9 dicembre forconi: 12/02/16

venerdì 2 dicembre 2016

"PANORAMA": LA GUARDIA DI FINANZA VOLEVA ARRESTARE BAZOLI!

NELLE INFORMATIVE DELLE FIAMME GIALLE SI PARLA DI “INDOLE DELINQUENZIALE ACCENTUATA” E DELINEANO I CONTORNI DI UNA CRICCA, I VERTICI DI UBI BANCA 

E SI PARLA DI ASSOCIAZIONE A DELINQUERE

Giacomo Amadori e Ignazio Mangrano per La Verità

giovanni bazoliGIOVANNI BAZOLI
Ieri Panorama ha sganciato la bomba, rivelando la richiesta di arresto che la Guardia di finanza aveva presentato un anno fa ai pm di Bergamo nei confronti del banchiere Giovanni Bazoli, della figlia Francesca e di altri 14 dirigenti di primo piano del gruppo Ubi.

Panorama riferisce che la richiesta era a conclusione di un’informativa di 181 pagine inoltrata il 23 dicembre 2015 e firmata dal generale Giuseppe Bottillo, comandante del Nucleo speciale di polizia valutaria, e dal colonnello Gabriele Procucci, responsabile del 3° gruppo sezione tutela del risparmio. Nell’informativa riportata da Carmelo Abbate si leggeva questo severo giudizio, a proposito di (un) Bazoli (padre o figlia?): «Un’indole delinquenziale particolarmente accentuata».
francesca bazoliFRANCESCA BAZOLI

Ma non è solo questo il passaggio dell’inchiesta della Procura di Bergamo che sorprende. Leggendo la documentazione contenuta nel fascicolo sul quarto gruppo bancario italiano si scopre che le accuse vanno dall’ostacolo alle funzioni di vigilanza all’illecita influenza sull’assemblea, ma ciò che maggiormente colpisce oltre naturalmente alla gravità delle condotte contestate, sono i metodi e la terminologia alla base delle maggiori decisioni di un così grande istituto. Tanto che non sembra di leggere atti di un’inchiesta bancaria. Dai documenti emergono ricatti, pressioni, riunioni segrete e termini come «patti tra gentiluomini», «garante», «mafia cattolica».

GIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSEGIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSE
Emerge la storia di due famiglie, una bresciana con a capo indiscusso, secondo la Procura, Giovanni Bazoli, e una bergamasca guidata, fino al suo appannamento, da Emilio Zanetti. Giovanni Bazoli, intercettato, afferma: «Sono patti tra gentiluomini quelli su cui si fonda la nascita di Ubi Banca». Il quarto gruppo bancario italiano nasce quindi, secondo l’allora presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, da un patto tra gentiluomini i cui «garanti» sono lui stesso per Brescia e Zanetti per Bergamo. In un’intercettazione tra il presidente del consiglio di gestione Franco Polotti e l’allora vicepresidente di sorveglianza Alberto Folonari ecco poi spuntare la parola «mafia ».
Emilio ZanettiEMILIO ZANETTI

Folonari: «Senti c’è uno che comincia a rompermi un po’ le palle, e l’ho detto anche a Nanni (Giovanni Bazoli, ndr), è Camadini (Pierpaolo, consigliere della banca, ndr) crede di… non lo so io!». Polotti: «Beh, Alberto allora…». Folonari: «Mafia cattolica!». È come un romanzo nel quale due famiglie con i rispettivi capi e garanti decidono vita e morte dell’intero gruppo. Sono spesso affidate ai familiari nomine, consulenze e crediti, su cui, secondo Panorama , ci sono indagini in corso e ispezioni da parte della Banca centrale europea. Tutto deve restare all’interno delle famiglie.

