“NOI ABBIAMO INTIMATO L’ALT. IL COMANDANTE, DELIBERATAMENTE, NON HA FERMATO LA NAVE E CI È VENUTA ADDOSSO, SENZA CURARSI DELLE CONSEGUENZE. ABBIAMO PASSATO TRE GIORNI A BORDO SENZA DORMIRE PER CONTRASTARE I TENTATIVI DI AVVICINAMENTO, AGENDO NEL RISPETTO DELLE NORME.”
“SE NON FOSSIMO RIUSCITI A COMPIERE UNA MANOVRA VELOCE SAREMMO MORTI”
Virginia Piccolillo per www.corriere.it
Entrano nel “bar dell’amicizia” e ordinano cinque caffè. Amarissimi. Hanno appena «rischiato di morire» i cinque finanzieri che hanno tentato di fermare la Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa e hanno visto arrivarsi contro prima la nave da 650 tonnellate. E poi le accuse(dei pidioti!!!) di aver «messo a repentaglio al vita dei passeggeri della mega imbarcazione del soccorso migranti».
«Noi? Abbiamo solo intimato l’alt. È il comandante che, deliberatamente, non ha fermato la nave e ci è venuta addosso, senza curarsi delle conseguenze. Se non fossimo riusciti a compiere una manovra veloce probabilmente saremmo morti», si sfogano, al termine della notte più lunga della loro vita. Mentre i parlamentari che erano a bordo lanciano accuse sulla loro manovra durante l’attracco del comandante Carola Rackete.
«Noi siamo uomini dello Stato», spiegano con un velo di commozione negli occhi. -«Abbiamo il dovere di far rispettare le leggi. E rispettare noi stessi le direttive che ci vengono date. Abbiamo passato tre giorni a bordo senza dormire un attimo per contrastare i tentativi di avvicinamento. E abbiamo agito nel profondo rispetto di tutte le norme. Senza preoccuparci di mettere a repentaglio la nostra vita perché in quell’incidente potevamo essere morti».
La dinamica i cinque finanzieri la spiegano con semplicità: «Ci sono le immagini. La nave non ha rispettato l’alt e ha schiacciato la motovedetta contro il molo. I parabordi hanno causato una sorta di movimento elastico e hanno per un attimo allontanato la nave. Con una mossa rapidissima siamo riusciti a sfruttare quell’istante e a sfuggire via prima che il rimbalzo tornasse indietro, perché a quel punto la Sea Watch avrebbe distrutto la motovedetta e noi saremo rimasti tutti schiacciati».
A bordo c’erano il comandante, il direttore di macchina, il motorista e due radaristi: due in plancia, uno a poppa e due a prua. In due, con le mani, hanno allontanato la motovedetta dalla banchina. Sono tutti lì a consumare questa ritardata colazione, mentre i clienti pranzano ad arancini e gelati. Anche il finanziere saltato sul molo. Perchè quello scatto? «Dovevo capire se ci fosse spazio sufficiente per una via di fuga. Al mio grido c’è stata l’accelerata. Ha funzionato prima che fosse troppo tardi».
Ma perché frapporvi tra la Sea Watch e l’attracco? «Ci siamo messi a protezione della banchina. Il nostro compito è non far attraccare le navi prive di autorizzazione e la Sea Watch si è avvicinata manovrando con le eliche di prua, spinta dal vento. Da bordo ci hanno detto “spostatevi” e nient’altro, il comandante non ha fatto nulla per evitarci».
Dalla nave fanno sapere che non c’era intenzione di speronarli e rendono note le scuse del comandante. Ma si è ventilata l’ipotesi di contestare il tentato naufragio. Eccessivo? «Sarà il magistrato a valutare le ipotesi. Noi siamo fortunati che oggi non si parli di omicidio». Dalla tv nel locale Salvini parla di «atto di guerra». I militari si sottraggono a commenti politici: «Siamo grati a chi ci difende». Fonte: qui
Virginia Piccolillo per www.corriere.it
Entrano nel “bar dell’amicizia” e ordinano cinque caffè. Amarissimi. Hanno appena «rischiato di morire» i cinque finanzieri che hanno tentato di fermare la Sea Watch 3 nel porto di Lampedusa e hanno visto arrivarsi contro prima la nave da 650 tonnellate. E poi le accuse(dei pidioti!!!) di aver «messo a repentaglio al vita dei passeggeri della mega imbarcazione del soccorso migranti».
