9 dicembre forconi: 12/28/16

mercoledì 28 dicembre 2016

GERMANIA: SALARI ALLA SOGLIA DELLA POVERTÀ, SEMPRE PIÙ TEDESCHI INDEBITATI

Nonostante nell’opinione pubblica italiana sia largamente diffusa l’idea che in Germania le condizioni dei lavoratori siano ottimali, o comunque migliori rispetto a quelle del nostro paese, un recente rapporto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali svela un’altra verità. Il numero dei cittadini tedeschi che vive alle soglie della povertà è in costante crescita.
di Von Lisa Schwesig,13 Dicembre 2016
Sempre più famiglie tedesche sono indebitate. Questo è quanto riportato dal rapporto sulla povertà, finora inedito, redatto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Se nel 2013 le famiglie con debiti erano 1,97 milioni, nel 2015 la cifra ha raggiunto i 2,05 milioni. Secondo il quotidiano “Bild”, che cita il rapporto ufficiale, questa condizione affligge quasi 4 milioni di adulti in Germania, numeri che lo stesso Ministero ha in seguito confermato a n-tv.  Una tendenza  in aumento costante dal 2006, che non dà cenni di inversione di rotta.
Secondo l’analisi del Ministero l’indebitamento dei tedeschi è legato principalmente alla “povertà di reddito”. Rispetto al 2012 i livelli di reddito dei cittadini sono aumentati in modo significativo. Nel 2015, i lavoratori tedeschi hanno guadagnato in media il 10,7% in più. Ciò soprattutto grazie alle buone condizioni economiche del paese. Tuttavia, gli affitti e il costo della vita sono aumentati proporzionalmente agli stipendi.
Inoltre, un dipendente su dieci lavora per una retribuzione oraria inferiore ai dieci euro. Il guadagno si posiziona quindi appena sopra la soglia di povertà. Nella Germania orientale più di un terzo dei lavoratori percepisce un salario di basso livello. Allo stesso tempo cresce anche in Germania occidentale il numero dei lavoratori a basso salario. La maggior parte dei lavoratori a basso reddito vive in Meclemburgo-Pomerania Anteriore, dove oltre il 35% dei dipendenti percepisce un misero stipendio. Nella zona di Amburgo, invece, vive una percentuale di lavoratori a basso reddito nettamente inferiore (solo il 15%).
 Hartz IV in costante aumento
La relazione svela numeri importanti anche per ciò che concerne il “reddito di sostegno”.
Nel 2015 quasi 8 milioni di persone sono state dipendenti da servizi come l’Hartz IV. Si tratta di quasi 800 mila persone in più rispetto a cinque anni prima. La quota percentuale dei destinatari dell’Hartz IV è così aumentata del 10%.

A questo dato va aggiunto il crescente numero dei senza tetto in Germania. A detta del rapporto, oltre 335 mila persone vivono senza fissa dimora. Si tratta di una condizione permanente per oltre il 10% di questi individui. Sommando i dati, negli ultimi dieci anni il numero di persone senza una propria abitazione è quindi cresciuto di quasi il 25%.
Mentre sempre più persone si trovano costrette ad affrontare una condizione di povertà, cresce parallelamente il numero dei milionari. Se nel 2009 erano circa 12.500 le persone che potevano vantare un reddito annuo di 1 milione di euro, nel 2015 si contano in Germania circa 4.000 milionari in più. Questi ultimi hanno versato al Paese, solo lo scorso anno, quasi tre milioni di euro di tasse.
Il rapporto completo su povertà e ricchezza in Germania verrà pubblicato dal Ministero del lavoro nella primavera del 2017. La relazione viene redatta ogni 3/4 anni da circa un centinaio di esperti.

