9 dicembre forconi: 09/18/16

domenica 18 settembre 2016

EUROPA IN PEZZI - ESISTE SOLO L’ASSE TRA BERLINO E PARIGI, RENZI SI DICE INSODDISFATTO, LA MERKEL REPLICA: L’AGENDA ERA CONCORDATA

LA CONVINZIONE È CHE FRAU ANGELA VOGLIA ARRIVARE AL VOTO DELL' AUTUNNO 2017 SENZA PRENDERE INIZIATIVE FORTI: IL RISCHIO E' CHE I PROSSIMI 12 MESI VEDANO LA DISINTEGRAZIONE DELLA UE

Danilo Taino per il Corriere della Sera
MERKEL HOLLANDEMERKEL HOLLANDE

Esiste solo una relazione speciale in Europa: quella tra Berlino e Parigi. Non è più l' asse di una volta, è del tutto sbilanciata a favore della Germania e soprattutto non sta funzionando, di fronte alle crisi multiple della Ue. Ma sembra non avere alternative. È stata sufficiente una conferenza stampa a due, Angela Merkel e François Hollande assieme, per chiarire che «fronte dei Paesi mediterranei» e «alleanza dei governi socialisti» sono palloncini di aria calda. Per quanto mezza mediterranea e al momento socialista, la Francia non romperà con la Germania.

L' incontro EuMed di Atene del 9 settembre - capi di governo dei Paesi europei del Mediterraneo della famiglia socialdemocratica, compreso il presidente francese - aveva irritato il governo di Berlino. E aveva provocato la reazione di Wolfgang Schäuble sulle idee «poco intelligenti» che escono dai vertici della sinistra. La conferenza stampa Merkel-Hollande alla fine del summit europeo di Bratislava, venerdì, ha ricostituito l' ordine europeo: Parigi non va da nessuna parte senza Berlino. È una brutale piccolezza, confrontata con le sfide di oggi: ma è così. Il problema è capire se il vecchio motore franco-tedesco ha un piano e verso cosa conduce.

RENZI MERKELRENZI MERKEL
L' idea di Merkel, alla quale Hollande si è adeguato, è che dopo la Brexit non ci sia la possibilità di proseguire verso «una maggiore integrazione» della Ue: gli elettori non la vogliono e l' Unione si spaccherebbe, mentre oggi il primo obiettivo è l' unità dei 27. 

Quindi, solo iniziative concrete che i cittadini capiscano, su sicurezza, crescita economica e lavoro ai giovani. Questa è la linea seguita nel vertice informale di venerdì, che i leader di Germania e Francia hanno giudicato positivo.

Quella che Merkel, Hollande e il Consiglio europeo hanno chiamato Dichiarazione di Bratislava, però, per Matteo Renzi è molto meno, più uno Schizzo di Bratislava.
Nel governo italiano, l' idea è che la risposta che si sta dando alla Brexit e alle altre sfide a cui l' Europa è di fronte sia pericolosamente inadeguata.


renzi hollande merkel ventoteneRENZI HOLLANDE MERKEL VENTOTENE
La convinzione è che Merkel voglia arrivare alle elezioni federali tedesche dell' autunno 2017 senza prendere iniziative forti, con il rischio che i prossimi 12 mesi vedano lo sfilacciarsi definitivo della Ue, già nel pieno della sua maggiore crisi, con il Regno Unito in uscita, i Quattro di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) su una rotta centrifuga, governi in ginocchio quasi ovunque e alle porte Putin, Erdogan, i terroristi, la tragedia siriana, i rifugiati e la possibilità di un presidente Trump. 

In quest' ottica, Renzi si è detto «insoddisfatto» delle conclusioni del vertice.

In realtà, che nella capitale slovacca non si sarebbero prese decisioni concrete ma si sarebbe per lo più mostrato la faccia unita della Ue a 27 e avviato un processo si sapeva da tempo. E il portavoce di Merkel ieri ha ricordato all' agenzia d' informazioni Ansa che la road-map «è stata condivisa e concordata da tutti i 27» della Ue, compresa l' Italia, e che lo «spirito di Bratislava» è uno «spirito di collaborazione». Resta il fatto che Renzi ha voluto allontanarsi da Berlino e Parigi: a costo di apparire isolato, ha diretto critiche forti soprattutto a Merkel ma si è anche irritato con Hollande. Idee e agende elettorali diverse.


renzi merkel hollandeRENZI MERKEL HOLLANDE
In discussione è la lenta strada dei «nervi saldi» presa dalla cancelliera e seguita dal presidente francese: capire se può avere successo nei prossimi 12-18 mesi, che per la Comunità saranno probabilmente i più duri in 60 anni di vita. Resta il fatto che l' obiettivo di Berlino e Parigi è l' unità europea: polemiche e ripicche a parte, di sicuro con Roma.