ANDREA MOLTRASIOANDREA MOLTRASIO
Non a caso la Guardia di finanza a conclusione dell’informativa che manda al pubblico ministero che si occupa dell’inchiesta annota: «(…) Le condotte illecite sopra descritte sono tali da configurare una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di ostacolo all’esercizio delle funzioni di pubblica vigilanza nonché del reato di illecita influenza sull’assemblea ()». I finanzieri elencano quelli che a loro parere sarebbero i componenti del sodalizio: Giovanni e Francesca Bazoli, Emilio Zanetti, Andrea Moltrasio, Franco Polotti, Victor Massiah, Mario Cera, Armando Santus, Giuseppe Calvi, Italo Lucchini, Mario Mazzoleni. I massimi vertici del gruppo più Giovanni Bazoli.
FRANCO POLOTTIFRANCO POLOTTI

I pm non hanno ritenuto di contestare questo gravissimo reato. Forse tenendo conto anche dell’impatto che una cosa del genere avrebbe avuto sui mercati. Associazione a delinquere o meno, quello che emerge dagli atti è che quando queste famiglie si sono sentite minacciate dalla segnalazione dell’autorità di vigilanza sulle modifiche al regolamento del comitato nomine o dalla presenza di liste concorrenti, non hanno esitato a mettere in piedi una vera e propria struttura volta ad annullare il pericolo. Disinteressandosi delle norme, anzi violandole apertamente.
victor massiahVICTOR MASSIAH

Ma nella storia di Ubi a colpire è anche altro. Per esempio la quasi inesistente presenza di investimenti personali da parte dei soggetti che di fatto controllano il gruppo. Soggetti che in nome di un ormai noto capitalismo di relazione o familiare acquisiscono e gestiscono il potere per i propri interessi. Le sorprese non finiscono qui. Nell’azionariato della banca ci sono rilevanti pacchetti azionari delle diocesi di riferimento. Stiamo parlando di circa 2.500.000 azioni Ubi della diocesi di Bergamo e di circa 10.000.000 in possesso della diocesi di Brescia (suddivise tra le varie fondazioni).

editrice la scuolaEDITRICE LA SCUOLA
C’è inoltre da chiedersi come sia possibile, ad esempio, che una società che nasce per diffondere cultura, come «Editrice la scuola», totalmente posseduta dall’Opera per l’educazione cristiana, sia in possesso di 5.068.047 azioni Ubi e che la sua controllante ne possegga altre 220.336. La risposta si trova forse nel fatto che il presidente dell’Opera è proprio Giovanni Bazoli e che lo stesso ha avuto ruoli anche all’interno dell’Editrice la scuola.

Fonte: qui

L'Italia di Renzi è senza futuro: boom di poveri e crollo dei nati

Istituzioni sempre più deboli. La società non investe più sul futuro: i giovani risultano più poveri dei nonni. 


Il risultato? 



La povertà cresce e crollano le nascite



Una società che si regge da sé, senza contare più su istituzioni indebolite, e che diventa così terreno fertile per il populismo. 



L'Italia di Matteo Renzi, descritta dal cinquantesimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, è senza futuro.

Un Paese che ha abdicato qualsiasi speranza nelle istituzioni e che non investe più. Un'Italia in cui "il corpo sociale si sente rancorosamente vittima di un sistema di casta", mentre "il mondo politico si arrocca sulla necessità di un rilancio dell'etica e della moralità pubblica" e "le istituzioni sono inermi (perché vuote o occupate da altri poteri), incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera". E così, mentre aumenta la povertà e crescono le preoccupazioni nei confronti dell'immigrazione, le coppie smettono di fare figli e i giovani restano intrappolatio in lavori a basso costo e bassa produttività.

I giovani più poveri dei nonni

Sfiduciati dalla crisi, gli italiani si aggrappano al risparmio e non investono sul futuro. Le risorse dirottate nel salvadanaio impoveriscono la società e i giovani si ritrovano più poveri dei loro nonni. È un'Italia rentier, avara di speranze, dove l'immobilità sociale genera insicurezza. Tanto che, dall'inizio della crisi nel 2007, in Italia sono stati accantonati 114,3 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva. Una cifra maggiore del Pil dell'Ungheria. Per i millennial è un ko economico. I loro redditi sono più bassi del 15% rispetto alla media. Un gap che cresce al 26,5% se si fa il confronto con i loro coetanei di venticinque anni fa. La ricchezza dei giovani è inferiore del 41% rispetto a quella dei sessantenni, che stanno sempre meglio. Per gli over 65 il reddito infatti è aumentato del 24,3%. "La ricchezza dei millennial - si legge nell'analisi del Censis - è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%". Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).