«Noi? Abbiamo solo intimato l’alt. È il comandante che, deliberatamente, non ha fermato la nave e ci è venuta addosso, senza curarsi delle conseguenze. Se non fossimo riusciti a compiere una manovra veloce probabilmente saremmo morti», si sfogano, al termine della notte più lunga della loro vita. Mentre i parlamentari che erano a bordo lanciano accuse sulla loro manovra durante l’attracco del comandante Carola Rackete.
«Noi siamo uomini dello Stato», spiegano con un velo di commozione negli occhi. -«Abbiamo il dovere di far rispettare le leggi. E rispettare noi stessi le direttive che ci vengono date. Abbiamo passato tre giorni a bordo senza dormire un attimo per contrastare i tentativi di avvicinamento. E abbiamo agito nel profondo rispetto di tutte le norme. Senza preoccuparci di mettere a repentaglio la nostra vita perché in quell’incidente potevamo essere morti».
La dinamica i cinque finanzieri la spiegano con semplicità: «Ci sono le immagini. La nave non ha rispettato l’alt e ha schiacciato la motovedetta contro il molo. I parabordi hanno causato una sorta di movimento elastico e hanno per un attimo allontanato la nave. Con una mossa rapidissima siamo riusciti a sfruttare quell’istante e a sfuggire via prima che il rimbalzo tornasse indietro, perché a quel punto la Sea Watch avrebbe distrutto la motovedetta e noi saremo rimasti tutti schiacciati».
A bordo c’erano il comandante, il direttore di macchina, il motorista e due radaristi: due in plancia, uno a poppa e due a prua. In due, con le mani, hanno allontanato la motovedetta dalla banchina. Sono tutti lì a consumare questa ritardata colazione, mentre i clienti pranzano ad arancini e gelati. Anche il finanziere saltato sul molo. Perchè quello scatto? «Dovevo capire se ci fosse spazio sufficiente per una via di fuga. Al mio grido c’è stata l’accelerata. Ha funzionato prima che fosse troppo tardi».
Ma perché frapporvi tra la Sea Watch e l’attracco? «Ci siamo messi a protezione della banchina. Il nostro compito è non far attraccare le navi prive di autorizzazione e la Sea Watch si è avvicinata manovrando con le eliche di prua, spinta dal vento. Da bordo ci hanno detto “spostatevi” e nient’altro, il comandante non ha fatto nulla per evitarci».
Dalla nave fanno sapere che non c’era intenzione di speronarli e rendono note le scuse del comandante. Ma si è ventilata l’ipotesi di contestare il tentato naufragio. Eccessivo? «Sarà il magistrato a valutare le ipotesi. Noi siamo fortunati che oggi non si parli di omicidio». Dalla tv nel locale Salvini parla di «atto di guerra». I militari si sottraggono a commenti politici: «Siamo grati a chi ci difende». Fonte: qui
L’EX MAGISTRATO CARLO NORDIO: “CHIUNQUE ABBIA UN MINIMO DI RISPETTO PER IL NOSTRO PAESE NON PUÒ CHE REAGIRE SDEGNATO DAVANTI A TANTA VITUPEREVOLE E SFRONTATA PREPOTENZA”
L'EX PM NICOLA QUATRANO: “LA RACKETE NON E’ UN’EROINA. SECONDO ME DOVREBBE RISPONDERE ANCHE DI VIOLENZA PRIVATA DAVANTI AL GIUDICE…LA RISPOSTA AI FLUSSI MIGRATORI NON PUÒ ESSERE L'ACCOGLIENZA TOUT COURT E BASTA”
L’OLTRAGGIO DI CAROLA
Carlo Nordio per “il Messaggero”
Due giorni fa, scrivemmo su queste pagine che la plateale violazione di legge della Sea Watch costituiva una provocazione programmata verso il nostro Paese. Non pensavamo che l'irresponsabile arroganza della sua capitana sarebbe giunta al punto di sfidare una nostra imbarcazione militare con un gesto che, in altri Paesi, le sarebbe costato ben peggio di un comodo arresto domiciliare sotto il cielo di Lampedusa.
E' sufficiente vedere le immagini in rete per capire che, se la nostra motovedetta non si fosse fortunosamente sfilata dalla banchina, le conseguenze dell'attracco illecito e sconsiderato sarebbero state ben più gravi di un semplice danneggiamento all'imbarcazione. Ora sarà la Magistratura a definire le responsabilità penali di Carola Rackete, per la quale qualche anima bella ha evocato l'esempio di Antigone, che vìola consapevolmente le norme del tiranno contrarie alle leggi non scritte - i famosi àgrafoi nòmoi - scolpite nella coscienza di ciascuno.
