giovedì 1 settembre 2016
IL "JOBS ACT" FUNZIONA, MA AL CONTRARIO!
L'aumento potrebbe essere legato al ritardo dell'età pensionabile.
AD ALEPPO E’ STATO UCCISO IL BRACCIO DESTRO DI AL BAGHDADI, MUHAMMAD AL ADNANI
MUHAMMAD AL ADNANI - GUIDAVA L’INTELLIGENCE CHE COORDINAVA GLI ATTACCHI TERRORISTICI, DA PARIGI A BRUXELLES
AL SUO POSTO IL CALIFFO POTREBBE “PROMUOVERE” SALEH HAIFA, EX FEDELISSIMO DI SADDAM HUSSEIN
Giampaolo Cadalanu per “la Repubblica”
AL ADNANI
Sulla testa di Tah Subhi Falaha, meglio conosciuto come Abu Muhammad al Adnani, il Dipartimento di Stato americano aveva messo una taglia di cinque milioni di dollari.
Adesso che il braccio destro di Abubakr al Baghdadi e portavoce del sedicente Stato islamico «ha affrontato il martirio mentre si occupava delle operazioni ad Aleppo», come dichiara senza dare altri dettagli l’agenzia dello stesso organismo jihadista Amaq, non è ben chiaro chi potrà riscuotere il pagamento, se le “Forze siriane democratiche” (Sdf) della coalizione sostenuta dagli Usa, altri miliziani curdi o magari, per una beffa del destino, un pilota di cacciabombardiere di Damasco o di Mosca.
BAGHDADI
Al suo posto potrebbe andare Iyad al-Obaidi, alias Saleh Haifa, ex fedelissimo di Saddm Hussein e oggi considerato il responsabile finanziario dell’Is. Ma per l’organizzazione integralista è sicuramente una perdita significativa.
Al Adnani, siriano di Idlib di 39 anni, ex militante di Al Qaeda e seguace di Al Zarqawi, era anche stato “emiro” — cioè comandante militare — di Haditha, prima di essere imprigionato dagli americani nel carcere di Camp Bucca, in Iraq. Proprio durante la detenzione molto probabilmente aveva costruito il legame con Al Baghdadi, per poi essere rilasciato con la partenza di gran parte del contingente Usa e la chiusura della prigione, nel 2009.
AL ADNANI
Ma più ancora che un guerriero, Al Adnani era considerato un leader in crescita, tanto più pericoloso in quanto univa le capacità militari al rigore teorico. Secondo gli studiosi del jihadismo, era proprio lui che seguiva ed elaborava la delicata strategia di comunicazione dell’Isis, strumento efficace di proselitismo, che guidava attraverso l’Emni, il servizio di intelligence da lui creato.
E allo stesso tempo era lui che nei campi di addestramento jihadista illustrava ai compagni di lotta le parole di Muhammad ibn ‘Abd al Wahhab, il teologo arabo che predicava la “purificazione” dell’islam attraverso il ritorno alle origini e i costumi dei primi discepoli del Profeta.
OSAMA E ZAWAHIRI
Al Adnani era accanto ad Al Baghdadi anche nel momento più delicato per la storia dell’IsIS: il “no” ad Ayman Al Zawahiri e la rottura dei rapporti con Al Qaeda, dopo un litigio sull’intervento in Siria.
Il successore di Osama bin Laden aveva accettato la dichiarazione di fedeltà di Jabhat Al Nusra, un gruppo jihadista che invece Al Baghdadi considerava estensione dell’Is (allora Isis).
A quest’ultimo Al Zawahiri aveva chiesto di lasciare la Siria, ma proprio Al Adnani aveva ribattuto punto per punto gli ordini dell’ex medico egiziano, sancendo così la rottura totale con Al Qaeda.
ALEPPO SOTTO BOMBARDAMENTO
La sua era probabilmente una delle figure più carismatiche dell’universo fondamenta-lista: alla raffinatezza dell’arabo classico usato nelle solenni dichiarazioni pubbliche univa la spietatezza e la mancanza di scrupoli coltivate nell’offensiva contro gli sciiti sotto la guida di Al Zarqawi.
ALEPPO 1
Non era un caso che la sua fosse una delle voci più usate nelle registrazioni audio diffuse sul web, accanto a quella di Al Baghdadi: proprio Al Adnani ha avuto l’onore di proclamare il Califfato e sottolineare il dovere di adesione per ogni buon musulmano.
