ERA NEL REGISTRO DIGITALE NONOSTANTE LA SOCIETÀ HA FINORA DICHIARATO CHE NESSUN REPORT DI SPEA (SOCIETÀ DELEGATA AL MONITORAGGIO DELLA RETE AUTOSTRADALE) AVEVA CREATO ALLARME
PER OLTRE DUE ANNI È PASSATO PER I CDA DEL GRUPPO MA DAL 2017 LA DICITURA DIVENTA "PERDITA DI STABILITÀ"
LA PROCURA DI GENOVA INDAGA SUGLI ALLARMI SOTTOVALUTATI…
Giuseppe Filetto e Marco Lignana per “la Repubblica”
Lo hanno scovato all' interno del registro digitale di Atlantia: un documento che per la prima volta svela il «rischio crollo» per il Ponte Morandi. Anche se finora i dirigenti di Autostrade per l' Italia davanti ai magistrati e ai media hanno dichiarato che per il viadotto genovese sul torrente Polcevera nessun report di Spea (società delegata al monitoraggio della rete autostradale) aveva mai messo in allarme, scritto nero su bianco del pericolo di crollo.
E però adesso, dopo 14 mesi dal disastro che fece 43 morti, si scopre che quell' attestato c' era. Lo hanno sequestrato lo scorso marzo i finanzieri del Nucleo operativo metropolitano (guidati dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco) e del Primo gruppo di Genova (diretto dal colonnello Ivan Bixio) nella sede di Atlantia, a Roma. E anche in quella di Autostrade per l' Italia. Quel "documento di programmazione del rischio", stilato dall' apposito Ufficio Rischio di Aspi, è passato dai vari consigli di amministrazione, sia di Autostrade che di Atlantia, la capogruppo che in Italia e in Europa controlla 14 mila chilometri di autostrade.
Dal 2014 al 2016 del "Morandi" si parla di «rischio crollo»; dal 2017, a sorpresa, la dicitura è trasformata in «rischio perdita stabilità». Che non è la stessa cosa. Lo spiega Alfio Leonardi, ingegnere oggi in pensione, ma che per 36 anni ha lavorato per il ministero delle Infrastrutture e per il provveditorato alle Opere pubbliche della Liguria e del Piemonte: «La perdita di stabilità non significa che crolli, ma si può risolvere con una lesione che si apre e che comporta la limitazione del traffico; il rischio crollo comporta invece l' immediata chiusura della struttura ».
Secondo fonti di Atlantia e di Aspi l' attestato viene presentato ai cda sia per informare gli azionisti, sia per programmare gli interventi, chiedere consulenze tecniche e studi a ditte esterne, come quello prodotto nell' autunno del 2017 dal Cesi di Milano. Va ricordato che la società di ingegneria aveva segnalato le criticità sugli stralli corrosi dall' acqua piovana e dal salino. E suggerito alcune soluzioni: controlli trimestrali mirati, applicazione di sensori e prove riflettometriche. Indicazioni che secondo le indagini sarebbero state disattese.
Ma non è questo il punto centrale.
I pm Massimo Terrile e Walter Cotugno piuttosto vogliono capire perché mai il progetto di retrofitting (di consolidamento del ponte) soltanto nel febbraio del 2018 sia stato sottoposto alla valutazione del provveditorato alle Opere pubbliche e nel giugno sia giunto al Mit, nonostante quel «rischio crollo» fosse certificato già quattro anni prima. I lavori sarebbero dovuti iniziare in autunno. Troppo tardi. Il disastro è arrivato la vigilia di Ferragosto.
Inoltre, magistrati ed investigatori chiedono ai 73 indagati di omicidio e disastro colposo plurimi come mai da una parte il ponte veniva classificato con voto inferiore a 50 (oltre questo livello si applicano misure di limitazione del traffico o chiusure).
Quindi con rischio basso. È però ormai chiaro dalle intercettazioni telefoniche che i monitoraggi di Spea fossero edulcorati: appunto per evitare chiusure di alcuni tratti autostradali. E soprattutto per risparmiare sui costi. Come diceva Michele Donferri Mitelli, responsabile della Manutenzioni di Aspi, ai suoi al telefono: «Che sono tutti questi 50... me li dovete toglie tutti... adesso riscrivete e fate Pescara a 40». Si riferiva al viadotto Moro di Pescara, uno dei dieci ponti entrati nell' inchiesta bis.
