9 dicembre forconi: 06/25/16

sabato 25 giugno 2016

Brexit, Juncker ora minaccia: "Non è divorzio consensuale"

Juncker - Bocca aperta e mani sollevateBruxelles al lavoro per rendere il più doloroso possibile il divorzio di Londra. Punta così a dissuadere altri paesi a lasciare l'Ue

"Il divorzio tra l'Unione europea e la Gran Bretagna non sarà consensuale". All'indomani del clamoroso esito del referendum, che ha aperto le porte alla Brexit, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ribadisce che Londra deve presentare "immediatamente" la richiesta di avvio dei negoziati per uscire dall'Unione.
Una presa di posizione netta che rischia di acuire lo scontro.
A Bruxelles sono al lavoro pèer contenere i danni.

Se da una parte chiedono un'uscita immediata del Regno Unito dall'Unione europea, dall'altra mettono a punto quelle misure di flessibilità necessaria a non perdere per strada altri Stati membri.

I precedenti non sono favorevole.

Ogni qualvolta l'Ue si è trovata nei guai, non è stata in grado d reagire con fermezza. Lo ha dimostrato ai tempi della crisi economica generata dai mutui subprime. Non ha fatto meglio quando si è trovata a gestire il default greco o l'emergenza immigrazione. Tutte le volte ha dimostrato di non essere all'altezza della situazione. Incapace persino a difenderci dall'assalto del terrorismo islamico, Bruxelles rischia un nuovo flop nel gestire la Brexit.
Come al solito, a Bruxelles, sta per iniziare una girandola di incontri e consultazioni. Come anticipa Repubblica, è già pronta una bozza di documento che parla di una "Unione più flessibile". Lunedì la cancelliera tedesca Angela Merkel ospiterà a Berlino Francois Hollande e Matteo Renzi che ieri si sono ripetutamente parlati per telefono. Il solito, inutile teatrino è, insomma, già iniziato. D'altra parte c'è tempo per fare tutto. "Non c'è bisogno di invocare l'articolo 50 dei Trattati - mette in chiaro Boris Johnson, possibile prossimo inquilino di Downing Street - non c'è nessuna fretta, niente cambierà nel breve periodo". Londra intende, infatti, usare il diritto esclusivo di avviare la procedura di recessione in modo da fare pressione su Bruxelles e intavolare negoziati informali in cui ottenere il massimo delle garanzie per il dopo Brexit. "Deve essere chiaro a tutti che il processo di incertezza in cui siamo entrati non deve durare troppo a lungo - avverte Juncker - bisogna accelerare le cose".
Dopo lo strappo dagi inglesi, i toni di Bruxelles non sono più concilianti. "Non capisco perchè il governo britannico abbia bisogno di aspettare fino a ottobre per decidere se inviare o meno la lettera di divorzio a Bruxelles - ha detto Juncker in una intervista alla tv tedesca Ard - vorrei riceverla subito". Il presidente della Commissione Ue ha ammesso che quella tra Londra e Bruxelles "non è stata una relazione amorosa", ha riconosciuto che comunque quello della Brexit "non è stato un buon giorno per la Gran Bretagna né per l'Europa", ma, ha assicurato, "dobbiamo andare avanti". Un documento, pubblicato dal giornale tedesco Handelsblatt e attribuito all'entourage del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, invita a "non estendere alla Gran Bretagna il mercato unico, ma solo un'unione doganale sulla base di un accordo di associazione come quello con la Turchia". Il Parlamento europeo ha, invece, chiesto a Juncker di togliere al commissario britannico Jonathan Hill il portafoglio dei mercati finanziari. "La tentazione di rendere il più doloroso possibile il divorzio di Londra - si legge su Reopubblica - si alimenta anche nella speranza di dissuadere altri paesi dal seguirne l'esempio".
Fonte: qui

TASSE - L’ITALIA E’ IL PAESE DELLA CUCCAGNA PER I COLOSSI DEL WEB

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NEL 2015 HANNO VERSANO AL FISCO MENO DI 15 MILIONI DI EURO

E NOI DOBBIAMO VERSARE OGNI CENTESIMO DI TASSE E ORA ANCHE IL CANONE RAI IN BOLLETTA

Google, Facebook, Amazon e Apple hanno continuato lo scorso anno a macinare affari e profitti nel Belpaese

Ma quando si è trattato di chiudere i conti con l'erario il loro contributo - grazie alle triangolazioni commerciali con le holding in Irlanda e Lussemburgo - è stato meno di 15 milioni di imposte pagati in quattro

Ettore Livini per “la Repubblica”

Anno nuovo, vita (e tasse) vecchie. L'Italia si conferma anche nel 2015 - malgrado l'offensiva delle procure - un accogliente paradiso offshore per i giganti del web. I numeri, fiscalmente parlando, sono pietre: Google, Facebook, Amazon e Apple hanno continuato lo scorso anno a macinare affari e profitti nel Belpaese.

