9 dicembre forconi: 11/09/19

sabato 9 novembre 2019

CERCAVANO MESSINA E HANNO TROVATO NICOSIA

IL LEGAME DELL'EX COLLABORATORE DELLA DEPUTATA OCCHIONERO COI FEDELISSIMI DI MESSINA DENARO. E I COLLEGAMENTI CON COSA NOSTRA AMERICANA. È NELLA CACCIA ALL'ULTIMO SUPERLATITANTE DI COSA NOSTRA CHE LA PROCURA DI PALERMO SI È IMBATTUTA NELL'ATTIVISTA RADICALE
M.Bova e G.Pipitone per www.ilfattoquotidiano.it

antonello nicosiaANTONELLO NICOSIA
Cercavano Matteo Messina Denaro. Legami, tracce, spiragli che dai clan di Agrigento potessero condurre alla latitanza del boss di Castelvestrano. E invece si sono imbattuti in Antonello Nicosia, attivista radicale, sedicente professore di “storia della mafia” all’Università di Santa Barbara in California, e soprattutto collaboratore della deputata Giuseppina Occhionero. È nella caccia all’ultimo superlatitante di Cosa nostra che gli investigatori della procura di Palermo sono arrivati a ordinare il fermo dell’uomo che definiva “primo ministro” il boss di Cosa nostra.

E addirittura invocava la protezione di “san Matteo” (riferendosi sempre a Messina Denaro ndr) nei messaggi vocali inviati alla parlamentare di Liberi e Uguali, recentemente passata con i renziani di Italia Viva. Una collaborazione, quella con Occhionero, che garantiva a Nicosia di accedere ai penitenziari e incontrare autorevoli boss di Cosa nostra. Padrini reclusi ai quali portava i messaggi dei clan.

MESSINA DENARO ANTONELLO NICOSIAMESSINA DENARO ANTONELLO NICOSIA
L’alta mafia – Secondo i pm, infatti, Nicosia, l’uomo che era stato eletto al congresso nazionale dei Radicali, l’attivista che conduceva su un’emittente locale una trasmissione sui diritti dei detenuti (si chiamava, non senza fantasia, “Mezz’ora d’aria“), aveva una doppia vita. Era “pienamente inserito nell’associazione mafiosa“, scrivono i pm Francesca Dessì e Geri Ferrara nel provvedimento di fermo. A certificarlo sono le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido, che documentano il rapporto strettissimo con il boss di Sciaccia Accursio Dimino, braccio destro del padrino Salvatore Di Gangi e in passato addirittura socio di Massimo Maria Berruti, ex finanziere, poi avvocato della Fininvest di Silvio Berlusconi e quindi deputato di Forza Italia.

MATTEO MESSINA DENAROMATTEO MESSINA DENARO
Ma non solo. Perché l’inchiesta della procura di Palermo conduce direttamente ai fedelissimi di Messina Denaro. Gli investigatori del Ros dei carabinieri e della Guardia di Finanza hanno fotografato un summit con due uomini storicamente vicinissimi all’ultima primula rossa delle stragi. E pure un legame stretto con Cosa nostra americana, ancora attivissima e legatissima alla terra nati. Insomma, stando alle carte dell’inchiesta, quelli frequentati da Nicosia non erano balordi di strada, ma mafiosi di rango. D’altra parte l’attivista radicale diventato collaboratore della deputata Occhionero aveva alle spalle una condanna a dieci anni e mezzo per spaccio di stupefacenti. Ma andiamo con ordine.

Il summit con gli uomini di Matteo – È il 14 febbraio del 2019 e a Porto Empedocle Nicosia incontra Giuseppe Fontana, detto Rocky. Un personaggio molto importante nella storia del clan di Castelvetrano: scarcerato nel 2013 dopo vent’anni di carcere, è legato a Messina Denaro da un’amicizia stretta fin da quando erano bambini. Negli anni ’90 Rocky Fontana era considerato l’armiere del clan: in una delle sentenze che lo riguardano è accertato che importava dall’estero mitragliatori Kalashnikov e Uzi.

