Località turistica Playa del Carmen, durante festival musicale
Ansa- Un uomo armato ha ucciso almeno 4 persone e ferito altre nove facendo irruzione in un club a Playa del Carmen, località turistica messicana sull'oceano Atlantico. Il procuratore generale dello stato di Quintana Roo, Angel Pech Cen, ha confermato che c'è un italiano fra le vittime dell'attacco armato contro la discoteca Blue Parrot a Playa del Carmen. Si tratta di Daniel Pessina, secondo fonti locali. Le vittime della sparatoria, ha riferito il procuratore, sono quattro: due canadesi - probabilmente membri della sicurezza del locale - un italiano e un colombiano.
Le autorità messicane escludono il terrorismo per la sparatoria nella discoteca di Playa del Carmen che ha causato la morte di almeno 4 persone, tra le quali l'italiano Daniel Pessina. Lo si apprende da fonti locali. La pista è quella di un regolamento di conti tra criminali.
Ancora incerta la dinamica dell'attacco armato. Angel Pech Cen, procuratore dello stato di Quintana Roo - dove si trova Playa del Carmen- ha escluso che si sia trattato di un attacco terroristico, mentre Cristina Torres, sindaco della località, ha detto alla stampa che la polizia ha fermato quattro persone nelle ore seguenti alla sparatoria. Torres ha sottolineato che una delle ipotesi esaminata dai responsabili dell'inchiesta è che si sia trattato di un cliente del Blue Parrot che ha sparato nel locale dopo essersi rifiutato di pagare il conto, ma non si esclude la possibilità di un legame con reti del narcotraffico.
Il club, il Blue Parrot, stava ospitando un evento del festival musicale Bmp. Sui social network si moltiplicano i messaggi, le foto e i video ripresi dai turisti che si trovano a Playa del Carmen, molti per seguire per il festival di musical elettronica Bpm. "Qualcuno è entrato nel club a Playa del Carmen e ha cominciato a sparare, 4-5 morti e molti feriti. Restate nei vostri fottuti alberghi se siete qui per il Bpm", ha scritto su Twitter il DJ scozzese Jackmaster, che partecipava alla serata di chiusura del festival nel locale Blue Parrot.
PER IL RAPPORTO OXFAM, SONO LE MULTINAZIONALI E I RICCHI AD ALIMENTARE LE DISUGUAGLIANZE SOCIALI, ATTRAVERSO ELUSIONE E EVASIONE FISCALE(E L'USURA SULLA MONETA!!!), MASSIMIZZAZIONE DEI PROFITTI E COMPRESSIONE DEI SALARI
A furia di deregulation e libero mercato, viviamo in un mondo dove più che l’uomo conta il profitto, dove gli otto super miliardari censiti da Forbes, detengono la stessa ricchezza che è riuscita a mettere insieme la metà della popolazione più povera del globo: 3,6 miliardi di persone.
E non stupisce visto che l’1% ha accumulato nel 2016 quanto si ritrova in tasca il restante 99%.
È la dura critica al neoliberismo che arriva da Oxfam, una delle più antiche società di beneficenza con sede a Londra, ma anche una sfida lanciata ai Grandi della Terra, che domani si incontreranno a Davos per il World Economic Forum. I dati del Rapporto 2016, dal titolo significativo, “Un’economia per il 99%” (la percentuale di popolazione che si spartisce le briciole), raccontano che sono le multinazionali e i super ricchi ad alimentare le diseguaglianze, attraverso elusione e evasione fiscale, finanza, massimizzazione dei profitti e compressione dei salari.
Ma non è tutto.
Povertà
Grandi corporation e miliardari usano il potere politico per farsi scrivere leggi su misura, attraverso quello che Oxfam chiama capitalismo clientelare.
E l’Italia non fa eccezione. I primi 7 miliardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri.
«La novità di quest’anno è che la diseguaglianza non accenna a diminuire, anzi continua a crescere, sia in termini di ricchezza che di reddito», spiega Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia.
Nella Penisola il 20% più ricco ha in tasca il 69,05% della ricchezza, un altro 20% ne controlla il 17,6%, lasciando al 60% più povero il 13,3%.
O più semplicemente la ricchezza dell’1% più ricco è 70 volte la ricchezza del 30% più povero.
Ma Oxfam non punta il dito solo sulla differenza tra i patrimoni di alcuni e i risparmi, piccoli o grandi, dei tanti. Le differenze si sentono anche sul reddito, che ormai sale solo per gli strati più alti della popolazione.
Perché mentre un tempo l’aumento della produttività si traduceva in un aumento salariale, oggi, e da tempo, non è più così.
Il legame tra crescita e benessere è svanito. La ricchezza si ferma solo ai piani alti.
Povertà
Accade ovunque, Italia compresa. Gli ultimi dati Eurostat confermano che i livelli delle retribuzioni non solo non ricompensano in modo adeguato gli sforzi dei lavoratori, ma sono sempre più insufficienti a garantire il minimo indispensabile alle famiglie.
E per l’Italia va anche peggio, essendo sotto di due punti alla media Ue. Quasi la metà dell’incremento degli ultimi anni, il 45%, è arrivato solo al 20% più ricco degli italiani.
E solo il 10% più facoltoso dei concittadini è riuscito a far salire le proprie retribuzioni in modo decisivo.
Non ci si deve stupire dunque se ben il 76% degli intervistati - secondo il sondaggio fatto da Oxfam per l’Italia - è convinto che la principale diseguaglianza si manifesti nel livello del reddito.
E l’80%, una maggioranza bulgara, considera prioritarie e urgenti misure per contrastarla.
Ai governi Oxfam chiede di fermare sia la corsa al ribasso sui diritti dei lavoratori, sia le politiche fiscali volte ad attirare le multinazionali. Oppure nel giro di 25 anni assisteremo alla nascita del primo trilionario, una parola oggi assente dai dizionari.
Luxottica convola a nozze con la francese Essilor, in una fusione da 50 miliardi di euro. Lo annunciano ufficialmente le due società realizzando una delle più grandi fusioni 'cross border' in Europa, che porta alla nascita di un colosso dell'occhialeria con più di 140.000 dipendenti e vendite in oltre 150 Paesi.
