9 dicembre forconi: 03/13/19

mercoledì 13 marzo 2019

Latina, inchiesta sui forconi: in quattro rischiano il rinvio a giudizio

Latina - Il pm contesta anche l'accusa di associazione per delinquere. L'operazione condotta dalla Digos


La Procura di Latina ha chiuso l'inchiesta e per alcuni indagati ha disposto l'archiviazione per altri invece il rischio è quello di essere rinviati a giudizio in occasione dell'udienza preliminare che sarà celebrata davanti al giudice del Tribunale Giorgia Castriota. 

L'inchiesta è quella sui Forconi condotta dal personale della Digos di Latina dove viene contestata l'associazione per delinquere. Alcuni imputati sono accusati di violenza privata nei confronti di alcuni parlamentari e poi anche di resistenza a pubblico ufficiale per episodi simili a quello avvenuto ha sottolineato la Procura di Latina nella richiesta di rinvio a giudizio - nei confronti dell'ex parlamentare Osvaldo Napoli. Gli inquirenti hanno contestato anche l'istigazione ai fatti di violenza tramite i social network 

E'stato il pm Valerio De Luca a tirare le somme dell'inchiesta e a chiedere il rinvio a giudizio nei confronti di quattro persone. L'operazione della Digos di Latina era scattata nel marzo del 2017 con una serie di perquisizioni che avevano portato a sequestrare anche dei documenti tra cui uno che invitava ad arrestare tutti i parlamentari e il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio. Erano state 18 le perquisizioni in tutta Italia di cui sei, la cui posizione è stata archiviata. Dei 18 dunque in cinque rischiano di andare a processo. 

«Era una rudimentale forma di associazione», aveva detto all'epoca dei fatti il dirigente della Digos di Latina Walter Dian che aveva coordinato l'operazione. Nel corso dell'operazione erano stati sequestrati anche computer, pen drive e documenti cartacei. 

L'inchiesta aveva interessato oltre che Latina anche Roma, Ascoli, Taranto, Treviso ed era stata condotta oltre che dal personale della Digos anche dalla Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione. Nelle carte dell'inchiesta è finito proprio l'Ordine di cattura popolare un documento molto istigatorio secondo gli investigatori oltre ai proclami di rivolta sociale. Scontato che in aula quando ci sarà l'udienza preliminare sarà battaglia tra accusa e difesa. Oltre al vincolo associativo è stata contestata anche l'usurpazione di pubbliche funzioni.



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Pedofilia, il cardinale Pell condannato: dovrà scontare sei anni di carcere

CITTÀ DEL VATICANO - Il cardinale australiano George Pell, 77 anni, condannato in primo grado per abusi su due coristi tredicenni nel ’96, dovrà scontare una pena di sei anni, con la possibilità della condizionale dopo tre anni e otto mesi. A metà mattina del mercoledì di Melbourne, nella notte tra martedì e mercoledì in Italia, il giudice capo del Tribunale dello Stato di Victoria, Peter Kidd, ha pronunciato la sentenza dopo aver ricostruito la vicenda per oltre un’ora. Pell era già stato riconosciuto colpevole l’11 dicembre, all’unanimità, da dodici cittadini giurati; la condanna in primo grado era stata resa pubblica a fine febbraio. Ora si trattava di stabilire la pena.
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Il cardinale rischiava fino a cinquant’anni, dieci per ciascuno dei cinque capi di imputazione. Il cardinale, per parte sua, ha assistito impassibile alla sentenza, si dice innocente ed ha già presentato ricorso in appello: le prime due udienze sono già fissate il 5 e 6 giugno. «Lei non è un capro espiatorio per la Chiesa Cattolica», ha premesso il giudice. Quindi ha ricostruito i capi di imputazione. Ha parlato della «degredazione e umiliazione» patita dai ragazzi, costretti ad essere testimoni ciascuno della violenza patita dall’altro. Ha ritenuto «al di là del ragionevole dubbio» che Pell abbia approfittato della fiducia dei ragazzini e della sua posizione di potere, sicuro che le vittime non avrebbero parlato. Ha parlato di «crimini odiosi».
L’età del cardinale, ha aggiunto, è un criterio importante per definire la condanna, perché «ogni anno di prigione rappresenta una parte importante di ciò che le resta da vivere» e «potrebbe non vivere abbastanza da uscire dal carcere». Del resto, sempre considerata l’età, «non c’è rischio di recidiva e non rappresenta un rischio per la comunità», e da allora ha «avuto una condotta irreprensibile». Di qui la sentenza, relativamente mite. In nome della «giustizia aperta», il tribunale ha permesso che la fosse letta in diretta tv, una diretta planetaria. Dalle sei del mattino c’era gente fuori dal tribunale. Alcune vittime di abusi si erano date appuntamento «nella scena del crimine», alla cattedrale di San Patrizio. Da due settimane, Pell si trova in un carcere di massima sicurezza a Melbourne: l’ormai ex «ministro» dell’economia vaticano, primo cardinale mai imprigionato per abusi, è rinchiuso in «custodia protettiva» come accade ai pedofili, una cella dove rimane isolato 23 ore al giorno.

Pell era stato «sospeso» da prefetto dell’Economia nel giugno 2017 e il Papa gli aveva «concesso un periodo di congedo per potersi difendere» e affrontare il processo in Australia, rinunciando all’immunità diplomatica. Nel frattempo l’incarico di cinque anni «è scaduto il 24 febbraio e Pell non è più prefetto», ha fatto sapere la Santa Sede. Il 12 dicembre, all’indomani della condanna non ancora pubblica, era stato estromesso dal Consiglio dei cardinali che aiutano il Papa nella riforma della Curia. La Santa Sede ha annunciato un’indagine canonica in vista di un processo all’ex Sant’Uffizio. Nel suo caso ci sono più dubbi, in Vaticano, ma Pell rischia ciò che è accaduto a McCarrick, l’ex arcivescovo di Washington che molestava i seminaristi ed è stato cacciato dal collegio cardinalizio e poi spretato.
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