LA RISPOSTA GENERATA DALL’ALGORITMO PERÒ È SBAGLIATA ...
MILENA GABANELLI HA FATTO IL CALCOLO: “UNA LIBERA PROFESSIONISTA CHE DICHARA 50MILA EURO E NEL 2018 NE HA DICHIARATI 30 PER MATERNITÀ DIVENTA ANOMALA, COSÌ COME…
MILENA GABANELLI E L'ALGORITMO DIFETTOSO DELLE TASSE
Milena Gabanelli e Andrea Marinelli per il “Corriere della Sera - Dataroom”
Da quest’anno la nostra affidabilità fiscale è decisa da un algoritmo, che ci dà un voto. Dall’8 in su possiamo stare tranquilli: niente accertamenti e in più benefici premiali, come la possibilità di compensare i crediti di imposta fino a 20 mila euro di Irpef e Ires, e il rimborso Iva fino a 50 mila euro senza visto di conformità. Se invece il voto è inferiore al 6 entri nella lista dei controlli presuntivi.
Questa pagella fiscale si chiama Isa – che sta per Indici sintetici di affidabilità fiscale – ed è stata introdotta dall’Agenzia delle Entrate per «favorire l’assolvimento degli obblighi tributari e incentivare l’emersione spontanea di redditi imponibili». Ovvero per sveltire le pratiche e fare pagare le tasse dovute. Un buono strumento quindi, se costruito bene. Tutto quello che sappiamo è che si basa sui redditi degli ultimi 8 anni e sugli studi di settore degli ultimi dieci.
I dati sbagliati
I coefficienti predeterminati dall’Agenzia delle Entrate sono immodificabili, come pure alcuni dati, anche se sono sbagliati, e gli esiti non sono sempre coerenti con l’attività esercitata. Può capitare, infatti, che l’indice di «insufficienza» aumenti nei casi in cui non dovrebbe o che al contrario affidi un punteggio alto a soggetti borderline.
Esempi: una libera professionista che ogni anno ha dichiarato 50 mila euro e nel 2018 ne ha dichiarati 30 mila perché è andata in maternità diventa anomala, così come la società che ha fatturato meno perché ha un immobile sfitto, oppure l’azienda che ha dovuto pagare 100 mila euro di spese legali straordinarie.
Anche un professionista con un contratto part-time risulta anomalo, perché non raggiunge il reddito previsto dall’Agenzia delle Entrate calcolato sull’andamento degli otto anni precedenti. E pazienza se un contribuente nel 2018 ha cambiato datore di lavoro e incassa la metà rispetto al 2017.
Errori su circa il 50% dei contribuenti
Al contrario, professionisti che non sono mai stati congrui, o imprese commerciali sempre in perdita (ma che magari fanno il nero), si ritrovano un 9. Ad esempio la società X, che negli anni precedenti ha dichiarato anche perdite fiscali ed era sempre al limite della congruità, nel 2018 si ritrova un punteggio Isa di 9,02. Dataroom ha interpellato molti commercialisti e in diverse regioni italiane: è emerso che fra il 40 e il 50 per cento dei contribuenti è passato dall’essere «congruo e coerente» nella dichiarazione dei redditi del 2018 a «insufficiente» in quella del 2019, o viceversa.
Gli Isa riguardano 6 milioni di soggetti, fra imprese e partite Iva, esclusi i forfettari e i grandi contribuenti, dove il rapporto è «one to one». Il sistema si inceppa anche perché non è possibile indicare i fattori che incidono sul reddito. Ad esempio se hai i lavori in corso davanti al negozio per sette mesi, inevitabilmente incassi meno: gli studi di settore, superati perché zeppi di criticità, ne tenevano conto, mentre sugli Isa non si possono segnalare situazioni marginali, malattie eccetera, se non con una nota di 1.768 caratteri spazi inclusi, non sempre sufficiente a spiegare le problematiche.
Le incoerenze di sistema
Per rimediare al voto negativo, nella dichiarazione dei redditi è prevista una voce che invita a pagare di più e fornisce le cifre su cui fare il calcolo, a seconda del punteggio che vuoi raggiungere. Sulla somma aggiuntiva occorre ovviamente pagare tasse e Iva.
Un sistema che da una parte rischia di vessare il contribuente onesto, dall’altra non «vede» l’incoerenza di quei contribuenti che decidono di pagare qualcosa in più per prendersi i benefici premiali, e non li concede a chi invece li meriterebbe; infine dà una scappatoia a coloro che utilizzano i crediti d’imposta con fatture false, e sono migliaia. Certo, quando ci sono di mezzo fatti penalmente rilevanti, la certezza dell’impunità non c’è.