Sulla base dei risultati annuali del 2015 delle due società, il nuovo gruppo avrebbe realizzato ricavi netti per oltre 15 miliardi e un EBITDA netto combinato di circa 3,5 miliardi. Leonardo del Vecchio sara' il maggiore azionista della societa' che nascera' dall'unione, con una quota tra il 31 e il 38% e guiderà il colosso come presidente esecutivo e amministratore delegato.
LUXOTTICA
'SI COMPIE UN SOGNO'
"Con questa operazione - dice Del Vecchio che lavora all'operazione con l'aiuto di Mediobanca da 4 anni - si concretizza il mio sogno di dare vita ad un campione nel settore dell'ottica totalmente integrato ed eccellente in ogni sua parte. Sapevamo da tempo che questa era la soluzione giusta ma solo ora sono maturate le condizioni che l'hanno resa possibile". "Finalmente, dopo cinquanta anni di attesa, due parti naturalmente complementari, montature e lenti, verranno progettate, realizzate e distribuite sotto lo stesso tetto" commenta il presidente.
ESSILOR
CERTO, LUI E I SUOI EREDI GODRANNO DI RICCHI DIVIDENDI PER GENERAZIONI, MA LA CASSAFORTE DI FAMIGLIA, DELFIN, NOMINERÀ SOLO 3 DEI 16 MEMBRI DEL CDA DI ESSILORLUXOTTICA. I SUOI FIGLI NON SI OCCUPERANNO DELLA GESTIONE E I SOLDI, E QUINDI IL POTERE, SARANNO A PARIGI
Con la fusione tra Luxottica ed Essilor nasce un gigante italo- francese nel campo dell’occhialeria o un colosso franco-italiano? I segnali non sembrano lasciare dubbi. La nuova entità che nasce avrà la sede borsistica a Parigi, ed il titolo Luxottica a piazza Affari, al completamento dell’offerta pubblica di scambio, verrà cancellato dal listino. Leonardo Del Vecchio, conferendo il 62 per cento della partecipazione che la finanziaria di famiglia Delfin detiene in Luxottica, sarà presidente e amministratore delegato.
LEONARDO DEL VECCHIO
Però Hubert Sagnières, ceo di Essilor, non avrà un ruolo secondario: sarà vicepresidente esecutivo e vice amministratore delegato, con gli stessi poteri di Del Vecchio, dando quindi vita ad una gestione duale al vertice dell’azienda. Il cda di Luxottica-Essilor sarà poi composto da 16 membri, 8 per ogni partner. Ma mentre Essilor, una public company transalpina a tutti gli effetti, ne schiererà due in rappresentanza dei dipendenti- azionisti, 4 indipendenti e uno di Valoptec, Luxottica ne metterà in campo 4 indipendenti e solo 3 di provenienza Delfin.
Il dna finanziario di una famiglia complessa nella sua composizione (Leonardo Del Vecchio ha sei figli da tre diverse mogli/compagne) tenderà quindi a scolorirsi, anche perché il primogenito Claudio ha una sua vita imprenditoriale negli Stati Uniti ormai staccata dal business degli occhiali, al quale pure ha partecipato attivamente nella fase iniziale, e gli altri sono o poco interessati o troppo piccoli per partecipare a decisioni manageriali.
ALESSIA TEDESCHI LEONARDO MARIA DEL VECCHIO
Tutto lascia pensare quindi che non ci sarà una seconda generazione Del Vecchio alla guida o con ruoli importanti al vertice di un’azienda che nel corso degli anni si è internazionalizzata con velocità esponenziale, approfittando di tutte le opportunità per diventare leader. Prima gli accordi con le grandi griffe, con l’occhiale che diventa un oggetto di moda. Poi le mani sulla distribuzione commerciale, che dà il potere di orientare i prezzi e mettere all’angolo i concorrenti.
Adesso l’integrazione con il più grande produttore di lenti. Il ciclo è ormai completo, il nuovo agglomerato ha una valenza mondiale. Leonardo Del Vecchio le idee chiare le ha sempre avute, e questa operazione, che ha detto di inseguire da 50 anni, lo conferma: adesso l’azienda di Agordo è un gigante, anzi il gigante nel settore dell’occhialeria.
HUBERT SAGNIÈRES
Ma la fusione con Essilor ha un prezzo per il nostro paese, perché di fatto quello che si realizza è una cessione di sovranità oltralpe, dove sarà localizzato e attivo il baricentro operativo e finanziario. I soldi, e quindi il potere, saranno a Parigi. Aver imboccato la strada verso nord è un fatto probabilmente fisiologico. Perché troppo spesso accade che le imprese italiane rilevanti come fatturato e quote di mercato si accorgano che i confini nazionali diventano stretti per crescere ancora.
Qualcuna si arrende, come la Pirelli, che negli anni ’70 e ’80 incassò due sconfitte con la fusione mancata con la Dunlop e la fallita scalata alla Continental. Ora le gomme italiane hanno come azionista di maggioranza i cinesi di ChemChina. O come la Italcementi della famiglia Pesenti, che in Francia affonda il colpo prendendosi Ciment Français, ma poi cede tutto ai tedeschi di Heidelberg. Altre cercano riparo in mari più tranquilli.
Lo ha fatto Fca, che si divide tra Torino, Amsterdam e gli Usa. Lo ha fatto Ferrero, che produce in Italia ma la cui sede finanziaria è in Lussemburgo. Ora lo fa Luxottica. Perché quando le aziende hanno l’ambizione e infine riescono a diventare mondiali, non sentono più l’esigenza di avere la vecchia bandiera sul pennone. E se un tricolore diverso sembra più attraente per il futuro, in fin dei conti basta solo cambiare una tinta.
PARLANDO ALLA “BILD”, TRUMP FA CAPIRE QUANTO CONTI PER LUI L’EUROPA E COSA CI ASPETTA DALLA SUA PRESIDENZA: “CON LA BREXIT LONDRA HA PRESO UNA DECISIONE INTELLIGENTE.
L’UNIONE E’ STATA FONDATA PER BATTERE GLI USA NEL COMMERCIO.