Esempio improprio e inconsistente, perché Antigone vìola, appunto, le leggi di un tiranno, mentre le nostre sono state promulgate dal Parlamento con la procedura prevista dalla Costituzione «più bella del mondo», e poi perché Antigone, come Socrate, si sottomette tranquillamente al supplizio, senza volerne uscire con un'aureola politica. In ogni caso, chiunque abbia un minimo di rispetto per il nostro Paese - e non si limiti a sgolarsi con l'Inno Nazionale durante i campionati - non può che reagire sdegnato davanti a tanta vituperevole e sfrontata prepotenza.
IL QUESITO GIURIDICO E L'ASPETTO POLITICO
Riservato dunque il quesito giuridico agli addetti ai lavori, resta l'aspetto politico. E qui le considerazioni da fare sono due. La prima è l'esito del conflitto tra il Capitano e la Capitana. Noi avremmo preferito, e lo abbiamo scritto, che il ministro dell'Interno, davanti a una così grave violazione della nostra sovranità nazionale, avesse reagito con compunta severità istituzionale, magari chiedendo al Parlamento - e successivamente all'Europa - di pronunciarsi in modo chiaro e distinto sulla tollerabilità o meno di questa impresa piratesca. Sarebbe anche stato utile chiarire se molti parlamentari, che impartiscono quotidianamente lezioni sulla legalità, fossero schierati con il nostro ordinamento positivo o con il volatile solidarismo dell'esuberante tedesca.
LA PROCESSIONE PENITENZIALE A BORDO
Temevamo anche che Salvini - non certo in quanto leader di un partito ma siccome rappresentante dello Stato - declassasse al rango di un'avventurosa bravata dannunziana quella che secondo noi era un'evidente sfida alla nostra dignità. E molte ragioni giustificavano questi nostri timori, non ultime la consueta indifferenza dell'Europa, la sfacciata risposta dell'Olanda, e - peggio di tutte - l'incredibile processione penitenziale a bordo della nave di alcuni nostri esponenti politici.
Alla fine la situazione è stata risolta dalla stessa Capitana, che ha dimostrato di non perseguire l'estetizzante decadentismo eroico del Vate, ma una vera e propria azione di forza a costo di rischiare un naufragio.
Così, il consenso che auspicavamo arrivasse alle nostre Istituzioni dal Parlamento e dall'Europa, è arrivato direttamente a Salvini proprio dalla Rackete, che non avrebbe potuto inventarsi espediente migliore per provare al mondo sia le frottole precedentemente diffuse sullo stato dell'imbarcazione (dove «il cuoco di bordo ha distribuito - così abbiamo letto ieri - couscous, zuppa allo zenzero e panzerotti fritti al formaggio») sia le sue reali intenzioni provocatorie e violente.
Qualcuno potrà ora compiacersi perché lo sbarco, alla fine, è avvenuto. Ma d'ora in avanti, con questo precedente, sarà ben difficile che una Ong possa accostarsi alle coste italiane. Così, mentre sembrava impantanato in una situazione senza uscita, Salvini ha trionfato su tutta la linea.
Non così si può dire del Partito Democratico. E questa è la seconda considerazione politica. Questo partito, con l'abile ed efficiente Minniti, aveva dimostrato di aver avuto cervello, coraggio e volontà: Minniti aveva infatti capito benissimo il problema, aveva altrettanto bene scelto la strada della collaborazione con la Libia, e vi aveva dato attuazione con l'encomiabile fermezza di un vecchio comunista. Questo patrimonio non solo di severità, ma di serietà, è stato clamorosamente dissipato con la cerimonia della sfilata dei suoi compagni a bordo della Sea Watch.
Ed è motivo di profonda delusione constatare che, ogniqualvolta questo partito prova ad affrancarsi dal massimalismo grezzo delle sue vecchie utopie, viene inevitabilmente risospinto nella palude dell'irenismo inconcludente e confusionario. Come altrimenti si potrebbe definire questa benevolenza cortigiana verso una comandante che aveva già violato le nostre leggi, e proclamato di volerle ancora violare, quando, fino a pochi mesi prima, si era avallata una strategia completamente diversa?
