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lunedì 21 novembre 2016

Referendum, sul Financial Times: "Italia fuori dall'euro se vince il No". Ma gli osservatori economici sono divisi

I grandi giornali finanziari internazionali guardano con preoccupazione all'esito della consultazione del 4 dicembre. Catastrofista lo scenario del britannico FT. Più ottimisti Bloomberg e Wall Street Journal



ROMA - Lo dicono gli esperti di Bloomberg e lo sottolinea il giapponese Norihiro Fujito,  senior investment strategist presso Mitsubishi UFJ Morgan Stanley Securities: il referendum costituzionale italiano del 4 dicembre, accanto al prossimo vertice Opec (i Paesi produttori di petrolio), sarà uno degli snodi fondamentali per capire l'umore dei mercati internazionali nei prossimi mesi. Nonostante un po' di tensione, secondo l'agenzia finanziaria Usa un'eventuale sconfitta del governo Renzi non sarà un evento drammatico per la tenuta del Paese. Catastrofiche invece in caso di vittoria del No le previsioni di Wolfgang Münchau, condirettore del Financial Times, il principale quotidiano economico britannico. "Finché c'è crescita c'è speranza" è il messaggio decisamente più ottimista lanciato dal Wall Street Journal. Per il New York Times, poi, le riforme sono solo una sovrastruttura: il problema vero dell'economia italiana sta nelle poca solidità delle banche, sconfessata però dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco.

L'apocalisse europea secondo il Financial Times. Apocalittico è dunque lo scenario tratteggiato da Münchau, condirettore del Financial Times ed esperto di Unione Europea, se il No dovesse avere la meglio: populismi che trionfano in tutta Europa, guidati dall'affermazione di Donald Trump alla presidenza degli Usa e dalla Brexit, e l'euro che si sfalda, con l'Italia in prima fila tra le nazioni che abbandoneranno la moneta unica.

Europa disintegrata e Italia fuori dall'euro. Per Münchau il "5 dicembre l'Europa potrebbe svegliarsi con l'immediata minaccia della disintegrazione". E le cause sarebbero da ritrovare anche nei problemi strutturali dell'economia italiana: "Da quando l'Italia nel 1999 è entrata nell'euro la sua produttività totale è stata di circa il 5%, mentre Germania e Francia hanno superato il 10%". Sarebbe inoltre fallimentare il tentativo di costruire un'unione economica e bancaria efficiente dopo la crisi dell'eurozona del 2010-2012 basata solo sull'austerity, scelta attribuibile secondo il FT al cancelliere tedesco Angela Merkel. "La combinazione di questi due fattori sono la più grande causa dell'esponenziale crescita del populismo in Europa" che per Münchau ha in Italia tre partiti d'opposizione tutti a favore, seppur in modo diverso, dell'uscita dall'euro: i Cinque Stelle, Forza Italia e Lega. 

La minaccia lepenista in Francia. Accanto all'esito del referendum italiano, continua il Financial Times, bisogna prendere in considerazione l'altro possibile grande elemento destabilizzante: la probabilità della vittoria alle elezioni presidenziali francesi di Marine Le Pen.  E se dovesse vincere, "la signora Le Pen ha promesso un referendum sul futuro della Francia nell'Ue. Se questo dovesse portare alla 'Frexit' (l'uscita dall'Ue di Parigi come la Brexit, ndr.), l'Unione europea sarebbe finita il giorno dopo e così l'euro".

La ricetta del FT. Questa serie di eventi potrebbe essere prevenuta solo "se Merkel accettasse ciò che ha finora rifiutato: una road map verso una piena unione fiscale e politica", aggiunge il condirettore del Financial Times. Inoltre dovrebbe anche essere rafforzato "l'European Stability Mechanism", il sistema di salvataggio dei Paesi dell'eurozona che non è progettato per salvare Paesi delle dimensioni di Italia e Francia. In ogni caso per Münchau la previsione più concreta "resta non un collasso dell'Ue o dell'euro ma un'uscita di uno o più Paesi, verosimilmente l'Italia, ma non la Francia".