QUINDI MI INTERESSA ABBASTANZA POCO SE SIA UNITA O SPACCATA, PER ME NON GIOCA ALCUN RUOLO”
LA GUERRA DI “THE DONALD” AI MEDIA:
IL PRESIDENTE ELETTO E’ TENTATO DI CACCIARE I GIORNALISTI DALLA SALA STAMPA DELLA CASA BIANCA: “SONO UN PARTITO DI OPPOSIZIONE”
1 - TRUMP: "LA NATO È OBSOLETA NON SI OCCUPA DEL TERRORISMO"
La Nato? «È obsoleta». Parola del presidente-eletto Donald Trump, che, in un'intervista alla Bild, prevede che anche altri Paesi europei seguiranno l'esempio della Gran Bretagna e si dice «molto orgoglioso» delle sue origini tedesche.
«La Nato ha dei problemi: è obsoleta, in quanto in primo luogo è stata progettata molti anni fa, in secondo perché i Paesi non pagano quello che dovrebbero» e poi «perché non si è occupata del terrorismo», spiega nel suo primo colloquio con un giornale europeo dopo la sua vittoria alle elezioni.
Il fatto che non tutti i Paesi membri investano abbastanza nella difesa «è molto ingiusto nei confronti degli Usa; a parte questo per me la Nato è molto importante».
TRUMP SUPERCAR
Il prossimo inquilino della Casa Bianca pronostica che anche «altri Stati usciranno» dalla Ue.
I Paesi e le persone vogliono la loro identità, «la gente non vuole che altri arrivino nel loro Paese e lo distruggano». Anche la Gran Bretagna vuole la sua identità, «è per questo che la Brexit si rivelerà alla fine una gran cosa».
DONALD TRUMP CONTRO LA CNN
Senza la crisi migratoria, nota, Londra non avrebbe voltato le spalle alla Ue. La sua decisione è stata «intelligente», visto che «l'Unione europea è la Germania: in sostanza la Ue è un mezzo per raggiungere i fini della Germania». Non ho mai creduto che fosse importante se la Ue fosse compatta o lacerata al suo interno, l'Unione «è stata fondata in parte per battere gli Stati Uniti nel commercio, non è vero? Quindi mi interessa abbastanza poco se sia unita o spaccata, per me non gioca alcun ruolo».
Trump spiega di avere «grande rispetto» per Angela Merkel, anche se non rivela se la appoggerà o meno in campagna elettorale («la rispetto, mi piace, ma non la conosco») - e torna a scagliarsi contro di lei sui migranti: «Credo che abbia fatto un errore assolutamente catastrofico nel far entrare nel Paese tutti questi illegali».
DONALD TRUMP SEX
Di recente, ha aggiunto, la Germania ha «ricevuto una chiara impressione» delle conseguenze della politica delle porte aperte - un riferimento all'attentato a Berlino. Il presidente-eletto minaccia dazi punitivi fino al 35% contro le case automobilistiche tedesche se sposteranno i loro impianti dagli Stati Uniti in Messico ed esporteranno da lì i loro veicoli negli Usa.
«Non dovrebbero sprecare il loro tempo e i loro soldi - a meno che non vogliano esportare in altri Paesi», spiega commentando i piani di Bmw, che vorrebbe aprire una fabbrica in Messico nel 2019. Trump annuncia un rafforzamento dei controlli all'ingresso negli Usa anche per gli europei, e annuncia che continuerà a usare Twitter, Facebook e Instagram anche da presidente e che non lascerà spesso la Casa Bianca; critica le scelte di Usa e Russia in Siria e attacca le sanzioni Ue contro Mosca. «Amo la Germania», proclama infine Trump, il cui nonno emigrò negli Usa dalla Renania-Palatinato. Quali qualità tedesche ha ereditato? «Mi piace l'ordine. E mi piace la forza».
TRUMP HOLLYWOOD
2 - STAMPA VIA DALLA CASA BIANCA LA TENTAZIONE DI THE DONALD
Che Trump non ami i media è un fatto piuttosto noto, ma nessun presidente aveva ancora mai pensato di "cacciare" i giornalisti dalla Casa Bianca. The Donald un pensierino (o forse anche qualcosa di più) lo ha fatto, almeno stando a quanto il suo capo dello staff Reince Priebus ha raccontato durante il talk-show (This Week) della domenica mattina sulla rete Abc: «L'unica cosa che abbiano discusso è se muovere o meno le conferenze stampa e i briefing quotidiani nell' Eisenhower Executive Office Buiding», il palazzo di fronte alla Casa Bianca, che prende il nome del presidente della Guerra Fredda.
CASA BIANCA - SALA DEI BRIEFING
La notizia l'aveva data sabato Esquire, giornale scandalistico e non sempre attendibile (ma ogni tanto ha fatto anche scoop di un certo peso) senza che ci siano state smentite ufficiali. Solo precisazioni, affidate nei vari talk-show domenicali a diversi esponenti della nuova Casa Bianca: come il vice presidente Mike Pence che nel programma Face The Nation della Cbs ha motivato la presunta mossa con un «c'è una tale interesse nei confronti della nuova amministrazione che si sta pensando di trovare una sede più grande per accogliere tutti i giornalisti interessati»; o come Sean Spicer (il prossimo portavoce della Casa Bianca) che nel programma MediaBuzz su Fox News ha precisato che si tratta «di coinvolgere più persone, ad esempio blogger o altri che non fanno parte dei mainstream media (l' aristocrazia della stampa)» e che quindi dovrebbe essere vista «come una mossa di benvenuto».
TRUMP E OBAMA ALLA CASA BIANCA
Precisazioni che non sembrano aver convinto più di tanto il mondo dei media americani. Dei pessimi rapporti di Trump con i media hanno parlato tutti, la conferenza stampa della settimana scorsa è stato un esempio illuminante. E le accuse di The Donald alla Cnn («date false notizie») e al sito d'informazione BuzzFeed («spazzatura») hanno lasciato il segno.
CASA BIANCA DI NOTTE
Per Esquire la decisione sarebbe quindi una diretta conseguenza di questi rapporti molto tesi. E Trump avrebbe dettato la linea agli uomini del Transition Team senza troppe discussioni e senza tenere conto della tradizione che vede il Press Corps che segue il presidente sempre presente alla Casa Bianca: «I media sono un vero e proprio partito di opposizione. Li voglio fuori da lì, ci riprenderemo la sala stampa».
Il ministro degli Interni Marco Minniti, dalemiano d’acciaio, ha enunciato la nuova politica della Sinistra sui migranti: raddoppio delle espulsioni. A questo scopo è andato in Libia a trattare con uno dei caporioni che hanno sostituito Gheddafi per ottenere un nuovo accordo sui “rimpatri”. E reprimere il traffico dei barconi, impedendo il più possibile ulteriori arrivi dei barconi e dei gommoni dalla Libia.