Fonte: qui


P.S. non c'è una linea comune e tante opinioni divergenti su tutti i punti principali e ne è stato redatto un documento del vertice. Insomma sono allo sbando più totale.

Di fatto l'Unione Europea è FINITA 

e l'arroganza di Hollande e della Merkel è completamente fuori luogo.

Deutsche Bank, Vw, Bayer: le mosse della guerra Usa-Germania

Gli Stati Uniti chiedono a Deutsche Bank di pagare per la crisi dei subprime. 

Un altro atto di una guerra in corso tra Usa e Germania

“La storia si ripete, e gli schemi delle rivalità sono sempre gli stessi: siamo di nuovo allo scontro Germania-Stati Uniti.
Per fortuna, stavolta senza bombe, ma con molti gravi danni attuali e possibili in futuro sul fronte economico”: la sintesi del vecchio banchiere sulle notizie dell’ennesimo fronte di scontro aperto tra Europa (leggi: Germania) ed estabilishment americano è drastica ma suggestiva. 

Anche perché stavolta la nuova aggressione Usa a un’istituzione economica tedesca ha del sensazionale, e anche del grottesco.

Il governo americano vuol far pagare 14 miliardi alla Deutsche Bank per chiudere lo scandalo dei titoli tossici legati ai mutui, i famosi “titoli subprime”, che nel 2007 innescarono, crollando a Wall Street, la crisi finanziaria coronata poi dal fallimento della Lehman Brothers, la stessa che ha paralizzato per otto anni l’economia di mezzo mondo. 

Dove sta il grottesco? Sta nel fatto che indubbiamente la Deutsche Bank è stata la banca europea più attiva, speculativamente attiva, in questo avvelenato settore di attività.
Ma sono state alcune istituzioni finanziarie americane a sguazzarci dentro all’inverosimile, fino a imporre il fallimento dei due colossi immobiliari Fannie Mae e Freddie Mac, due finanziarie para-pubbliche che detenevano il grosso del mercato dei mutui subprime.

Non solo: va anche detto che il concetto stesso di mutuo subprime è molto più americano che europeo. Ricordiamone la natura sostanziale: io signor Rossi (o Herr Schmidt o Mister Smith) compro una casa per 100 mila dollari.
Chiedo un mutuo alla banca, e lo ottengo…per 120 mila! per quanto il mio salario mi basti a stento a vivere. Perché la banca mi tratta con tanta generosità? Per due ragioni, una più idiota dell’altra, e in questo tipicamente americani (dove l’idiozia è figlia del cieco e aprioristico ottimismo circa la crescita continua e indefinita dell’economia).

La prima ragione è la fede cieca nell’incremento costante dei valori delle case: per cui, finanziando l’acquirente di un immobile per un importo superiore allo stesso valore d’acquisto, le banche americane scommettevano appunto sul fatto che il valore dell’immobile sarebbe sicuramente e rapidamente cresciuto, e quindi, se anche un domani quel cliente non fosse più stato in grado di pagare le rate del mutuo, vendendo la casa che prendevano in garanzia si sarebbero comunque ampiamente ristorate del prestito.

La seconda ragione è conseguenziale, ma ancora più idiota: quei mutui subprime non rimanevano sulle spalle delle banche che li avevano emessi, ma venivano - come si dice in gergo finanziario - impacchettati con migliaia di altri e scaricati sul mercato dei famosi titoli derivati, o “tossici”, che venivano fatti comprare da ignari risparmiatori per la diabolica abilità di venditori senza scrupoli che li attraevano, come il cacciatore con le allodole, sventolandogli sotto il naso il miraggio degli alti rendimenti che quelle porcherie promettevano. 