Il Wall Street Journal: "Meglio un governo tecnico". Non meno allarmanti, seppure meno catastrofiche, le previsioni del Wall Street Journal, che esce oggi con un articolo in prima pagina dedicato proprio alle ricadute sui mercati del referendum italiano. Secondo Riva Gold e Giovanni Legorano, dopo la Brexit e Trump, un eventuale esito negativo della consultazione porterebbe a una caduta dei titoli bancari italiani e a un ulteriore indebolimento dell'euro. "Il referendum si è trasformato in un voto di fiducia sulla capacità del governo Renzi di rilanciare l'economia", sottolinea il Wsj, citando poi Wolf von Rotberg, analista economico di Deutsche Bank, secondo cui l'esito referendario "servirà a impostare il tono per il 2017 sul clima politico e gli investimenti in Italia e in Europa".

Per il principale quotidiano finanziario Usa, in caso di vittoria del No e conseguente caduta dell'esecutivo Renzi, il risultato più auspicabile è "l'istituzione di un governo tecnico", che farebbe meno danni e spaventerebbe meno gli investitori rispetto a un ipotetico governo dei Cinque stelle, "partito antiestablishment che punta a rinegoziare il debito italiano e a indire un referendum sull'euro, destabilizzando tutto il sud Europa". Un'eventuale presa del potere da parte dei grillini potrebbe "far crollare del 20% i principali indici europei", scrive ancora il Wsj citando uno studio di Deutsche Bank. In conclusione l'articolo lascia intravedere un barlume di speranza: "L'Italia è più grande della Brexit - spiega Guy Monson, capo del comitato d'investimento della banca privata svizzera Sarasin & Partners - e finché il Paese è in crescita non possiamo darla vinta alla crisi".

New York Times: il problema sono le banche. Il quotidiano newyorkese ritiene che tra le cause della debolezza economica dell'Italia ci sarebbero le banche, costrette a sostenere "società zombie" che non saranno mai in grado di restituire i prestiti. Ma Ignazio Visco, citato nell'articolo, rassicura: "La maggior parte dei crediti in Italia è sostenuta da garanzie reali  - afferma il governatore della Banca d'Italia - le banche sono il sintomo di sette anni di recessione continua, non la causa".

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Scandali, soldi e pugno duro: ecco cosa c’è dietro la sconfitta di Sarkozy


Chiede scusa alla famiglia e parla di ritiro, ma ci ha abituato ai ripensamenti


Alla fine, ieri sera, mentre terminava un discorso di congedo (diciamolo, dignitoso e denso di sensibilità), Nicolas Sarkozy si è rivolto alla sposa, Carla Bruni, e ai figli, chiedendo scusa, «perché non è facile imporre alle persone care qualcuno come me, che genera così tante passioni». Per poi aggiungere: “buona fortuna Francia”. Senza rimpianti apparenti. 
Sembra finita davvero per Sarkò, che si è piazzato solo al terzo posto, al primo turno delle primarie francesi del centro-destra: non sarà il prossimo presidente della République, che sarà eletto fra cinque mesi. Non è riuscito a generare quello “tsunami politico” che i suoi collaboratori avevano vantato, quando lui era ritornato (per l’ennesima volta) in pista. 

Quanti come-back per il nostro Sarkò, amato così tanto e odiato così tanto (“L’idea di esistere nella vita dei francesi senza suscitare repulsione – dice sempre – è semplicemente folle”). Questa volta non ha funzionato, nonostante la solita determinazione (che lo accompagna pure nella vita sportiva di ogni giorno, bicicletta e jogging a ritmi serrati) e malgrado quella voglia di rivincita in lui atavica, con radici profonde nella sua biografia. 

Figlio di un immigrato ungherese, ma tirato su dalla madre e dal nonno (ebreo di Salonicco), Sarkozy è cresciuto nel sobborgo parigino dei ricchi (Neuilly-sur-Seine), “povero” (di una famiglia borghese ma in decadenza) fra i ricchi. Studente mediocre (bocciato in prima media), non ha frequentato nessuna delle “grandes écoles” francesi, fucina dell’élite. Ma si è “solo” laureato in legge all’università di Nanterre, in Francia dalla pessima fama. 