Quando le stesse cose le faceva da ministro degli interni Roberto Maroni, siccome era leghista, le stesse identiche azioni erano per la Sinistra incivili, odiosamente neandertaliane, inumane, inutili e anzi dannose.
Grazie a Vendola, è diventato “di sinistra” sfruttare una donna povera, pagarla perché si faccia ingravidare da un estraneo, e poi strapparle il bambino per darlo a una coppia di ricchi omosessuali, che su quel bambino non hanno altro diritto che quello che viene dal denaro e dal potere.
E questo fenomeno è evidente a livello mondiale. Barack Obama ha fatto più assassini, stragi, guerre con false scuse etiche, e sovversioni interne di paesi, di quanto abbia fatto il precedente Bush jr.: eppure le opinioni pubbliche progressiste non cessano di considerarlo un uno dei loro, un modello luminoso della sinistra, persino un pacifista. Anche il fatto che abbia ordinato di ammazzare coi droni degli individui sconosciuti da una lista preparata dalla Cia non ha scosso, agli occhi del “popolo di sinistra”, la sua bella fama di essere dalla parte del progresso contro l’oscurantismo; per contro, attribuiscono scopi guerrafondai a Trump.
Parimenti, nessuna delle rivoltanti rivelazioni su Hillary Clinton ha infiltrato nelle sinistre del mondo occidentale il dubbio sul suo essere “democratica”. Non il fatto che abbia detto con gioia incontenibile,a proposito di Gheddafi, “Veni, vidi, e lui morì!”. Non il fatto appurato che la sua Clinton Foundation era il raccoglitore delle mazzette gigantesche, grazie alle quali regimi reazionari e impresentabili come i sauditi potevano storcere secondo i loro desideri la politica estera Usa: fra cui la distruzione della Siria per insediarvi, al posto di un regime laico, una cosca wahabita decapitatrice; o di bombardare i bambini del paese più povero dell’area, lo Yemen. Non la coscienza che Hillary era pronta a preparare le forze Usa a sferrare il primo colpo nucleare contro la Russia per annichilirla, come ha proclamato pubblicamente in innumerevoli interviste televisive, laddove Donald Trump ha negato con forza questa eventualità.
Niente: agli occhi dei suoi fan, ma anche delle Botteri, Boldrini, delle Mogherini, come dei Gentiloni, come dei lettori di Repubblica e del Manifesto, Hillary Clinton è “di sinistra”, dunque ammirevole, e Trump “di destra”: quindi idiota, rozzo e spietato. Hillary ha dato enormi prove della sua inumanità, corruzione, marciume morale, totale assenza di scrupoli – e disprezzo del popolo lavoratore: eppure lei è illuminata, illuminista, razionalista, moralmente superiore al rozzo idiota maschilista che palpa le donne e deride un giornalista invalido… Putin è riuscito a pacificare il carnaio siriano che Obama e Hillary avevano provocato e finanziato: eppure Putin è antidemocratico e pericoloso, mentre quei due sono per la pace.
E non basta: ormai anche lo smantellamento dello stato sociale, l’asservimento dello Stato ai poteri finanziari speculativi, il filo-americanismo, ’imperialismo delle multinazionali, contro cui precedenti generazioni di sinistra scagliavano i loro strali propagandistici, adesso è “progressista”. E chi è contro è “populista”; antisemita, e va escluso perciò dal dibattito pubblico. Anche, se necessario, con la violenza.
E’ evidente che esiste qui un problema di antropologia – anzi peggio. Basti vedere le scene di disperazione degli snowflakes, i pianti durante l’addio ad Obama presidente che assicurava senza alcuna incertezza quanto fosse stata meravigliosa la sua presidenza, il dolore e odio espresso senza ritegno dalla “giornalista” Rai Botteri, per intravvedere qui una turba psichiatrica. Estremamente pericolosa perché, essendo la Sinistra collettiva quella che dà le patenti di superiorità morale, essa sta imponendoci come santa ed etica la nuova versione di dittatura europea, la dittatura flaccida delle tecnocrazie ed oligarchie; insonne nel sorvegliare che all’orizzonte non sorga un improbabile Hitler, “di destra”, non ha visto arrivare l’Hitler del nostro tempo, che non ha baffetti né divisa militare. Anzi s’è messa al suo servizio. Perché la prigione de popoli chiamata UE è “progressista”.
Come fanno gli esseri umani “di sinistra” a mantenere la coscienza di sé come “progressisti” nonostante approvino politiche belliciste e imperialiste, anti-popolari e usurarie? Come mai per loro Minniti dalemiano fa una buona politica anti-immigrazioni, mentre quella di Maroni era disumana e repressiva?
L’esperimento californiano
La domanda se l’è posta anche un gruppo di ricerca di psicologi dell’Università del Sud California (Brain and Creativity Institute and Department of Psychology, University of Southern California Los Angeles), che ha condotto una indagine sul fenomeno mentale.
Scelti 40 partecipanti tra i 18 e i 39 anni, che definivano se stessi “liberal” (nel senso americano) con “solide opinioni progressiste”, hanno sottoposto loro un questionario dove, su una scala da 1 a 7, dovevano indicare la forza con cui condividevano opinioni come “l’aborto deve essere legale” e “le tasse ai ricchi vanno aumentate”: 1 per condivisione debole, 7 per accordo massimo.
Seconda fase dell’esperimento: i volontari sono messi dentro un apparecchio di risonanza magnetica per riprendere le modificazioni dei loro cervelli mentre vengono sottoposti a certe immagini proiettate.
Si tratta della proiezione breve (10 secondi) di una delle opinioni politiche per cui i soggetti hanno espresso un accordo forte, fra 6 e 7. Dopo, ad essi vengono proiettate (sempre per 10 secondi) frasi che contraddicono l’opinione da loro fortemente condivisa, magari anche false. Tipo: “La Russia possiede il doppio di testate nucleari rispetto agli Usa” (falso) come contrasto all’idea pacifista (le sinistre sono “pacifiste, anche se hanno votato Hillary…) fortemente approvate, “Gli Usa devono ridurre le spese militari”. Alla fine della sessione, si ripresentano ai volontari le opinioni dell’inizio, chiedendo loro di valutarle di nuovo assegnando il punteggio da 1 a 7. Le opinioni però sono mescolate, stavolta, a piatte affermazioni che non hanno a che vedere con la politica, come “le vitamine fanno bene” e “Edison è l’inventore della lampadina”; anche queste seguite da asserzioni contrarie.