Ma quando si è trattato di chiudere i conti con l' erario il loro contributo - grazie alle disinvolte triangolazioni commerciali con le holding in Irlanda e Lussemburgo - è stato poco più che simbolico: meno di 15 milioni di imposte pagati in quattro. Un terzo di quelle versate dalla Amplifon, come se gli apparecchi acustici tirassero più di iPhone e algoritmi di Mountain View.

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Il "trucchetto" di Google & C., finito nel mirino dei pm di Milano, è sempre lo stesso: i bilanci delle controllate tricolori non contabilizzano le vendite reali dei prodotti in Italia ma solo i "servizi di consulenza" che le realtà di casa nostra garantiscono alle controllanti estere. Amazon, per dire, ammette candidamente il meccanismo nella sua relazione di gestione depositata in Camera di Commercio.
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Il centro di distribuzione di Piacenza, grande come 12 campi da calcio, marcia a pieno regime al ritmo di una consegna ogni 4 secondi. Il business italiano - è scritto nero su bianco - «è cresciuto nel 2015 del 60%».
I soldi pagati dai clienti vanno però alla casa madre in Lussemburgo. E i conti dell' azienda italiana, quelli su cui si calcolano le tasse, fotografano un' altra realtà: il giro d' affari è salito da 54 a 68 milioni (+25%). L' utile, risicatissimo, è passato da 1,1 a 1,2 milioni. E l' azienda ha addirittura ridotto il carico fiscale, sceso dagli 1,8 milioni del 2014 agli 1,4 dell' anno scorso.

Stesso discorso per Google e Facebook che con Amazon sostiene Ispos - sono «i tre marchi più influenti d' Italia» davanti a Nutella e Parmigiano. I loro affari vanno a gonfie vele.

Il motore di ricerca avrebbe raccolto in Italia nel 2015 1,25 miliardi di pubblicità, il social di Mark Zuckerberg 350 milioni.

Per l' agenzia delle entrate, però, sono poco più che fantasmi: in due hanno pagato 2,4 milioni di tasse. Il conto di Facebook è addirittura a livello di prefisso telefonico, con una parcella erariale di 200mila euro, come un artigiano in buona salute economica.

amazon logoIl Bengodi fiscale tricolore, però, è forse arrivato al capolinea. I magistrati hanno inviato ai big del web i verbali di accertamento per "omessa dichiarazione dei redditi". Apple è stata la prima a cedere. A settembre 2015 ha chiuso i suoi ultimi conti italiani in versione offshore. Poi ha firmato la pace con i Pm, versando un assegno da 315 milioni per chiudere un contenzioso di Ires evasa da 880 milioni.
LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARIGoogle, per ora, resiste. La Procura l' accusa di non aver pagato 230 milioni dal 2009 al 2013 (poco più di quanto contestato ad Amazon). Ma per ora non si è ancora arrivati a una transazione. L' accerchiamento dei giudici, tra l' altro, è figlio di un pressing paneuropeo: Mountain View ha già transato con Londra una multa da 130 milioni di sterline mentre nelle scorse settimane la Gendarmeria francese ha fatto irruzione nella sede parigina di Rue Des Londres per una perquisizione legata a evasione presunta per 1,6 miliardi. L' Europa, evidentemente, non è più il paradiso (fiscale) di una volta.
Fonte: qui

L’IMBARAZZO IN AULA DEL MINISTRO DEL LAVORO POLETTI COME TESTE DEL PROCESSO MAFIA CAPITALE

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PRESSING SU ALEMANNO PER ACCELERARE I PAGAMENTI? “ERA UNA RICHIESTA CHE MI ARRIVAVA DA TUTTE LE COOP ED È POSSIBILE CHE BUZZI MI ABBIA CHIESTO DI INTERESSARMI DI QUESTO”

Poletti: “Ho partecipato alla cena della foto uscita sui giornali, il 20 settembre 2010 al Baobab. Ricordo Alemanno, Buzzi, i rappresentanti delle cooperative e altri rappresentanti istituzionali, ma l' ho rivisto dopo leggendo i giornali e guardando le foto”