Con Fontana e Nicosia c’era anche Fabrizio Messina, fratello di Gerlandino, capomafia dell’Agrigentino arrestato da latitante nel 2010. Piazzati a poca distanza c’erano gli uomini del Ros dei carabinieri, armati di fotocamera. “Il dato che deve assolutamente evidenziarsi è che lo spessore mafioso dei soggetti che si incontravano lasciava certamente intendere che detta riunione aveva ad oggetto argomenti mafiosi di natura interprovinciale posto che, a parteciparvi, erano un importante uomo d’onore di Castelvetrano e un altrettanto importante uomo d’onore di Porto Empedocle”, annotano i pm.
MATTEO MESSINA DENAROMATTEO MESSINA DENARO

L’amico di Castelvetrano – Il lavoro degli investigatori è difficoltoso: più che docente o attivista per i diritti dei detenuti, infatti, Nicosia si comporta da ricercato. “Questi dove li lasciamo”, chiedeva prima di un altro incontro, riferendosi ai cellulari. Nicosia era preparatissimo anche sui tempi dei decreti per piazzare le microspie ambientali: “Io ogni mese cambio la macchina” perché “ci vogliono 45 giorni prima per l’autorizzazione e io gliela vado a lasciare prima”. Anche nel summit di Porto Empedocle gli inquirenti riescono a intercettare pochi dialoghi: a un certo punto fotografano Fontana mentre si prende la briga di lasciare il telefono a bordo della sua auto, prima di rimettersi a discutere con gli altri.

antonello nicosiaANTONELLO NICOSIA
“Ma l’amico vostro a Castelvetrano è? A lui non gli si deve dire? A lui si deve dare il giusto”, diceva Messina, in una delle poche frasi registrate. L’amico di Castelvetrano è chiaramente Messina Denaro. “Gli si deve dare quello che il giusto … quello che”, era la risposta dell’attivista radicale. “La possibilità per il Nicosia di interloquire con associati mafiosi su una questione di natura economica, che rivestiva evidentemente enorme importanza per il sodalizio, e i riferimenti fatti alla destinazione di somme all’amico di Castelvetrano, rivela ancora una volta il pieno inserimento dell’indagato nell’associazione Cosa nostra”.

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IL 13 MAGGIO 2018 L'AVVOCATO INCONTRÒ A MILANO SALVINI E DI MAIO, CHE GLI ANNUNCIARONO LA SUA INVESTITURA A PREMIER. IL GIORNO DOPO FIRMÒ IL SUO PARERE SU RETELIT PER MINCIONE

CONTE NON LA RACCONTA GIUSTA 

QUINDI ALLA CAMERA POTRÀ RIPETERE CHE ALL'EPOCA NON IMMAGINAVA DI DIVENTARE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, E CHE IL SUO GOVERNO AVREBBE ESERCITATO IL GOLDEN POWER A DIFESA DEGLI INTERESSI DI MINCIONE, MA NON GLI CREDERÀ NESSUNO…

