9 dicembre forconi: 09/29/16

giovedì 29 settembre 2016

L'OPEC TROVA L'ACCORDO E PROMETTE DI TAGLIARE LA PRODUZIONE




IL PREZZO SCHIZZA SOPRA I 47 DOLLARI 

PREPARATEVI A UN'IMPENNATA DELLA BENZINA


OPEC TROVA ACCORDO, PRODUZIONE SCENDE A 32,5 MLN BARILI
prezzo petrolio vertice opecPREZZO PETROLIO VERTICE OPEC
 (ANSA) - L'Opec trova un difficile accordo per il taglio delle quote di produzione e il prezzo del petrolio mette le ali, tornando sopra quota 47 dollari e segnando in pochi minuti un guadagno di oltre il 6%. Il vertice informale di Algeri, dove per tre giorni i principali Paesi produttori si sono confrontati alla ricerca di un'intesa che non scontentasse nessuno, in particolare i due 'avversari' Arabia Saudita e Iran, si sarebbe concluso con la decisione di far scendere il tetto della produzione dai 33,2 milioni di barili del mese scorso a 32,5 milioni di barili.

PETROLIO ISLAM BELGIOPETROLIO ISLAM BELGIO
Manca ancora l'ufficialità e l'intesa potrebbe essere ratificata il 30 novembre a Vienna, ma i mercati sono apparsi convinti che ormai la quadra sia stata trovata. A pagare il conto più salato, secondo la proposta presentata dall'Algeria, dovrebbe essere il colosso saudita, principale fautore della politica di prezzi bassi di questi anni, che vedrà la produzione scendere di circa 400 mila barili, seguito da Emirati Arabi (circa 150mila barili in meno) e Iraq (circa 130mila in meno).
re salman al saud arabia saudita petrolioRE SALMAN AL SAUD ARABIA SAUDITA PETROLIO

Libia e Nigeria conserverebbero le quote attuali, mentre l'Iran, il più resistente all'idea di congelare la produzione con l'obiettivo di tornare ai livelli pre-embargo, verrebbe in sostanza accontentato con un piccolo incremento, pari a circa 50mila barili al giorno. Il taglio della produzione, il primo da otto anni a questa parte, ha immediatamente messo il turbo alle quotazioni, che nel giro di pochi minuti hanno superato quota 47 dollari, dai 44 circa su cui avevano viaggiato per tutta la giornata, chiudendo a 47,05.
shale oil estrazione petrolioSHALE OIL ESTRAZIONE PETROLIO

Del resto non era certo scontato che i paesi membri del Cartello raggiungessero un accordo, vista la tenace opposizione di Teheran, che vuole trarre vantaggio dalla nuova condizione di libertà di azione determinata dalla fine delle sanzioni e dell'embargo.

rouhaniROUHANI
La situazione economica internazionale, tuttavia, ha probabilmente avuto la meglio sulla geopolitica: le previsioni su prezzi in picchiata e domanda ancora in ribasso a fronte di un'offerta sovrabbondante (le ultime sono arrivate proprio ieri da Goldman Sachs) non sono rimaste inascoltate al tavolo del grandi produttori, dove sedeva anche la Russia pur non essendo membro effettivo del Cartello. 

E proprio Mosca, insieme ad Algeria e Qatar, avrebbe convinto Arabia e Iran della necessità di dare una sforbiciata alla produzione per il bene di tutti.

Fonte: qui

BANCHE TEDESCHE in crisi: DB parte con le svendite, CB licenzia personale.

