9 dicembre forconi: 11/28/18

mercoledì 28 novembre 2018

PERCHÉ LA COMMISSIONE EUROPEA NON APRE UNA PROCEDURA PER SQUILIBRIO MACRO ECONOMICO CONTRO LA GERMANIA? LA RISPOSTA STA NEI TRATTATI: L’ECCESSO DI SURPLUS, A DIFFERENZA DI DEFICIT E DEBITO, NON È SANZIONABILE FORMALMENTE.


L’ATTIVO DELLE PARTITE CORRENTI TEDESCHE SUPERA LA SOGLIA OLTRE CUI SI PARLA DI SQUILIBRIO, MA…

Beda Romano per www.ilsole24ore.com

CONTE JUNCKERCONTE JUNCKER
L'attesa decisione della Commissione europea di raccomandare ai paesi membri l'apertura di una procedura per debito eccessivo contro l'Italia ha scatenato non pochi commenti. Alcuni si chiedono come mai altri paesi con debiti elevati non abbiano subito questa stessa scelta. Altri si interrogano sulle ragioni per cui la Germania, le cui partite correnti sono in forte surplus, non sia oggetto di una procedura per squilibrio macroeconomico.

Deficit e debito: regole scolpite nei Trattati
MERKEL JUNCKER1MERKEL JUNCKER
In realtà, il caso italiano sul fronte debitorio e il caso tedesco sul versante economico non possono essere messi sullo stesso piano. In questo caso la parola procedura è fuorviante. Al deficit e al debito è stato riservato molto spazio nei Trattati. Le stesse procedure per debito e deficit eccessivi sono spiegate comma per comma nell'articolo 126. D'altro canto, l'unione monetaria è una confederazione di stati sovrani. Mantenere un deficit sotto al 3% del PIL e un debito che si muove gradualmente verso il 60% del PIL è un impegno giuridico, oltre che politico, per garantire la stabilità dell'euro.

Gli squilibri economici non sono inseriti nei Trattati
Viceversa, la procedura per squilibrio eccessivo non è inserita nei Trattati. È nata grazie a un regolamento nel 2011 sulla scia della crisi finanziaria del 2007 quando scoppiò la bolla borsistica e alcune grandi banche europee rischiarono il fallimento, mettendo in crisi interi paesi. L'obiettivo della procedura, che può prevedere in ultima analisi sanzioni, è di evitare che emergano gravi e pericolosi squilibri nella zona euro. Il regolamento ha individuato 14 indicatori con i quali capire attraverso una analisi generale se vi sia o meno il rischio di squilibrio macroeconomico.

Gli squilibri macro sono 14 e vengono considerati nel complesso
Accanto ad ogni indicatore, da considerare insieme e non singolarmente, sono stati inserite soglie con le quali interpretare gli eventuali rischi. Tra gli indicatori, vi è quello delle partite correnti. Secondo il regolamento comunitario, in questo caso la soglia indicativa di un possibile squilibrio è del 6% del PIL in caso di surplus e del 4% del PIL in caso di deficit. La Germania registrava nel 2017 un attivo delle partite correnti, pari al 7,8% del PIL, ben superiore quindi alla soglia 6% del PIL (ma in calo dall'8,3% dell'anno precedente).

Non confondere violazione delle regole con valutazione dei rischi
conte juncker 2CONTE JUNCKER 
Alcuni commentatori in Italia sostengono che per questo motivo la Germania dovrebbe essere oggetto di una procedura per squilibrio eccessivo. Alla luce dell'attesa procedura contro il governo Conte per debito eccessivo, l'accusa implicita è che la Commissione europea sia di parte e stia usando due pesi e due misure nei confronti dei due paesi. In realtà, si stanno mescolando pere e mele.

merkelMERKEL






I criteri di Maastricht relativi al deficit e al debito (3% e 60%) sono obiettivi vincolanti. Il loro superamento si traduce nella violazione di una regola inserita nei Trattati. Invece, i parametri previsti nella procedura per squilibrio eccessivo (-4/+6% del PIL, nel caso dell'indicatore relativo alle partite correnti) sono un semplice termine di raffronto, una soglia con la quale fare una valutazione dei rischi, insieme ad altre 13 lancette. L'attivo delle partite correnti tedesche è altissimo, e forse anche politicamente criticabile, ma non si traduce nella violazione di una regola; riflette solo un potenziale rischio, che comunque deve essere interpretato insieme ad altri indicatori.

Debito più rischioso del surplus
deutsche bankDEUTSCHE BANK
Proprio a questo riguardo e sempre a proposito della procedura per squilibrio macroeconomico, è da ricordare che secondo Bruxelles la Germania è un paese in una situazione di squilibrio macroeconomico; mentre l'Italia è insieme a Cipro e Croazia in una situazione di squilibrio macroeconomico eccessivo. Evidentemente, a torto o a ragione, la Commissione ritiene che l'alto debito pubblico italiano, sommato a una bassa produttività, sia più pericoloso dell'elevato attivo delle partite correnti tedesco.

