un minuto dopo mi sento libero e onorato di ringraziare e fare i complimenti alle forze dell’ordine". Spataro aveva accusato il ministro dell'Interno di aver danneggiato l'inchiesta sulla mafia nigeriana, anticipando con un tweet il blitz avvenuto oggi nel capoluogo piemontese.

Fonte: qui

L’ATTACCO DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VINCENZO BOCCIA AL GOVERNO ALLA MANIFESTAZIONE “SÌ TAV”: “PER EVITARE LA PROCEDURA D’INFRAZIONE BASTANO 4 MILIARDI.

“CONTE CONVINCA SALVINI E DI MAIO O SI DIMETTA” 

L’ATTACCO DEL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VINCENZO BOCCIA AL GOVERNO ALLA MANIFESTAZIONE “SÌ TAV”: “PER EVITARE LA PROCEDURA D’INFRAZIONE BASTANO 4 MILIARDI. UNA PROMESSA A DI MAIO: SE CI CONVOCA TUTTI NON LO CONTAMINEREMO. A SALVINI DICO DI PREOCCUPARSI DELLO SPREAD” 

“CHI È CONTRO L’INDUSTRIA È CONTRO IL PAESE”???

CARO BOCCIA, MA QUANDO MAI AVETE FATTO GLI INTERESSI DEL PAESE ....

Filomena Greco per www.ilsole24ore.com

vincenzo bocciaVINCENZO BOCCIA
«Se fossi in Conte convocherei i due vicepremier e gli chiederei di togliere due miliardi per uno visto che per evitare la procedura d'infrazione bastano 4 miliardi. Se qualcuno rifiutasse mi dimetterei e denuncerei all'opinione pubblica chi non vuole arretrare». Ha concluso così, il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, la manifestazione alle Ogr per il Si Tav a Torino . «Una promessa a Di Maio: se ci convoca tutti non lo contamineremo. A Salvini, che ha preso molti voti al Nord, dico di preoccuparsi dello spread».

Nelle ex Officine Grandi Riparazioni sono intervenute almeno 3mila imprenditori. Rappresentano una dozzina di categorie produttive, tra loro gli industriali della Confindustria, gli artigiani di Cna e Confartigianato, il mondo delle cooperative, i commercianti, le imprese edili dell’Ance. Una parte consistente di quel “partito del Pil” che da settimane chiede interventi per sostenere lo sviluppo, gli investimenti, le grandi opere.
CONTE DI MAIO SALVINICONTE DI MAIO SALVINI

«Se siamo qui significa che siamo a un punto quasi limite di pazienza, per mettere insieme 12 associazioni tra cui alcune concorrenti tra loro. Se siamo qui tra artigiani, commercianti, cooperative, industriali, qualcuno si dovrebbe chiedere perché», aveva già detto Boccia, a margine della manifestazione. «La politica è una cosa troppo importante per lasciarla solo ai politici. Noi stiamo facendo proposte di politica economica per evitare danni al Paese».

VINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIAVINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIA
A Torino il tema centrale è e resta quello della Torino-Lione. Le infrastrutture come volano di sviluppo rappresenta l’idea intorno alla quale è stata costruita l’iniziativa nel capoluogo del Piemonte, una tappa della mobilitazione iniziata dopo il voto del Consiglio comunale di Torino contro la tav.

«Siamo 12 associazioni che rappresentano 3 milioni di imprese, oltre il 65% del Pil, un segnale importante che si vuole dare al governo del Paese. Si parte dalla Tav chiaramente, si pone la questione infrastrutture, in senso largo, grandi e piccole infrastrutture per il Paese, e si pone un auspicio, che è quello di un'attenzione alla crescita», spiega ancora Boccia.

A Torino la prima piazza Si Tav con almeno 30mila persone, il 10 novembre scorso, mentre sabato prossimo, 8 dicembre, saranno in corteo le voci di chi è contrario all'opera.

di maio conte salvini triaDI MAIO CONTE SALVINI TRIA
Quello delle infrastrutture non è l’unico dossier aperto. «Chi è contro all’industria è contro il Paese» ha detto Boccia intervenendo lunedì mattina all’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Torino. Sullo sfondo, il Pil che smette di crescere, anche se di poco, e gli interventi messi in campo dal Governo che, secondo Boccia, «sta trascurando il motore della crescita». La manovra, aggiunge Boccia, è tutta spostata sulla spesa corrente senza però strumenti per sostenere la crescita. Tra questi anche il credito di imposta a favore degli interventi per Industria 4.0 e più in generale degli investimenti. Il presidente di Confindustria ha sottolineato l’importanza della formazione: «Dobbiamo formare giovani con capacità imprenditoriale 4.0 - ha detto –, ma non basta. Serve formare gli imprenditori: meno imprese nascono meno sviluppo si crea».
CARLO CALENDA VINCENZO BOCCIACARLO CALENDA-VINCENZO BOCCIA IN COMPAGNI DI MERENDE

Entra nella partita anche il tema della formazione. È trasversale la richiesta di mantenere ad esempio la struttura dell’alternanza scuola-lavoro, ridimensionata nell’ultima proposta dell'Esecutivo. Proprio gli interventi a sostegno della formazione e della implementazione delle competenze rappresentano poi un passaggio importante per Industria 4.0.