Possiamo supporre un estremo tentativo di captazione di consensi tra qualche grillino deluso. Ma possiamo anche immaginare la desolazione del povero Minniti, che avrà contemplato, come Geremia nel noto quadro di Rembrandt, la distruzione della sua Gerusalemme mediterranea costruita con tanta abilità e tanta fatica.
LA SINISTRA DISORIENTATA
Concludo. Sarebbe un errore se, ancora una volta, affidassimo alla Magistratura la soluzione di questa vicenda. Carola Rackete è, per principio costituzionale, presunta innocente, come son tutti gli indagati, anche quelli arrestati in flagranza di reato. Gli addebiti saranno specificati solo dopo un'attenta lettura degli atti, e la concomitanza di leggi succedutesi nel tempo può prospettare varie soluzioni. Ma al di là del giudizio penale - dal quale ci auguriamo che la Capitana non esca come una paladina ma nemmeno come una terrorista - resta la perniciosa confusione politica che questa storia ha creato.
A fronte di un governo che - almeno in questo - ha dimostrato una responsabile unità, sta un'opposizione, ovviamente quella di sinistra, disorientata e sconcertante, che non si accredita come alternativa credibile né oggi né probabilmente domani. La parata dei compagni di Renzi, che un tempo avevano dimostrato moderazione e realismo, è naufragata - come rischiava di naufragare la motovedetta della Finanza - davanti alle sconsiderate manovre di Carola Rackete. E quella che nelle loro intenzioni voleva essere un'operazione di salvataggio, si è convertita in un involontario soccorso a Salvini.
2 - NICOLA QUATRANO "CAROLA È UNA BULLA, SULLA PELLE DEI PROFUGHI"
Vincenzo Iurillo per il “Fatto quotidiano”
È una "toga rossa" in pensione e collabora con l' Osservatorio Internazionale offrendo assistenza legale gratuita ai perseguitati politici e religiosi del Nordafrica. Dunque, Nicola Quatrano non può certo essere tacciato di simpatie salviniane o sentimenti sovranisti. Eppure l'ex pm della Tangentopoli partenopea degli anni '90, non le manda a dire a Carola Rackete, a Sea Watch e a una sinistra che "non capisce niente di quel che sta accadendo e si riduce a fare il tifo pro o contro il personaggio del momento".
Hanno fatto bene ad arrestare la capitana?
In flagranza di reato, l'arresto ci può stare. Dubito che possano ravvisarsi esigenze cautelari che ne consentano la prosecuzione, ma non mi pare che Carola Rackete sia un'eroina.
Pd e sinistra l'hanno difesa, fino a salire sulla Sea Watch.
Da uomo di sinistra dico che è sconfortante l'incapacità della sinistra di proporre un ragionamento sensato sui temi della gestione dei flussi migratori, limitandosi a fare il tifo da stadio pro la capitana e contro Salvini, sulla pelle dei poveri 42 profughi.
Perché la capitana Rackete non è un' eroina?
Premessa: le Ong nella maggior parte dei casi sono organizzazioni che ricevono finanziamenti dai governi. Non è il caso della Sea Watch, della quale mi sono andato a leggere i bilanci. Però tutte le Ong hanno una loro agenda politica ben precisa e la capitana Rackete, in nome della sua Ong, ha deciso come una bulla di imporre l'agenda politica della sua Ong: costringere l'Italia ad accogliere i 42 profughi. Altrimenti non si spiega perché, pur sapendo che il porto di Lampedusa sarebbe stato chiuso per chissà quanto tempo, non si è diretta a Tunisi, in Grecia, in Turchia o in Israele. Nossignore: ha girato intorno all'isola per 14 giorni fino a quando gli eventi in qualche modo non l'avrebbero costretta a entrare in Italia. E anche questo è un reato.
Quale?
Dal punto di vista penalistico, si chiama violenza privata. È il reato che si commette quando si costringe qualcuno a fare qualcosa che non vuole fare. E secondo me dovrebbe rispondere anche di questo davanti al giudice.
Come giudica l' operato del ministro Salvini?
Anche lui si è mosso come un bullo, il capo ultrà di una curva. Al ricatto della capitana ha reagito animando un braccio di ferro, senza capire che un vero statista, come lui pretende di essere e non è, non gioca sulla pelle di 42 profughi e che ci sono ricatti ai quali bisogna cedere, quelli che riguardano la vita delle persone. Un comportamento irresponsabile.
Come invece giudica il comportamento della sinistra?