Fonte: qui

Il franco CFA in Africa: neocolonialismo e dipendenza

Per chi avesse dubbi su quanto un’unione monetaria possa attivare meccanismi di tipo neocoloniale,un articolo di Economic Questions, che illustra il dispiegarsi di questo fenomeno nelle aree del franco CFA: 14 stati africani, la maggior parte ex colonie francesi, legati da una moneta comune ancorata all’euro e le cui riserve sono depositate in Francia. Qui la dipendenza esplicita dalla potenza coloniale è stata sostituita subdolamente da una finta indipendenza, fortemente limitata dalla mancanza di sovranità monetaria, che impedisce alle ex colonie di svilupparsi economicamente e di riguadagnare la propria vera autonomia. Chi si arricchisce, invece, è la Francia, per ammissione dei suoi stessi presidenti. Con la complicità delle élite governative locali filofrancesi, difese dalla Francia perché della Francia difendono gli interessi. Vi ricorda qualcosa?   


di Mariamawit Tadesse, 10 agosto 2018

La geopolitica francese in Africa è determinata dalle risorse naturali. Inizialmente l’area del franco era stata impostata come un sistema monetario coloniale, attraverso l’emissione di valuta nelle colonie, per evitare alla Francia di dover spostare materialmente denaro contante. Ma anche dopo l’indipendenza di questi paesi, il sistema monetario ha continuato a funzionare fino ad includere altri due stati che non erano ex colonie francesi. Al momento, le due aree del franco CFA comprendono 14 stati. Il fatto che ancora oggi la moneta di queste regioni sia ancorata all’euro (ex franco francese) e che le riserve siano depositate in Francia mostra il sottile neocolonialismo che la Francia sta perseguendo, senza alcun controllo. È un’unione monetaria di cui la Francia è il fulcro e su cui ha potere di veto. In questo è supportata dalle élite governative africane, che si affidano al sostegno economico, politico, tecnico e talvolta militare fornito dalla Francia. Non c’è da meravigliarsi quindi che queste ex colonie non abbiano sviluppato il loro pieno potenziale, dal momento che hanno barattato lo sviluppo consentito dalla sovranità con la dipendenza dalla Francia. Questo articolo indaga l’istituzione delle aree del franco CFA, i suoi legami con il neocolonialismo francese e la sua capacità di accrescere ulteriormente la dipendenza delle ex colonie dell’Africa occidentale e centrale.

Le aree del franco CFA

La prima area del franco fu istituita nel 1939 come area monetaria con il franco francese come valuta principale. Nel 1945 furono creati il ​​franco delle colonie francesi d’Africa (franco CFA) e il franco delle colonie francesi del Pacifico (franco CFP). Dopo l’indipendenza, Marocco, Tunisia, Algeria e Guinea abbandonarono il sistema. La Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) e l’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) sono le due aree del franco CFA. L’UEMOA comprende otto stati: Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau (ex colonia portoghese entrata nel 1997), Mali, Niger, Senegal e Togo. La loro moneta comune è il “Franco della Comunità Finanziaria dell’Africa” ​​(franco CFA), emesso dalla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Occidentale (BCEAO) con sede a Dakar, in Senegal. Il CEMAC comprende sei stati: Camerun, Repubblica centrafricana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea equatoriale (ex colonia spagnola entrata nel 1985) e Gabon. La loro moneta comune è il “Franco della Cooperazione Finanziaria dell’Africa” ​​(franco CFA), emesso dalla Banca Centrale degli Stati dell’Africa Centrale (BEAC) con sede a Yaounde, Cameroon. Si noti che fino alla fine degli anni ’70 sia la BCEAO che la BEAC avevano sede a Parigi.

Nel 1948 il cambio dei due franchi CFA fu fissato a 50 franchi CFA per franco francese. Nel 1994 i franchi CFA hanno subito una svalutazione, per l’esattezza del 50 per cento. Al momento il sistema istituito dalla Francia con le due aree comprende un cambio fisso rispetto all’euro, una garanzia di convertibilità da parte del Tesoro francese e infine un insieme di requisiti legali, istituzionali e politici. La zona franco CFA collega tre valute: le due aree e l’euro. Il franco CFA è fissato a 655,957 per 1 euro. UEMOA e CEMAC hanno ciascuna le proprie banche centrali, indipendenti l’una dall’altra. I franchi CFA possono essere convertiti in euro, ma non possono essere convertiti direttamente l’uno con l’altro. Il denaro viene inviato in Francia come conto operativo presso il Tesoro francese dalle due banche centrali. Inoltre, “almeno il 20 per cento delle passività a vista di ciascuna banca centrale deve essere coperto da riserve valutarie, almeno il 50 per cento delle riserve in valuta estera deve essere depositato nel conto operativo e si applicano sanzioni in caso di insolvenza. La Francia è anche rappresentata nel consiglio di entrambe le istituzioni.” In “Colonial Hangover: the Case of the CFA”, Pierre Canac e Rogelio Garcia-Contreras spiegano:

Il funzionamento dei conti operativi è fondamentale per mantenere la convertibilità dei franchi CFA al tasso di cambio ufficiale, mentre, allo stesso tempo, consente alle banche centrali regionali di mantenere una certa autonomia monetaria. I conti operativi sono accreditati con le riserve estere di BCEAO e BEAC, ma possono essere in passivo quando la bilancia dei pagamenti dei membri della zona CFA è negativa. In questi casi il Tesoro francese presta riserve estere alle due banche centrali. Questa speciale relazione con il Tesoro francese consente alle due banche centrali africane di mantenere la fissità del tasso di cambio pur consentendo loro di avere un controllo limitato sulla loro politica monetaria. L’ammontare del prestito concesso è illimitato, sebbene soggetto a diversi vincoli al fine di limitare l’espansione del debito. In primo luogo, le banche centrali ricevono interessi sul loro credito nel conto operativo, ma devono pagare un tasso di interesse progressivamente crescente sul loro debito nel conto. In secondo luogo, le riserve estere diverse dai franchi francesi o dagli euro potrebbero dover essere restituite – una pratica chiamata “ratissage”, o ulteriori riserve potrebbero dover essere prese in prestito dal FMI. In terzo luogo,il Tesoro francese nomina i membri dei consigli di amministrazione di BCEAO e BEAC per influenzare le rispettive politiche monetarie e assicurare la loro coerenza con la parità fissa. L’autonomia delle due banche centrali africane è dunque limitata dalle autorità francesi, prolungando così il rapporto coloniale tra la Francia e le sue ex colonie“.