Qui l’idiozia si colorava di speculazione, ma restava pur sempre idiozia, perché avrebbe dovuto essere chiaro anche a dei bambini che quel gioco dell’assurdo non avrebbe potuto durare all’infinito. Come infatti accadde…

Ebbene: questo impasto di ottimismo da gonzi, speculazione selvaggia e idiozia diffusa aveva relativamente risparmiato i mercati europei, ma le banche europee più attive all’estero, prima fra tutte la Deutsche, avevano fatto i loro bravi affaracci, scimmiottando quelle americane. 

E a crisi scoppiata le autorità statunitensi - bravissime a chiudere la stalla una volta scappati i buoi - hanno inflitto sanzioni e multe a destra e a manca. 

Spesso di importi irrisori rispetto alle vergognose plusvalenze maturate dalle banche grazie a quelle speculazioni… Ma tant’è.


Per la Deutsche Bank, il “dopo-crisi” non è mai arrivato. Per quanto il governo tedesco abbia avuto il pelo sullo stomaco di iniettare ben 247 miliardi di euro nel suo sistema bancario (a cominciare dalla stessa Deutsche) per farlo resistere alla crisi, la grande banca delle “torri gemelle” di Francoforte - un tempo sinonimo di solidità! - è ancora lì che boccheggia, oppressa da 85 miliardi di euro di titoli tossici che ha in pancia (pressoché uguali al totale delle sofferenze nette del sistema bancario italiano: al quale, per sommo paradosso, oggi Berlino proibisce di ricorrere agli aiuti statali!).

Di qui, da questo pesante coinvolgimento della Deutsche nello scandalo dei subprime, l’attacco degli Usa: “Pagate 14 miliardi di multa”. 

Una batosta insostenibile, che infatti l’istituto multato tenterà di evitare, e per questo ha già mandato a dire: “Non paghiamo”. 

Anche perché, pur temendo una forte multa, la Deutsche ha finora indicato di aver stanziato a riserva per far fronte a costi legali poco più di 6 miliardi di dollari, meno della metà della multa comminata. 

Poi, si sa: il dipartimento di Giustizia americano ha già aperto un negoziato sull’entità della multa (un po’ come l’Agenzia delle Entrate con i nostri maxi-evasori) e un accordo si troverà. Ma sarebbe ingenuo sottovalutare l’incidente.

Al contrario, esso va letto contestualmente ad almeno altri quattro focolai di scontro tra Usa ed Europa (ancora una volta intendendo con “Europa”, sostanzialmente la Germania, che dell’Unione europea è oggi, politicamente, l’indiscussa padrona): il caso Volkswagen, la rottura sul Ttip, l’attacco alla Apple per l’elusione fiscale e il take-over della Bayer sulla Monsanto.

È uno scontro a tutto campo, a ben guardare: una specie di guerra dei mondi. 

Agli Stati Uniti un’Europa davvero forte non fa comodo, chiunque la guidi: tanto meno, però, se la guidano quei tedeschi che sono figli e nipoti delle uniformi grigie che tante decine di migliaia di giovani americani inchiodarono alle spiagge di Normandia e sugli altri campi di battaglia della Seconda (e Prima) guerra mondiale. 

Gli americani - un popolo che ancora oggi custodisce un’arma da guerra in ogni casa - non dimenticano. E non si fidano. 

Avete presente “Salvate il soldato Ryan?” Ecco, è un film-cult di Steven Spielberg di pochi anni fa che ha sbancato i botteghini. Un inno all’eroismo dei marines, un atto d’accusa - l’ennesimo - contro la ferocia nazista.

Fonte: qui

P.S In realtà quello che sta accadendo è un po' diverso ... infatti siamo dentro una guerra finanziaria globale di cannibalizzazione fra le elites trans-atlantiche, in un sistema che sta collassando.

Una guerra ove vige il tutti contro tutti, solo per sopravvivere; invece di prendere la via di uscita, dolorosa si, ma più razionale, che consiste nel riformare profondamente un sistema finanziario/economico che non è più sostenibile!

Il golpe in atto in Italia

Siamo in pieno 1992, nella versione 2.0, e nemmeno ce ne accorgiamo. 

È in atto un golpe da parte di soggetti finanziari esteri e istituzioni europee

Mi sono sbagliato e di grosso. E, per questo, vi chiedo scusa. Ho ritenuto Matteo Renzi più intelligente di quello che in realtà è: non sta facendo nessun giochino con la Consulta per tirare in lungo la data del referendum. E questo non perché non ci siano un interesse strategico e un'agenda nascosta dietro alla consultazione, ma perché, come diceva Rino Formica in un'intervista su queste pagine la scorsa settimana, il fenomeno di Rignano sta governando per conto terzi, è soltanto un prestanome per interessi più grandi. 