Eppoi, con tono perentorio: «... Devo spendere il meno possibile, sono entrati i cinesi, sono entrati i tedeschi, devo ridurre al massimo i costi... Lo capisci o non lo capisci?». I cinesi e i tedeschi entrano nell' azionariato di Atlantia nel maggio del 2017. E però c' è un altro dato che fa riflettere gli inquirenti: dal 2014 in poi le polizze assicurative sul viadotto genovese erano aumentate notevolmente.
Il documento finora è stato tenuto nascosto dalla procura e dalla Gdf. Un asso nella manica, da tirare fuori al momento opportuno, in sede di chiusura delle indagini e di richiesta di rinvio a giudizio. Domani chiederanno conto di quelle variazioni inspiegabili ad Antonino Galatà, ex ad di Spea, uno degli undici dirigenti raggiunti dalla misura cautelare (sospensione dal servizio per un anno). Il primo di una serie di interrogatori in procura. Fonte: qui
Giuseppe Filetto e Marco Lignana per “la Repubblica”
Lo hanno scovato all' interno del registro digitale di Atlantia: un documento che per la prima volta svela il «rischio crollo» per il Ponte Morandi. Anche se finora i dirigenti di Autostrade per l' Italia davanti ai magistrati e ai media hanno dichiarato che per il viadotto genovese sul torrente Polcevera nessun report di Spea (società delegata al monitoraggio della rete autostradale) aveva mai messo in allarme, scritto nero su bianco del pericolo di crollo.
E però adesso, dopo 14 mesi dal disastro che fece 43 morti, si scopre che quell' attestato c' era. Lo hanno sequestrato lo scorso marzo i finanzieri del Nucleo operativo metropolitano (guidati dal tenente colonnello Giampaolo Lo Turco) e del Primo gruppo di Genova (diretto dal colonnello Ivan Bixio) nella sede di Atlantia, a Roma. E anche in quella di Autostrade per l' Italia. Quel "documento di programmazione del rischio", stilato dall' apposito Ufficio Rischio di Aspi, è passato dai vari consigli di amministrazione, sia di Autostrade che di Atlantia, la capogruppo che in Italia e in Europa controlla 14 mila chilometri di autostrade.
Dal 2014 al 2016 del "Morandi" si parla di «rischio crollo»; dal 2017, a sorpresa, la dicitura è trasformata in «rischio perdita stabilità». Che non è la stessa cosa. Lo spiega Alfio Leonardi, ingegnere oggi in pensione, ma che per 36 anni ha lavorato per il ministero delle Infrastrutture e per il provveditorato alle Opere pubbliche della Liguria e del Piemonte: «La perdita di stabilità non significa che crolli, ma si può risolvere con una lesione che si apre e che comporta la limitazione del traffico; il rischio crollo comporta invece l' immediata chiusura della struttura ».
Secondo fonti di Atlantia e di Aspi l' attestato viene presentato ai cda sia per informare gli azionisti, sia per programmare gli interventi, chiedere consulenze tecniche e studi a ditte esterne, come quello prodotto nell' autunno del 2017 dal Cesi di Milano. Va ricordato che la società di ingegneria aveva segnalato le criticità sugli stralli corrosi dall' acqua piovana e dal salino. E suggerito alcune soluzioni: controlli trimestrali mirati, applicazione di sensori e prove riflettometriche. Indicazioni che secondo le indagini sarebbero state disattese.
Ma non è questo il punto centrale.
I pm Massimo Terrile e Walter Cotugno piuttosto vogliono capire perché mai il progetto di retrofitting (di consolidamento del ponte) soltanto nel febbraio del 2018 sia stato sottoposto alla valutazione del provveditorato alle Opere pubbliche e nel giugno sia giunto al Mit, nonostante quel «rischio crollo» fosse certificato già quattro anni prima. I lavori sarebbero dovuti iniziare in autunno. Troppo tardi. Il disastro è arrivato la vigilia di Ferragosto.
Inoltre, magistrati ed investigatori chiedono ai 73 indagati di omicidio e disastro colposo plurimi come mai da una parte il ponte veniva classificato con voto inferiore a 50 (oltre questo livello si applicano misure di limitazione del traffico o chiusure).