A quanto pare, delegati francesi ricoprono posizioni importanti negli uffici di presidenza, nel ministero della Difesa, alla Banca centrale, al Tesoro, negli uffici della Contabilità e del bilancio e al ministero delle Finanze, il che consente loro di supervisionare e influenzare le decisioni politiche. Uno studioso francese ha osservato che in media i diversi ministri degli stati africani francofoni totalizzano in un anno duemila soggiorni a Parigi. Adom dimostra che il denaro custodito presso il tesoro francese frutta un interesse nullo o molto basso per le nazioni dell’area del franco. Nel 2007 l’ex presidente senegales Abdoulaye Wade aveva affermato che questi fondi avrebbero potuto essere utilizzati per stimolare gli investimenti, la crescita economica e alleviare la povertà nei paesi membri se non fossero bloccati in Francia.

Dopo la svalutazione del 1994 il cambio dei due franchi CFA fu fissato al nuovo tasso di 100 franchi CFA per franco francese. La causa di questa svalutazione è stata attribuita alla bassa competitività, in quanto il franco francese si era apprezzato rispetto alla valuta dei suoi principali partner commerciali. La competitività di queste zone si riferiva al mercato francese, ma non ai mercati mondiali. Negli anni ’80 c’era stato un calo del prezzo delle materie prime e una svalutazione del dollaro. Questo di conseguenza ebbe un impatto sulla crescita e sulle esportazioni di queste nazioni. I governi di queste aree si trovarono a fronteggiare disavanzi di bilancio, che finanziarono con prestiti richiesti all’estero fino a quando il FMI li sospese, nel 1993. Gli scambi tra le due unioni non sono significativi, a causa di un dazio esterno. I flussi di capitale tra le due aree sono fortemente limitati. La prospettiva che un’unione monetaria aumentasse gli scambi tra le aree del franco CFA non si è mai materializzata.

La Francia e il neocolonialismo


Come afferma Kwame Nkrumah: “...gli imperialisti… sostengono di voler “concedere” l’indipendenza alle ex-colonie, ma solo per farla seguire dai cosiddetti “aiuti” per lo sviluppo. Sotto la copertura di queste parole, tuttavia, escogitano innumerevoli modi per raggiungere gli stessi obiettivi precedentemente raggiunti dal colonialismo esplicito. L’insieme di questi moderni tentativi di perpetuare il colonialismo sotto la retorica della “libertà” è diventato noto come neocolonialismo“.

In “Government accounting reform in an ex-French African colony: The political economy of neocolonialism”, P.J.C. Lassou e T. Hopper affermano che “Il colonialismo non cessa con la dichiarazione di indipendenza politica o con l’ammainare l’ultima bandiera europea. La decolonizzazione è solo di formale facciata se alle ex colonie viene impedito di acquisire la base socio-economica e le istituzioni politiche per gestirsi come paesi sovrani indipendenti. La moderna manifestazione dei tratti coloniali e imperialisti è comunemente denominata neocolonialismo, ed è a volte associato al concetto di “dipendenza”. Il neocolonialismo si manifesta quando l’ex potere coloniale controlla ancora le istituzioni politiche ed economiche delle ex colonie“.

La Francia sta realizzando il ​​neocolonialismo, camuffando questo meccanismo come unione monetaria. Queste nazioni hanno abdicato alla loro sovranità in favore della Francia. Il neocolonialismo è un ostacolo allo sviluppo per le nazioni africane. L’intervento della Francia si è manifestato in termini economici, politici e militari. Gli “Accordi di cooperazione” furono firmati da leader africani che salirono al potere con l’aiuto della Francia al momento dell’indipendenza. D’altra parte, gli “Accordi speciali di difesa” fornivano alla Francia il potere di intervenire militarmente per proteggere i leader africani che tutelavano gli interessi della Francia. Infine, gli accordi economici impongono alle ex colonie di esportare in Francia materie prime come petrolio, uranio, fosfato, cacao, caffè, gomma, cotone ecc…, mentre importano beni e servizi industriali dalla Francia. Inoltre, queste nazioni sono tenute a ridurre o cessare le loro esportazioni di materie prime quando la difesa dell’interesse francese lo richiede.

Lassou e Hopper sottolineano che la parte di amministrazione economica è una parte trascurata delle politiche di sviluppo, specialmente nell’Africa francofona. Aggiungono inoltre che “Riforme basate sul mercato quando applicate nel Sud in generale e in Africa specificamente… promuovono il neocolonialismo, consentendo alle ex potenze coloniali di mantenere il controllo sulle istituzioni politiche ed economiche delle ex colonie a vantaggio delle multinazionali e del commercio con cui i paesi “del Sud” esportano materie prime a buon mercato verso i paesi “del Nord” e a loro volta importano beni e servizi ad alto valore aggiunto“.