Da giovedì sappiamo che la data del referendum verrà decisa nel Consiglio dei ministri del 26 settembre prossimo e se volete vi dico già quale sarà: domenica 4 dicembre. Casualmente la stessa data in cui gli austriaci torneranno alle urne per scegliere il proprio presidente della Repubblica nel turno di ballottaggio, dopo che uno strano incidente con la colla delle buste per il voto postale ha fatto slittare in avanti la data originaria del 2 ottobre. 

È una strategia decisa ai piani alti, non credete alle coincidenze. 

Come lo so? Semplice, basta guardare l'andamento di ieri di Piazza Affari. 

All'ora di pranzo, il listino milanese era l'unico in negativo di tutta Europa e non di poco, visto che perdeva il 2% e a trascinare al ribasso il mercato italiano erano, guarda caso, soprattutto i titoli bancari. Certo, il comparto era in rosso in tutta Europa in scia alle forti vendite su Deutsche Bank (-7% a Francoforte) dopo la notizia che il Dipartimento di Giustizia americano ha proposto all'istituto tedesco di pagare 14 miliardi di dollari per chiudere l'indagine sui mutui subprime, ma un tonfo come quello milanese aveva altre spiegazioni. 

Quali? A pesare era anche l'atteggiamento difensivo degli investitori nei confronti dell'Italia in vista del referendum: "Mancano gli operatori esteri che possono fare la differenza in termini di volumi", ha dichiarato Claudia Segre, presidente della Global Thinking Foundation, all'agenzia MF-Dowjones. A detta dell'esperta, "c'è bisogno della percezione che la variabile politica sia sotto controllo. È chiaro che in questi momenti di smarrimento la speculazione trova terreno fertile per cercare di forzare i livelli tecnici". 

Guarda caso, ultimamente ci sono stati report di alcune importanti case d'affari che hanno messo in guardia gli investitori in vista del referendum italiano, un tema che ha anche allargato lo spread Btp/Bund, ora a quota 132 punti base.

Sul listino milanese soffriva Mps. tanto che nell'intraday l'azione ha aggiornato il minimo storico a quota 0,2054 euro, in scia alle indiscrezioni stando alle quali l'aumento di capitale dovrebbe essere eseguito senza il diritto d'opzione a favore degli attuali azionisti, i quali non sembrano tanto propensi ad aderire alla terza ricapitalizzazione in tre anni: si tratterebbe, quindi, di un collocamento privato. 

Capito perché si sono dovuti fare fuori, con procedura che definire irrituale è un eufemismo, prima Viola e poi Tononi dal board? 

La legge la impone JP Morgan, mica Siena e Roma. 

Inoltre, l'operazione dovrebbe prevedere anche la conversione di una parte dei bond in azioni

"Lo schema di ricapitalizzazione suggerito sembra piuttosto credibile, vista la difficoltà di raccogliere nuove risorse dall'azionariato corrente", sottolineano gli analisti di Icbpi, a detta dei quali, però, "la dimensione del rafforzamento patrimoniale rimane comunque sconosciuta, dato che la valutazione dell'ammontare dei non-performing loans che dovrà essere ceduto non è stata ancora completata, cosa che dipenderà dal valore attuale netto ottenibile dalla vendita. In ogni caso, nuove transazioni avranno effetti molto diluitivi sul capitale, elemento che a nostro parere è riflesso nella debolezza del prezzo dell'azione". 

Preparatevi, perché da qui a dicembre giornate borsistiche simili saranno la norma. 

Hanno bisogno di spaventare la gente, devono instillare il dubbio che il voto per il "no" sia un voto a favore del baratro, devono prospettare cavallette e piaghe d'Egitto, esattamente lo storytelling utilizzato prima del referendum sul Brexit. 

Peccato che gli italiani non abbiano il sangue freddo e gli attributi dei britannici: vedrete cosa succederà da qui al 4 dicembre. 