Chi ha costruito l’algoritmo
Gli Isa sono stati introdotti con decreto nel 2017 dal governo Gentiloni e l’algoritmo che sta alla base lo ha realizzato Soluzioni per il Sistema Economico (Sose), una società partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Banca d’Italia che ha effettuato gli indici per 175 attività. A novembre 2018 il governo gialloverde ha sostituito l’amministratore delegato Ceriani con Vincenzo Atella. Le operazioni si sono un po’ ritardate e a giugno, mentre Sose faceva partire in tutta fretta i nuovi Isa, il vice ministro dell’Economia Massimo Garavaglia dichiarava che «sono uno strumento inutile e verrà abrogato perché superato dalla fatturazione elettronica». Invece hanno prorogato di due mesi le dichiarazioni dei redditi poiché la macchina non era pronta. Quando è diventata operativa si è scoperto che l’algoritmo era programmato male, ma intanto ha generato un incasso, secondo il Ministero dell’Economia, superiore ai 2,1 miliardi attesi.
Indici sbagliati e da rivedere
La Sose interpellata sui criteri adottati per l’Isa dice solo «di aver lavorato al progetto per conto dell’Agenzia delle Entrate e del Mef, e che quindi sono loro i soggetti preposti a rispondere». Dopo la levata di scudi dei commercialisti che non ci capivano più niente, la commissione di esperti si è riunita e il Direttore dell’Agenzia delle Entrate Antonino Maggiore il 6 novembre ha dichiarato: «Ci sarà una revisione degli Isa e si interverrà sulla modifica degli indici».
A questo punto dovrebbe però inviare una circolare a tutti gli uffici dell’Agenzia, con la quale invita a non considerare le pagelle dei punti fermi per le analisi. Anche perché è complicato dare il via alla rumba dei controlli: richiede personale e l’Agenzia delle Entrate è sotto organico.
Quando l’algoritmo finisce in tribunale
In Italia c’è già stato un caso di algoritmo «difettoso» nella pubblica amministrazione ed è finito in tribunale. Per l’anno scolastico 2016/2017 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca si era affidato a un algoritmo secretato – realizzato da Finmeccanica e Hewlett Packard Enterprise e costato 444 mila euro – per decidere le assegnazioni di 10 mila docenti che avevano vinto il concorso.
Avrebbe dovuto dare la precedenza alla valutazione dei candidati e poi incrociarla con le destinazioni richieste, invece molti insegnanti sono stati spediti anche a 1.000 chilometri di distanza da casa. Il ministero conciliò circa 3.000 casi e diversi tribunali annullarono le assegnazioni. Su quell’algoritmo si sono espressi quest’anno sia il Tar del Lazio che il Consiglio di Stato. Entrambi concordi: un algoritmo può far parte del processo amministrativo, ma a patto che sia soggetto all’intervento umano.
Nel caso dell’Isa, dunque, il contribuente, il suo commercialista o un giudice che si trova a esprimersi su un ricorso devono sapere cosa c’è dentro l’algoritmo, come funziona. In conclusione: la lotta all’evasione fiscale si fa solo con gli uomini, e con criteri che gli uomini danno alle macchine. Dopo averle collaudate, però, non sulla pelle dei contribuenti.
Fonte: qui
Milena Gabanelli e Andrea Marinelli per il “Corriere della Sera - Dataroom”
Da quest’anno la nostra affidabilità fiscale è decisa da un algoritmo, che ci dà un voto. Dall’8 in su possiamo stare tranquilli: niente accertamenti e in più benefici premiali, come la possibilità di compensare i crediti di imposta fino a 20 mila euro di Irpef e Ires, e il rimborso Iva fino a 50 mila euro senza visto di conformità. Se invece il voto è inferiore al 6 entri nella lista dei controlli presuntivi.
Questa pagella fiscale si chiama Isa – che sta per Indici sintetici di affidabilità fiscale – ed è stata introdotta dall’Agenzia delle Entrate per «favorire l’assolvimento degli obblighi tributari e incentivare l’emersione spontanea di redditi imponibili». Ovvero per sveltire le pratiche e fare pagare le tasse dovute. Un buono strumento quindi, se costruito bene. Tutto quello che sappiamo è che si basa sui redditi degli ultimi 8 anni e sugli studi di settore degli ultimi dieci.
I dati sbagliati
I coefficienti predeterminati dall’Agenzia delle Entrate sono immodificabili, come pure alcuni dati, anche se sono sbagliati, e gli esiti non sono sempre coerenti con l’attività esercitata. Può capitare, infatti, che l’indice di «insufficienza» aumenti nei casi in cui non dovrebbe o che al contrario affidi un punteggio alto a soggetti borderline.
Esempi: una libera professionista che ogni anno ha dichiarato 50 mila euro e nel 2018 ne ha dichiarati 30 mila perché è andata in maternità diventa anomala, così come la società che ha fatturato meno perché ha un immobile sfitto, oppure l’azienda che ha dovuto pagare 100 mila euro di spese legali straordinarie.
Anche un professionista con un contratto part-time risulta anomalo, perché non raggiunge il reddito previsto dall’Agenzia delle Entrate calcolato sull’andamento degli otto anni precedenti. E pazienza se un contribuente nel 2018 ha cambiato datore di lavoro e incassa la metà rispetto al 2017.