Quindi con rischio basso. È però ormai chiaro dalle intercettazioni telefoniche che i monitoraggi di Spea fossero edulcorati: appunto per evitare chiusure di alcuni tratti autostradali. E soprattutto per risparmiare sui costi. Come diceva Michele Donferri Mitelli, responsabile della Manutenzioni di Aspi, ai suoi al telefono: «Che sono tutti questi 50... me li dovete toglie tutti... adesso riscrivete e fate Pescara a 40». Si riferiva al viadotto Moro di Pescara, uno dei dieci ponti entrati nell' inchiesta bis.
Eppoi, con tono perentorio: «... Devo spendere il meno possibile, sono entrati i cinesi, sono entrati i tedeschi, devo ridurre al massimo i costi... Lo capisci o non lo capisci?». I cinesi e i tedeschi entrano nell' azionariato di Atlantia nel maggio del 2017. E però c' è un altro dato che fa riflettere gli inquirenti: dal 2014 in poi le polizze assicurative sul viadotto genovese erano aumentate notevolmente.
Il documento finora è stato tenuto nascosto dalla procura e dalla Gdf. Un asso nella manica, da tirare fuori al momento opportuno, in sede di chiusura delle indagini e di richiesta di rinvio a giudizio. Domani chiederanno conto di quelle variazioni inspiegabili ad Antonino Galatà, ex ad di Spea, uno degli undici dirigenti raggiunti dalla misura cautelare (sospensione dal servizio per un anno). Il primo di una serie di interrogatori in procura. Fonte: qui
TUTTI SAPEVANO?
IL DOCUMENTO SEGRETO STILATO NEL 2014 SUL RISCHIO CROLLO DEL PONTE MORANDI ERA ARRIVATO ANCHE SULLA SCRIVANIA DI GRAZIANO DELRIO?
DEL PROBLEMA DI STATICITÀ DEL VIADOTTO SUL POLCEVERA SI DISCUSSE IN UN CDA DI ASPI A CUI PARTECIPAVA UN RAPPRESENTANTE DELL’ALLORA MINISTRO DEI TRASPORTI. IL GOVERNO RENZI IGNORÒ GLI ALLARMI E…
Alfredo Arduino per “la Verità”
Tre anni prima della tragedia era noto che il Ponte Morandi rischiava di cedere. Nel 2015 lo sapevano sia Autostrade per l' Italia (Aspi) che il ministero delle Infrastrutture, quando a guidarlo era Graziano Delrio, oggi capogruppo del Partito democratico alla Camera. Lo dimostra un documento stilato nel 2014 e messo a disposizione di un uomo del Mit l' anno dopo, che fa riferimento al «rischio crollo». Si tratta di carte finora rimaste segrete ma sequestrate nel marzo scorso dalla Guardia di finanza nella sede di Atlantia e di Autostrade.
Ciò che rende questa relazione di particolare importanza per gli inquirenti è la conferma della consapevolezza di un grave problema di «staticità» del viadotto sul Polcevera, tanto grave da ipotizzarne il collasso. Un' informazione che era conosciuta ai massimi livelli aziendali e ministeriali e di cui si discusse in un cda di Aspi.
In altre parole la carenza di sicurezza della struttura sarebbe stata ignorata, nonostante il citato «documento di programmazione del rischio» preparato dagli stessi tecnici di Aspi indicasse chiaramente un «rischio crollo». Crollo che si è puntualmente verificato il 14 agosto 2018, quando a Genova persero la vita 43 persone. Adesso si scopre, come rivelato da Repubblica, che anche i vertici del dicastero erano informati. Infatti alle sedute del cda di Autostrade partecipava un rappresentante del Mit, come membro del collegio sindacale.
E quest' ultimo organo è proprio quello che ha condiviso con il cda «l' indirizzo di rischio basso», non dando importanza all' allarme lanciato dagli esperti. Eppure, se si esaminano le relazioni tecniche sequestrate sempre nella sede di Atlantia nello scorso marzo, il pericolo risulta lampante: le note degli ingegneri denunciano chiaramente che «l' opera non si riesce a tenere sotto controllo, vista l' impossibilità di monitorare gli stralli e i cassoni del viadotto». Quindi i vertici del ministero delle Infrastrutture avvallarono la decisione della holding di non dare troppo peso ai campanelli d' allarme.