Valentina Errante per “il Messaggero

conte di maio salviniCONTE DI MAIO SALVINI
Nessun conflitto di interesse. Giuseppe Conte lo ripeterà questa sera davanti all'Aula di Montecitorio, quando illustrerà ai deputati la sua posizione rispetto al parere pro veritate a favore Fiber 4.0, il gruppo lambito dalle indagini del promotore di giustizia vaticana e coinvolto nel controllo della Reselit, compagnia di telecomunicazioni italiana. Il nodo riguarda la possibile decisione del governo di esercitare il Golden power, ipotizzata dal futuro premier nella consulenza legale, una circostanza che si è effettivamente verificata proprio quando Conte era presidente del Consiglio (alla decisione del cdm del 7 giugno però il premier non ha partecipato).
giuseppe conte salvini e di maio discorso prima della fiducia 1GIUSEPPE CONTE SALVINI E DI MAIO DISCORSO PRIMA DELLA FIDUCIA 
E se il capo del governo ha detto più volte che all'epoca non immaginava che sarebbe diventato premier, ieri sera, il programma Quarta Repubblica ha rivelato che, il 13 maggio, il giorno prima di firmare quella consulenza, in un albergo di Milano, l'avvocato aveva incontrato Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Una riunione che preludeva alla sua investitura. L'ennesimo dettaglio che, dopo le rivelazioni del Financial times creerà altre polemiche politiche.
RAFFAELE MINCIONERAFFAELE MINCIONE
LA VICENDA
La rivelazione è arrivata dal Financial Times, che ha dato conto del parere pro veritate firmato da Conte il 14 maggio scorso a favore della Faber. L'avvocato, all'epoca, precisava che il voto degli azionisti «poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di bloccare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a a livello nazionale». In realtà la consulenza non servì a Fiber per cambiare l'esito del voto degli azionisti.

RETELITRETELIT
A fornire un altro argomento all'opposizione è il fatto che il principale investitore della Fiber 4.0 fosse il fondo Athena Global Opportunities, che fa capo a Raffaele Mincione ma è finanziato interamente dalla segreteria di Stato vaticana. È sugli investimenti di Mincione che si è concentrata la maxi inchiesta del promotore di giustizia della Santa Sede. In particolare sui 200 milioni di euro finiti in un immobile di lusso a Londra.
Il finanziere e il premier non si sono mai incontrati, così hanno dichiarato entrambi. E inoltre il fondo di Mincione non è riuscito a scalare la Retelit. Il parere dell'avvocato Conte, invocato quando gli azionisti puntavano sulla tedesca Shareholder Value Management e sulla compagnia di telecomunicazioni libica, non è riuscito a cambiare il voto. Al finanziere sono mancate le quote.
GIUSEPPE CONTE COME ARLECCHINO SERVO DI DUE PADRONI LUIGI DI MAIO E MATTEO SALVINI THE ECONOMISTGIUSEPPE CONTE COME ARLECCHINO SERVO DI DUE PADRONI LUIGI DI MAIO E MATTEO SALVINI THE ECONOMIST

PALAZZO CHIGI
Sul punto Palazzo Chigi ha già fatto due note. Nella prima spiegava che al momento del parere non si poteva sapere che Conte sarebbe divenuto premier e tanto meno che in uno dei primi Cdm si sarebbe dovuto occupare della scalata a Retelit esercitando il golden power «In particolare - si sottolineava - Conte non ha preso parte al consiglio dei ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stato deliberato l' esercizio dei poteri di golden power), astenendosi». Nella seconda, la presidenza del Consiglio è tornata sul tema ribadendo che anche il Garante per la concorrenza, lo scorso 24 gennaio, ha chiarito ed escluso il conflitto di interesse. 
8 Novembre 2019
Fonte: qui
I DOCUMENTI PUBBLICATI DA LIBERO SUL CONFLITTO DI INTERESSI DI GIUSEPPE CONTE SUL CASO RETELITI DOCUMENTI PUBBLICATI DA LIBERO SUL CONFLITTO DI INTERESSI DI GIUSEPPE CONTE SUL CASO RETELITL'ARTICOLO DEL FINANCIAL TIMES SULLA CONSULENZA DI GIUSEPPE CONTE A MINCIONEL'ARTICOLO DEL FINANCIAL TIMES SULLA CONSULENZA DI GIUSEPPE CONTE A MINCIONELA FATTURA DI GIUSEPPE CONTE ALLA FIBER 4.0 DI MINCIONELA FATTURA DI GIUSEPPE CONTE ALLA FIBER 4.0 DI MINCIONEI DOCUMENTI PUBBLICATI DA LIBERO SUL CONFLITTO DI INTERESSI DI GIUSEPPE CONTE SUL CASO RETELITI DOCUMENTI PUBBLICATI DA LIBERO SUL CONFLITTO DI INTERESSI DI GIUSEPPE CONTE SUL CASO RETELIT