Massimo Malpica per “il Giornale
CENA 2010 - GIULIANO POLETTI - FRANCO PANZIRONI - UMBERTO MARRONI - DANIELE OZZIMO - ANGELO MARRONI - SALVATORE BUZZI -GIANNI ALEMANNO
CENA 2010 - GIULIANO POLETTI - FRANCO PANZIRONI - UMBERTO MARRONI - DANIELE OZZIMO - ANGELO MARRONI - SALVATORE BUZZI -GIANNI ALEMANNO

Che si conoscessero non c' erano dubbi. Per cominciare, c' è quella foto con il futuro ministro Giuliano Poletti, all' epoca numero uno di Legacoop, a tavola con il ras della 29 giugno Salvatore Buzzi, che aveva organizzato una cena sociale per attovagliarsi con le sue entrature politiche.

Quella sera del 2010, nella sede del centro «Baobab» della coop, oltre a Poletti c' erano un Casamonica, l' allora sindaco Alemanno, il futuro assessore alla casa di Marino, Daniele Ozzimo, il parlamentare Pd Umberto Marroni. Poletti, poi, in Mafia Capitale, pur se non sfiorato dalle indagini, viene evocato anche nelle intercettazioni.

È il solito Buzzi a vantarsi delle sue conoscenze «pesanti» col dirigente Cns Salvatore Forlenza, quando nel 2014 il Campidoglio voleva privatizzare Multiservizi e l' appalto faceva gola al ras della coop. «Io ancora non ho messo in campo l' artiglieria pesante, eh? - chiosava Buzzi - «Artiglieria pesante, arriva Giuliano Poletti».
SALVATORE BUZZI FRANCO PANZIRONI

E alla fine Poletti, due giorni fa, è arrivato davvero. Non in soccorso di Buzzi a caccia di «sponsor» per un appalto appetitoso. Ma in aula, ascoltato come testimone al processo per la «cupoletta» di Mafia Capitale, quella che secondo i pm faceva il bello e il cattivo tempo a Roma, dal Campidoglio in giù.

Se l' ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro su Buzzi ha glissato («'ho incontrato solo una volta. Mi chiamò il sottosegretario Gianni Letta e mi chiese se potevo riceverlo», ha detto in aula), Poletti non cela quel rapporto.

BUZZI CARMINATI
BUZZI CARMINATI
«Ho conosciuto Buzzi», spiega il ministro, «perché era presidente della 29 giugno, coop importante anche per dimensione, ed era componente della Legacoop Lazio».

E quando gli chiedono conto del presunto aiutino paventato da Buzzi, il ministro nega di essere l'«arma finale» che il ras teneva nella manica per far pressioni per l' appaltone sulla macchina comunale.

Ammettendo semmai la possibilità di aver chiesto ad Alemanno solo di accelerare i pagamenti. «L' unica cosa che considero ragionevole possa essere accaduta - spiega al giudice Poletti - riguarda i tempi dei pagamenti alle cooperative sociali, perché in quel periodo erano lunghi e rappresentavano un problema per i fornitori che faticavano a pagare gli stipendi».
SALVATORE BUZZI - GIULIANO POLETTI
SALVATORE BUZZI - GIULIANO POLETTI

Quella di far qualcosa per accelerare i tempi di pagamento «era una richiesta che mi arrivava da tutte le cooperative» e, come gli altri, «è possibile che Buzzi mi abbia chiesto di interessarmi di questo». Le coop, insomma, avevano «problemi di pagamento degli stipendi». Ma i soldi per mettere a busta paga i politici capitolini, stando alle intercettazioni di Buzzi, non sembravano mancare.

Quanto alla cena, Poletti al processo ricorda tutto, ma proprio con l' aiuto delle ormai celebri foto: «Ho partecipato alla cena della foto uscita sui giornali, il 20 settembre 2010 al Baobab. Ricordo Alemanno, Buzzi, i rappresentanti delle cooperative e altri rappresentanti istituzionali, ma l' ho rivisto dopo leggendo i giornali e guardando le foto».
SALVATORE BUZZI - LUCIANO CASAMONICA - GIANNI ALEMANNO
SALVATORE BUZZI - LUCIANO CASAMONICA - GIANNI ALEMANNO

Ed è sempre dalla stampa che il ministro sostiene di aver saputo che la cena sarebbe servita a celebrare la pace tra coop sociali e giunta Alemanno. Al centro Baobab, invece, Poletti ricorda di essere stato invitato «almeno 10 volte prima di quella sera, perché era un centro che rappresentava positivamente il lavoro delle cooperative sugli immigrati».

Quel lavoro che, per dirla con la famosa massima di Buzzi, «rende più della droga».

Fonte: qui