Fin da piccolo, però, ha compensato con la determinazione e l’empatia, compresa la capacità di adattarsi furbescamente all’interlocutore di turno. E poi con quella passione insana per la politica e per il gollismo. Prima rivincita: nel 1983, a soli 28 anni, è eletto sindaco di Neuilly, dopo che a sorpresa (il contropiede, tattica di tutta una vita) va contro la nomenclatura del partito. Ad appena 34 anni verrà eletto deputato e a 38 nominato per la prima volta ministro: ancora delle rivincite. Come un episodio, che tanti francesi “over 40” non hanno dimenticato: nel 1993 un pazzo tiene in ostaggio 21 bambini in una scuola materna di Neuilly e lui non sente storie, va a negoziare in diretta dinanzi alle telecamere con l’uomo (soprannominato “Human Bomb”), con una buona dose di coraggio e sangue freddo.  


Per le presidenziali del 1995, sostiene Édouard Balladur in qualità di candidato della destra, ma alla fine s’impone Chirac, che sarà eletto. Per Sarkò inizia la prima traversata del deserto (fa l’avvocato d’affari, anche per Silvio Berlusconi). Nuova rivincita e nuovo come-back, quando nel 2002 ritorna in pista come ministro degli Interni, fino all’elezione a presidente nel 2007 (contro Ségolène Royal, a lungo superfavorita). La sconfitta nel 2012 contro François Hollande è cocente: comincia una nuova fase calante. Ma la fame di rivincita è sempre lì, quando, a fine 2014, rientra alla guida del suo partito (l’Ump, poi traghettato nella trasformazione verso i Repubblicani). Ebbene, ieri gli è piombata sopra la nuova battuta d’arresto: secondo tanti osservatori sarà quella definitiva. 

Perché stavolta è andata male? Perché intorno al nostro sono aleggiati troppi scandali (anche se mai, almeno per il momento, è stato condannato in maniera definitiva) fino alle dichiarazioni di pochi giorni fa di un faccendiere libanese, Ziad Takieddine, che assicura di avergli messo in mano qualche milione di Gheddafi per la campagna del 2007. Poi, hanno giocato negativamente quell’attrazione per i soldi e quelle derive da “nouveau riche”, che Sarkò ha cercato di tamponare negli ultimi anni, ma che nell’immaginario collettivo francese pesano ancora (forse da questo punto di vista la stessa presenza della Bruni al suo fianco non aiuta). Non sembrano aver funzionato neanche le idee propugnate nelle ultime settimane, ancora più a destra del solito, per rubare consensi al Front National di Marine Le Pen. Tipo negare la possibilità del ricongiungimento familiare agli immigrati, mettere in carcere tutti i sospettati di connessione con il jihadismo e imporre il servizio militare obbligatorio a ogni diciottenne senza maturità, né formazione alcuna. Sì, forse Sarkò ci è andato troppo pesante. Anche in una Francia affamata di pugno duro e neoconservatorismo.

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I Repubblicaines scelgono il candidato delle presidenziali. Al primo turno grande exploit di Francois Fillon con il 44,2%, secondo Alain Juppé con il 28,5%, terzo l'ex presidente con il 20,6. I due ex premier vanno al ballottaggio del 27 novembre. L'ex presidente lascia la politica: "Ma resto un francese"
Francia, flop di Sarkozy alle primarie di centrodestra. "Cambio vita"
Nicolas Sarkozy (afp)

PARIGI - La destra neogollista sceglierà tra due ex premier, Francois Fillon e Alain Juppé, il suo candidato per le elezioni presidenziali del 2017 (il 23 aprile il primo turno, ballottaggio il 7 maggio). Definitivamente fuori gioco l'ex presidente Nicolas Sarkozy, che annuncia il suo ritiro dalla politica. Secondo i dati ufficializzati dopo lo scrutinio nei 10.228 seggi allestiti, il primo turno delle primarie dei Republicaines vede Fillon primo con il 44,2% dei consensi (1.737.327 di voti), secondo Juppè con il 28,5% (1.118.701), terzo Sarkozy con il 20,6% (810.143). Fillon e Juppé duelleranno nel ballottaggio del 27 novembre. Si tratta di primarie aperte a tutti, quindi condizionabili da altri partiti politici. Secondo un sondaggio Elabe realizzato al termine del primo turno delle primarie della destra francese, il 15% dei partecipanti al voto erano simpatizzanti della sinistra.