Passerà lo scandalo del pensionamento anticipato previa accensione del mutuo in banca, passerà qualsiasi porcheria di intervento sul comparto bancario, passeranno tagli indiscriminati per evitare che scattino le clausole di salvaguardia della scorsa Legge di stabilità, si metterà mano alla legge elettorale, visto che è stata fatta sull'onda del 40% del Pd alle europee del 2014, ma, oggi come oggi, vedrebbe favoriti i Cinque Stelle con il premio di maggioranza. 

Si ricollocheranno migranti ovunque, si opererà in spregio di qualsiasi normativa o buon senso in nome dell'emergenza finanziaria, la quale sarà debitamente amplificata dai cani di Pavlov dell'informazione filo-governativa con servizi e articoli ad altissimo tasso ansiogeno. 

Siamo in pieno nella versione 2.0 del 1992 e nemmeno ce ne accorgiamo, è in atto un golpe da parte di soggetti finanziari esteri e istituzioni europee e noi stiamo qui a vedere se la Raggi trova o meno l'assessore: siamo ormai assuefatti ai soprusi. 

E state certi che l'allarme terrorismo giocherà la sua parte: in Germania e Francia sono ormai allo stato di emergenza, addirittura Berlino ha annunciato una grande esercitazione congiunta di esercito e polizia a gennaio del prossimo anno, il tutto nell'ipotesi che i soldati siano dislocati nelle strade in supporto all'antiterrorismo. Siamo allo stato d'assedio: l'altro giorno a Parigi ci sono stati ancora scontri al termine dell'ennesimo (13mo) corteo contro la legge sul lavoro ma i numeri della piazza erano risibili rispetto a quelli registrati nelle manifestazioni prima dell'estate. 

Il perché è preso detto; la strage di Nizza ha portato alla proroga fino all'anno prossimo dello stato di emergenza e Hollande ha poteri assoluti su tutto, la gente comincia ad aver paura di protestare. 

Paradossi del nostro tempo: apriamo le porte a chiunque, nonostante gli allarmi degli analisti di intelligence, ma al contempo militarizziamo le nostre società per paura e prevenzione.

Non vi pare un controsenso? 

Ma non lo è, perché elites politiche così scadenti servono a questo, a fare il lavoro sporco per conto terzi: chi credete che comandi in Europa, forse Superciuk Juncker? 

Per carità, quello va bene per dire quattro idiozie a Strasburgo nella giornata di apertura dei lavori, le cose serie vengono decise altrove. 

Alla Bce, prima di tutto e nei comitati d'affari che gravitano attorno alle grandi corporations: Bayer ha appena comprato Monsanto per 66 miliardi di euro, pensate che dagli Usa non arrivino ritorsioni? 


Abbiamo multato Apple, loro multano Deutsche Bank: siamo in guerra e nemmeno lo sappiamo, stiamo qui placidi a sentirci dire dai telegiornali che Carlo Azeglio Ciampi è stato il presidente del ritrovato orgoglio nazionale. Per carità di Patria e rispetto della morte, evito di dire cosa penso, ma immagino lo possiate intuire. 

Sarà autunno caldo. E, questa volta, davvero. 


Fonte: qui

La Bundesbank: preparatevi a dire addio alla pensione

In pensione sempre più tardi, possibilmente mai: «Un allungamento della vita lavorativa non dovrebbe essere un tabù ma deve, anzi, essere considerato come un elemento fondamentale», avvertono gli economisti della Bundesbank, la banca centrale tedesca presieduta da Jens Weidmann. 

«Non appena la crisi ricorda a tutti di non esser mai finita, si alza immediatamente la voce ammonitrice di chi reclama più austerità sui conti pubblici (tacendo sempre sull’insostenibilità di quello privato, soprattutto)», commenta Claudio Conti su “Contropiano”. 

«Inutile far notare a un Weidmann o un Dijsselbloem che in questo modo si distrugge il benessere della popolazione: l’obiettivo è infatti proprio quello». 

Oggi in Germania l’età del ritiro dal lavoro è a 67 anni.

Allontanare ancora l’età pensionabile significa arrivare ai settant’anni. 

E la previsione è ancora peggiore per le generazioni più giovani, entrate al lavoro con le leggi “Hartz IV” varate sul modello delle “riforme” introdotte anni fa alla Volkwagen corrompendo i leader sindacali perché firmassero accordi-capestro per i dipendenti. 

Problema: il modello-Germania, creato con l’inganno, oggi in Europa fa testo. Ispira tutte le nuove legislazioni, dal Jobs Act alla Loi Travail francese.