Ma soprattutto Al Adnani era l’uomo della ferocia contro l’Occidente: quella voce la usava per predicare il ricorso a qualsiasi arma, dall’automobile al sasso, per colpire. Il suo nome era stato fatto dai pianificatori dell’assalto al Bataclan, ma anche l’attacco di Nizza era sicuramente ispirato alle sue parole. Ora la sua predicazione all’odio è finita.
Se i tassi alzano la testa
A Jackson Hole la governatrice della FED Janet Yellen ha fatto intendere senza troppi dubbi che entro fine anno ci sarà un aumento dei tassi.
È da molti mesi ormai che non si parla d’altro che di tassi bassi e di un futuro rialzo su tutte le scadenze, a cominciare da quelle più vicine che sono maggiormente influenzate dalle politiche monetarie. In questo lungo periodo di tempo sono state ipotizzati diversi rialzi su altrettanti diversi intervalli temporali, ma finora non è successo mai nulla. Anzi, i tassi risk free di riferimento a livello mondiale sono calati verso i minimi di sempre.
Riteniamo che ai livelli attuali sia interessante iniziare una strategia che possa beneficiare di un rialzo dei tassi, anche a solo scopo di copertura, e ne forniamo alcune considerazioni.
A Jackson Hole la governatrice della FED Janet Yellen ha fatto intendere senza troppi dubbi che entro fine anno ci sarà un aumento dei tassi. Molto probabilmente bisognerà attendere le elezioni presidenziali prima di qualunque mossa restrittiva perché, oltre alla politica monetaria, ci sono anche questioni esclusivamente politiche in sospeso, tra cui la conferma dei ruoli nella banca centrale più influente al mondo.
Finora le comunicazioni non sono mai state così “chiare”, questo consente al mercato di prepararsi all’evento consentendo alla curva dei rendimenti risk free in dollari di mantenere una pendenza adeguata.
In Giappone il lungo trend di tassi in calo è stato interrotto molto velocemente con forti vendite ad inizio agosto: in soli 3 giorni il rendimento del decennale giapponese è tornato quasi a 0% dopo essere stato negativo per due mesi. In questo caso il forte rimbalzo che c’è stato è un segnale della predisposizione degli investitori a liberarsi velocemente di ciò che è in forte guadagno e ha rendimenti negativi.
La stessa situazione potrebbe accadere anche in Europa, come avvenne nella primavera del 2015 quando in poche sedute il rendimento del Bund risalì di oltre mezzo punto percentuale.
I rendimenti nulli o negativi vanno bene fintanto c’è la possibilità di guadagni in conto capitale ma è pericoloso mantenere in portafoglio qualcosa che per i prossimi 10 anni può solo perdere.
Questo meccanismo è quindi graduale da un lato, ovvero quando calano i rendimenti, ma veloce dall’altro, quanto tutti si vogliono liberare di un investimento a perdere.
E’ sufficiente quindi un piccolo elemento migliorativo, ad esempio una dichiarazione piuttosto che una lettura dell’inflazione migliore delle attese, per generare una grande ondata di vendite.
Tutto questo ci induce quindi alla prudenza anche in vista di un aumento dell’inflazione legata al prezzo del petrolio, che non necessariamente dovrebbe portare ad un aumento dell’inflazione generale, ma quantomeno portare maggiore sensibilità ai tassi.
Lo strumento che si potrebbe utilizzare per beneficiare di un rialzo dei tassi su tutta la curva dei rendimenti risk free area euro è l’ETF Amundi Short Daily EuroMTS Investment Grade Broad All Maturities (codice ISIN FR0010821850) quotato a Milano.
L’obiettivo del fondo è quello di offrire esposizione inversa all'andamento dell'indice EuroMTS Eurozone Government Broad All Maturities che comprende obbligazioni governative degli Stati membri della zona Euro appartenenti alle seguenti 6 fasce di scadenza: 1-3 anni, 3-5 anni, 5- 7 anni, 7-10 anni, 10-15 anni e oltre i 15 anni. Lo strumento ha diversi contributori ma non fa grandi volumi di scambio, tuttavia è il prodotto che maggiormente replica la performance inversa del Bund senza leva.
Ricordiamo sempre che ciascun investitore dovrà soppesare l’opportunità di esporsi a questo investimento ad alto rischio in base alla propria tolleranza al rischio e al suo orizzonte temporale, e sempre all’interno di una ampia diversificazione di portafoglio.
La Russia contrariata dall’incursione turca in Siria
La Russia è furiosa per l’operazione turca volta a creare una “zona di sicurezza” per i terroristi in Siria per sostenerli, mettendo in pericolo la “normalizzazione delle relazioni” appena annunciata tra Russia e Turchia.