Prima che il conteggio avesse termine, l'escluso Sarkozy ha ammesso la sconfitta dando la sua indicazione di voto per Fillon. "Francois è colui che ha capito meglio di tutti le sfide che si presentano alla Francia. Voterò per lui al secondo turno - le parole di Sarkozy -. Non sono riuscito a convincere una maggioranza di elettori. Rispetto questa scelta. Mi congratulo con Fillon e Juppé, due personalità di grande spessore che onorano la Francia. E' tempo per me - ha concluso, commosso - di cominciare una vita con più passioni private e meno passioni pubbliche. Francese sono e francese resto, tutto quello che riguarda la Francia mi toccherà sempre nel profondo del cuore. Nessuna amarezza, nessuna tristezza".

Carla Bruni, la signora Sarkozy, ha voluto pubblicamente esprimere un delicato pensiero al marito sconfitto via Instagram: "Qualche volta i migliori perdono. Bravo amore mio, sono fiera di te" si legge sotto la foto dell'ex presidente. 
Considerato "terzo incomodo" tra Juppè e Sarkozy, Fillon si è reso protagonista di una forte rimonta fino al sorpasso. A suo favore giocano l'esperienza da premier, meno datata rispetto a quella di Juppé, il più anziano candidato con i suoi 71 anni. Fillon somiglia molto di più a Sarkò (come lo stesso Sarkozy ha ammesso subito dopo la sconfitta, dando la sua indicazione per il ballottaggio), ne è quasi coetaneo (62 anni, che Sarkozy compirà nel gennaio prossimo) e molti ricordano quanto sapesse tenergli testa da premier, oltre a essere divenuto tanto indispensabile da rimanere in carica per l'intera legislatura. Mentre Sarkozy sperimenta quanto sia odiatissimo da una fetta consistente dell'elettorato, anche di destra.

In prospettiva, se l'esito delle primarie fosse confermato, Fillon avrebbe ottime chance di salire all'Eliseo. Perché la candidatura socialista non si prospetta forte, il presidente Francois Hollande, il più impopolare della V Repubblica, deve ancora decidere se ricandidarsi e la sinistra rischierebbe di finire fuori dalla partita per l'Eliseo già al primo turno delle presidenziali. Al ballottaggio Fillon potrebbe invece trovarsi contro Marine Le Pen. Un duello finale in cui i sondaggisti prevedono la candidata dell'estrema destra sconfitta se contro di lei si ergerà lo stesso sbarramento posto da tutti i partiti che nel 2002 fermò il padre Jean-Marie, che al primo turno aveva battuto clamorosamente il premier socialista Lionel Jospin ma fu poi sconfitto da Jacques Chirac.

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Contro il debito come modalità di dominio, audit cittadino


I paesi sempre si sono indebitati, ma oggi il debito pubblico è un mezzo di dominio per controllare l'economia e la finanza. Già negli anni novanta è stato utilizzato il debito per obbligare l'America Latina ad attuare le politiche neoliberiste, oggi l'uso illecito del debito minaccia i paesi in Europa e peggiora lo stato sociale. La minoranza usa il debito e il controllo del deficit come trappole con la complicità dei governi, della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del FMI.
Xavier Caño Tamayo 

I paesi prendono in prestito dalle banche, perché le entrate dello Stato sono insufficienti. Questo perché a partire dagli anni ottanta del ventesimo secolo, grandi fortune, grandi aziende e multinazionali pagano sempre meno tasse, mentre banche e fondi di investimento speculano con le obbligazioni di debito pubblico e impongono un'austerità distruttiva.
Per opporsi a questo nuovo autoritarismo, una ventina di associazioni, movimenti laici e cattolico-progressisti italiani crearono pochi giorni fa a Roma, il Comitato per l'Abolizione del Debito Illegittimo Italia (CADTM). Comitato che si somma ai trentasei CADTM che ci sono nel mondo. Ricordiamo che, nel diritto internazionale, il debito illegittimo è quello che un governo ha contratto e utilizzato a prescindere dalla cittadinanza o contro di essa. E non è stato pagato.