Gli italiani rinunciano a curarsi

"La scure non guarirà la sanità italiana. Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche". Secondo il Rapporto Censis, infatti, "il mercato del lavoro genera sempre meno opportunità occupazionali lasciando senza redditi un numero sempre più crescente di famiglie". Un impoverimento diffuso che non necessariamente coincide con la condizione di povertà economica: l'area del disagio sociale è infatti più ampia. "La deprivazione - si legge nel dossier - coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà.

Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni di deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010"
.

I nuclei familiari in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all'8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa generano un'incertezza diffusa che alimenta un pessimismo diffuso: solo pochi pensano di essere al riparo dal rischio di cadere in condizioni di disagio. Le famiglie in "deprivazione abitativa" sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in "severa deprivazione abitativa" 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Circa il 20% ha problemi di umidità in casa, il 16,5% di sovraffollamento e il 13,2% di danni fisici all'abitazione. Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775mila sono in gravi condizioni di deprivazione.

Roma e Milano sempre più povere

Le capitali italiane - quella politica, Roma e quella finanziaria, Milano - pesano di meno per Pil delle omologhe aree urbane delle altre nazioni del vecchio Continente. "Sono molti i Paesi europei in cui la capitale - spiega il Censis - condensa in misura straordinaria popolazione e soprattutto ricchezza. Stoccolma, Bruxelles, Vienna, Lisbona, Praga pesano per oltre il 30% della rispettiva ricchezza nazionale. Milano e Roma, pur con il loro primato nazionale, pesano ciascuna per poco meno del 10% del Pil italiano". All'interno di questa 'fotografià rientra la difficile strada dell'autonomia abitativa dei giovani italiani. In Italia la generazione dei millennial ha un peso demografico scarso: i giovani di 20-34 anni rappresentano appena il 16,4% della popolazione totale, la percentuale più bassa tra i Paesi dell'Unione europea. E sono in diminuzione: oggi non arrivano a 11 milioni (erano quasi 15 milioni nel 1991), mentre la popolazione anziana (13,4 milioni) è in costante crescita. Anche le nostre grandi aree urbane, se paragonate a quelle del resto del continente, risultano le meno giovani: la quota di popolazione tra 20 e 34 anni si attesta al 15-16% a Roma, Milano e Torino. I giovani di 18-24 anni ancora in famiglia in Italia sono il 92,6%, nella fascia di età 25-34 anni la quota scende al 48,4%: dati molto elevati rispetto alla media dell'Ue (rispettivamente, 78,9% e 28,9%).

Il calo della popolazione e l'allarme demografico

In Italia le coppie sono sempre più "temporanee, reversibili e asimmetriche, ma autentiche". Nell'ultimo anno sono nati fuori dal matrimonio 139.611 bambini (+59,9% in un decennio), pari al 28,7% del totale: dieci anni fa erano il 15,8%. "Emerge insomma - rileva il Censis - l'erosione delle forme più tradizionali di relazionalità tra le persone e il contestuale sviluppo di modelli diversi". Vince, insomma, la spinta ad abbassare le barriere di ingresso e di uscita nelle relazioni affettive. I millennial sono per l'80,6% celibi o nubili (il 71,4% solo dieci anni fa), mentre i coniugati sono il 19,1% (erano il 28,2%). L'Italia non è un Paese per genitori. Che nel Belpaese si facciano troppi pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell'immaginario collettivo. Nel sentire comune, la prima causa imputata rispetto al crollo delle nascite è la grave e perdurante crisi economica. Il Censis segnala, infatti, come "senza stranieri il rischio è il declino". Nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%"Senza giovani né bambini - si legge nel report - il nostro viene percepito come un Paese senza futuro".