Fonte: qui

Il 2016 è stato l’anno della bugia

Anziché la bugia dell’anno, il 2016 è stato l’anno della bugia. Non si contano, infatti, la quantità di bugie, falsità, ipocrisie che sono riusciti a somministrarci quest’anno. Ci hanno riempiti quotidianamente di dati, indicatori, numeri sulla crescita, sul benessere, che non abbiamo né visti né sentiti. Ci hanno garantito la tutela e il ristoro del risparmio truffaldinamente sottratto dalla mala gestione delle banche e chiudiamo il 2016 con un decreto di salvataggio sul Monte dei Paschi di Siena per venti miliardi, che sarà altro debito sulle nostre spalle. Soldi che oltretutto non basteranno perché la dimensione del buco contabile del colosso senese è talmente oceanica da essere sconosciuta, come sono sconosciuti i misteri che avvolgono la storia dell’istituto toscano, ma che comunque in primis servono a salvare i parassiti finanziari e i grandi Usurai.
Ci hanno bombardato sull’utilità e sulla necessità dell’accoglienza e ci ritroviamo invasi da una massa di clandestini che nessuno è in grado di identificare e di gestire. Extracomunitari che sbarcano a fiumi dalle navi militari, che utilizziamo per andare a prenderli e salvarli e che poi, nella più parte, si sparpagliamo nel Paese per fare danni, malaffare, violenze, furti e lavoro nero. Parliamo di centinaia di migliaia di persone, per lo più islamiche, di cui nulla sappiamo e nulla possiamo sapere, tanto è vero che gli stessi paesi dai quali dichiarano di provenire nella quasi totalità dei casi li disconoscono. Eppure ci hanno fatto credere che sono una risorsa, una provvidenza, una garanzia per il welfare e per le nostre pensioni, come se senza di loro saremmo perduti. Tanto l’hanno detto e sbandierato da convincere specialmente gli immigrati che, appena sbarcano, protestano, alzano la voce, pretendono e battono cassa come fossero padroni dell’Italia. Hanno negato con sdegno ogni collegamento fra sbarchi e terrorismo, insultando chiunque li ammonisse dal continuare con la scellerata politica dell’accoglienza, eppure oggi si accorgono che un legame fra le cose c’è eccome.

Andrebbero aiutati a casa loro e non derubati delle loro risorse e sciacallati in ogni modo dalle multinazionali(che sono alla ricerca del profitto senza alcun limite).  

Ci hanno giurato un rimedio equo alle follie della Legge Fornero e hanno scodellato la vergogna dell’Ape (Anticipo pensionistico), fatta apposta perché non cambi nulla. Ci hanno dato la parola sulla revisione della spesa, ma le pensioni d’oro, i vitalizi, i super stipendi di Stato e i compensi da sceicco dei manager pubblici continuano a crescere e restare. Hanno sbagliato, mentito e disatteso così tanto da farsi bocciare tutto, dall’Europa, dalla Corte costituzionale e dagli italiani sul referendum.
Eppure stanno lì, hanno cambiato Matteo Renzi con il suo gemello in sedicesimi, ma tutti gli altri nonostante le promesse sono rimasti incollati alle poltrone, come se il quattro dicembre avessero vinto loro. Hanno cacciato solo la Giannini per mettere al suo posto una ministra, la Fedeli, che ha dichiarato una laurea fasulla pur di diventare capo della Pubblica istruzione, roba da matti. Insomma, in un anno sono riusciti a dire tante balle e bugie da inzeppare tutti i trecentosessantacinque giorni, come un barattolo di sardine.

Chiudiamo il 2016 con più debito, più clandestini, più povertà, più ingiustizia, più giovani disoccupati, un fallimento che spacciano per successo. Chiudiamo l’anno con la gente avvelenata dai disservizi, dall’insicurezza, dagli scandali e dal menefreghismo sull’esito del voto referendario, con le tasse alle stelle e con i salvataggi degli speculatori finanziari e degli Usurai, uno vero schifo insomma.
Chiudiamo così, con questo bilancio, con questo Governo, con questa maggioranza, chiudiamo con la matita in mano perché prima o poi torneremo a votare.

Elide Rossi e Alfredo Mosca

Fonte: qui

Operai delle fabbriche Zara, H&M e Gap in sciopero: “Guadagniamo solo 56 euro al mese”

Migliaia di lavoratori sono stati licenziati in Bangladesh per aver partecipato a scioperi e chiesto salari più alti: molti di loro producevano gli abiti venduti da alcuni tra i più prestigiosi marchi europei e statunitensi.