SCENE DI ORDINARIA FOLLIA A MONTE MARIO: I CINGHIALI SI LITIGANO I RIFIUTI IN STRADA. UNA DONNA CARICATA DAGLI ANIMALI SALVA PER CASO – I RESIDENTI ANNUNCIANO UNA MAXI CLASS ACTION PER CHIEDERE IL RIMBORSO DELLA TARI


ODISSEA SULLA METRO A: SCALE ROTTE IN 12 STAZIONI, MANZONI ALLAGATA: CHIUSA 14 ORE. MA I PROBLEMI SONO SU TUTTA LA LINEA, DA ALMENO UNA SETTIMANA 

E QUESTA SAREBBE UNA CAPITALE EUROPEA?

Stefania Piras per il Messaggero

I DISAGI
cinghiali romaCINGHIALI ROMA
La stazione della metro A Manzoni è rimasta chiusa 14 ore filate per colpa di un temporale. Inaccessibile dalle sei del mattino fino alle venti e quattordici di sera quando è stata riaperta ma con le scale mobili in discesa più una in salita fuori servizio. Condizioni disastrose del trasporto pubblico che non vanno certo di pari passo con l'idea di prorogare la Ztl. Perché Manzoni ha rischiato per tutta la giornata di essere la terza stazione della linea centrale della metropolitana fuori servizio insieme a Baldo degli Ubaldi, e a Barberini che è chiusa ormai dal 23 marzo (sono quasi otto mesi).
cinghiali romaCINGHIALI ROMA
Ancora problemi alle scale mobili perché il nubifragio di domenica ha inondato buona parte degli impianti della stazione Manzoni. Il necrologio della fermata è apparso ieri mattina all'alba, verso le sei, su Twitter: «Metro A: chiusa stazione Manzoni, i treni transitano senza fermarsi (guasto tecnico) utilizzare stazioni Vittorio Emanuele e San Giovanni». Oltre a questo tweet non si è avuta alcuna comunicazione per tutta la giornata. In breve: la fermata durante il nubifragio di domenica ha subito un allagamento che ha sommerso buona parte delle scale mobili finite quindi sott'acqua. I circuiti elettrici sono stati danneggiati in modo pesante perché una volta asciugati gli impianti le prove di funzionamento non sono andate bene. Perciò, la stazione è stata chiusa.

TRANSITI GIORNALIERI
Conseguenza: gli utenti, qui transitano ottomila utenti al giorno, arrivavano alla fermata convinti di poter scendere e prendere la metro come sempre e invece nulla. Hanno trovato il cancello sbarrato e l'avviso sul pannello elettronico. Un anziano non ci voleva credere. Ha fatto tutte le scale, si è fermato per leggere il pannello elettronico e non ha potuto far altro che sospirare: «Non si capisce più niente». Ed è tornato in superficie in mezzo a studenti e lavoratori che non sapevano come orientarsi, quali percorsi alternativi prediligere e soprattutto se il guasto tecnico era talmente grave da organizzarsi senza più tenere conto di questa fermata. Un ragazzo racconta l'esperienza mattutina: «Eravamo tutti pronti per scendere ma il treno è passato dritto senza fermarsi».