Secondo l’Indice di sviluppo umano, su 187 paesi gli ultimi tre e sette dei peggiori dieci paesi si trovano nell’Africa francofona. L’approccio neocolonialista francese è estremamente sottile e paternalistico. L’ex presidente francese, Jacques Chirac, ha dichiarato: “Ci dimentichiamo di una cosa: cioè, gran parte del denaro che è nel nostro portafoglio [cioè dei francesi] proviene proprio dallo sfruttamento dell’Africa [per lo più dell’Africa francofona] per secoli”. Nel 2008 ha proseguito, “Senza l’Africa la Francia scivolerebbe al rango di una potenza del [terzo] mondo“.

Teoria della dipendenza nell’Africa francofona

L’Africa, l’Asia e l’America Latina hanno perseguito uno sviluppo sostenibile dopo aver ottenuto l’indipendenza. Tuttavia alcuni paesi sono riusciti a sviluppare efficacemente le loro economie. Negli anni Cinquanta Raul Prebisch e altri economisti elaborarono la teoria della dipendenza, che spiega perché “la crescita economica nei paesi avanzati industrializzati non ha necessariamente portato alla crescita nei paesi più poveri“. Prebisch riteneva che ciò fosse perché i paesi poveri (paesi periferici) esportano materie prime verso i paesi sviluppati (nazioni centrali) e importano i prodotti finiti. Esiste anche una relazione dinamica tra stati dominanti e dipendenti. Andre Gunder Frank teorizzò che il sistema capitalista mondiale fosse diviso in due sfere concentriche: centro e periferia. I paesi del centro avanzato hanno bisogno di materie prime a basso costo provenienti dalla periferia sottosviluppata e di un mercato di sbocco per i loro prodotti finiti.

Sono passati decenni da quando i paesi africani hanno ottenuto l’indipendenza. Tuttavia, questa indipendenza è stata sostituita da una relazione di dipendenza dai paesi dominanti, nota come post-colonialismo. Si ha dipendenza dai paesi dominanti “quando un paese è in grado di partecipare in modo definitivo o determinante al processo decisionale di un altro paese mentre il secondo paese non è in grado di avere la stessa influenza nel processo decisionale del primo paese“. Le politiche estere e interne delle nazioni africane indipendenti continuano ad essere influenzate da potenze esterne, in particolare i loro ex colonizzatori. La relazione post-coloniale nel caso delle ex colonie francesi è data dal ruolo dominante della Francia.

Il colonialismo francese è stato un colonialismo di stato. Era un governo diretto, in cui i capi locali assistevano gli amministratori francesi, il che portò alla nascita di élite locali che furono educate nel sistema francese. Le ex colonie furono indottrinate con la cultura, la lingua e la legge francesi. All’epoca dell’indipendenza, le colonie subsahariane si decolonizzarono in modo non violento, mentre le ex colonie britanniche ottennero la loro indipendenza attraverso la guerra, un modo violento che allentò le relazioni con la Gran Bretagna. Poiché la libertà dalla Francia è stata raggiunta attraverso la non violenza, fu naturale per le élite locali prendere il potere e mantenere i loro forti legami con la Francia.

Attraverso l’area del franco CFA, la Francia è in grado di controllare l’offerta di moneta, la regolamentazione monetaria e finanziaria, le attività bancarie, l’allocazione del credito e le politiche economiche e di bilancio di queste nazioni. Inoltre genera corruzione e diversione illegale di aiuti pubblici tra la Francia e le sue ex colonie. Ad esempio, gli aiuti pubblici francesi condizionali hanno costretto questi Stati africani a spendere gli “aiuti” in attrezzature, beni o contratti con imprese francesi, in particolare imprese di costruzione e di lavori pubblici.

S.K.B. Asante sottolinea che gli approcci di integrazione regionale non eliminano il neocolonialismo né la dipendenza dal continente africano. Afferma che “nessuno dei piani regionali permette di attaccare adeguatamente la questione onnicomprensiva della riduzione della dipendenza, né gli sforzi compiuti verso questo obiettivo hanno avuto un impatto significativo… il problema della dipendenza pone difficoltà ai paesi africani che tentano una strategia di integrazione regionale. La dipendenza funge da ostacolo allo sviluppo oltre a limitare gli effetti benefici dell’integrazione nell’economia nazionale e regionale“.

Performance economica delle aree del franco CFA

La Francia è il principale partner commerciale delle aree del franco CFA. Le aree del franco CFA, a differenza di altre nazioni africane, hanno evitato forti inflazioni grazie alla Francia. Tra il 1989 e il 1999 il 33% delle importazioni e il 40% degli investimenti esteri diretti in queste aree proveniva dalla Francia. Sono regioni che dipendono fortemente dalla Francia. Nonostante i loro legami con la Francia, queste aree del franco CFA rimangono estremamente povere. Le due regioni avevano una popolazione di 132 milioni nel 2008, il 70% si trova in UEMOA e il 30% in CEMAC. Il loro PIL totale è pari al 4% del PIL francese. Queste regioni sono “produttori ed esportatori di materie prime, tra cui petrolio, minerali, legname e prodotti agricoli e materie prime agricole, sono estremamente sensibili alle fluttuazioni dei prezzi mondiali e alle politiche commerciali dei loro partner commerciali, principalmente l’UE e gli Stati Uniti. I loro settori industriali sono piuttosto sottosviluppati”. Le nazioni non produttrici di petrolio all’interno delle aree del franco CFA hanno un PIL pro capite molto basso.