Annullare o ristrutturare il debito è qualcosa che è stato fatto da Hammurabi, re di Babilonia, più di 3.800 anni fa. 
Più vicino, l'Accordo sul Debito di Londra nel 1954, con 26 paesi che ristrutturò il debito della Germania annullando il 62%.
 Tra quelli che condonarono il debito c'era la Spagna e la Grecia. Ma ora la Germania impone loro un'austerità senza compromessi. Tuttavia, la storia dimostra che ristrutturare il debito o annullarlo è un'azione necessaria e utile economicamente. Il debito è diventato un problema con la crisi, perché chi dirige l'economia, gioca sporco, manipolando il premio di rischio dei titoli di Stato, per esempio.

Nel febbraio 2009, data la gravità del disastro economico, il G20 a Londra ha accettato di spendere un miliardo di dollari per aiutare i paesi in difficoltà, porre fine alla crisi, lottare contro i paradisi fiscali e controllare le banchd. Nessun obiettivo è stato soddisfatto.
L'enorme quantità di denaro che il G20 aveva promesso non fu per aiutare i paesi in difficoltà, ma per salvare le banche che avevano causato il disastro finanziario. Nel frattempo i paradisi fiscali, complici dell'evasione fiscale che indebolisce gli stati, prosperano impuniti, mentre le banche e i mercati dei capitali sfondano i paesi indebitati come un ariete, scuotendo le loro economie.

Opporsi al debito o vivere soggiogati da esso? Questo è il dilemma. In Spagna, il pagamento di interessi supera i 30.000 milioni di euro l'anno.

Cosa faranno?


Più tagli ai servizi? Meno diritti? 


Una fallacia neoliberale ricorrente in Europa è che i debiti degli Stati
 aumentano per un eccesso della spesa sociale. Falso. I debiti degli Stati in Europa aumentano a causa del Trattato di Maastricht che vieta alla Banca Centrale Europea (BCE) di prestare ai paesi dell'Unione. Se la BCE avesse prestato denaro alla Spagna all'1% di interesse (come lo presta alle banche private), il debito pubblico sarebbe inferiore al 20% del PIL, non al 100% di oggi. Questa Unione Europea forza gli Stati membri a finanziarsi con le banche private i cui prestiti sono più costosi di quelli della BCE. Il Trattato di Maastricht garantisce il business delle banche.
Ancora peggio è che gli enormi benefici e risparmi della classe ricca da interessi bancari dei prestiti agli stati, determinano l'incessante taglio ai salari e l'evasione fiscale, servono per speculare, non per finanziare l'economia produttiva. Per ogni dollaro all'economia produttiva, la minoranza ne dedica 60 per speculare sui prodotti finanziari.

L'Ecuador aveva il più alto budget di debito pubblico dell Sud America. Il 40% della spesa pubblica per pagare gli interessi, mentre la spesa sanitaria e l'istruzione era stata ridotta al 15%. Il presidente Correa ha sollecitato un rigoroso controllo del debito e accertato il debiro illegittimo, ha deciso di non pagarlo. In questo modo ha potuto dedicare più soldi alla spesa sociale (che è quella di rispettare i diritti) e produttiva. L'audit del debito sono un buon modo affinché il debito pubblico cessi di essere un problema.

Traduzione di Alba Canelli

VISCO, BANCA DI ITALIA: CARI ITALIANI LA SITUAZIONE DELLE BANCHE E' GRAVE !