CINGHIALI ROMACINGHIALI ROMA
«Quando riaprirà la fermata Manzoni?» chiedevano gli utenti. La risposta sui social a tutti gli utenti era sempre la stessa e non lasciava presagire nulla di buono. «Appena abbiamo info sulla riapertura, condividiamo qui e sul sito Atac», questa la replica. Dall'Atac infatti parlavano di un allagamento importante che ha danneggiato il circuito elettrico. Raggiungendo la vicina stazione di Vittorio Emanuele, gli addetti Atac hanno confermato i problemi parlando di «infiltrazioni alle scale mobili». I tecnici al lavoro sul circuito elettrico delle scale mobili erano molto pessimisti: «Ci sono problemi grossi».
Ma i problemi sono su tutta la linea, da giorni. La metro A sta subendo rallentamenti da almeno una settimana.
IL BLOCCO
CINGHIALI ROMACINGHIALI ROMA
A San Giovanni (dove una delle due scale mobili è ferma, rotta da tempo immemore) sta succedendo sempre più spesso che si creino lunghissime file ai tornelli di entrata. Poi, una volta dentro gli utenti vengono bloccati prima di poter scendere sulla banchina per prendere la metro. E i tempi di attesa si allungano lasciando presupporre che i treni saltino le corse. Le ricadute sul servizio sono micidiali. Capita infatti che nell'ora di punta, alle otto del mattino a Termini direzione Anagnina, ci siano 5 minuti di attesa e gente condannata a stare sulla banchina perché il treno che si ferma è già pieno come un uovo. Ma dopo gli interventi tecnici andrà meglio, si dirà. Ieri una scala mobile a Repubblica, fermata rimasta fuori servizio per otto mesi a causa degli impianti inagibili, era chiusa. Atac aveva detto che gli impianti erano stati rifatti. Buon viaggio.

CINGHIALI, LITE TRA I CASSONETTI DONNA CARICATA: SALVA PER CASO
Laura Bogliolo per il Messaggero

L'EMERGENZA
cinghialiCINGHIALI
L'emergenza cinghiali che si litigano i rifiuti in strada non arretra. Ieri mattina una donna è stata caricata da un branco di animali mentre portava a spasso il suo cagnolino in via Giuseppe Allievo, a Monte Mario. Giorni fa un'altra residente, ha ripreso in un video la battaglia tra due ungulati adulti per accaparrarsi un sacchetto dell'immondizia in via Giovanni Taverna. «Non si può continuare a vivere con il terrore, i cinghiali sono sotto casa, ormai non hanno più paura di nulla, assaltano i cassonetti e si litigano i sacchi dell'immondizia non ritirata» racconta Giorgia.

«Quella signora si è salvata per miracolo, siamo prigionieri in casa, vengono attirati dai rifiuti» spiega Gianluca Gaeta, residente e promotore di due esposti già depositati contro Ama e Comune sulla mancata raccolta dei rifiuti. Gaeta sta organizzando anche una maxi class action per presentare ricorso alla Commissione tributaria provinciale e chiedere il rimborso della Tari. «In mille hanno aderito» spiega. Giorgia ha rischiato di essere travolta dalla lite tra due cinghiali che giorni fa si contendevano sacchetti dell'immondizia, e li ha ripresi in un video. Siamo in una via trafficata, non lontani da una scuola, l'Istituto Comprensivo Stefanelli.
metro a manzoniMETRO A MANZONI

L'ASSEDIO
Nel video due cinghiali adulti si contendono un sacchetto dell'immondizia preso arrampicandosi su un secchione. Insieme ai due adulti ci sono quattro cuccioli. Scene di ordinaria follia a Roma Nord, vicino alla riserva Naturale dell'Insugherata. Eppure il 27 settembre nella delibera numero 190 la giunta ha autorizzata la sindaca Virginia Raggi a firmare lo schema di Protocollo d'Intesa tra Regione Lazio, Città Metropolitana di Roma Capitale e Campidoglio Per la gestione del cinghiale nel territorio di Roma Capitale. La firma però ancora non c'è stata e il piano di contenimento non è partito.

LA PROCEDURA
Il protocollo dopotutto stabilisce una procedura complessa che prevede tempi molto ampi prima dell'intervento. Il Campidoglio deve istituire una e-mail e un numero di telefono dedicati alle segnalazioni. Segue un sopralluogo da parte dei vigili e delle guardie dei parchi regionali. Poi il Comune dovrà convocare un tavolo operativo. L'organizzazione dell'intervento spetta a vigili, guardia parchi e personale delle Asl. È chiaro che i tempi tecnici della procedura sono ampi e difficilmente consentiranno di individuare l'animale appena viene avvistato.
metro a manzoniMETRO A MANZONI