Il calcolo della banca centrale tedesca, aggiunge “Contropiano”, è truccato anche questa volta: esclude infatti moltissime voci del bilancio statale, «per arrivare infine a “dimostrare” che, se non si toccano unicamente le pensioni, tutto salta». 

Il Jens Weidmann con Mario Draghiragionamento, continua Conti, si basa sulla generazione dei baby-boomers, nati negli anni ‘50 e ‘60, quando il benessere della ricostruzione post-bellica aveva spinto le famiglie a mettere al mondo molti figli. 
Dopo l’exploit del 1964, come in Italia, anche in Germania poi è cominciata una “discesa” demografica: ogni anno, c’è mezzo milione di tedeschi in meno rispetto all’anno prima (solo gli immigrati mantengono il bilancio in equilibrio). 
L’allarme di Weidmann considera solo il “picco negativo” elevandolo a tendenza, «come se negli anni successivi quel trend non si fosse mai invertito», arrivando così a sostenere che «tra il 2030 e il 2060» il costo sociale del declino demografico potrebbe farsi insostenibile. 
Per “Contropiano”, si tratta di un ricatto esplicito: «O si aumenta l’età pensionabile, portandola il più vicino possibile all’aspettativa di vita (tradotto: dovete morire sul lavoro), oppure si aumenta la percentuale di salario dirottata ai contributi previdenziali». 
O, ancora, «si abbassa il “tasso di sostituzione”, cioè il rapporto tra assegno pensionistico mensile e ultima retribuzione percepita (già ora molto basso, intorno al 42%)».
Con le elezioni ormai alle porte – in Germania di voterà nel 2017 – la Merkel non intende fornire un assist ai suoi avversari: si è infatti affrettata a garantire che il sistema previdenziale resterà immutato. 
Ma la sortita della banca centrale, osserva Conti, è chiaramente rivolta a tutti i membri dell’Ue. 
Il messaggio è chiaro: se è costretta a tirare la cinghia persino la Germania, cioè il paese economicamente più forte (e con i conti quasi in regola con i parametri di Maastricht), figuriamoci cosa dovranno fare i paesi con deficit o debito eccessivo, Francia e Italia in primis. 

In altre parole: la tecnocrazia agli ordini dell’élite sembra ben decisa a “terminare” quel che resta del welfare europeo.

Il grosso del “lavoro sporco” è già stato fatto, con le varie “riforme” del mercato occupazionale che hanno azzerato i diritti dei dipendenti, senza contare i tagli alla sanità e la privatizzazione selvaggia dei servizi essenziali, come trasporti, acqua ed energia. 

Resta il boccone più grosso, quello delle pensioni: Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppoterremotare la previdenza pubblica significa, tra l’altro, scatenare la corsa alle pensioni integrative, private, secondo lo schema italiano della legge Fornero.
Tutto questo, conclude Claudio Conti, serve ad «affermare concretamente il principio che tutto è dovuto all’interesse del mercato capitalistico e nulla alle popolazioni». Si teme dunque che «anche le pensioni già in essere dovranno subire tagli forsennati, come è stato imposto alla Grecia». 

Neoliberismo, reinterpretato dal neo-feudalesimo europeo che nega l’istituto strategico del deficit positivo, la spesa pubblica come investimento strategico, sociale ed economico. 

La logica resta quella, aberrante (puro delirio anti-economico) del pareggio di bilancio: impossibile spendere più di quanto si produce (il che è vero solo per famiglie e aziende, mai per uno Stato che sia sovrano della sua moneta, da emettere in quantità necessaria per sostenere il sistema-paese). 
In più, l’ordoliberismo teutonico impugna a senso unico il falso dogma del bilancio in pareggio: «Nel settore finanziario, infatti, nulla viene rimproverato a quanti (ad iniziare da Deutsche Bank) hanno accumulato perdite, debiti, “sofferenze” sistemiche inaffrontabili». 
In quel caso, al contrario, lo Stato è generosissimo: ogni sforzo pubblico è stato invocato (e ottenuto) per “salvare” gli istituti di credito rigorosamente privati. E ora, chiosa “Contropiano”, il fatto che alcune voci del bilancio pubblico (persino tedesco) siano considerate sacrificabili, significa una sola cosa: la resa dei conti è ogni giorno più vicina.

Fonte: qui