Errori su circa il 50% dei contribuenti
Al contrario, professionisti che non sono mai stati congrui, o imprese commerciali sempre in perdita (ma che magari fanno il nero), si ritrovano un 9. Ad esempio la società X, che negli anni precedenti ha dichiarato anche perdite fiscali ed era sempre al limite della congruità, nel 2018 si ritrova un punteggio Isa di 9,02. Dataroom ha interpellato molti commercialisti e in diverse regioni italiane: è emerso che fra il 40 e il 50 per cento dei contribuenti è passato dall’essere «congruo e coerente» nella dichiarazione dei redditi del 2018 a «insufficiente» in quella del 2019, o viceversa.
Gli Isa riguardano 6 milioni di soggetti, fra imprese e partite Iva, esclusi i forfettari e i grandi contribuenti, dove il rapporto è «one to one». Il sistema si inceppa anche perché non è possibile indicare i fattori che incidono sul reddito. Ad esempio se hai i lavori in corso davanti al negozio per sette mesi, inevitabilmente incassi meno: gli studi di settore, superati perché zeppi di criticità, ne tenevano conto, mentre sugli Isa non si possono segnalare situazioni marginali, malattie eccetera, se non con una nota di 1.768 caratteri spazi inclusi, non sempre sufficiente a spiegare le problematiche.
Le incoerenze di sistema
Per rimediare al voto negativo, nella dichiarazione dei redditi è prevista una voce che invita a pagare di più e fornisce le cifre su cui fare il calcolo, a seconda del punteggio che vuoi raggiungere. Sulla somma aggiuntiva occorre ovviamente pagare tasse e Iva.
Un sistema che da una parte rischia di vessare il contribuente onesto, dall’altra non «vede» l’incoerenza di quei contribuenti che decidono di pagare qualcosa in più per prendersi i benefici premiali, e non li concede a chi invece li meriterebbe; infine dà una scappatoia a coloro che utilizzano i crediti d’imposta con fatture false, e sono migliaia. Certo, quando ci sono di mezzo fatti penalmente rilevanti, la certezza dell’impunità non c’è.
Chi ha costruito l’algoritmo
Gli Isa sono stati introdotti con decreto nel 2017 dal governo Gentiloni e l’algoritmo che sta alla base lo ha realizzato Soluzioni per il Sistema Economico (Sose), una società partecipata dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dalla Banca d’Italia che ha effettuato gli indici per 175 attività. A novembre 2018 il governo gialloverde ha sostituito l’amministratore delegato Ceriani con Vincenzo Atella. Le operazioni si sono un po’ ritardate e a giugno, mentre Sose faceva partire in tutta fretta i nuovi Isa, il vice ministro dell’Economia Massimo Garavaglia dichiarava che «sono uno strumento inutile e verrà abrogato perché superato dalla fatturazione elettronica». Invece hanno prorogato di due mesi le dichiarazioni dei redditi poiché la macchina non era pronta. Quando è diventata operativa si è scoperto che l’algoritmo era programmato male, ma intanto ha generato un incasso, secondo il Ministero dell’Economia, superiore ai 2,1 miliardi attesi.
Indici sbagliati e da rivedere
La Sose interpellata sui criteri adottati per l’Isa dice solo «di aver lavorato al progetto per conto dell’Agenzia delle Entrate e del Mef, e che quindi sono loro i soggetti preposti a rispondere». Dopo la levata di scudi dei commercialisti che non ci capivano più niente, la commissione di esperti si è riunita e il Direttore dell’Agenzia delle Entrate Antonino Maggiore il 6 novembre ha dichiarato: «Ci sarà una revisione degli Isa e si interverrà sulla modifica degli indici».
A questo punto dovrebbe però inviare una circolare a tutti gli uffici dell’Agenzia, con la quale invita a non considerare le pagelle dei punti fermi per le analisi. Anche perché è complicato dare il via alla rumba dei controlli: richiede personale e l’Agenzia delle Entrate è sotto organico.
Quando l’algoritmo finisce in tribunale
In Italia c’è già stato un caso di algoritmo «difettoso» nella pubblica amministrazione ed è finito in tribunale. Per l’anno scolastico 2016/2017 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca si era affidato a un algoritmo secretato – realizzato da Finmeccanica e Hewlett Packard Enterprise e costato 444 mila euro – per decidere le assegnazioni di 10 mila docenti che avevano vinto il concorso.
Avrebbe dovuto dare la precedenza alla valutazione dei candidati e poi incrociarla con le destinazioni richieste, invece molti insegnanti sono stati spediti anche a 1.000 chilometri di distanza da casa. Il ministero conciliò circa 3.000 casi e diversi tribunali annullarono le assegnazioni. Su quell’algoritmo si sono espressi quest’anno sia il Tar del Lazio che il Consiglio di Stato. Entrambi concordi: un algoritmo può far parte del processo amministrativo, ma a patto che sia soggetto all’intervento umano.
Nel caso dell’Isa, dunque, il contribuente, il suo commercialista o un giudice che si trova a esprimersi su un ricorso devono sapere cosa c’è dentro l’algoritmo, come funziona. In conclusione: la lotta all’evasione fiscale si fa solo con gli uomini, e con criteri che gli uomini danno alle macchine. Dopo averle collaudate, però, non sulla pelle dei contribuenti.
Fonte: qui