Il cinghiale preso con le trappole fino al 30 giugno verrà abbattuto, nel testo si parla di eutanasia. Dal primo luglio verrà portato in macelli, istituti faunistici o allevamenti a scopo alimentare: le aziende individuate sono due, una a Viterbo e l'altra di Cerveteri. La Regione si impegna a trovare, entro giugno, una struttura dove portare vivi gli animali catturati. Qui, probabilmente, potrebbe nascere la famosa pensione per i cinghiali dove resteranno fino a morte naturale. Giorgio Polesi, presidente del Parco di Vejo, solleva un altro problema: «È stata autorizzata la Città metropolitana a firmare il protocollo di intesa? Il nostro parco confina con 8 Comuni che continuano ad avere problemi: la Forestale di Monterotondo ha inviato una lettera di diffida al comune di Castel Nuovo di Porto che ha le mani legate».
5 Novembre 2019
Fonte: qui
cinghiali a roma 4CINGHIALI A ROMA cinghiali a roma 3CINGHIALI A ROMA cinghiali a roma 1CINGHIALI A ROMA cinghiali a roma 2CINGHIALI A ROMA cinghiali a roma 5CINGHIALI A ROMA 

IL TRIBUNALE DI MILANO CONDANNA GLI EX VERTICI DI MONTE DEI PASCHI DI SIENA PER LE OPERAZIONI FINANZIARIE CHE SEGUIRONO ALL’ACQUISIZIONE DI ANTONVENETA: 7 ANNI E 6 MESI PER MUSSARI E 7 ANNI E 3 MESI PER VIGNI

CONDANNATI ANCHE SEI EX DIRIGENTI DI DEUTSCHE BANK E DUE DI NOMURA, LE BANCHE CHE FECERO DA CONTROPARTI IN QUELLE OPERAZIONI “SANTORINI” E “ALEXANDRIA”

GIUSEPPE MUSSARIGIUSEPPE MUSSARI

Il Tribunale di Milano ha condannato a 7 anni e 6 mesi di carcere Giuseppe Mussari, a 7 anni e 3 mesi Antonio Vigni e a 4 anni e 8 mesi Gian Luca Baldassarri, ex vertici di Monte dei Paschi di Siena tra gli imputati per le presunte irregolarità nelle operazioni effettuate dalla banca senese tra il 2008 e il 2012 per coprire le perdite dovute all'acquisizione di Antonveneta. I giudici hanno anche condannato Daniele Pirondini, ex direttore finanziario di Rocca Salimbeni a 5 anni e 3 mesi.

vigniVIGNI

Al centro del processo, i cui atti sono stati trasmessi dalla procura di Siena a quella di Milano per competenza nel 2015, ci sono le operazioni finanziarie che in quegli anni sarebbero servite a occultare le perdite causate dall'acquisto di Antonveneta, costata circa 10 miliardi di euro nel 2008. Sul banco degli imputati - tutti condannati - c'erano 13 persone. Oltre agli ex vertici Mps anche sei ex dirigenti di Deutsche Bank e due ex manager di Nomura. Con loro, tre società: Nomura, la sede di Londra e la sede centrale di Deutsche.

VIGNI MUSSARIVIGNI MUSSARI

Condanne sono infatti state staccate anche verso le banche che fecero da controparti nelle operazioni del Monte dei Paschi. Deutsche Bank AG e Deutsche Bank London Branch sono interessate dalla confisca complessiva di 64 milioni di euro e da una multa di 3 milioni di euro. Le due società del gruppo tedesco sono imputate in virtù della legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti. Condannata anche la banca giapponese Nomura alla confisca di 88 milioni di euro e a una multa di 3,45 milioni di euro, anche in questo caso per la legge 231.

giuseppe mussari fabrizio viola lorenza pieraccini iene david rossiGIUSEPPE MUSSARI FABRIZIO VIOLA LORENZA PIERACCINI IENE DAVID ROSSI