L'allarme immigrazione e il terrorismo

Sono l'immigrazione e il terrorismo le due questioni che più preoccupano l'Europa e l'Italia. Paure che hanno portato il 65,4% degli italiani a modificare le proprie abitudini. Nell'immediato, il 73,1% ha evitato di fare viaggi all'estero, il 53,1% ha evitato luoghi percepiti come possibili bersagli di attentati (piazze, monumenti, stazioni), il 52,7% ha disertato luoghi affollati (cinema, teatri, musei, sale per concerti, luoghi della movida), il 27,5% non ha preso la metropolitana, il 18% ha evitato di uscire la sera. In realtà la stragrande maggioranza degli italiani è convinta che queste microstrategie non siano sufficienti a risolvere problemi che avrebbero bisogno di una governance condivisa sul terreno dell'ordine pubblico e dell'intelligence.
Fonte: qui

La Francia sull’orlo del collasso totale


La Francia è in subbuglio. I “migranti” che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente seminano disordine e insicurezza in molte città.

L’enorme tendopoli comunemente conosciuta come la “giungla di Calais” è stata appena smantellata, ma altri accampamenti sorgono ogni giorno. Nella zona est di Parigi, le strade sono coperte di lamiere ondulate, tele cerate e assi di legno.


La violenza è all’ordine del giorno.

Le 572 “no-go zones”, definite ufficialmente “zone urbane sensibili”, continuano a crescere e gli agenti di polizia che si avvicinano ad esse spesso ne pagano le conseguenze.