Non ha capito niente. Se bisogna accettare i ricatti quando in ballo ci sono vite umane, bisogna però chiamare le cose col loro nome. E un ricatto va chiamato ricatto. La sinistra ha sbagliato nell' ergere a ruolo di eroina una ragazza che ha compiuto un ricatto, compatibile con la mission della sua Ong e basta: prendere i profughi e portarli in Italia, e solo in Italia. Lo hanno deciso loro, quelli della Sea Watch, e basta. Contribuendo anche loro a mettere a repentaglio la vita dei 42 profughi.
Nessuno ne esce bene.
Tranne per fortuna i 42 profughi, finalmente al sicuro.
Politicamente chi ne esce meno peggio?
Temo che questa vicenda abbia fatto guadagnare a Salvini molti punti percentuali in più nei consensi.
E perché vanno peggio i tifosi della capitana?
Perché la risposta ai temi complessi della gestione dei flussi migratori non può essere l' accoglienza tout court e basta. Nessun Paese al mondo può dire "venite tutti qui", per la semplice ragione che non è possibile. Bisogna riaprire una vertenza con l' Ue, ridiscutere la redistribuzione dei migranti, e una trattativa seria non si può aprire attraverso ricatti e ricattini, forzando i blocchi tra gli applausi dei parlamentari Pd. Fonte: qui
LA PROCURA DI AGRIGENTO INTERROGHERÀ CAROLA RACKETE NON SOLO PER L’INGRESSO NEL PORTO DI LAMPEDUSA, MA ANCHE PER RICOSTRUIRE LE DINAMICHE DEL “SALVATAGGIO” DEI MIGRANTI
LA “SEA WATCH” POTREBBE AVER AVUTO CONTATTI CON GLI SCAFISTI
LA GUARDIA COSTIERA LIBICA AVEVA ASSUNTO IL COORDINAMENTO DELL’OPERAZIONE, MA…
Michela Allegri per “il Messaggero”
Il sospetto è che quella effettuata dalla Sea Watch 3 non sia stata un'operazione di salvataggio in situazione di emergenza, ma che possa esserci stata una regia più ampia: gli inquirenti vogliono stabilire se la nave della Ong tedesca, prima di caricare a bordo i 53 migranti soccorsi al largo delle coste libiche, abbia avuto contatti con gli scafisti. Per questo motivo, il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, e l'aggiunto Salvatore Vella, l'8 luglio interrogheranno di nuovo la comandante dell'imbarcazione, Carola Rackete.
Si tratta di un'inchiesta parallela a quella costata alla capitana l'arresto in flagranza di reato per avere fatto ingresso nel porto di Lampedusa, violando i divieti e speronando una motovedetta della Guardia di finanza. In questo secondo fascicolo, la Rackete è indagata per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Gli inquirenti la ascolteranno per ricostruire con esattezza le dinamiche della vicenda, dopo avere studiato i documenti sequestrati sulla nave della Ong, a partire dal libro di bordo e da tutte le comunicazioni - via mail, telex e audio - intercorse tra la comandante e le autorità dal momento dei soccorsi fino alla decisione entrare nel porto, sfondando il posto di blocco della polizia giudiziaria.
Non è tutto. I magistrati verificheranno anche le condizioni della zona Sar libica ed effettueranno accertamenti per stabilire se la Ong abbia avuto contatti con i trafficanti di esseri umani. «Andremo a verificare se i porti della Libia possono ritenersi sicuri o meno - ha detto il Patronaggio - e andremo a vedere se la zona Sar libica è efficacemente presidiata dalle autorità della guardia costiera libica, andremo a verificare le concrete modalità del salvataggio».
Lo scopo, specifica ancora il capo della procura di Agrigento, è capire «se vi sono stati contatti tra i trafficanti di esseri umani e la Sea Watch, se il contatto sia avvenuto in modo fortuito o ricercato. Tutta una serie di elementi che servono a verificare se si è trattato di un'azione di salvataggio in mare, oppure un'azione concertata».
GLI AEREI
I magistrati faranno verifiche anche sui due aerei utilizzati per le ricognizioni in mare: Colibrì e Moonbird, che sorvolano il Mediterraneo per andare alla ricerca ed eventualmente segnalare la presenza di barconi carichi di migranti. È stato proprio l'aereo Colibrì, il 12 giugno scorso, a comunicare alla Sea Watch 3 la presenza del gommone con a bordo i 53 migranti finiti al centro dell'ultimo scontro internazionale e politico.