Alexander Mercouris, The Duran 28 agosto 2016
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Immediatamente dopo l’occupazione turca di Jarablus, Erdogan telefonava al suo “amico Putin”, il 27 agosto 2016. Il resoconto del Cremlino della conversazione è notevole anche per gli standard di concisione, “I due leader hanno discusso dello sviluppo dei commercio e cooperazione politica ed economica Russia-Turchia in linea con gli accordi raggiunti a San Pietroburgo il 9 agosto. Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan si sono scambiati opinioni sugli sviluppi in Siria sottolineando l’importanza degli sforzi congiunti nella lotta al terrorismo. Hanno concordato di proseguire il dialogo sui temi dell’agenda bilaterale e internazionale”.
Il vero soggetto della discussione sarà stata infatti l’occupazione turca di Jarablus, nel nord della Siria.
Mentre sembra che i turchi avessero anticipato ai russi tale operazione, è chiaro che a dir poco ne sono scontenti.
Anche se i turchi sembrano aver cercato di organizzare colloqui con la leadership militare russa, presumibilmente per discuterne, con tanto di annuncio della visita in Turchia del Generale Gerasimov, il Capo di Stato Maggiore Generale russo, tali colloqui non ci sono e i russi negano che una visita ad Ankara del loro Capo di Stato Maggiore Generale sia mai stato accordato, mentre i turchi ora dicono che la visita era stata rinviata. I media russi nel frattempo pubblicano articoli che chiariscono l’irritazione russa.
Un articolo del quotidiano Kommersant, chiaramente basato su briefing ufficiali, accusa la Turchia di “andare oltre quanto promesso in Siria”. Che l’articolo rifletta il pensiero ufficiale di Mosca è dimostrato dal fatto che il sito semi-ufficiale in inglese “Russia Beyond the Headlines” l’ha ripubblicato.
L’articolo chiarisce che la Turchia non coordina le operazioni di Jarablus con Mosca o Damasco, e che era molto più grande di quanto Mosca fu portata ad aspettarsi.
I russi sono chiaramente infastiditi dalle dimensioni dell’operazione coordinata tra Turchia e Stati Uniti, che forniscono supporto aereo.
“Per Mosca, l’operazione di Ankara è stata una sorpresa spiacevole, dimostrando che le aspettative per una convergenza di posizioni dei Paesi sulla Siria, emerse dopo l’incontro tra Putin e Erdogan, erano premature. Decidendo l’operazione di Jarabulus, il capo turco ha indicato che le relazioni con gli Stati Uniti sono una priorità e che preferisce agire nel quadro della coalizione antiterrorismo non guidata da Mosca, ma da Washington“.
Ho più volte messo in guardia contro l’eccesso di aspettative che il recente riavvicinamento tra Turchia e Russia fosse una sorta di riallineamento. Ho anche detto che, nonostante il fastidio turco con gli Stati Uniti sul recente tentato colpo di Stato, la Turchia rimane loro alleata che continua a tentare il cambio di regime in Siria e non ha intenzione di cacciare gli Stati Uniti da Incirlik o di consentire alla Russia di utilizzarla.
La mia unica sorpresa è che a giudicare da tale commento c’erano alcuni a Mosca che la pensavano diversamente.
L’articolo Kommersant continua poi minacciosamente, “Secondo le nostre informazioni, in caso di aggravarsi della situazione, militari e diplomatici russi sono pronti ad impiegare canali con i loro omologhi turchi, oltre ad esprimere preoccupazioni agli Stati Uniti, se necessario. Secondo Vladimir Sotnikov, direttore del Centro Russia-Est-Ovest di Mosca, le azioni di Ankara potrebbero compromettere seriamente il processo di normalizzazione della cooperazione bilaterale concordata dai Presidenti Putin e Erdogan a San Pietroburgo“.
Ciò suggerisce che dietro il linguaggio mite, aspre denunce vengono avanzate in privato da Mosca ad Ankara.
La telefonata di Erdogan a Putin appare un tentativo di placare la rabbia russa, di rassicurare Mosca sulle intenzioni della Turchia in Siria, e di continuare il “processo di normalizzazione” tra Turchia e Russia.
La concisa sintesi del Cremlino della conversazione suggerisce che Putin abbia risposto chiarendo perfettamente pensieri e preoccupazioni dei russi, e che non vi è stato in passato, secondo il linguaggio diplomatico, “uno scambio pieno e franco di opinioni”, in una riga.
Perché i russi sono così irritati dall’operazione di Jarablus? Qui riconosco il mio serio debito all’analista geopolitico Mark Sleboda che nel corso di una discussione dettagliata e molto utile, ha corretto alcuni errori che feci in precedenza sull’operazione di Jarablus, ampliandone notevolmente la comprensione.