Nel dettaglio, le operazioni incriminate rispondono agli ormai noti nomi dei derivati Santorini e Alexandria, cui si sommano il prestito ibrido Fresh e la cartolarizzazione Chianti Classico.
AUTORIZZAZIONE DRAGHI PER ANTONVENETAAUTORIZZAZIONE DRAGHI PER ANTONVENETA

christian sewing ceo deutsche bankCHRISTIAN SEWING CEO DEUTSCHE BANK

I giudici della seconda sezione penale, presieduti da Lorella Trovato, dopo la revoca di alcune costituzioni di parte civile, sono entrati in camera di consiglio nella mattinata. I reati contestati a vario titolo erano manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo agli organi di vigilanza, quest'ultimo in parte prescritto. Le pene più alte chieste dalla Procura erano quelle per Vigni e Mussari, 8 anni di carcere e 4 milioni di multa. Per DB e Nomura erano stati chiesti 1,8 milioni di sanzione per ciascuna, e la confisca di 440,9 milioni e 444,8 milioni di euro.

montepaschi mussariMONTEPASCHI MUSSARI

deutsche bank 4DEUTSCHE BANK 

Il processo è cominciato nel dicembre di tre anni fa e ha visto circa 1.300 parti civili, tra piccoli investitori, associazioni di risparmiatori, Banca d'Italia e Consob. Quest'ultima però la scorsa udienza ha revocato la costituzione nei confronti dei 6 ex manager di DB e di conseguenza anche nei confronti delle due società tedesche. L'istituto di credito tedesco ha infatti raggiunto transazioni con parecchi risparmiatori che sono così usciti da processo.

GIUSEPPE MUSSARI ANTONIO VIGNIGIUSEPPE MUSSARI ANTONIO VIGNI

mussari acetoMUSSARI ACETO

Anche Nomura ha risarcito alcune parti civili, che parimenti hanno ritirato la loro costituzione. Sono rimaste invece quasi tutte le iniziali parti civili nei confronti di Mps, citata come responsabile civile. I pm Giordano Baggio, Mauro Clerici e Stefano Civardi, lo scorso maggio avevano chiesto di condannare, oltre agli ex vertici e agli istituti di credito stranieri, Daniele Pirondini, ex direttore finanziario di Mps, a 6 anni di reclusione e a 1 milione e mezzo di multa, Marco Di Santo, all'epoca dei fatti responsabile Alm (Asset Liabilities Management e Capital Management) all'interno dell'area Tesoreria e Capital management di Rocca Salimbeni a 2 anni e mezzo di reclusione e 800 mila euro di multa.

NOMURANOMURA

IL MANDATE AGREEMENT DI MPS A NOMURA jpegIL MANDATE AGREEMENT DI MPS A NOMURA 

Per gli ex manager Michele Faissola, Michele Foresti e Dario Schiraldi era stata richiesta una pena di 5 anni e 8 mesi e 1 milione e 400 mila euro di multa e 2 anni e mezzo di carcere e 800 mila euro di multa per Marco Veroni, ex direttore-account manager di Db Ag London Branch, filiale che, in qualità di ente, per il pm va assolta. Riguardo agli ex dirigenti di Nomura, Sadeq Sayeed e Raffaele Ricci, la richiesta è stata di 6 anni e 1 milione e mezzo di multa. Riguardo, invece, agli ex manager di Deutsche Bank è stato proposto di assolvere con la formula "per non aver commesso il fatto" gli ex managing director Ivor Scott Dunbar e Matteo Angelo Vaghi. Monte dei Paschi di Siena, imputata in qualità di ente, nel luglio 2014 aveva patteggiato 600 mila euro di sanzione penale e una confisca di 10 milioni di euro.

licenziamenti a deutsche bank 6LICENZIAMENTI A DEUTSCHE BANK 
david rossi mussariDAVID ROSSI MUSSARI

Nel processo sono stati condannati tutti gli imputati, sia persone fisiche che giuridiche. "Grande stupore" e "sicuro ricorso in Appello", il commento di Giuseppe Iannacone, difensore degli imputati di DB condannati, dopo la sentenza.