Si aggiunge poi un altro inquietante giallo: il documento sul rischio veniva compilato in base ai segnali che arrivavano dai sensori montati sulla infrastruttura. Però quei sistemi non hanno più funzionato dal 2015, quando sono stati tranciati durante i lavori di manutenzione. Nessuno li ha mai sostituiti, come ha rivelato ieri il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi. La concessionaria aveva programmato l' inserimento dei sistemi di controllo nel progetto di consolidamento delle pile 9 e 10 del ponte, che sarebbe dovuto partire nell' autunno del 2018.
Ma il viadotto è crollato prima. Perché tanto ritardo? Il sospetto è che i sensori, se presenti, avrebbero confermato il pericolo di cedimento e che, quindi, il fatto che mancassero alla fine permetteva di stilare relazioni «edulcorate». Dal 2015, è il ragionamento seguito dalla Procura, il documento è stato compilato soltanto con le prove riflettometriche e non con altri sistemi di monitoraggio: un sistema che non sarebbe stato sufficiente a valutare le reali condizioni del Morandi.
La storia non finisce qui, perché nel 2017 si verificano altri cambiamenti di rilievo che riguardano i controlli sul Ponte Morandi. Per la cronaca allora era ministro delle Infrastrutture sempre Delrio, riconfermato nel ruolo anche da Paolo Gentiloni. Primo «strano» cambiamento: la responsabilità della sicurezza del Morandi passa dalle manutenzioni dirette da Michele Donferri Mitelli alla Direzione di tronco di Genova, guidata da Stefano Marigliani, oggi entrambi sotto inchiesta. Secondo: nel documento del rischio della concessionaria sparisce la parola «crollo» sostituita da una più blanda e rassicurante «perdita di staticità». Come riporta Il Secolo XIX, i magistrati hanno chiesto conto di questo declassamento sia a Donferri Mitelli che a Marigliani, ma questi ultimi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
Sulla relazione «ignorata» dai rappresentanti del Mit è intervenuto il ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli, commentando che quanto si è scoperto «è inaccettabile e intellettualmente incomprensibile» e promettendo «l' attuazione della nuova Agenzia sulla sicurezza».
Invece Autostrade per l' Italia ha spiegato che il rischio di un crollo era in realtà solo teorico. E quanto fosse teorico lo abbiamo purtroppo visto. Inoltre Aspi precisa in una nota: «La società non è in alcun modo disponibile ad accettare rischi operativi sulle infrastrutture. Di conseguenza, l' indirizzo del cda alle strutture operative è di presidiare e gestire sempre tale tipologia di rischio con il massimo rigore, adottando ogni opportuna cautela preventiva». Aldilà di tutte le precisazioni e i distinguo resta il fatto che 43 persone, che si trovavano a passare per caso sul viadotto, sono morte inghiottite dal vuoto e dalle macerie.
Per questo motivo magistrati e investigatori continuano a domandare ai 73 indagati di omicidio e disastro colposo plurimi come mai il ponte veniva classificato con rischio basso. E inoltre perché mancassero i sensori. Ma anche altri elementi fanno riflettere: le intercettazioni agli atti evidenziano che i monitoraggi di Spea fossero «ammorbiditi» per evitare limitazioni al traffico e per risparmiare sugli interventi.
C' è infine un punto su cui si concentrano le indagini: dal 2014 in poi le polizze assicurative sul viadotto genovese erano aumentate notevolmente. Perché questo aumento se il ponte era da considerarsi sicuro?
“I SENSORI DEL PONTE MORANDI ERANO FUORI USO DAL 2016: TRANCIATI DURANTE I LAVORI E MAI SOSTITUITI”
L’IPOTESI DELLA PROCURA E’ CHE SI SIA CERCATO DI RISPARMIARE SUI COSTI
IL DOCUMENTO SUL "RISCHIO CROLLO" VENIVA COMPILATO IN BASE AI SEGNALI CHE SAREBBERO DOVUTI ARRIVARE DAI DISPOSITIVI
AUTOSTRADE PER L'ITALIA: "NESSUNA DELLE ANALISI AVEVA EVIDENZIATO ALLARMI"
LA MINISTRA DE MICHELI FURIBONDA: “PER ME È INACCETTABILE E INTELLETTUALMENTE INCOMPRENSIBILE”
Giuseppe Filetto per “la Repubblica”
Gli impulsi provenienti dai sensori posizionati sul Ponte Morandi, che avrebbero dovuto recepire le oscillazioni della struttura, non potevano essere trasmessi, tantomeno registrati da un computer, per poi essere analizzati dai tecnici per stilare il documento di rischio.