Fonte: qui

DALLA PROTESTA ALLA VIOLENZA: LA MAREA DEI GILET GIALLI PUÒ TRAVOLGERE LA 'QUINTA REPUBBLICA'

ECCO CHI SONO QUELLI CHE STANNO METTENDO PARIGI E LA FRANCIA A FERRO E FUOCO: DISOCCUPATI, OPERAI, RESIDENTI DI AREE RURALI E PICCOLI CENTRI DIMENTICATI DAI SERVIZI PUBBLICI E ACCOMUNATI DALLA RABBIA VERSO MACRON 

E PER IL 2019 L’ANNUNCIATA RIFORMA SULLE PENSIONI PUO’ RIVELARSI UN’ALTRA BOMBA SOCIALE…

gilet gialli 2GILET GIALLI 
Fr.Pie. per il Messaggero
Dai 18 agli 80 anni, residenti nelle zone rurali (quelle dove non arrivano i treni, né le corriere, dove la macchina serve per vivere, fare la spesa e andare al lavoro) o abitanti dei paesi con al massimo 20 mila abitanti, residenti soprattutto lontano, lontanissimo da Parigi, operai, artigiani, piccoli imprenditori, infermieri, disoccupati, agricoltori, più donne che uomini, indifferenti alla politica, molti non hanno mai votato, magari una volta scheda bianca, e se hanno votato, hanno preferito scegliere ai margini, quasi sempre la destra estrema.
parigi gilet gialliPARIGI GILET GIALLI
È questo l' identikit del Gilet Jaune che da tre settimane mette sottosopra la Francia di Macron, un identikit che resta sfumato, difficile da disegnare per i sociologi e gli opinionisti che ammettono di essere stati presi alla sprovvista, un identikit però che corrisponde sempre alla stessa casella: quella della Francia del basso, degli ultimi, di chi sente escluso, non soltanto dalla società in alto ma anche dai servizi pubblici che pure restano il simbolo della République: le scuole, gli ospedali, gli uffici postali, sempre più lontani, perché nelle campagne e nei villaggi chiudono. Non rendono.
parigi gilet gialliPARIGI GILET GIALLI
LA MICCIA È l' identikit, soprattutto, della Francia che non ama la politica di Emmanuel Macron. I 19 centesimi in più sul prezzo del carburante sono stati soltanto la miccia di una protesta, di un sentimento di rabbia, che si estende ormai a una maggioranza enorme nel paese: il 70 per cento dei francesi, secondo un recente sondaggio, dice di sostenere o avere simpatia per il movimento dei giubbetti gialli.
I militanti, quelli che bloccano le strade e i caselli e che hanno passato gli ultimi sabato a Parigi, sono molto meno: secondo alcuni non supererebbero le decine di migliaia. Quelli che pur senza scendere per la strada si definiscono Gilets Jaunes, quelli che hanno messo il loro giubbetto giallo fosforescente sul cruscotto dell' auto, sarebbero molti di più, circa di 20 per cento dei francesi. Lo scontento dicono tutti gli osservatori è più forte delle violenze che ieri hanno portato le fiamme e la guerriglia nel cuore di Parigi. Lo scontento, potrebbe travolgere Emmanuel Macron e con lui la Quinta Repubblica.
parigi gilet gialliPARIGI GILET GIALLI
SENZA MEDIATORI Le istituzioni francesi per ora proteggono il presidente: nessuna protesta, nessun indice di impopolarità per quanto alle stelle, potranno costringerlo alle dimissioni. Per il momento lui non cede.
STATUA DELLA MARIANNA SFREGIOSTATUA DELLA MARIANNA SFREGIO
Secondo il suo entourage, l' esempio dei predecessori lo ha convinto: ogni volta che hanno ceduto alla piazza, da Chirac a Sarkozy a Hollande, hanno anche perso i pochi consensi che avevano. Non è detto però che le esperienze passate possano essergli utili nel nuovo mondo politico che lui stesso ha contribuito a creare: senza mediatori, senza sindacati, con gli enti locali ridotti a poca cosa, i partiti politici tradizionali all' agonia, il suo, la République en marche, che in questi tempi duri comincia a scontare la scarsa, scarsissima esperienza politica che era stata la sua grande forza.
parigi gilet gialli palazzo assaltatoPARIGI GILET GIALLI PALAZZO ASSALTATO
DAVANTI AL POPOLO Macron è solo davanti al popolo, cominciano a dire gli osservatori e gli analisti, anche quelli che fino a poco tempo fa esitavano a usare il termine peuple. Difficile che il presidente possa continuare come se niente fosse. Le elezioni europee rischiano di sancire nelle urne, e non soltanto sotto l' Arco di Trionfo, la debolezza della sua politica. Secondo il suo programma, all' inizio del 2019 dovrebbe affrontare l' annunciata riforma delle pensioni. Rischia di rivelarsi una miccia ancora più potente della benzina.
gilet gialli 8GILET GIALLI 
Fonte: qui


