CONTE NON LA RACCONTA GIUSTA
QUINDI ALLA CAMERA POTRÀ RIPETERE CHE ALL'EPOCA NON IMMAGINAVA DI DIVENTARE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, E CHE IL SUO GOVERNO AVREBBE ESERCITATO IL GOLDEN POWER A DIFESA DEGLI INTERESSI DI MINCIONE, MA NON GLI CREDERÀ NESSUNO…
Valentina Errante per “il Messaggero”
Nessun conflitto di interesse. Giuseppe Conte lo ripeterà questa sera davanti all'Aula di Montecitorio, quando illustrerà ai deputati la sua posizione rispetto al parere pro veritate a favore Fiber 4.0, il gruppo lambito dalle indagini del promotore di giustizia vaticana e coinvolto nel controllo della Reselit, compagnia di telecomunicazioni italiana. Il nodo riguarda la possibile decisione del governo di esercitare il Golden power, ipotizzata dal futuro premier nella consulenza legale, una circostanza che si è effettivamente verificata proprio quando Conte era presidente del Consiglio (alla decisione del cdm del 7 giugno però il premier non ha partecipato).
E se il capo del governo ha detto più volte che all'epoca non immaginava che sarebbe diventato premier, ieri sera, il programma Quarta Repubblica ha rivelato che, il 13 maggio, il giorno prima di firmare quella consulenza, in un albergo di Milano, l'avvocato aveva incontrato Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Una riunione che preludeva alla sua investitura. L'ennesimo dettaglio che, dopo le rivelazioni del Financial times creerà altre polemiche politiche.
LA VICENDA
La rivelazione è arrivata dal Financial Times, che ha dato conto del parere pro veritate firmato da Conte il 14 maggio scorso a favore della Faber. L'avvocato, all'epoca, precisava che il voto degli azionisti «poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di bloccare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a a livello nazionale». In realtà la consulenza non servì a Fiber per cambiare l'esito del voto degli azionisti.
A fornire un altro argomento all'opposizione è il fatto che il principale investitore della Fiber 4.0 fosse il fondo Athena Global Opportunities, che fa capo a Raffaele Mincione ma è finanziato interamente dalla segreteria di Stato vaticana. È sugli investimenti di Mincione che si è concentrata la maxi inchiesta del promotore di giustizia della Santa Sede. In particolare sui 200 milioni di euro finiti in un immobile di lusso a Londra.
Il finanziere e il premier non si sono mai incontrati, così hanno dichiarato entrambi. E inoltre il fondo di Mincione non è riuscito a scalare la Retelit. Il parere dell'avvocato Conte, invocato quando gli azionisti puntavano sulla tedesca Shareholder Value Management e sulla compagnia di telecomunicazioni libica, non è riuscito a cambiare il voto. Al finanziere sono mancate le quote.
PALAZZO CHIGI
Sul punto Palazzo Chigi ha già fatto due note. Nella prima spiegava che al momento del parere non si poteva sapere che Conte sarebbe divenuto premier e tanto meno che in uno dei primi Cdm si sarebbe dovuto occupare della scalata a Retelit esercitando il golden power «In particolare - si sottolineava - Conte non ha preso parte al consiglio dei ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stato deliberato l' esercizio dei poteri di golden power), astenendosi». Nella seconda, la presidenza del Consiglio è tornata sul tema ribadendo che anche il Garante per la concorrenza, lo scorso 24 gennaio, ha chiarito ed escluso il conflitto di interesse.
8 Novembre 2019
Fonte: qui
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