Fonte: qui

LA VERITA’ (NON DETTE) SUL "MONTE DEI FIASCHI": LE CONDANNE DI MUSSARI, VIGNI E BALDASSARRI NON METTONO A FUOCO LE VERE RESPONSABILITA’ DEL CRAC DELL’ISTITUTO. IL “MONTE” ERA NELLA MANI DELLA POLITICA CHE  A SIENA SIGNIFICAVA PD. DI SICURO LE COSE SAREBBERO ANDATE IN UN ALTRO MODO SE… 

SARANNO RISARCITE BANKITALIA E CONSOB. ALLE ASSOCIAZIONI DEI CONSUMATORI ANDRANNO 50MILA EURO…

Sergio Rizzo per la Repubblica

GIUSEPPE MUSSARIGIUSEPPE MUSSARI
Chianti classico: qualche buontempone aveva suggerito di dare questo nome all' assurda e cervellotica operazione immobiliare che avrebbe dovuto chiudere il cerchio dell' acquisizione dell' Antonveneta dal Santander di Emilio Botin.

Bastava, e avanzava, per intuire l' approccio etilico che stava guidando l' allegra combriccola verso il disastro. E fermarla. Ma chi avrebbe potuto farlo non lo fece. Perché in quella partita le carte le dava la politica.
ANTONIO VIGNI GIUSEPPE MUSSARI FOTO ANSAANTONIO VIGNI GIUSEPPE MUSSARI FOTO ANSA

Dopo quello che è successo difficilmente Giuseppe Mussari, Antonio Vigni e Gian Luca Baldassarri avrebbero potuto evitare una condanna severa. Ma la sentenza di ieri non mette a fuoco del tutto le vere responsabilità del crac del Monte dei Paschi di Siena. Che sono molto più vaste e articolate. Perché se è vero che la spericolata acquisizione dell' Antonveneta fu decisa da Mussari, è altrettanto vero che le sconsiderate modalità con cui avvenne ebbero complici determinanti.
Il Monte era all' epoca dei fatti l' unica banca italiana rimasta pubblica.
giuseppe mussariGIUSEPPE MUSSARI

La controllava una Fondazione emanazione del Comune e di altri enti locali: quindi di fatto era nelle mani della politica, che a Siena significava Partito democratico. E le cose sarebbero andate in tutt' altro modo se la Fondazione non avesse deciso di sostenere l' acquisizione da sola con tutti i soldi che aveva (ed erano tanti), fino all' ultimo euro.

Diversamente avrebbe dovuto fare un aumento di capitale aperto al mercato, risparmiando un sacco di quattrini e senza contribuire a impelagare la banca in un mare di pasticci ben oltre i limiti del consentito. Ma sarebbe stata costretta a diluire la propria quota ben al di sotto del 50 per cento: a Siena, una bestemmia.
MUSSARIMUSSARI
Ugualmente avrebbe mantenuto il controllo, senza però avere la mano assolutamente libera nella gestione delle poltrone e nelle nomine anche di piccolo cabotaggio.

Di sicuro, poi, le cose sarebbero andate in un altro modo se il ministero dell' Economia, che ha il potere di vigilanza sulle Fondazioni, avesse dato l' altolà a un' operazione con la quale la più ricca delle Fondazioni italiane bruciava tutte le proprie risorse per investire in una banca. Tanto più in presenza di una norma mai abrogata che dovrebbe vietare a quegli enti di concentrare il proprio patrimonio negli istituti di credito.
GIANLUCA BALDASSARRI IN PROCURA A SIENAGIANLUCA BALDASSARRI IN PROCURA A SIENA

Quanto alla Banca d' Italia, resta in dubbio se una maggiore inflessibilità nel valutare alcuni aspetti della folle operazione avrebbe potuto mutare il corso degli eventi. E non è un dubbio campato per aria.

Fonte: qui