Il salvataggio è stato effettuato in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche, in zona Sar di Tripoli. Dalla nave della Ong tedesca parte una segnalazione che viene inoltrata ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare di Italia, Malta, Olanda e Libia. Poi, la Rackete si dirige verso il barcone. Alle 11,53 la Guardia costiera libica invia alla nave della Ong una comunicazione via mail con cui dichiara di assumere il coordinamento dell'operazione. Ma la Sea Watch 3 procede comunque al salvataggio.
Al termine dei soccorsi, arriva una motovedetta libica, che si allontana senza dare nessuna indicazione alla comandante. «La motovedetta risultava montare una mitragliatrice a prua», si legge nell'esposto presentato dalla Ong alle procure di Agrigento e Palermo. Ora, gli inquirenti dovranno verificare se la ricostruzione dei fatti esposta dalla capitana e dall'equipaggio sia credibile. Fonte: qui
Michela Allegri per “il Messaggero”
Il sospetto è che quella effettuata dalla Sea Watch 3 non sia stata un'operazione di salvataggio in situazione di emergenza, ma che possa esserci stata una regia più ampia: gli inquirenti vogliono stabilire se la nave della Ong tedesca, prima di caricare a bordo i 53 migranti soccorsi al largo delle coste libiche, abbia avuto contatti con gli scafisti. Per questo motivo, il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, e l'aggiunto Salvatore Vella, l'8 luglio interrogheranno di nuovo la comandante dell'imbarcazione, Carola Rackete.
Si tratta di un'inchiesta parallela a quella costata alla capitana l'arresto in flagranza di reato per avere fatto ingresso nel porto di Lampedusa, violando i divieti e speronando una motovedetta della Guardia di finanza. In questo secondo fascicolo, la Rackete è indagata per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Gli inquirenti la ascolteranno per ricostruire con esattezza le dinamiche della vicenda, dopo avere studiato i documenti sequestrati sulla nave della Ong, a partire dal libro di bordo e da tutte le comunicazioni - via mail, telex e audio - intercorse tra la comandante e le autorità dal momento dei soccorsi fino alla decisione entrare nel porto, sfondando il posto di blocco della polizia giudiziaria.
Non è tutto. I magistrati verificheranno anche le condizioni della zona Sar libica ed effettueranno accertamenti per stabilire se la Ong abbia avuto contatti con i trafficanti di esseri umani. «Andremo a verificare se i porti della Libia possono ritenersi sicuri o meno - ha detto il Patronaggio - e andremo a vedere se la zona Sar libica è efficacemente presidiata dalle autorità della guardia costiera libica, andremo a verificare le concrete modalità del salvataggio».
Lo scopo, specifica ancora il capo della procura di Agrigento, è capire «se vi sono stati contatti tra i trafficanti di esseri umani e la Sea Watch, se il contatto sia avvenuto in modo fortuito o ricercato. Tutta una serie di elementi che servono a verificare se si è trattato di un'azione di salvataggio in mare, oppure un'azione concertata».
GLI AEREI
I magistrati faranno verifiche anche sui due aerei utilizzati per le ricognizioni in mare: Colibrì e Moonbird, che sorvolano il Mediterraneo per andare alla ricerca ed eventualmente segnalare la presenza di barconi carichi di migranti. È stato proprio l'aereo Colibrì, il 12 giugno scorso, a comunicare alla Sea Watch 3 la presenza del gommone con a bordo i 53 migranti finiti al centro dell'ultimo scontro internazionale e politico.
Il salvataggio è stato effettuato in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche, in zona Sar di Tripoli. Dalla nave della Ong tedesca parte una segnalazione che viene inoltrata ai centri di coordinamento dei soccorsi in mare di Italia, Malta, Olanda e Libia. Poi, la Rackete si dirige verso il barcone. Alle 11,53 la Guardia costiera libica invia alla nave della Ong una comunicazione via mail con cui dichiara di assumere il coordinamento dell'operazione. Ma la Sea Watch 3 procede comunque al salvataggio.
Al termine dei soccorsi, arriva una motovedetta libica, che si allontana senza dare nessuna indicazione alla comandante. «La motovedetta risultava montare una mitragliatrice a prua», si legge nell'esposto presentato dalla Ong alle procure di Agrigento e Palermo. Ora, gli inquirenti dovranno verificare se la ricostruzione dei fatti esposta dalla capitana e dall'equipaggio sia credibile. Fonte: qui