Il risultato della (macchinosa) sperimentazione è meno sorprendente di quanto si pensi: i volontari non hanno cambiato praticamente di un millimetro le loro opinioni di colore “politico” (tasso di indebolimento della fiducia in esse: 0,31 punti), mentre la forza che perdono le opinioni non politiche, quando opposte ad argomenti contrari, è quattro volte superiore.
Ma c’è di più, ed è la vera rivelazione del test: dalle immagini in risonanza magnetica, si è visto che quando il volontario “di sinistra” legge un’opinione “di destra”, il suo cervello attiva dei meccanismi di vera e propria resistenza, che tecnicamente si chiama “rete cerebrale del modo per difetto” – l’attivazione del precuneo, della corteccia cingolare posteriore media prefrontale – che secondo i neurologi è implicata nella identità, nel sé, nell’introspezione. Sono, hanno appurato i ricercatori da precedenti test, le stesse zone che si attivano quando persone selezionate come fortemente religiose, vengono messe di fronte a frasi che negano o contrastano la loro fede. Anche allora c’è attività accresciuta del “Modo per difetto”. Insomma la Sinistra sta iscritta nell’apparato neuronale profondo.
Così, quando i progressisti nel test sono confrontati ad asserzioni che negano le loro credenze politiche, il cervello mobilita l’amigdala (che sembra implicata nella paura di fronte a una minaccia), la corteccia insulare ed altre strutture collegate alla regolazione delle emozioni, e la memoria – attivata alla ricerca di un contrattacco, di argomenti polemici di resistenza.
Jonas Kaplan, il capo della ricerca, lo spiega così: “Le credenze politiche somigliano alle credenze religiose in questo senso: che fanno parte di ‘ciò che voi siete’ e sono importanti per la cerchia sociale in cui vi riconoscete appartenere”. Per assurdo, “per prendere in considerazione un altro punto di vista, dovreste prendere in considerazione un’altra versione di voi stessi”. La ricerca è stata motivata, conclude, dalla constatazione che nei dibattiti politici pubblici non si vedeva mai nessuno cambiare la propria opinione su temi importanti e discutibili.
Che dire? Forse l’esperimento conferma che “la gente vive di fede come mille anni fa”, come scrivevo in un recente articolo: di rado l’uomo “pensa” davvero in proprio e originalmente (è una gran fatica) e di solito aderisce alle opinioni del suo ambiente; opinioni che sono “credenze” , che sono molto diverse dalle idee: per le idee si combatte e si dibatte, nelle credenze “si sta”, ci si vive dentro come nel paesaggio circostante. Per esempio, i progressisti “stanno” nella credenza nel progresso, della superiorità della modernità sull’antichità, del “nuovo” rispetto al “vecchio”, che li rende tanto ridicoli ad occhi riflessivi, e disperatamente inattaccabili da ogni dubbio.
D’altra parte, il piatto materialismo dell’esperimento per cui si è scomodata la risonanza magnetica onde mappare i cervelli, dimostra insieme troppo, e troppo poco. In ognuno giace, pronto a risvegliarsi, il riflesso primordiale “Noi contro Loro”, biologicamente necessario nelle arcaiche cacce e in primitive guerre tribali, ma non meno utile nei reparti militari in operazione; chi lo sa suscitare nelle folle, sia il demagogo, un colonnello o la società calcistica, ha il gioco facile a suscitare fedeltà e avversità irrazionali; metti “Noi” contro “Loro” e non hai bisogno di argomenti , di spiegazioni; crei spirito di corpo (Noi) e inimicizia settaria (Loro), fino alla tendenziale disumanizzazione di “Loro”.
D’altra parte, questo non dà ragione del particolare, specifico dell’antropologia di sinistra: quello per cui le stesse azioni sono deplorevoli se le fa un governo “di destra”, mentre sono lodevoli, o spiegabili, se le fa un politico “di sinistra”.
Perché per le Botteri o Boldrini, Obama (e persino la Clinton) restano più civili e moralmente superiori, benché abbiano fatto più guerre di Bush jr., più distruzioni e malvagità?
Obama caso clinico estremo
Nel solo 2016, ultimo anno della sua presidenza, Obama ha fatto lanciare su sette paesi – Irak, Somalia, Siria, Libia, Pakistan, Afghanistan, Yemen – tre bombe ogni ora, notte giorno, 24 ore su 24.
Inoltre: ha ridato una postura offensiva alla NATO; ha ammassato armi , missili ed armati alla frontiera della Russia; ha creato in Ucraina un colpo di Stato; ha straziato la Siria con la creazione e l’addestramento dei terroristi del Califfato; non ha chiuso – nonostante le promesse – il carcere di Guantanamo; ha aiutato i sauditi a bombardare i civili del miserabile Yemen…In base a quale allucinazione le opinioni pubbliche “di sinistra”, in Europa come in Usa, continuano a rimpiangerlo come un civile progressista? Moralmente superiore a Putin (“un dittatore nazionalista”), e senza confronto migliore di Trump, spregevole, che però non ha bombardato nessuno?
E che dire delle sue politiche “sociali”? Ha compiaciuto sempre e in tutto Wall Street, la finanza miliardaria e speculativa; ha fallito il sistema assicurativo sanitario, che è diventato costosissimo tanto che poche famiglie possono permetterselo; sotto la sua guida, i salari sono calati, e le ricchezze dell’1% plutocratico aumentate; alla fine, lascia un paese dove il numero degli americani in età di lavoro che ne sono fuori è aumentato: oggi sono 102,632 milioni, un record storico assoluto. Il numero dei maschi capifamiglia disoccupati è uguale a quello della Grande Depressione. Il 47 per cento degli americani non ha da parte 400 dollari per far fronte a un imprevisto.
E come mai le opinioni pubbliche progressiste continuano a vedere in lui un presidente “democratico”, anche se ha fatto tutte politiche anti-popolari e anti-lavoro?