Di recente, un’auto della polizia è caduta in un’imboscata ed è stata data alle fiamme, che hanno impedito agli agenti intrappolati dentro di uscire. I poliziotti hanno ricevuto ordine dai superiori che se vengono aggrediti devono fuggire anziché reagire. Molti agenti, furiosi per doversi comportare come codardi, hanno organizzato manifestazioni di protesta. Non ci sono più stati attacchi terroristici dopo l’uccisione di un prete a Saint-Étienne-du-Rouvray, il 26 agosto di quest’anno, ma secondo i servizi segreti molti jihadisti sono tornati dal Medio Oriente e sono pronti ad agire e disordini potrebbero scoppiare ovunque, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo.
Sebbene sia sopraffatto da un situazione interna che riesce a controllare a malapena, il governo francese continua a intervenire negli affari mondiali, la creazione di uno “Stato palestinese” è ancora la sua causa preferita e Israele è il suo capro espiatorio preferito.
La scorsa primavera, anche se la Francia e i Territori palestinesi versavano in condizioni terribili, il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha detto che era “urgente” rilanciare il “processo di pace” e creare uno Stato palestinese. La Francia ha pertanto indetto il 3 giugno a Parigi una conferenza internazionale e non ha invitato né Israele né i palestinesi. La conferenza è stata un flop. Si è conclusa con una dichiarazione insulsa sulla “necessità imperativa” di andare “avanti”.
La Francia non si è fermata lì. Il governo ha poi deciso di organizzare una nuova conferenza a dicembre. Stavolta, con Israele e i palestinesi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sottolineando che Israele non ha bisogno di intermediari, ha declinato l’invito. I leader palestinesi hanno accettato. Saeb Erekat, portavoce dell’Autorità palestinese (Ap), si è congratulato con la Francia, aggiungendo, senza sorpresa, che l’Ap aveva “suggerito” l’idea ai francesi.
Ora, Donald Trump è il neo-presidente degli Stati Uniti e Newt Gingrich probabilmente svolgerà un ruolo decisivo nell’amministrazione Trump. Gingrich ha detto qualche anno fa che non esiste una cosa come il popolo palestinese e la settimana scorsa ha aggiunto che gli insediamenti non sono in alcun modo un ostacolo alla pace. Per questo, la conferenza di dicembre sembra essere un altro fallimento. Tuttavia, i diplomatici francesi stanno lavorando con i funzionari palestinesi a una risoluzione delle Nazioni Unite per riconoscere uno Stato palestinese dentro i “confini del 1967” (le linee armistiziali del 1949), ma senza alcun trattato di pace. Essi spererebbero che il presidente uscente degli Stati Uniti, Barack Obama, non usi il veto americano nel Consiglio di Sicurezza, consentendo l’approvazione della risoluzione. Non è affatto sicuro che Obama vorrà terminare la sua presidenza con un gesto così apertamente sovversivo. È quasi certo che la Francia fallirà anche in questo caso. Ancora una volta.
Da molti anni, la Francia sembra aver costruito la sua intera politica estera sulla decisione di allinearsi all’Organizzazione della Cooperazione islamica (Oci): 56 Paesi islamici più i palestinesi. Inizialmente, la Francia probabilmente sperava di scalzare l’America dal ruolo di potenza mondiale, accedere al petrolio a buon mercato e concludere accordi commerciali con i Paesi islamici ricchi di petrolio e di non subire attacchi terroristici interni. Tutti e quattro i sogni sono sfumati. È altrettanto ovvio che la Francia ha problemi più urgenti da risolvere. La Francia persevera perché sta disperatamente cercando di limitare i problemi che probabilmente non possono essere risolti. Negli anni Cinquanta, la Francia era diversa rispetto a com’è adesso. Era amica di Israele. La “causa palestinese” non esisteva. La guerra d’Algeria infuriava e la grande maggioranza dei politici francesi non avrebbe nemmeno stretto la mano a terroristi impenitenti. Tutto cambiò con la fine della guerra d’Algeria. Charles de Gaulle consegnò l’Algeria a un movimento terroristico chiamato Fronte di liberazione nazionale. Egli poi procedette a creare un riorientamento strategico della politica estera francese, inaugurando ciò che egli definì la “politica araba della Francia”.
La Francia firmò accordi commerciali e militari con varie dittature arabe. Per sedurre i suoi nuovi amici, adottò con entusiasmo una politica anti-israeliana. Quando, negli anni Settanta, il terrorismo sotto forma di dirottamenti aerei fu inventato dai palestinesi e con l’uccisione degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972 i “palestinesi” divennero all’improvviso una “causa sacra” e uno strumento utile per fare leva sul mondo arabo, la Francia, adottando la “causa” divenne rigorosamente filopalestinese. I palestinesi iniziarono a usare il terrorismo internazionale e la Francia decise di accettare questo terrorismo fino a quando essa stessa non è stata colpita. Allo stesso tempo, la Francia ha accolto l’immigrazione di massa proveniente dal mondo arabo-musulmano, che s’inscrive a quanto pare nell’ambito di un desiderio di espandere l’Islam. Da allora, la popolazione musulmana della Francia è aumentata senza però integrarsi.
Al momento, la Francia non lo ha percepito, ma si trova in una trappola, e la trappola sta per chiudersi. La popolazione islamica della Francia sembra essere antifrancese per quanto riguarda i valori giudaico-cristiani e dell’Illuminismo e filofrancese purché la Francia ceda alle pretese dell’Islam. Poiché i musulmani che vivono in Francia sono anche filopalestinesi, teoricamente non dovrebbero esserci problemi. Ma la Francia ha sottovalutato gli effetti dell’avvento dell’estremismo islamico nel mondo musulmano e non solo.