Secondo Assande Des’Adom, anche dopo che la moneta è stata svalutata, le aree del franco CFA soffrono ancora di disallineamenti valutari. Adom sottolinea che “gli attuali accordi monetari tra le ex colonie e la Francia sono stati progettati essenzialmente sulla base dell’interesse economico di quest’ultima. Un eminente economista ivoriano si spinge ancora oltre per spiegare come i paesi membri dell’area del franco finanziano indirettamente l’economia francese attraverso questi peculiari accordi monetari”.

L’area del franco CFA è messa sotto attacco dalla globalizzazione, dalla volatilità dei prezzi del petrolio e delle materie prime, oltre ai problemi di sicurezza regionale. Si può sostenere che la “dipendenza e le pratiche neocoloniali che caratterizzano la relazione tra la Francia e gli antichi possedimenti coloniali in Africa è l’impossibilità per i paesi CFA di accumulare riserve monetarie“. Nel mondo di oggi, il controllo di un paese viene effettuato attraverso modalità economiche e monetarie. Nkrumah aveva avvertito:

Lo stato neocoloniale potrebbe essere obbligato a preferire i prodotti fabbricati dalla potenza imperialista escludendo i prodotti concorrenti altrove. Il controllo sulla politica governativa nello stato neo-coloniale può essere assicurato tramite il pagamento per il costo della gestione dello Stato, piazzando funzionari pubblici in posizioni in cui possono dettare la politica e con il controllo monetario sui cambi attraverso l’imposizione di un sistema bancario sistema controllato dal potere imperialista“.

In conclusione, le aree del franco CFA continuano a essere dominate dalla volontà politica, dall’interesse economico e dalla strategia geopolitica perseguita dalla Repubblica francese. Sembra che alcuni leader dell’élite non si sottraggano all’influenza della Francia. Il presidente Omar Bongo del Gabon ha dichiarato: “La Francia senza il Gabon è come un’auto senza benzina, il Gabon senza la Francia è un’auto senza autista”. La citazione può essere applicata a quasi tutte le nazioni dell’area del franco. L’istituzione delle unioni monetarie avvantaggia la Francia più dei suoi membri. Il colonialismo francese sta impedendo lo sviluppo di queste nazioni e provocandone la dipendenza.

Fonte: qui

L’Europa deve trovare un accordo con l’Italia

Il Chief Economist di Deutsche Bank, dopo avere inaspettatamente difeso l’Italia in una nota intervista a Bloomberg di qualche tempo fa, sul Financial Times ora scopre le carte in tavola lanciando la sua proposta per risolvere il pericoloso scontro tra Italia e Bruxelles, che minaccia la sopravvivenza dell’euro: sarebbe saggio offrire all’Italia un prestito del MES, il cosiddetto meccanismo europeo di stabilità, per permetterle di riacquistare parte del suo debito, il cui costo è salito a causa dello spread, e consentirle così un certo spazio fiscale per investimenti e per la ripresa. Naturalmente per rendere digeribile la proposta all’opinione pubblica tedesca occorre correggere nella direzione della verità la storia finora raccontata della “dissolutezza” delle nostre finanze pubbliche. La digestione resta comunque difficile per l’Italia, che come noto ha già versato oltre 50 miliardi per finanziare i vari fondi salva stati. Questi hanno in realtà salvato le banche francesi e tedesche, e ora l’Italia pagherebbe questo prestito a interesse con un commissariamento del suo governo e una definitiva cessione di sovranità. In proposito è illuminante questo thread di @giuslit, che in pochi tweet spiega tutto. 
di David Folkerts-Landau, 12 novembre 2018

Un’altra crisi del debito sovrano nell’area dell’euro è inevitabile, a meno che l’approccio conflittuale della Commissione europea al problema del debito italiano non ceda il passo a una maggiore cooperazione. L’imminente deterioramento della posizione fiscale dell’Italia – trainato dall’aumento dei rendimenti obbligazionari, dal rallentamento della crescita e dalla prossima recessione – e la situazione politica stanno preparando il terreno a ulteriori turbolenze nei mercati. Solo la presunzione, tra gli investitori, che la Banca centrale europea garantirà l’accesso dell’Italia ai mercati internazionali sta impedendo un ulteriore aumento dei rendimenti.

Contrariamente ai pregiudizi diffusi, l’Italia è stata un paese parsimonioso. Il peso del suo debito è un retaggio del periodo precedente all’ingresso nell’eurozona. Da allora ha registrato un avanzo primario di bilancio (entrate superiori alle spese, al netto della spesa per interessi) quasi ogni anno. In confronto, tutti gli altri paesi della zona euro, ad eccezione della Germania, hanno accumulato disavanzi primari anno dopo anno. Dal 2000 il nuovo debito dell’Italia è stato tutto utilizzato per pagare gli interessi; non per finanziare la spesa. Inoltre, negli ultimi anni il paese ha anche ottenuto un avanzo delle partite correnti.