Semplicemente perché i sensori erano stati tranciati nel 2016, durante alcune lavorazioni sulla sede stradale da parte della Pavimental per conto di Autostrade. Eppure dal 2014 fino al 2017 un report molto riservato - il cui contenuto è stato pubblicato da Repubblica negli scorsi giorni - affermava che il viadotto genovese era considerato dalla stessa concessionaria a "rischio crollo".
Come poi è avvenuto, con 43 morti. C' è di più. Secondo quanto trapela dalle indagini, Aspi aveva scritto che il sistema non segnalava anomalie, perciò il rischio era basso. E successivamente, dal 2017 in poi, il giudizio era passato a "rischio perdita di staticità"; un livello che comporta interventi di manutenzione, ma non l' interdizione del traffico.
L' assenza di un sistema di monitoraggio è stata scoperta dai militari della Guardia di Finanza di Genova, gli stessi che lo scorso marzo hanno sequestrato il documento del rischio, nascosto nei registri digitali di Atlantia, a Roma.
E ieri il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, ha sottolineato come l' impianto dei sensori non sia stato ripristinato dopo il danno del 2016. Neppure quando Aspi aveva chiesto una consulenza tecnica all' ingegner Carmelo Gentile. Il professore del Politecnico di Milano, peraltro, aveva suggerito sensori di ultima generazione, ma la concessionaria non li aveva installati, inserendoli invece nel progetto di retrofitting (consolidamento) delle pile 9 (quella crollata) e 10 del ponte.
Operazione che sarebbe dovuta partire nell' ottobre del 2018. Il "Morandi" è crollato due mesi prima, il 14 agosto. L' ipotesi accusatoria è che si sia cercato di risparmiare sui costi. «Ed oggi ci chiediamo come Autostrade abbia compilato quel documento - ripete il procuratore - : non si capisce come nel catalogo in cui si presentano criticità generalizzate su altri ponti, il Morandi invece sia classificato a rischio crollo localizzato».
Aspi ribatte che si trattava di "rischio teorico". «Se arriva una relazione sul rischio di crollo, parliamo della sicurezza dei cittadini italiani.
E Autostrade che fa? Parla di rischio teorico? Qual è il rischio pratico allora? Per il rischio teorico sono morte delle persone», dice il ministro Luigi Di Maio, parlando al programma tv "L' aria che tira".
Il documento imbarazza Autostrade, che ha sempre sostenuto di "non avere mai letto nero su bianco di rischio crollo". Tanto che ieri in una nota ha ripetuto: «In merito...
ad alcuni sensori che erano presenti sul Ponte Morandi, la società ricorda che nessuna delle analisi svolte sul viadotto Polcevera, anche da qualificati soggetti terzi, aveva evidenziato allarmi sulla sicurezza dell' infrastruttura».
E ancora Autostrade «dichiara di essere il primo soggetto interessato affinché vengano chiarite eventuali responsabilità, sia in sede di incidente probatorio che successivamente nell' ambito del processo». Si riferisce anche ai report di Spea, la società "gemella", delegata al monitoraggio della rete autostradale. Ieri, l' ex ad di Spea Antonino Galatà, indagato anche per i falsi report su una dozzina di viadotti sparsi in tutta Italia, davanti al pm Walter Cotugno di Genova si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Comunque, il documento sul "rischio crollo" tira in ballo anche Atlantia, la capogruppo. Quel documento è stato vagliato dai cda delle due società. E in quello di Aspi dal 2015 al 2018 era presente anche un funzionario del ministero delle Infrastrutture, come membro del collegio dei sindaci: Antonio Parente, ancora in prorogatio. «Ho letto quello che avete letto voi. Per me è inaccettabile. Anche intellettualmente incomprensibile», dice il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Paola De Micheli, commentando la presenza del ministero a quella riunione del 2015.