Nei miei due precedenti articoli sull’operazione di Jarablus avevo detto che sembrava mirata principalmente contro i curdi, i cui miliziani delle YPG, nell’ultimo anno, hanno notevolmente ampliato la zona nel nord-est della Siria sotto loro controllo. Diedi anche per scontato la possibilità che l’occupazione turca di Jarablus avesse lo scopo d’influenzare la battaglia per Aleppo, rifornendo i jihadisti che cercano di rompere l’assedio. Nel mio ultimo articolo scrissi “…Non è evidente che i terroristi abbiano effettivamente bisogno di un “santuario” in questo settore. Hanno già un corridoio per inviare uomini e rifornimenti ad Aleppo dalla provincia di Idlib, che già controllano. Perché aggiungervi il problema di creare una “zona di sicurezza” molto più lontana, nel nord-est della Siria, quando i terroristi controllano territori molto più vicini ad Aleppo?”
Mark Sleboda mi ha spiegato che il corridoio principale per rifornire i ribelli in Siria è sempre stato nel nord-est della Siria, a Jarablus, “Idlib non è una linea di rifornimento accettabile dalla Turchia alle sue forze nella provincia di Aleppo, perché il confine turco-siriano di Idlib è montuoso, con strade piccole e pessime e percorsi lunghi che da Idlib alla provincia di Aleppo attraversano territorio che era controllato dall’EAS. Il corridoio di Jarablus, a nord di Aleppo, è sempre stato assolutamente vitale per l’insurrezione. Ecco perché Turchia, Brookings, ecc., hanno sempre dato la priorità a una no-fly zone nella regione. Ora viene realizzata”.
In altre parole, l’occupazione turca di Jarablus, prima che potesse essere catturata dalle YPG, non è volta ad impedire di collegare due aree in Siria controllate dai curdi, anche se potrebbe essere stato un fattore secondario, ma è principalmente destinata a garantire la principale via di rifornimento che la Turchia utilizza per rifornire i terroristi che attaccano Aleppo. Oltre al fatto ormai chiaro che le ambizioni turche vanno ben oltre Jarablus. Vari funzionari turchi negli ultimi due giorni fanno detto ai media che la Turchia istituisce una grande “zona di sicurezza” dei ribelli in questa zona della Siria.
Inoltre, come dice Mark Sleboda, ora ha il sostegno degli Stati Uniti, come dimostra il ruolo molto attivo dell’aviazione statunitense nel sostenere l’operazione turca su Jarablus. Mark Sleboda inoltre mi ha fatto notare che la creazione di tale “zona di sicurezza” dei terroristi in Siria era un obiettivo dichiarato dai turchi da oltre un anno, e finora ostacolato dalla riluttanza degli Stati Uniti a fornire il supporto necessario e dalla preoccupazione di Washington e Ankara della possibile reazione militare russa. Con l’operazione a Jarablus ed oltre, effettuata con il supporto degli USA e carpendo l’acquiescenza russa, i turchi l’hanno ora ottenuta. Quali implicazioni avrà sulla guerra in Siria e sul riavvicinamento russo-turco?
Tornando alla guerra in Siria, il mio punto di vista resta che ciò, alla fine, non deciderà l’esito della battaglia di Aleppo, dove le notizie suggeriscono che l’Esercito arabo siriano continua ad avanzare, nonostante il continuo, e di fatto aumentato, flusso di rifornimenti ai jihadisti dalla Turchia.
La mia visione a lungo termine rimane è che se il governo siriano riconquisterà Aleppo e Idlib, allora vincerà la guerra.
Tuttavia ciò che tale episodio dimostra è che la guerra è lungi dall’essere vinta, e che i turchi e i loro sostenitori statunitensi sono pronti all’escalation per evitare che l’esercito siriano vinca.