Tuttavia, la politica di riduzione del debito attraverso una politica fiscale restrittiva, insieme a dolorose riforme strutturali per promuovere la crescita, ha fallito. L’Italia è in stagnazione. Negli ultimi due decenni l’economia italiana è cresciuta appena del 7%, contro il 40% della Spagna e il 30% di Francia e Germania.
Nel frattempo, il suo debito ha continuato a crescere. I tagli di spesa hanno abbassato il tenore di vita in misura tale da radicalizzare l’elettorato italiano. Gli sforzi di riforma si sono fermati, perché non possono essere attuati contemporaneamente all’austerità. Persino la Germania nel 2003 ha infranto i limiti di deficit della Ue con il suo programma di riforme Agenda 2010.

Alcuni sostengono che i limiti del deficit dell’Italia devono essere allentati per far ripartire l’economia. Ma questo porterebbe solo a un aumento della crescita a breve termine. Disavanzi più elevati, con conseguente aumento del debito, spingeranno verso l’alto i rendimenti obbligazionari, aumentando ulteriormente i deficit. E di conseguenza l’inasprimento della pressione fiscale sul reddito o sulla ricchezza per finanziare le spese porterà a diminuire il tasso di crescita ed allontanerà ulteriormente l’elettorato.
Inoltre, l’atmosfera politica in Europa è tale che ridurre il debito dell’Italia attraverso la mutualizzazione o i trasferimenti fiscali diretti è inconcepibile. Anche l’opzione di una ristrutturazione del debito con il coinvolgimento del settore privato è irrealizzabile. L’unica opzione valida è quella di ridurre la spesa per il servizio del debito italiano. Ciò creerebbe lo spazio per aumentare la spesa diretta a modernizzare l’economia senza aumentare deficit e debito. 

L’aumento della spesa per le infrastrutture, dando anche la garanzia di una attuazione delle riforme, farà finalmente aumentare i tassi di crescita del paese rispetto ai suoi attuali livelli anemici. E migliorerà anche la sua capacità di servire il debito in futuro. Se l’economia non dovesse crescere, allora è inevitabile che saremo costretti ad accettare una sostanziale ristrutturazione del debito italiano.

Gli investitori privati ​​non accetteranno volontariamente una dilazione dei pagamenti del servizio del debito. Pertanto, dovrebbe essere coinvolto il Meccanismo Europeo di Stabilità, finanziando un riacquisto di parte del debito ad alto costo. L’interesse sul prestito dovrebbe essere pagato quando l’economia italiana raggiungesse una maggiore produttività e una maggiore crescita. Il MES non sovvenzionerebbe direttamente l’Italia con un trasferimento fiscale, anche se aumenterebbe significativamente la sua esposizione verso il paese e probabilmente i costi del prestito aumenterebbero.
Se il servizio del debito italiano fosse dimezzato, a circa due punti percentuali del prodotto interno lordo, sarebbe possibile aumentare la spesa pubblica di circa 35 miliardi di euro all’anno. Coinvolgere l’ESM in questo percorso equivarrebbe a un voto di fiducia sul potenziale di crescita dell’Italia e comporterebbe un significativo calo dei rendimenti e del servizio del debito. La Banca centrale europea potrebbe anche utilizzare il suo programma OMT (outright monetary transactions) per portare i rendimenti ai livelli pre-crisi.

La bozza di questo grande accordo è la seguente: l’Italia deve accettare che miglioramenti duraturi nella crescita non saranno raggiunti senza le riforme strutturali. L’Europa, da parte sua, dovrebbe riconoscere che la soluzione al peso del debito non è semplicemente l’austerità.

Se entrambe le parti possono accettare questo accordo, si apre la strada verso una soluzione MES. Alcuni sosterranno che aiutare l’Italia vuol dire solo incoraggiare la dissolutezza. Ma le prestazioni del paese negli ultimi decenni contraddicono questa visione.

Una crisi del debito italiano costituisce un rischio esistenziale per la zona euro. L’attuale “gioco del coniglio” è irresponsabile. Ignora i pericoli insiti in ogni crisi finanziaria, i cui costi farebbero sembrare insignificanti quelli del MES.

L’autore è chief economist presso Deutsche Bank

Fonte: qui

SALVINI SI SVEGLIA E QUERELA BELSITO


IL LEADER DELLA LEGA LO HA DENUNCIATO PER APPROPRIAZIONE 

MA IL TESORIERE CHE HA PRESO IL POSTO DI BELSITO, STEFANO STEFANI, DICE CHE MARONI E SALVINI ‘SAPEVANO TUTTO. I SOLDI RIMASTI IN CASSA DOPO LE DIMISSIONI DI BOSSI FURONO USATI PER COSTOSE CAMPAGNE E CONSULENTI DI MARONI. MA IO NON CONTAVO UN CA**O…’’

LEGA: SALVINI QUERELA BELSITO PER APPROPRIAZIONE
bossi salvini maroniBOSSI SALVINI MARONI
 (ANSA) - Matteo Salvini, come leader della Lega, stamani, tramite i suoi legali, ha depositato nella cancelleria della Corte d'Appello di Milano una querela nei confronti dell'ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito, imputato per appropriazione indebita con Umberto Bossi e il figlio Renzo, 'Il Trota', per aver usato i fondi del partito per fini privati. La denuncia è indispensabile per celebrare il dibattimento in quanto per il reato contestato, in base alle nuove norme, non si può più procedere d'ufficio.
STEFANO STEFANISTEFANO STEFANI


FONDI LEGA: L'EX TESORIERE,'MARONI E SALVINI SAPEVANO TUTTO'
 (ANSA) - "Feci presente più volte a Maroni e Salvini, sia in pubblico che in privato, che si stava spendendo troppo e troppo in fretta", ma alla fine "nessuno, all'interno del Consiglio federale, si oppose a questa politica. Tantomeno Salvini, che all'epoca aspettava solo di diventare segretario". Così Stefano Stefani, ex tesoriere della Lega ai tempi della segreteria di Roberto Maroni e successore di Francesco Belsito, si difende chiarendo la sua posizione rispetto al boom di spese del partito, al centro di indagini della magistratura che ieri ha confermato la confisca dei beni per 49 milioni.