Sempre più musulmani francesi si considerano innanzitutto islamici. Molti ritengono che l’Occidente sia in guerra con l’Islam; considerano la Francia e Israele come parte dell’Occidente, pertanto, sono in guerra con entrambi. Sanno che la Francia è anti-israeliana e filopalestinese, ma vedono anche che diversi politici francesi mantengono legami con Israele, e quindi pensano probabilmente che la Francia non è abbastanza anti-israeliana e filopalestinese. Sanno che la Francia tollera il terrorismo palestinese e sembrano non capire perché essa combatta il terrorismo islamico in altri luoghi. Per compiacere i propri musulmani, il governo francese crede di non avere altra scelta se non quella di essere quanto più possibile filopalestinese e anti-israeliano, anche se pare proprio che questa politica sta fallendo miseramente nei sondaggi. Il governo francese si rende innegabilmente conto che non può impedire ciò che si profila sempre più come un disastro incombente. Questo disastro è già in corso. Forse l’attuale governo francese spera di poter ritardare un po’ il disastro ed evitare una guerra civile. Magari spera che non esplodano le “no-go zones”, almeno sotto i suoi occhi.
Oggi la Francia ha sei milioni di musulmani, il 10 per cento della sua popolazione, e la percentuale è in crescita. Secondo i sondaggi, un terzo dei musulmani francesi vuole la piena applicazione della legge islamica della sharia. Essi indicano anche che la stragrande maggioranza dei musulmani francesi appoggia il jihad, e soprattutto il jihad contro Israele, un Paese che vorrebbero vedere cancellato dalla faccia della terra. La principale organizzazione musulmana francese, l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia, è un ramo dei Fratelli musulmani, un movimento che dovrebbe essere considerato un gruppo terroristico per il suo palese desiderio di rovesciare i governi occidentali. I Fratelli musulmani sono principalmente finanziati dal Qatar, un Paese che effettua ingenti investimenti in Francia e dispone della comodità di ospitare una base aerea americana. Gli ebrei stanno lasciando la Francia in numeri record e queste partenze non si fermano. Sammy Ghozlan, presidente dell’Ufficio nazionale francese di vigilanza contro l’antisemitismo, ha detto per anni che “è meglio lasciare il Paese che fuggire”. È stato vittima di un’aggressione. La sua auto è stata incendiata. Ha lasciato la Francia e ora vive in Israele.
Il resto della popolazione francese si rende assolutamente conto dell’estrema gravità di ciò che sta accadendo. Qualcuno è arrabbiato ed è in rivolta; altri sembrano rassegnati al peggio: una scalata islamista dell’Europa. Le prossime elezioni francesi avranno luogo nel maggio 2017. Il presidente francese François Hollande ha perso ogni credibilità e non ha alcuna possibilità di essere rieletto. Chi s’insedierà all’Eliseo avrà un compito difficile. I francesi sembrano aver perso la fiducia in Nicolas Sarkozy (e dopo la sconfitta di Alain Juppé alle primarie presidenziali del centrodestra di domenica 27 novembre, gli elettori, ndt) dovranno scegliere tra Marine Le Pen e François Fillon. Marine Le Pen è la candidata del Front National, partito di estrema destra. François Fillon è il candidato del centrodestra. Fillon di recente ha detto che “il comunitarismo islamico” crea “problemi in Francia”. Egli ha inoltre dichiarato che se non verrà creato quanto prima uno Stato palestinese, Israele costituirà “la principale minaccia alla pace mondiale”.
Tre anni fa, il filosofo francese Alain Finkielkraut ha pubblicato il libro “L’identità infelice”, che descrive i pericoli inerenti all’islamizzazione della Francia e le gravi tensioni che ne derivano. Alain Juppé ha scelto uno slogan elettorale volto a contraddire Finkielkraut che è quello della “identità felice”. Dopo l’uscita del volume di Alain Finkielkraut, sono stati pubblicati altri libri pessimistici che sono diventati dei best seller in Francia. Nell’ottobre 2014, l’editorialista Eric Zemmour ha pubblicato “Il suicidio francese”. L’ultima fatica editoriale di Zemmour è “Un quinquennat pour rien (Un quinquennio per niente)”. Egli descrive ciò che vede accadere in Francia: “Invasione, colonizzazione, esplosione”.
Zemmour definisce l’arrivo di milioni di musulmani in Francia nel corso degli ultimi cinquant’anni come un’invasione e il recente arrivo di orde di migranti come la continuazione di questa invasione. Egli descrive la creazione delle “no-go zones” come la creazione di territori islamici sul suolo francese e una parte integrante del processo di colonizzazione. Zemmour scrive che lo scoppio della violenza è segno di un’imminente esplosione, del fatto che prima o poi la rivolta guadagnerà terreno. Un altro libro, “Le campane suoneranno ancora domani?”, è stato di recente pubblicato da Philippe de Villiers, un ex membro del governo francese. Villiers rileva la scomparsa delle chiese in Francia, rimpiazzate dalle moschee. Menziona anche la presenza nelle “no-go zones” di migliaia di armi da guerra (fucili d’assalto Ak-47, pistole Tokarev, armi anti-carro M80 Zolja, ecc.). E aggiunge che le armi probabilmente non dovranno nemmeno essere usate, perché gli islamisti hanno già vinto. Il 13 novembre 2016, la Francia ha commemorato il primo anniversario delle stragi di Parigi. In tutti i luoghi che furono teatro degli attacchi sono state scoperte delle targhe commemorative in cui si legge: “In ricordo delle vittime degli attacchi”. Non è stata menzionata la barbarie jihadista. In serata, il Teatro Bataclan ha riaperto con un concerto di Sting. L’ultima canzone del concerto è stata “Inshallah” – “ad Allah piacendo”. La direzione del Bataclan ha impedito a due membri degli Eagles of Death Metal – la band che si stava esibendo sul palco al momento dell’attacco – di assistere al concerto. Qualche settimana dopo la strage, Jesse Hughes, leader del gruppo musicale, aveva osato criticare i musulmani coinvolti. Il direttore del Bataclan ha detto di Hughes: “Ci sono cose che non si possono perdonare”.
Traduzione a cura di Angelita La Spada
Fonte: qui

