Ecco perché il debito pubblico italiano è il miglior investimento del momento”. Stupefazione in Francia: a dirlo infatti è un’autorità incontrastata, Patrick Artus capo economista di Natixis, celebre banca d’investimento.
Perché conviene
Nel video Artus spiega perché. Il governo italiano, dopo aver alimentato coi suoi proclami il timore che progettasse di uscire dall’euro, adesso è tornato obbediente: non uscirà dall’euro, quindi il rischio di cambio è scomparso.
Secondo: contrariamente a molti altri, la maggior parte del debito sovrano italiano è in mano ad italiani, e quindi meno esposto a rischi tipo Grecia. Terzo: è ormai chiaro che “Salvini” non farà gli stravaganti deficit che proclamava: reddito universale, flat tax, son tutte chiacchiere per l’elettorato, ma il governo giallo-verde fa un assoluto doppio gioco: davanti alla UE riduce il deficit, ad ogni aumento dello spread se la fa sotto e dopo aver gridato che farà il 3 di deficit torna al 2…
Insomma all’estero hanno capito che il governo del “cambiamento” è un coniglio di carta, è tornato docile sotto il tallone europeista, e quindi perché non approfittare degli interessi più grassi che gli italiani pagano ai loro creditori?
“I tedeschi acquistano debito italiano in questo momento!”, se la ride Artus.
Altri economisti francesi come Charles Gave e Charles Sannat (due euroscettici peraltro) lo constatano con dispetto. “Nell’ultima emissione di debito italiano a 50 anni (scusate se è poco) più dell’84 per cento della domanda è venuta da investitori esteri, con i tedeschi in testa al 35 per cento”, vibra di sdegno quest’ultimo: “sappiate dunque che l’Italia si indebita a 50 anni al tasso del 2,877 % e che sono i tedeschi, i quali a casa loro hanno tassi negativi, che prestano agl’italiani per avere un rendimento migliore, benché detestino la loro gestione da “paese meridionale”.
Grazie ai triliardi stampati dl nulla dalle banche centrali per salvare le banche, esse sono piene di “soldi” da far fruttare. Ed invece oggi un terzo de titoli negoziati nel mondo hanno rendimenti negativi – ossia rendono non solo meno di zero, ma il creditore che li acquista accetta di perderci.
Nel mondo, “ Il 70% circa dei titoli non-spazzatura (cioè quelli buoni) fino a tre anni danno un rendimento negativo”, scrive Fabio Dragoni, giornalista economico di La Verità. E a luglio è accaduto anche questo: che quando l’Italietta ha emesso titoli di debito a 4 anni per 450 milioni, si sono affollati a comprarli tanto, che hanno messo sul piatto 2 miliardi, ossia 4 volte più domanda che offerta: ad un tasso del -0,02 (dicesi: meno 0,02).
Il BTP a 10 anni rende oggi 1,4, mentre solo nove mesi fa era a 3,70%.
Del resto anche il titolo greco a 10 anni si negozia oggi a 1,99, da confrontare col “rendimento” del 39,9% che gli “investitori” chiedevano nel 2012 per prestare ai greci.
Ma che volete farci: il decennale giapponese “rende” – 0,13% (MENO 0,13), per cui le banche nipponiche corrono ad arraffare debito italiano. E’ la sete di rendimenti della finanza, che è arrivata al punto terminale.
Non è che siamo diventati “credibili” come debitori; ai mercati basta che siamo diventati conigli, e ci prestano a zero. Tedeschi compresi.
Quei tedeschi che – come ha mostrato uno studio recente del FMI – hanno investito all’estero il loro surplus invece che nell’economia interna ed europea (congelata dalla “loro” austerità) cercando alti rendimenti: hanno ottenuto perdite secche invece, in media del 2% nel quinquennio 2011-2017. Come la Deutsche Bank che si piccò di fare la grande speculazione finanziaria, e a Wall Street (che gli rifilava qualunque “prodotto finanziario creativo” o derivato ) chiamavano gli idioti di Dusseldorf. I tedeschi avrebbero fatto meglio a investire di più, del loro grande eccedente, in patria: gli avrebbe reso di più e fatto meglio all’economia reale.
Come non cogliere la nemesi del fatto che adesso cercano di accaparrarsi i titoli italiani? E’ “il “miglior investimento oggi, ammette Artus. Ma come, replica Charles Gave: “I debiti non saranno mai rimborsati! Il debito delle banche italiane ammonta al 22 % del Pil italiano, come potrà essere rimborsato? L’industria italiana s’è indebitata e non può rimborsare per via del tasso di cambio [noi competiamo con un euro sopravvalutato del 20%] – che è un fenomeno secondario dell’euro – e dunque il sistema bancario italiano è oggi in bancarotta”.
A parte che i debiti “Non” si rimborsano mai, se mai si rinnovano; anche il sistema bancario tedesco è in bancarotta. Anzi l’intero sistema in deflazione da debiti, lo è. Quello francese non meno.
Sannat rincara: “Vero è che un rendimento di 2,88 è meglio dello 0,5 % in Germania, ma i nostri amici tedeschi sono gli stessi che s’erano precipitato a riempirsi di titoli greci – Si direbbe che quando i tedeschi si buttano ad accaparrarsi il debito di un paese, il fallimento di quel paese non sarà troppo lontano”:
La maligna nota ha un margine di verità. Ma il sovrappiù di malignità ha un motivo evidente: timore della concorrenza del debito nostro sul loro. Nel clima attuale dove i titoli italiani attraggono domanda dai mercati assetati di rendimenti, gli economisti francesi temono, per attrarre capitali, di dover offrire tassi di interesse a quelli italiani che a quelli tedeschi.
Adesso che l’economia germanica sta perdendo gravemente colpi, il sistema euro che ha instaurato regge solo perché la BCE ha assicurato che continuerà a pompare denaro – per salvare l’euro. Il punto è che il “whatever it takes” di Mario Draghi è giunto al capolinea o quasi: nel sistema che loro hanno creato togliendo agli stati sovranità monetaria, la banca centrale crea il denaro dal nulla acquistando titoli pubblici dei vari stati e lucrando interesse – ma il numero dei titoli pubblici comprabili sta esaurendosi, e anche quello delle obbligazioni. Come fare? Blackrock suggerisce che la BCE cominci a comprare direttamente le azioni nelle imprese private. Ossia a diventarne comproprietaria. “In altre parole”, ha commentato con impareggiabile humour il Financial Times, “ il solo modo di salvare il capitalismo sarebbe di cominciare a nazionalizzarlo”. Il cerchio si chiude.
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