UMBERTO BOSSI E BELSITOUMBERTO BOSSI E BELSITO
Stefani l'ha raccontato in un'intervista a The Post Internazionale, terza puntata di un'inchiesta sul tema. "Parte dei 40 milioni rimasti in cassa dopo le dimissioni di Bossi (frutto, almeno parzialmente, dei rimborsi elettorali nel mirino della magistratura) sarebbero stati spesi in modo ingiustificato - spiega l'ex tesoriere - assumendo costosissimi professionisti esterni 'amici di Maroni' e finanziando la campagna elettorale del futuro governatore della Regione Lombardia". E continua: "Feci presente più volte a Maroni e Salvini che si stava spendendo troppo e troppo in fretta. Nessuno, all'interno del Consiglio Federale, si oppose a questa politica". Ma conclude: "Io non contavo un cazzo, ero un mero esecutore".

Fonte: qui



IL CERVELLO CONTINUA A FUNZIONARE ANCHE DOPO CHE IL CUORE SMETTE DI BATTERE.



GLI ESSERI UMANI CONTINUANO A MANTENERE LA PROPRIA CONSAPEVOLEZZA PER QUALCHE MOMENTO 

I RICERCATORI HANNO STUDIATO LA PERCEZIONE DEI SOPRAVVISSUTI AD UN ARRESTO CARDIACO, E HANNO SCOPERTO CHE…

James Perugia per www.leggo.it

“Tutta la vita ti passa davanti un attimo prima di morire": potrebbe essere più di una semplice suggestione da film. Recenti studi dimostrano, infatti, che il cervello umano continua a funzionare dopo la morte, anche se per un limitato spazio di tempo. Come riportato in un articolo del Mirror, i ricercatori non escludono la possibilità che una persona appena passata a miglior vita sia ancora consapevole e in grado di capire mentre i medici la dichiarano deceduta.

CERVELLOCERVELLO
In base allo studio gli essere umani continuerebbero a mantenere la loro consapevolezza anche dopo che il cuore ha smesso di battere. In pratica è come se si rimanesse intrappolati nel proprio corpo senza vita, con il cervello che funziona ancora per pochi momenti. La ricerca si è concentrata soprattutto sulla percezione che le persone che riescono a sopravvivere ad un arresto cardiaco hanno di ciò che accade intorno a loro prima di "tornare in vita".

Il Dottor Sam Parnia, che coordina lo studio, ha spiegato a LiveScience che le persone sopravvisute ad un arresto cardiaco riescono, poi, a descrivere accuratamente cosa stesse succedendo attorno a loro mentre il loro cuore aveva smesso di battere. «Raccontano di aver visto i dottori e le infermiere lavorare intorno a loro e si ricordano le loro conversazioni». La cosa più scioccante dello studio è che diverse prove suggerirebbero che le persone passate a miglior vita sarebbero in grado di sentire mentre vengono dichiarate decedute dai dottori.  