Pian pianino i tasselli vengono fuori e scopriamo (si fa per dire, visto che già lo sapevamo) che tutto il mondo è paese. E la Germania, che fa il pugno duro sopratutto in una fase dove la propaganda politica deve lasciare messaggi forti all’elettorato (vedi Merkel in Germania e anche Renzi in Italia) si ritrova con un mondo bancario che ha poco da invidiare a livello di problematiche, a quello italiano.
Su Deutsche Bank saprete già tutto, nel mio piccolo ho cercato di rilasciarvi qualche dettagli aggiuntivo che, spero, sia stato gradito dai lettori.
Ora però iniziano ad affiorare quelle che io definisco le necessità. E questo è un vero problema in quanto, fino ad oggi, i problemi sono stati messi in un cantuccio, cercando di minimizzare e di spostarli avanti nel tempo.
Ma quando un problema genera delle necessità, allora bisogna prendere coscienza che occorre agire. E Deutsche Bank lo fa.
Deutsche Bank ha dato il via libera per vendere la sua società di assicurazioni inglese Abbey Life Assurance Co. a Phoenix Group per 935 milioni di sterline, circa 1,09 miliardi di euro. (…) Deutsche Bank aveva acquistato Abbey Life, con sede a Bournemouth, nove anni fa per 1 miliardo di sterline. (…) La cessione di oggi era stata quindi già pianificata dal nuovo ceo di Deusche Bank, John Cryan, faceva parte del piano di ristrutturazione del colosso tedesco. Abbey Life, secondo quanto ha scritto il Financial Times lo scorso aprile, gestiva contratti nel 2000 (da allora la società non ha più pubblicato alcun bilancio) per 12 miliardi di sterline, per lo più in “closed life policyholder assets”. (MF) 
Il fatto però è che a conti fatti, questa non è una vendita ma una SVENDITA. Bisogna far cassa, racimolare tutto il possibile, per salvare capra e cavoli. Ed evitare che poi..,.siamo cavoli nostri (per induzione, visto il rischio sistemico che rappresenta Deutsche Bank).
Ma se Deutsche Bank fa acqua da tutte le parti e ricorre già ai saldi di “inizio stagione”, un altro colosso tedesco, Commerzbank, di certo non brilla per efficienza e qualità. A partire dal suo andamento in borsa.

Questo è il grafico sovrapposto di Commerzbank con Deutsche Bank da inizio 2015. Oggi CB vale circa la metà, DB il 40%. Inoltre fonti attendibili mi hanno fatto sapere che per CB il dividendo 2016 è stato cancellato. E c’è anche chi parla di fusione “monstre” tra i due elefanti. Al momento è solo un’ipotesi e secondo me resterà tale. Ma sintetizza lo stato di difficoltà e di necessità in cui si trovano i due istituti tedeschi.
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(…) Oltre ai timori per un maxi aumento di capitale da parte di Deutsche Bank, pesano le indiscrezioni, riportate dal quotidiano Handelsblatt che cita fonti anonime del settore finanziario, sul taglio di 9.000 posti di lavoro nei prossimi anni e nessun dividendo per il 2016 per Commerzbank (era atteso pari a 20 centesimi di euro), titolo anch’esso in calo del 2,85% alla borsa di Francoforte. Secondo gli analisti di Equinet, tale riduzione supererebbe le attese di circa 5.000 posti. (MF) 
Non saremo ai livelli di Deutsche Bank, ma questo ci fa capire che il problema non è solo DB, ma tutto il sistema bancario tedesco. Se poi ci aggiungiamo LB e SC (LEGGETE QUI) il quadro è fatto. Morale: è un problema anche di struttura e di qualità di sistema. Anche si tedeschi fanno tanto i fighi, devono sapere che hanno le banche MENO EFFICIENTI in Europa. Guardate questo grafico. Su 73 euro spesi, hanno un guadagno di 100. il peggior dato a livello europeo. 
O se preferite, rappresenta il più alto cost-to-income ratio. 
E per assurdo le nostre bistrattare banche italiane, hanno un cost-to-income ratio migliore.
cost-to-income-ratio-banche-eurozona
Se poi vogliamo farci del male fisico, prendiamo proprio Deutsche Bank e mettiamola a confronto coi “peers” (paritetici) europei. Ecco il risultato.

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Quindi se le banche tedesche vanno male è colpa dei derivati, della leva finanziaria, ma anche delle sofferenze e degli NPL. Ma sopratutto è colpa anche di una malagestione che, al momento non è stata ancora presa in considerazione, ma che dovrà obbligare il mondo bancario teutonico ad un cambiamento che sia di tipo strutturale.
La mossa di Commerzbank va in quella direzione, senza dubbio.
Fonte: qui