Tre giorni fa Obama ha tenuto il discorso di addio nella sua Chicago; almeno speriamo sia l’ultimo, è un mese che tiene ultimi discorsi di addio. Di fronte a un pubblico di fan, ha descritto le cose meravigliose che lui ha fatto per l’America, e come l’America sia diventata migliore negli otto anni del suo governo, più progredita, progressista e amica degli omosessuali – s’è commosso più volte ricordando e magnificando “il mio retaggio”, e i presenti si sono commossi ed estasiati con lui. Ha promesso di restare a Washington per sorvegliare, dall’alto della sua superiorità morale, il governo dell’impresentabile Donald, per timore che guasti “la mia legacy”, il làscito (di caos e fallimenti?) che adesso affida all’America progressista…
E’ stato notato che Obama, in questo discorso, s’è riferito a se stesso 75 volte. Precisamente, ha detto “Io” 33 volte, “mio” 20 volte, “me” 10, “io sono” e “io ho fatto” 12 volte. Una presunzione, un egocentrismo così conclamati (ancorché probabilmente aggravati dalla “cultura” del negro, schiavo risalito ad altezze a cui era impreparato), e una distorsione del senso di realtà e mancanza di autocritica così patologico, che forse ci dà la chiave per capire – su questo caso clinico estremo messo sul tavolo anatomico – l’organo difettoso per cui “la sinistra” è sempre sicura della propria superiorità morale, qualsiasi cosa faccia – al punto da santificare, se le fa lei, azioni “di destra”.
Come spiegarlo?
Vi dirò: tutte le volte che mi capita di scrivere della mia fede cristiana c’è sempre qualche lettore che mi deride per questa mia debolezza mentale, da vecchierella; e poi, gonfiando il petto, scrive qualcosa come: “Io sono ateo, eppure sono perfettamente morale. Non ho bisogno di immaginarmi un Dio punitore, come lei, per aderire al mio codice etico”.
Da qui riconosco immediatamente di trovarmi davanti a un progressista-tipo. Questa è gente che non ha mai fatto un esame di coscienza. Non ha mai avuto modo di giudicarsi sinceramente e senza sconti. Semplicemente perché “non è possibile” giudicarsi da sé; senza porsi alla presenza del Padre, senza confrontarsi con l’Altro, il Vivente che ti scruta dentro, non si trova altro che il proprio “Io”, e la sua inflazione – anzi enfiagione aerostatica al ridicolo livello di Obama. Ovviamente, si diventa il dio di se stessi. E infatti si può affermare: “Io sono ateo ma perfettamente morale”: è questa appunto la fase in cui il progressista può compiere atti mostruosi.
E’ sempre più interessante questo momento politico negli Usa.
Non solo per le polemiche politiche quanto, soprattutto, per la capacità di Trump di spiazzare l’establishment, di rompere le regole non scritte che hanno accomunato dagli anni Ottanta a oggi il partito democratico e quello repubblicano.
Ho già spiegato in altre occasioni come funziona la democrazia americana: la rivalità tra i due partiti sui temi che contano – difesa, politicaestera, finanza, globalizzazione – è più apparente che reale.
Il sistema presidenziale ha funzionato in modo tale da garantire che alla fine si affrontassero due candidati – uno di destra e uno di sinistra – che, a dispetto dell’apparente fortissima rivalità, in realtà condividevano le scelte di fondo e l’appartenenza al ristretto establishment che governa davvero l’America e che funziona come una sorta di “Rotary”: che vincesse il candidato progressista o quello conservatore poco importava, entrambi erano membri dello stesso club.
Le elezioni del 2016, invece, hanno segnato una rottura con questo schema perché alle primarie sono emersi ben due candidati in grado di strappare la nomination: Sanders tra i democratici e Trump tra i repubblicani.
Sanders sono riusciti a fermarlo con i brogli, che hanno costretto alle dimissioni il presidente del partito Debbie Wasserman Schultz; con Trump hanno fallito, sebbene abbiano tentato in ogni modo di farlo deragliare.
Ed è significativo che molti leader repubblicani si fossero schierati con Hillary Clinton durante l’ultima fase della campagna, a cominciare dalla famiglia Bush. Di fronte al rischio di perdere la Casa Bianca, l’establishment ha fatto saltare le apparenze: anche la destra “mainstream” era per Hillary. Come tutte le celebrities di Hollywood. Come tutta la stampa.
Demonizzare Trump, distruggere la sua immagine, attaccare la persona prima ancora delle idee, screditarlo in ogni modo.Questo era lo schema, peraltro già usato in passato e non solo negli Stati Uniti. Ma non è bastato. Trump ha vinto.
E non sembra intenzionato a recedere dai propri propositi. E’ un uomo che spiazza sempre. Lo ha fatto esternando la sua ammirazione per Putin per non aver risposto all’espulsione dei 35 diplomatici; ha continuato a ritenere non credibili le accuse di ingerenza russe nella campagna elettorale, smontando e relativizzando le insinuazioni provenienti dall’amministrazione Obama e dalla Cia.
Nell’ambito di questa polemica ha dimostrato un’ottima conoscenza delle tecniche di spin dentro le istituzioni, che è la forma più insidiosa di manipolazione delle notizie; perché viola un concetto fondamentale in democrazia: quello dell’autorevolezza e dell’attendibilità delle fonti che provengono dall’istituzione stessa.
O meglio: abusa di questa autorevolezza per diffondere informazioni che hanno l’aura della veridicità, che appaiono comprovate, e che invece sono strumentali, parziali e talvolta totalmente inventate.
Quando scrive in un tweet “Chiederò ai capi delle commissioni di Camera e Senato di indagare sulle informazioni top secret condivise con l’Nbc”, facendo riferimento al rapporto d’intelligence per il presidente Barack Obama sugli attacchi hacker russi, a cui “Nbc News” ha avuto accesso in anticipo, in plateale violazione del segreto di Stato, accende un faro su una tecnica di spin doctoring diffusa e molto insidiosa.
Chi conosce come viene gestita la comunicazione alla Casa Bianca, sa che questi non sono scoop giornalistici ma fughe pilotate e concordate al massimo livello. A cui Trump dice basta, rompendo ancora una volta la tacita consuetudine bipartisan, che induceva i due partiti a non indagare mai su quelle che talvolta erano vere e proprie frodi, come le motivazioni della guerra in Iraq.