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Sul fondo del barile

È finalmente diffusa la consapevolezza della profondità epocale del disastro che stiamo attraversando. Tuttavia la maggior parte degli interventi parla di debito pubblico, di tassi di interesse, di spread, di ingiustizie sociali, di politiche keynesiane contrapposte al liberismo, di sovranità nazionale contrapposta al globalismo o all’europeismo. Pochi vanno oltre, pochi tentano di scavare in ciò che scaturisce dal profondo e che ha sempre una dimensione metafisica. Fra questi pochi è da segnalare una pubblicazione recentissima, un libro di Lorenzo Merlo, dal titolo “Sul fondo del barile”, edito da Primiceri.
Lo scavo dell’Autore nel terreno devastato della nostra decadenza è impietoso. Disgregazione sociale e crollo istituzionale ne sono i segni più vistosi. Scienza e tecnologia, la nuova Fede della modernità, mostrano l’inadeguatezza delle loro pretese. Mafie e oligarchie finanziarie si spartiscono il mondo col procedere della globalizzazione che toglie poteri agli Stati per affidarli all’alta finanza e alle cosche. Ma la malattia è spirituale, è la ricerca ossessiva del piacere, è la caduta del senso del limite nella presunzione di onnipotenza di un “io” ipertrofico. Procedendo sempre più in profondità, si scopre la “presenza satanica” del materialismo. Suoi figli sono il positivismo, il capitalismo, lo scientismo, l’imperialismo; suoi dogmi sono il culto del progresso, la fiducia nella tecnologia, la concezione di un tempo lineare che proietta l’umanità verso un fine. Questa epoca buia trovò la codificazione dei suoi schemi mentali in quelli che dovevano essere i lumi dell’illuminismo. Liberté, Égalité, Fraternité la nuova trinità al posto di Padre, Figlio e Spirito Santo, con Kant che dichiara l’impossibilità della metafisica. L’Italia è coinvolta in pieno in questo disastro di civiltà, dopo avere attraversato anche stagioni politiche che passo dopo passo hanno demolito il poco di positivo che si era costruito: la protesta armata ha avuto il solo merito di mettere in evidenza quanto dipendiamo da servizi segreti italiani e stranieri; Tangentopoli fece terra bruciata senza instaurare alcuna virtù civica; i “piani mondialistici delle cricche capitalistiche-finanziarie-ebree-americane” hanno pilotato bene la loro motonave anche in acque italiane. L’illusione di un’umanità liberata attraverso le nuove tecnologie è già dissolta dalla realtà della riduzione del tempo delle relazioni umane. L’Europa, ultimo tentativo di dare al disorientamento generale un mito fondativo, non esiste, così come non è mai esistita la democrazia.
Nessuno si illuda di poter ridare vigore ai vecchi schemi. La distinzione fra Destra e Sinistra non ha più significato, se mai lo ha avuto. Le Sinistre europee si sono appropriate delle tematiche dei radicali, che sono una componente del liberalismo, abbandonando il socialismo. Il presunto “destro” Alain de Benoist, come e meglio di tanti altri, ha scritto pagine decisive su questo. Un altro francese, il marxista critico Jean-Claude Michéa, non è da meno quando denuncia la stupidità delle persone di sinistra che ritengono possibile combattere il capitalismo in nome del progresso e l’imbecillità delle persone di destra che ritengono possibile difendere i valori tradizionali e nel contempo l’economia di mercato che li distrugge.
Eppure, il libro è permeato di un profondo ottimismo. Si intravede l’alba di un altro mondo. Non sarà il populismo a crearne le condizioni, pur non essendo senza valore, così come sono fertili i non-votanti. Anche in questo caso occorre andare più a fondo, nella dimensione metafisica. Bisogna avere fiducia in una concezione ciclica della storia, per cui in ogni morte è l’essenza di una rinascita. “I detriti sono il dono della piena”. Nella catastrofe si deve vedere una fortuna perché tutto è da ricostruire. Quando un ciclo ha termine, ne scaturisce un altro. Il materialismo è giunto al suo limite esistenziale. Cresce la consapevolezza spirituale, purché non si separi “in luoghi ecologici, in territori purificati, in enclave autarchiche, passatiste, pauperistiche, luddistiche”. Le piccole comunità da ripristinare abbatteranno il capitalismo, ma dovranno essere fenomeno diffuso, non esperienze sporadiche. La rivoluzione sarà individuale, non individualista. Pertanto l’attenzione deve essere spostata da quanto si vuole comunicare alla persona destinataria del nostro tentativo di comunicazione: questo modo di rapportarsi con l’altro è rivoluzionario. Ecologia profonda e bioregionalismo rappresentano lo spirito nuovo. L’uomo nuovo rivaluterà la frugalità, l’essenziale, la piccola comunità. Con ciò saranno recuperate le vie già tracciate dai Maya, dai Toltechi, dagli Egizi, dal Buddhismo, dalla Kabbalah, anche dal Cristianesimo inteso nella sua purezza originaria. È in atto “un passaggio evolutivo nella nostra storia, parallelo a un cambio di frequenze energetiche dell’Universo”. La fisica quantistica ne è un segno. Prima la relatività, poi la fisica dei quanti hanno scoperto che l’osservatore è implicato nella realtà che descrive. Ciò avrà enormi conseguenze in direzione di una visione del mondo spiritualistica, anche se per ora la mentalità comune è ancora condizionata dalla concezione meccanicistica. Quando le nuove acquisizioni della fisica diventeranno patrimonio culturale diffuso, ne discenderà una consapevolezza olistica che cambierà il mondo.
Chi scrive queste note ritiene che fare rientrare le tesi dell’Autore nella logica della New Age significhi far torto alla complessità dell’analisi e alla ricchezza dei suoi riferimenti culturali. Piuttosto si potrà nutrire scetticismo verso tanta fiducia nell’avvento di un altro ciclo. La concezione ciclica presuppone il “niente di nuovo sotto il sole”. Purtroppo l’epoca che ci è stata data in sorte presenta grandi novità, che determinano uno scarto drammatico dalle traiettorie della ciclicità. Da sempre l’umanità si prospetta una fine traumatica, ma attraverso l’opera di divinità. Per la prima volta nella storia l’uomo stesso ha i mezzi per distruggere il mondo. Sempre l’uomo ha alterato l’ambiente ma mai vi aveva immesso veleni mortali. Nelle epoche precedenti l’umanità è stata minacciata di estinzione per guerre, carestie, pestilenze, mortalità precoce. Oggi viviamo la tragedia dell’eccesso di popolazione. All’inizio del secolo scorso il globo era abitato da un miliardo e mezzo di persone. Alla fine del secolo eravamo oltre 6 miliardi. Mai si era verificata una simile crescita. Mai la comunicazione fra gli abitanti del globo era stata istantanea. Ora lo è. Mai ogni metro quadrato del territorio e dei mari era stato sotto osservazione costante. Ora lo è. Mai il disorientamento, il vuoto interiore, la fuga negli allucinogeni e nelle droghe, avevano raggiunto le dimensioni odierne. Tutto ciò rende meno probabile la ripresa del ciclo e più prevedibile un crollo senza riscatto. Il bel libro di Lorenzo Merlo ci aiuta a scacciare questi incubi.
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