PUTIN FIRMA LE NUOVE LINEE DI MOSCA IN MATERIA DI POLITICA ESTERA

LA RUSSIA “NON ACCETTA LA GIURISDIZIONE AMERICANA EXTRA-TERRITORIALE NE' PRESSIONI POLITICHE, ECONOMICHE E MILITARI” 

IL CREMLINO SI RISERVA IL DIRITTO DI “REAGIRE IN MODO FERMO” ALLE AZIONI “NON AMICHEVOLI”

1 - PUTIN FIRMA LINEE POLITICA ESTERA, NO A PRESSIONI USA
(ANSA) - Vladimir Putin ha firmato l'approvazione delle nuove linee russe in materia di politica estera. Il documento era stato aggiornato l'ultima volta nel 2013. La Russia, si legge, "non accetta la giurisdizione Usa extra-territoriale" così come le "pressioni politiche, economiche e militari" e si riserva il diritto di "reagire in modo fermo" alle azioni "non amichevoli" anche attraverso il rafforzamento "della difesa nazionale" e dell'utilizzo di misure simmetriche o asimmetriche". Lo riporta la Tass.
PUTIN KGBPUTIN KGB

2 - PUTIN, NOSTRO POPOLO DIFENDE SOVRANITÀ E RIGETTA POPULISMO
(ANSA) - La Russia ha affrontato molti problemi in "condizioni insolite", "come spesso è accaduto nella nostra storia", "ma il popolo russo ha dimostrato di saper difendere e proteggere la nostra indipendenza e gli interessi nazionali e la nostra sovranità". Così Vladimir Putin durante il suo discorso al Parlamento. Putin ha sottolineato che i problemi "saranno superati" e che il paese continuerà a seguire una "traiettoria democratica". "Il nostro popolo, alle ultime elezioni, ha dimostrato che viviamo in una società giusta e che la Russia rifiuta il populismo", ha aggiunto.
putin concentratoPUTIN 

3 - PUTIN, UNO STATO DEBOLE È A RISCHIO CRISI E MANCA OBIETTIVI
(ANSA) - "Credete che si possano raggiungere gli obiettivi strategici senza unità, con uno stato debole e discussioni continue che non portano a nulla? Ovviamente no. E lo vediamo in altri paesi, anche nazioni ricche, e questo porta a crisi, colpi di stato e lutti". Così Vladimir Putin durante il suo discorso al Parlamento.

4 - PUTIN, PRONTI A BUONE RELAZIONI CON AMMINISTRAZIONE USA
PUTIN OBAMA 1PUTIN OBAMA 
(ANSA) - "Vogliamo sviluppare rapporti con la nuova amministrazione americana: buone relazioni fra Russia e Usa sono nell'interesse del mondo intero". Così Vladimir Putin, che ha rinnovato la sua offerta a Washington di "lottare insieme contro il terrorismo internazionale".

Fonte: qui