Rapporto d’intelligence che, peraltro, ha non lo convince come afferma pubblicamente, parlando di “caccia alle streghe” e rompendo un altro tabù: mai nella storia recente americana un presidente si era permesso di mettere in dubbio il lavoro dei vertici dei servizi segreti, di cui non si fida e che intende ridimensionare nei primissimi mesi della propria presidenza.
Salteranno tante teste e la struttura dell’intelligence verrà completamente rivista.
E’ un’operazione di un’audacia senza precedenti e che spiega il grande nervosismo di Obama e della ristretta élite che ha governato fino ad oggi l’America e il mondo.
Non è un caso che proprio quell’establishment abbia tentato nelle ultime settimane di imporre la censura su Internet e sui social media, lanciando una campagna coordinata in più Stati, inclusa l’Unione Europea e Italia, sempre prontissime nel recepire i desiderata di Washington o meglio della Washington che sta uscendo di scena.
Il web ha permesso a Trump (e prima di lui al britannico Farage) di scardinare un sistema che sembrava perfetto e intramontabile. Per questo l’establishment globalista tenta, con un colpo di coda, di silenziare l’informazione alternativa online, usando qualunque pretesto: gli hacker russi, l’Isis, le fake news.
Non può riuscirci, non deve riuscirci.
(Marcello Foa, “La guerra segreta di Trump contro chi governa davvero l’America”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 gennaio 2017).
Nel 1998 eravamo a pochi passi dal crollo e sin da allora abbiamo sbagliato tutto quello che potevamo sbagliare. Nel 2008 eravamo a pochi passi dal collasso e abbiamo fatto la stessa cosa. Ogni crisi è più grande di quella precedente.
Oggi il mercato azionario non è molto lontano da dove si trovava a novembre 2014. Il mercato azionario ha avuto grandi alti e bassi. Una brutta caduta ad agosto 2015, una brutta caduta a gennaio 2016. Il tutto seguito da grandi rally entrambe le volte, perché la FED è tornata a "parlare di allentamenti monetari", ma se si esclude la volatilità, ci troviamo dove eravamo 2 anni fa.
Le persone non stanno facendo soldi con le azioni. Gli hedge fund non stanno facendo soldi. Le istituzioni non stanno facendo i soldi. È uno degli ambienti d'investimento più difficili che io abbia mai visto.
La crisi del 2008 è ancora fresca nella mente delle persone. La gente sa molto meno riguardo il 1998, in parte perché stiamo parlando di quasi 20 anni fa. Fu una crisi monetaria internazionale che ebbe inizio in Thailandia nel giugno del 1997, si diffuse in Indonesia e in Corea, e poi in Russia ad agosto del 1998. Tutti stavano costruendo un firewall intorno al Brasile. Era esattamente come le tessere del domino che cadono.
Pensate ai paesi come se fossero dei domino in cui la Thailandia cade e poi viene seguita da Malesia, Indonesia, Corea e Russia. Il domino successivo sarebbe stato il Brasile, e tutti (compreso il Fondo Monetario Internazionale e gli Stati Uniti) dicevano: "Costruiamo un firewall intorno al Brasile e assicuriamoci che il Brasile non cada."
Il domino successivo
Poi è arrivato Long-Term Capital Management. Il domino successivo non era un paese. Era un hedge fund, sebbene fosse tanto grande quanto un paese in termini di bilancio finanziario. All'epoca ero consigliere generale di tale impresa. Ne negoziai anche il salvataggio. L'importanza di tale ruolo era proprio un posto in prima fila nella faccenda.
Mi trovavo nella sala conferenze di un grande studio legale di New York. C'erano centinaia di avvocati. C'erano 14 banche nel fondo di salvataggio di LTCM. C'erano 19 altre banche con una linea di credito non garantita da un miliardo di dollari. C'erano inoltre funzionari del Tesoro, funzionari della Federal Reserve, altri funzionari di governo, Long-Term Capital, i nostri partner. Era una mandria di avvocati ed io ero da una parte della transazione, col dovere di coordinare tutto questo.
Era un affare da $4 miliardi che abbiamo messo in piedi in 72 ore. Chiunque abbia raccolto fondi per la sua compagnia, o stretto affari, può immaginare quanto sia difficile far firmare ad un gruppo di banche un assegno da $4 miliardi in 3 giorni.
Coloro che erano coinvolti possono dire d'aver salvato Long-Term Capital. Se Long-Term Capital fosse andato in bancarotta, $1.300 miliardi di derivati avrebbero inondato Wall Street.
Le banche coinvolte avrebbero dovuto coprire la loro esposizione a suddetti $1.300 miliardi, perché pensavano che fossero coperte. Un lato del loro trade era con Long-Term e l'altro lato era tra di loro. Quando si crea questo tipo di buco nei bilanci di tutti, ogni mercato del mondo verrebbe chiuso. Non solo i mercati obbligazionari o i mercati azionari. Le banche andrebbero in bancarotta in modo sequenziale. Accadrebbe quello che è quasi accaduto nel 2008.
Pochissime persone sapevano tutto ciò. Erano un gruppo di avvocati al 1° piano di un grande studio legale di New York. La FED era al telefono. Abbiamo spostato un po' di denaro. Abbiamo siglato un accordo. Abbiamo emesso un comunicato stampa.
Era come un atterraggio di fortuna. C'è un aereo con un sacco di passeggeri e 4 motori in fiamme. I camion dei pompieri pronti a spegnare l'incendio. In un modo o nell'altro la vita va avanti.
Crisi finanziaria
Dopo di che la Federal Reserve ha tagliato i tassi d'interesse due volte, una volta il 29 settembre 1998 durante una riunione programmata del FOMC e di nuovo in una riunione non programmata. La FED può farlo. Può indire una riunione della Commissione al telefono. Quella è stata l'ultima volta, 15 ottobre 1998, che la FED ha tagliato i tassi d'interesse al di fuori di una riunione pianificata. Anche se è stato fatto per "spegnere l'incendio". La vita è andata avanti.
Quindi il 1999 è stato uno dei migliori anni nella storia del mercato azionario, raggiungendo un picco nel 2000 e poi crollando di nuovo. Non era un panico finanziario, si trattava solo di un crollo del mercato azionario. Il mio punto è che nel 1998 eravamo ad un passo dalla chiusura di tutti i mercati del mondo. Ci sono state una serie di lezioni che avremmo dovuto apprendere da questo evento, ma non sono state apprese. Lo stato ha fatto il contrario di quello che si dovrebbe fare per impedire che una cosa del genere accada di nuovo.