Al di là di ciò che penso, il giornalista inglese Patrick Cockburn avrebbe ragione, ritenendo che cercando di stabilire una “zona di sicurezza” in Siria, la Turchia si espone e fa un passo che “...potrebbe impantanarla nelle letali paludi della guerra siriano-irachena”. Già vi sono indicazioni che la mossa turca provoca la reazione di YPG e curdi. Nonostante i rapporti precedenti secondo cui le YPG ritiravano le forze sulla riva orientale dell’Eufrate, vi sono notizie ormai credibili sulla resistenza all’avanzata turca delle milizie curde delle YPG, oltre a notizie sulla mobilitazione contro l’avanzata turca nelle zone curde della Siria. Nel mio ultimo articolo tracciavo il seguente punto sulla capacità delle YPG di sventare qualsiasi piano per creare una “zona di sicurezza” dei terroristi in questa parte della Siria, “la Siria nord-orientale è una zona aspramente contestata in cui la forza dominante non sono i terroristi, ma le YPG. Non sembra credibile come “zona sicura” per i terroristi o zona da cui lanciare attacchi su Aleppo. Al contrario, il tentativo di creare una “zona sicura” per i terroristi in questa zona sarebbe contro le YPG, ripristinando a pieno l’alleanza tra il governo siriano e le YPG, portando a scontri continui nella zona della cosiddetta “zona sicura” tra i terroristi e le YPG. Ciò sicuramente sventerebbe lo scopo della “zona di sicurezza”, rendendola pericolosa ed inutile. Naturalmente l’esercito turco potrebbe provare a presidiare la zona per difendere qualunque “zona sicura” creatavi. Tuttavia ciò richiede un’incursione in Siria ben oltre Jarablus, rischiando di far impantanare l’esercito turco in una guerra di guerriglia nel territorio siriano contro le YPG. Dubito che Erdogan, esercito turco e Stati Uniti lo vogliano“.
Nell’articolo sull’incursione turca, Patrick Cockburn chiarisce essenzialmente lo stesso punto, “La Turchia può impedire per sempre ai curdi di estendere il dominio ad ovest dell’Eufrate, ma sarebbe un’operazione molto diversa e più pericolosa attaccare lo Stato curdo siriano de facto, tra l’Eufrate e il Tigri, dopo che l’Esercito arabo siriano si era in gran parte ritirato dalla regione nel 2012“.
La creazione di una “zona di sicurezza” per i terroristi in Siria, nonostante l’opposizione delle YPG, è comunque ciò che Erdogan e i turchi, sostenuti dagli Stati Uniti, hanno deciso di fare.
Nei giorni scorsi c’è stata qualche nuovo discorso sulla Russia impantanatasi nella guerra in Siria. A mio parere, il Paese che corre di gran lunga il maggior rischio di impantanarsi in Siria non è la Russia, ma la Turchia, che ha già a che fare con una campagna terroristica islamista e una rivolta curda sul proprio territorio, grandi conseguenze della guerra in Siria, e che non può permettersi un’altra guerra tra l’esercito turco e le YPG che potrebbero essere appoggiate dai russi in Siria, aumentandone i problemi. Questo però è ciò che la Turchia rischia con l’ultima mossa.
Rimane l’eccezionale puzzle politico degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno incoraggiato attivamente le YPG a catturare Manbij, che si trova ad ovest dell’Eufrate, fornendole un pesante supporto aereo per l’operazione su Manbij. E ora chiedono alle YPG di abbandonare Manbij e tutte le zone ad ovest dell’Eufrate, e fornisce supporto aereo a un’operazione militare turca che almeno in parte prende di mira le YPG. E’ impossibile vedervi qualche logica.
Come ho scritto nel precedente articolo, “E’ impossibile vedervi una qualsiasi strategia coerente. Piuttosto sembra che CIA e militari sul campo in Siria proseguano sulla loro strada, favorendo le YPG ad espandersi il più velocemente possibile, incuranti delle conseguenze. La leadership politica di Washington, quando finalmente ha capito cosa succede, ha dovuto adottare misure sproporzionate per riportare la situazione sotto controllo“.
Indipendentemente da ciò, la mossa turca in Siria dovrebbe seppellire una volta per tutte la minima idea che la Turchia sia in procinto a un riallineamento geopolitico allontanandosi dall’occidente verso le potenze eurasiatiche. Non solo la Turchia è ancora alleata di Stati Uniti e NATO, ma ormai esegue un’operazione militare illegale in Siria con l’opposizione russa e il sostegno militare degli Stati Uniti.
Non è l’azione di un Paese che si riallinea e si prepara a cambiare alleanze passando dall’occidente a Pechino e Mosca.
Russi e turchi sono ora si parlano, dopo diversi mesi di silenzio.
La sintesi del Cremlino della conversazione tra Putin e Erdogan dimostra che ancora non si parla di migliorare le relazioni commerciali ed economici.
Tuttavia, come mostra l’articolo Kommersant, anche tali progressi limitati ora appaiono in pericolo, mentre le posizioni contrastanti dei due Paesi sulla guerra in Siria, ancora una volta, minacciano di separarli.
In altre parole la Turchia rimane, come è sempre stato, un alleato non della Russia e delle potenze eurasiatiche, ma degli Stati Uniti e dell’occidente, e le sue azioni in Siria ne sono una chiara dimostrazione.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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