Almeno 1.500 operai sono stati licenziati in Bangladesh per aver partecipato a scioperi e agitazioni che – per un'intera settimana – hanno bloccato la produzione all'interno di dozzine di stabilimenti che lavorano per alcuni tra i più prestigiosi marchi di abbigliamento europei e nord americani, come Zara, H&M e Gap. Decine di migliaia di persone hanno preso parte a mobilitazioni e iniziative di protesta per chiedere la triplicazione del salario mensile, oggi inchiodato ad appena 5.300 taka, circa 60 euro, una cifra considerata decisamente insufficiente a garantire un'esistenza dignitosa.

Gli scioperi organizzati nel corso dell'ultimo mese hanno destato non poche preoccupazioni tra i dirigenti di importanti marchi di abbigliamento, che temono ritardi nella consegna della collezione estiva e di conseguenza ingenti danni economici. Anche per questo la repressione delle proteste è stata dura, con la polizia che ha sparato durante le manifestazioni decine di proiettili di gomma ferendo 10 lavoratori, tra i quali Taslima Akhter, leader di un importante sindacato. Come se non bastasse alle manganellate e agli arresti si sono aggiunti i licenziamenti: martedì scorso, il 20 dicembre, 1.500 operai sono stati allontanati dal posto di lavoro, mentre altri trenta sono stati trasportati in carcere. "Tutte le fabbriche hanno ripreso la regolare produzione. Il 90% dei lavoratori sono tornati ai loro posti", è stato il commento, entusiasta, del capo della polizia.

Come detto, tra le grandi aziende coinvolte ci sono anche marchi come Zara, H&M e Gap: “I marchi occidentali, committenti delle fabbriche tessili bengalesi, sono corresponsabili delle condizioni di sfruttamento in cui versano i dipendenti – spiegava al Fatto Quotidiano a luglio Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti – Gli operai lavorano 12-14 ore al giorno, fanno straordinari obbligatori e salari bassissimi: uno stipendio dignitoso equivale a 337 euro, mentre il salario minimo si ferma a 56 euro. E gli ambienti sono pericolosi: chi va a lavorare in una fabbrica tessile, rischia di non tornare a casa”. Come accade nel 2013, quando in seguito al crollo del complesso Rana Plaza persero la vita 1.129 persone, in larghissima parte lavoratori tessili.

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Gli Usa leader mondiali della vendita di armi: controllano metà del mercato globale


Un report del Congresso americano segnala un calo delle vendite di armi a livello mondiale ma gli Usa continuano a farla da padrone con il 50% delle vendite complessive.

Gli Stati Uniti si confermano leader a livello mondiale nella fornitura di armi di tutti i tipi. È quanto emerge da uno studio sul mercato mondiali delle armi condotto per conto del Congresso americano e riportato dal New York Times. Secondo il report, che si riferisce ai dati del 2015, gli statunitensi controllano circa metà del mercato globale delle armi lasciando a debita distanza il Paese in seconda posizione in questa particolare classifica: la Francia.

Se il mercato globale della armi convenzionali vale a dire aerei, carri armati, cannoni, navi e missili, nel 2015 ha fatto segnare complessivamente 80 miliardi di dollari di scambi,  in calo rispetto agli 89 miliardi di dollari dell'anno precedente, gli Usa infatti ne hanno vendute per un valore di 40 miliardi di dollari, per un aumento di 4 miliardi. La Francia, che risulta seconda, invece ha venduto armi per 15 miliardi di dollari facendo segnare però un incremento di vendite pari a 9 miliardi, oltre il doppio del 2014. Segue poi la Russia con 11 miliardi e in leggero calo rispetto al 2014, e la Cina ferma a soli 6 miliardi di dollari di armi vendute.

Per quanto riguarda gli acquirenti, invece,  anche per il 2015 i maggiori restano i Paesi avanzati per un totale di oltre 65 miliardi di dollari ma avanzano atri Paesi in via sviluppo, come il Qatar e l'Egitto. Secondo lo stesso rapporto, il calo delle vendite globali riscontrato l'anno scorso è legato alla crisi economica e all'economia debole che ha spinto alcuni stati a tagliare le spese militari. "Problemi di bilancio hanno spinto molti Paesi a posticipare o limitare gli acquisti. Alcuni Paesi hanno scelto di non acquistare nuove armi e di ammodernare i loro sistemi esistenti" sottolinea infatti il report.


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