Avrebbero dovuto vietare la maggior parte dei derivati, far andare in bancarotta le grandi banche, imporre una maggiore trasparenza, ecc.
Le cose purtroppo non sono andate così, anzi è accaduto l'esatto opposto.
Gli stati hanno abrogato i regolamenti sugli swap, in modo che si potessero avere più derivati over-the-counter invece di negoziarli in borsa.
Hanno abrogato il Glass-Steagall in modo che le banche commerciali potessero entrare nell'investment banking.
Le banche sono diventate più grandi.
La SEC ha cambiato le regole per consentire una maggiore leva finanziaria ai broker.
Poi Basilea 2, fuoriuscita dalla Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea, Svizzera, ha cambiato le regole per quanto riguarda il capitale delle banche, in modo che potessero utilizzare modelli di rischio/valore viziati ed aumentare la loro leva finanziaria.
Tutto ciò a riprova che gli stati hanno fatto il contrario di quello che si dovrebbe fare per evitare una nuova crisi. Hanno lasciato che le banche si comportassero come gli hedge fund.
Hanno permesso a tutti di trattare più derivati.
Hanno permesso più leva finanziaria, meno regolamentazione, modelli fallaci, ecc.
Ero seduto lì nel 2005, 2006 e ancora prima, a dire: "Accadrà di nuovo e sarà peggio." Ho dato una serie di conferenze presso la Northwestern University. Sono stato un consulente per la campagna di McCain. Ho avvisato il Tesoro degli Stati Uniti. Ho avvertito tutti coloro che sono riuscito ad avvertire.
Non ho detto: "Oh accidenti, è colpa dei mutui subprime", il genere di cose che si vede nel film come The Big Short. Ovviamente ci sono stati alcuni operatori di hedge fund che hanno gozzovigliato coi mutui subprime.
Per me non aveva alcuna importanza, perché quello a cui guardavo era l'instabilità del sistema nel suo complesso.
Stavo guardando all'accumulo di prodotti tossici, all'accumulo di derivati, ai processi dinamici e al fatto che una scintilla avrebbe potuto scatenare un incendio. Non m'importava quale che fosse la scintilla. Non m'importava quale sarebbe stato il fiocco di neve.
Sapevo che la cosa stava per crollare.
Troppo grandi per fallire
Poi siamo arrivati al 2008. Eravamo a pochi passi dal collasso sequenziale di ogni grande banca del mondo. Pensate di nuovo al domino. Che cosa stava succedendo? C'era una crisi bancaria. È iniziata nell'estate del 2007 con il fallimento di un paio di hedge fund legati a Bear Stearns.
C'è stato un piano di salvataggio da parte di fondi sovrani e banche, ma poi a marzo del 2008 Bear Stearns è andata in bancarotta. A giugno e luglio 2008 Fannie e Freddie erano in bancarotta, seguiti dai fallimenti di Lehman e AIG. I prossimi erano Morgan Stanley, Goldman Sachs, Citibank e Bank of America. JPMorgan sarebbe stata l'ultima a rimanere in piedi, per non parlare delle banche estere (Deutsche Bank, ecc.).
Tutte sarebbero fallite.
Tutte sarebbero state nazionalizzate.
Invece sono intervenuti gli stati e le hanno salvate per la seconda volta in 10 anni. Eravamo a pochi passi dalla chiusura di ogni mercato e ogni banca nel mondo.
Cosa significa per l'investitore di tutti i giorni? Stiamo parlando dell'investitore che ha un piano 401k, o un conto d'intermediazione; forse un conto con E-Trade o Charles Schwab o Merrill Lynch o uno qualsiasi di questi nomi. Stiamo parlando di pizzaioli, rivenditori di auto, dentisti, medici, avvocati, chiunque con una piccola impresa. Un investitore di successo, o un imprenditore.
Insomma, coloro che hanno denaro risparmiato e temono che tale ricchezza possa essere potenzialmente spazzata via, come è quasi accaduto nel 1998 e nel 2008.
Quante volte ancora si vuole sfidare la sorte? È come giocare alla roulette russa.
Per essere precisi, nel 1998 ho detto che il governo, le autorità di regolamentazione e gli operatori di mercato a Wall Street, non hanno imparato la lezione. Hanno fatto l'opposto di quello che avrebbero dovuto fare. È accaduta la stessa cosa nel 2008.
Nessuno ha imparato la lezione. Nessuno pensava a quello che in realtà era andato storto. Cosa hanno fatto invece? Hanno approvato la Dodd-Frank, 1,000 pagine di mostruosità burocratica con 200 progetti normativi distinti.
Si dice che la Dodd-Frank abbia messo fine alla dicitura "troppo grandi per fallire". Invece no, ha istituzionalizzato i "troppo grandi per fallire" perché non ha diminuito il potere delle banche. Le 5 più grandi banche commerciali negli Stati Uniti oggi sono più grandi di quanto non fossero nel 2008. Hanno una percentuale maggiore di attivi di bilancio. Hanno molti più derivati sui libri contabili e un rischio incorporato superiore.
Alla gente piace utilizzare il cliché "calciare il barattolo lungo la strada." Non mi piace questo cliché, ciononostante non hanno calciato il barattolo lungo la strada, bensì l'hanno calciato ad un livello superiore.
Dagli hedge fund a Wall Street, ora il rischio è nei bilanci delle banche centrali.
Moneta mondiale
Chi ha un bilancio pulito? Chi potrebbe salvare il sistema? C'è solo un'organizzazione: il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Ha una leva finanziaria di circa 3 a 1. Il FMI ha anche una stampante monetaria e può emettere i diritti speciali di prelievo (DSP), o moneta mondiale. Li danno ai paesi, ma non direttamente alla gente. Poi i paesi possono scambiarli per le altre valute nel paniere dei DSP e spenderle.
Ecco la differenza. La prossima volta che ci sarà una crisi finanziaria, si proverà ad usare i DSP(ma sarà tutto inutile e comunque insufficiente!!!), ma ci sarà bisogno di tempo per farlo. Non si sta pensando di farlo adesso, perché non c'è comprensione di quello che potrebbe accadere.
Ciò che non si vede è una crisi incombente ed arriverà molto rapidamente. A questo giro non sarà facile rifornire di liquidità il sistema.