BUTTAFUOCO: “L’ITALIA PER VIA DI LEGA E M5S È UN PROBLEMA PER L’EUROPA, LA FRANCIA È INVECE UN SOLIDO PILASTRO DELL’UNIONE. PERÒ ECCO LA SITUAZIONE: UN PALAZZO È DATO ALLE FIAMME ALL’ARCO DI TRIONFO, A PARIGI; NEGLI ULTIMI DUE GIORNI SI AGGIUNGONO 400 PERSONE ALL’ELENCO DEGLI ARRESTI E ALTRI 130 A QUELLO DEI FERITI 

IN ITALIA NON SUCCEDE IL QUARANTOTTO PERCHÉ GLI ULTIMI HANNO TROVATO UN ESITO POLITICO...”

Pietrangelo Buttafuoco per “il Tempo”

Se la Francia piange con i lacrimogeni, l’Italia non ride. Ma almeno Roma non brucia come in queste ore Parigi con i gilet gialli perché la protesta qui, con i Gialloverdi – il M5S e la Lega – non è per strada. È al Governo. La gente, lì, non ha altra tribuna che la barricata. L’élite, infatti, è salda all’Eliseo mentre qui – l’establishment – orchestrando il remake di “Benvenuti al Sud” con casa Di Maio, sta solo sperando di tornare a palazzo Chigi.
conte salvini di maioCONTE SALVINI DI MAIO

L’Italia – si sa – per via dei Gialloverdi è un problema per l’Europa, la Francia è invece un solido pilastro dell’Unione. E però ecco la situazione: un palazzo è dato alle fiamme all’Arco di Trionfo, a Parigi; negli ultimi due giorni si aggiungono quattrocento persone all’elenco degli arresti e altri centotrenta – raccolti sui marciapiedi di Francia – a quello dei feriti.

macron alle antille con maschioni 1MACRON ALLE ANTILLE CON MASCHIONI
È la scena che si vede dalle vetrate di casa Macron: agenti in tenuta antisommossa sono dappertutto per fermare sul nascere ogni manifestazione contro il rincaro dei carburanti; i disordini degli Champs Elysees dilagano fino alle periferie. E non finisce. Quel che succede, lì – la scomparsa del ceto medio, proletarizzato – c’è anche in Italia.

Le famiglie monoreddito impossibilitate a cavarsela oltre la terza settimana del mese sono perfino di più che in Francia. E i poveri, qui – la maggior parte padri di famiglia, che comunque non incendiano auto, non frantumano le vetrine e non si fanno spaccare le teste – sono in gran numero rispetto a lì.

luigi di maio giuseppe conte matteo salvini giovanni triaLUIGI DI MAIO GIUSEPPE CONTE MATTEO SALVINI GIOVANNI TRIA




E non succede il Quarantotto, qui, perché gli ultimi – quelli della nostra periferia, la grande provincia italiana – hanno trovato un esito politico. I cinque milioni di poveri stanno aspettando – magari saranno traditi, delusi – ma una forma, intanto, un qualcosa che diventi per loro una voce, un argomento e un progetto, in Italia c’è. Il 4 marzo scorso, invece di astenersi, qui – i precari, i disoccupati e gli esodati – hanno avuto qualcuno da votare alle politiche, e le hanno pure vinte le elezioni.

Ha perso la sinistra dell’élite in Italia e, il centrodestra, non ha vinto una beata mentula. Basti pensare – ed è fondamentale ricordarlo, prima di vagheggiare ribaltoni – al voto del Sud. L’intero Mezzogiorno, per la prima volta nella storia repubblicana, s’è sottratto alle clientele e ai padrinati politici.
SALVINI CON IL PUPAZZO DI DI MAIOSALVINI CON IL PUPAZZO DI DI MAIO

E’ successo che le masse un tempo destinate ai granai elettorali del sistema, invece che incazzarsi a vuoto, si sono levate in una geometrica controffensiva di mobilitazione. Senza odio, senza violenza e senza strumentalizzazione. Senza destra, dunque, e senza sinistra manco a dirlo. A differenza che in Francia, infatti, l’Italia non offre pretesti.

La presenza di Marine Le Pen, per quanto sia prima nei sondaggi, assicura l’eternità allo status quo che potrà sempre contare sull’unità anti-fascista contro l’ex Front National, mentre in Italia, con il M5S – e con la Lega che non ha radice nelle ideologie – la favola bieca del radicalismo di destra fa cilecca. Neppure buona è per far vendere a La Repubblica due copie in più.

Fonte: qui