VISCO : BANCA D'ITALIA VERAMENTE PREOCCUPATO DELLA SITUAZIONE ITALIANA. PER GIUNTA ORAMAI LA VITTORIA DEL NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE E' DATO PER SCONTATO!!!
Grazie alla Bce, le tensioni finanziarie alimentate da molti focolai sparsi per il globo riescono a rimanere contenute. Lo ha rivendicato chiaramente Mario Draghi, il governatore della Banca centrale, in un discorso a Francoforte. Lo mette nero su bianco anche Bankitalia, nel suo Rapporto sulla stabilità finanziaria. "Nell'area dell'euro e in Italia le condizioni monetarie espansive (decise dalla Bce, ndr) contribuiscono a sostenere la liquidità dei mercati finanziari, a ridurre i premi per il rischio sulle obbligazioni private, a contenere le tensioni sui titoli di Stato.
 MA LA BCE AL MOMENTO HA DECISO DI SMETTERE DI COMPRARE A MARZO...QUINDI... LA BANCA D'ITALIA AVVISA DEL PERICOLO
  Dopo le elezioni negli Stati Uniti i rendimenti obbligazionari sono aumentati in tutte le economie avanzate; lo spread sui titoli pubblici italiani è salito. Le prospettive di una crescita ancora modesta in Europa e l'incertezza legata agli sviluppi politici nei principali paesi avanzati potrebbero alimentare forti variazioni dei corsi delle attività finanziarie nei prossimi mesi. 
  QUINDI LA BANKITALIA SEMBRA DIRE AI RISPARMIATORI DI METTERE AL RIPARO I PROPRI RISPARMI IN UNA SOLIDA BANCA SVIZZERA.
Restando invece nel campo delle competenze di via Nazionale, la volatilità rischia di ripercuotersi sulla realizzazione del piano del Monte dei Paschi, la banca che deve cedere crediti in sofferenza e raccogliere capitali sui mercati: un disegno con "rischi di attuazione che derivano principalmente dall'elevata volatilità che ha di recente caratterizzati i mercati azionari" per le scadenze elettorali in Europa. 
 IN PRATICA BANCA DI ITALIA STA AVVISANDO CHE I CORRENTISTI MPS SONO A RISCHIO DI PERDERE I SOLDI ..E SE DOVESSE ESSERCI EFFETTO CONTAGIO POST REFERENDUM ANCHE ALTRE BANCHE POTREBBERO SALTARE CON UNA SPIRALE PREOCCUPANTE.
PENSATE CHE FINO A IERI SI DICEVA CHE I  TASSI DOVEVANO SALIRE PER AIUTARE LE BANCHE. I TASSI SONO SALITI E LE BANCHE ITALIANE HANNO PERSO I PEZZI 
 Restano poi rischi PER IL SISTEMA BANCARIO: "Le banche rimangono esposte agli shock, di origine interna o internazionale, che possono riflettersi sui mercati dei capitali e sulla crescita economica". Incertezza anche dalle regole in evoluzione.


MAI ANDARE CONTRO I CONSIGLI DELLA BANCA CENTRALE.

LA BANCA CENTRALE TEME IL FALLIMENTO DELLE BANCHE DA LEI STESSA VIGILATE???
E' EVIDENTE CHE TU DEVI PROTEGGERE I RISPARMI DI UNA VITA DA TALE RISCHIO. SE NON LO FAI NON POTRAI NEPPURE LAMENTARTI IN QUANTO PERSINO VISCO DI BANKITALIA TI AVEVA AVVISATO.

PER SAPERNE DI PIU' VAI SU MERCATO LIBERO

La Politica Italiana per la Sostituzione dei Cittadini in un Grafico

Questo grafico è stato redatto da Linkiesta e si basa su dati Eurostat del 2014.
Si può notare quale sia l’incidenza di stranieri in possesso di una laurea sul totale residente in ciascun paese e testimonia sostanzialmente una cosa:
  • La attrattività pressoché nulla dell’Italia per stranieri ad alta istruzione
Il problema è strutturale e non riguarda l’intenzione italiana a far venire su dall’Africa bassa manovalanza, riguarda proprio la mancanza di un ecosistema e di un sistema di regole fiscali, amministrative e sociali per attrarre e mantenere lavoro qualificato.
Se ci pensate è la stessa faccia della medaglia che riguarda la fuga di giovani italiani qualificati (o giovani semplicemente coraggiosi).
E dunque dobbiamo pensare all’Italia come ad un imbuto la cui apertura maggiore è rivolta verso l’Africa con un simpatico filtro sul beccuccio che trattiene il peggio.
Che meraviglioso e luminoso futuro aspetta l’Italia sostituita dalle “risorse africane” come sempre quelle scelte tra le peggio.

Fonte: qui