Fonte: qui
Giuseppe Filetto per “la Repubblica”
Gli impulsi provenienti dai sensori posizionati sul Ponte Morandi, che avrebbero dovuto recepire le oscillazioni della struttura, non potevano essere trasmessi, tantomeno registrati da un computer, per poi essere analizzati dai tecnici per stilare il documento di rischio.
Semplicemente perché i sensori erano stati tranciati nel 2016, durante alcune lavorazioni sulla sede stradale da parte della Pavimental per conto di Autostrade. Eppure dal 2014 fino al 2017 un report molto riservato - il cui contenuto è stato pubblicato da Repubblica negli scorsi giorni - affermava che il viadotto genovese era considerato dalla stessa concessionaria a "rischio crollo".
Come poi è avvenuto, con 43 morti. C' è di più. Secondo quanto trapela dalle indagini, Aspi aveva scritto che il sistema non segnalava anomalie, perciò il rischio era basso. E successivamente, dal 2017 in poi, il giudizio era passato a "rischio perdita di staticità"; un livello che comporta interventi di manutenzione, ma non l' interdizione del traffico.
L' assenza di un sistema di monitoraggio è stata scoperta dai militari della Guardia di Finanza di Genova, gli stessi che lo scorso marzo hanno sequestrato il documento del rischio, nascosto nei registri digitali di Atlantia, a Roma.
E ieri il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi, ha sottolineato come l' impianto dei sensori non sia stato ripristinato dopo il danno del 2016. Neppure quando Aspi aveva chiesto una consulenza tecnica all' ingegner Carmelo Gentile. Il professore del Politecnico di Milano, peraltro, aveva suggerito sensori di ultima generazione, ma la concessionaria non li aveva installati, inserendoli invece nel progetto di retrofitting (consolidamento) delle pile 9 (quella crollata) e 10 del ponte.
Operazione che sarebbe dovuta partire nell' ottobre del 2018. Il "Morandi" è crollato due mesi prima, il 14 agosto. L' ipotesi accusatoria è che si sia cercato di risparmiare sui costi. «Ed oggi ci chiediamo come Autostrade abbia compilato quel documento - ripete il procuratore - : non si capisce come nel catalogo in cui si presentano criticità generalizzate su altri ponti, il Morandi invece sia classificato a rischio crollo localizzato».
Aspi ribatte che si trattava di "rischio teorico". «Se arriva una relazione sul rischio di crollo, parliamo della sicurezza dei cittadini italiani.
E Autostrade che fa? Parla di rischio teorico? Qual è il rischio pratico allora? Per il rischio teorico sono morte delle persone», dice il ministro Luigi Di Maio, parlando al programma tv "L' aria che tira".
Il documento imbarazza Autostrade, che ha sempre sostenuto di "non avere mai letto nero su bianco di rischio crollo". Tanto che ieri in una nota ha ripetuto: «In merito...
ad alcuni sensori che erano presenti sul Ponte Morandi, la società ricorda che nessuna delle analisi svolte sul viadotto Polcevera, anche da qualificati soggetti terzi, aveva evidenziato allarmi sulla sicurezza dell' infrastruttura».
E ancora Autostrade «dichiara di essere il primo soggetto interessato affinché vengano chiarite eventuali responsabilità, sia in sede di incidente probatorio che successivamente nell' ambito del processo». Si riferisce anche ai report di Spea, la società "gemella", delegata al monitoraggio della rete autostradale. Ieri, l' ex ad di Spea Antonino Galatà, indagato anche per i falsi report su una dozzina di viadotti sparsi in tutta Italia, davanti al pm Walter Cotugno di Genova si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Comunque, il documento sul "rischio crollo" tira in ballo anche Atlantia, la capogruppo. Quel documento è stato vagliato dai cda delle due società. E in quello di Aspi dal 2015 al 2018 era presente anche un funzionario del ministero delle Infrastrutture, come membro del collegio dei sindaci: Antonio Parente, ancora in prorogatio. «Ho letto quello che avete letto voi. Per me è inaccettabile. Anche intellettualmente incomprensibile», dice il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Paola De Micheli, commentando la presenza del ministero a quella riunione del 2015.
Fonte: qui