Usa-Russia, la terza guerra mondiale si avvicina


Com’era ovvio, sull’attacco a un convoglio Onu in Siria la macchina del fango è entrata in azione a tempo di record. In testa al plotone di chi accusa l’esercito siriano e quello russo ci sono Francia, Usa e l’inutile ormai ex numero uno dell’Onu, Ban-Ki-Moon. 
A vario titolo hanno puntato il dito contro Damasco e Mosca, ma hanno scordato un particolare: le prove. Chi invece ha portato tracciati radar e filmati girati dai droni, chiedendo un’indagine indipendente sull’accaduto è stato il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov. 
Risposta alla sua richiesta? Casualmente, non pervenuta.
Primo, c’è un filmato girato da un drone nel quale si vede il convoglio Onu che viaggia scortato da quello che appare un mezzo blindato con un cannoncino montato sulla parte alta. Lo sappiamo con certezza perché i russi hanno seguito il convoglio con droni, proprio perché passava vicino a zone in mano ai terroristi, cessando la sorveglianza quando il convoglio è arrivato. Sotto accusa sono finiti i cosiddetti Elmetti Bianchi, una strana organizzazione sempre al seguito dei terroristi di Al-Nusra: è una sorta di Ong dei qaedisti, ma si fa passare per organizzazione umanitaria e i beoti occidentali, ovviamente, accreditano la tesi. Di più, i filmati russi dimostrano, con foto, che il convoglio non è stato bombardato dal cielo, bensì incendiato appena giunto a destinazione. 
Secondo, un drone d’attacco Predator della coalizione a guida Usa si trovava in zona nel momento in cui, il 19 settembre, è stato colpito il convoglio umanitario Onu vicino ad Aleppo: lo sostiene il ministero della Difesa russo, a detta del quale il drone era decollato dalla base aerea turca di Incirlik. Stando al generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il drone “è stato identificato” dai sistemi di rilevazione russi “come drone di tipo Predator”. L’apparecchio – sostiene Konashenkov – “è arrivato nella zona del villaggio di Uram al-Kubra, dove si trovava la colonna” di autocarri con gli aiuti umanitari, “alcuni minuti prima dell’incendio ed è andato via circa 30 minuti dopo”. Sempre stando al generale russo, il drone si trovava a un’altezza di 3.600 metri e viaggiava a una velocità di circa 200 chilometri all’ora. Smentite Usa al riguardo? Zero. 
Terzo, il ministro degli Esteri americano, John Kerry, a seguito di quello che gli Usa hanno chiamato “un incidente”, ovvero il bombardamento di una colonna di militari siriani, ha chiesto l’imposizione di una no-fly zone, di fatto l’interdizione al volo per i caccia dell’aeronautica siriana. Stranamente, questa richiesta non solo garantirebbe un vantaggio sul campo enorme per Isis e ribelli moderati, ma è anche arrivata a stretto giro di posta dal cambio delle regole d’ingaggio posto in essere dai russi, i quali da oggi in poi colpiranno qualsiasi velivolo attacchi l’esercito siriano, siano essi americani o israeliani. 
Quarto, pur non essendoci conferme della notizia (cosa abbastanza normale vista la delicatezza dell’accaduto), la Russia non si sarebbe limitata a portare le prove, ma avrebbe già risposto all’incidente che ha visto morire sotto il fuoco Usa una settantatina di soldati siriani. Mercoledì, infatti, le navi da guerra russe di stanza al largo della Siria avrebbero colpito e distrutto un centro di operazioni militari, uccidendo tra i venti e i trenta ufficiali dei servizi segreti israeliani e occidentali. 
“Le navi hanno sparato 3 missili Kalibr sul centro di coordinamento operativo degli ufficiali stranieri nella regione di Dar al-Iza, a ovest di Aleppo presso il jabal Saman, eliminando 30 ufficiali israeliani e occidentali”, afferma l’agenzia Sputnik, citando fonti militari di Aleppo. Il centro operativo era situato nell’ovest della provincia di Aleppo, sul monte Saman, in vecchie cave. Diversi ufficiali di Stati Uniti, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Regno Unito sono stati eliminati assieme a ufficiali israeliani: questi ufficiali, eliminati nel centro operativo di Aleppo, dirigevano gli attacchi dei terroristi su Aleppo e Idlib. Se fosse confermata, la notizia avrebbe un doppio valore strategico, perché proverebbe il coinvolgimento diretto di servizi segreti occidentali e israeliani al fianco di ribelli e terroristi in Siria, ma anche la volontà della Russia di smettere con la diplomazia e rispondere colpo su colpo, anche contro forze di sicurezza occidentali.
Quinto, sempre parlando di navi russe e sempre mercoledì, Mosca ha annunciato che la portaerei Admiral Kuznetsov, la più grande della flotta, sarà dispiegata davanti alle coste siriane, per rafforzare le capacità militari in appoggio alle truppe governative. “Al momento il dispiegamento navale russo nell’Est del Mediterraneo consiste in sei navi da guerra e tre di sostegno logistico”, ha detto il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, e al gruppo si unirà la Kuznetsov. Il fatto che la Russia abbia appena sentito il bisogno di compiere una dimostrazione di forza navale ancora più rilevante implica che ben presto anche gli Stati Uniti risponderanno prontamente alla mossa russa. C’è da dubitare che questi sviluppi porteranno a una de-escalation delle ostilità nella regione, tanto più che quella portaerei dispone di un sistema completo di difesa che contempla che l’utilizzo di sottomarini e caccia torpedinieri. 
Sesto, la malafede di Onu e Usa quando si parla di Siria è sostanziata anche da altro. Parlando al Palazzo di vetro nel giorno del suo addio, Ban-Ki-Moon ha detto che “nessuno ha ucciso tanti siriani come Assad”, provocando lo spellamento delle mani dei vari papaveri presenti in sala. La risposta siriana non si è fatta attendere, visto che il ministero degli Esteri ha ricordato come il Segretario generale “è stato protagonista dello scandalo di ritirare il rapporto che ha condannato l’Arabia Saudita in cambio di un pugno di dollari”. E non scordiamoci l’altro capolavoro di Ban-Ki-Moon, ottenuto con l’appoggio americano: mettere l’ambasciatore saudita all’Onu a capo del Comitato consultivo per i Diritti Umani. Tanto per restare in tema, sempre mercoledì il Senato Usa ha dato via libera alla vendita di armi all’Arabia Saudita per un controvalore di 1,5 miliardi di dollari, bocciando l’atto di veto presentato da alcuni membri del Congresso. Tutte armi che andranno ad ammazzare donne, vecchi e bambini in Yemen: ma di quelli, chissenefrega. 
Come vedete, lo cose non stanno esattamente come vi raccontano Repubblica e Corriere o come ve le mostrano i telegiornali: da un lato, infatti, c’è chi porta le prove a discarico della propria colpevolezza, dall’altra c’è chi denuncia a vanvera, forte però dell’appoggio mediatico pressoché assoluto e di istituzioni corrotte come l’Onu. Ve lo dico sempre, ma adesso più che mai: informatevi da più fonti, cercate riscontri e prove, non accettate passivamente le versioni ufficiali. 
E aggiungo, se permettete, anche una nota di campanilismo e pragmatismo. “L’Italia sta perdendo quote di mercato importanti nell’export verso la Russia”, questo l’avvertimento lanciato mercoledì dall’ambasciatore di Mosca, Sergey Razov, parlando a Bolzano al Seminario Italo-russo organizzato dall’Associazione Conoscere Eurasia, dal Forum Internazionale di San Pietroburgo e dalla Camera di Commercio di Bolzano. “Se fino allo scorso anno eravate saldamente il nostro quarto Paese fornitore, ora siete il quinto”. Scavalcati da chi? Dagli Usa, ovviamente, cioè da coloro che hanno imposto all’Europa di applicare il blocco commerciale alla Russia: “Questo giusto per far capire a chi giovano le sanzioni”, ha spiegato l’ambasciatore. 
Stando a un report della Cgia di Mestre, dal 2014 (anno della loro introduzione) le sanzioni sono costate al nostro made in Italy 3,6 miliardi di euro, quasi tutti ascrivibili al comparto manifatturiero (macchinari, abbigliamento, autoveicoli, metallurgia, mobili, elettronica) e il crollo delle esportazioni ha coinvolto sopratutto le imprese della Lombardia (-1,18 miliardi), dell’Emilia Romagna (-771 milioni) e del Veneto (-688 milioni). Non solo, ma stando agli ultimi dati resi noti ieri al seminario di Bolzano, nei primi 6 mesi del 2016 gli scambi hanno registrato un’ulteriore perdita del 48,8%. Dei veri strateghi, non c’è che dire. 
Mauro Bottarelli
DI MAURO BOTTTARELLI