9 dicembre forconi: 01/28/17

sabato 28 gennaio 2017

BUFERA SUL CANDIDATO DELLA DESTRA FRANÇOIS FILLON CHE AVREBBE STIPENDIATO A SPESE DELLO STATO LA MOGLIE PENELOPE E I FIGLI PER NON FARE NULLA



LO SCANDALO RISCHIA DI AFFOSSARE LA SUA CANDIDATURA, I SONDAGGI DANNO IL GIOVANE MACRON IN FORTE RIMONTA 

MA IL "PENELOPE GATE" NON È UNA VICENDA ISOLATA IN FRANCIA: Il 20% DEI 577 DEPUTATI VERSA ALLA PROPRIA FAMIGLIA PARTE DEI RIMBORSI PUBBLICI 

CHI GODE E' MARINE LE PEN... 


RIMBORSI PUBBLICI -CHI GODE E' MARINE LE PEN... 

Anais Ginori per la Repubblica


LA FAMIGLIA FILLON DAVANTI AL LORO CHATEAULA FAMIGLIA FILLON DAVANTI AL LORO CHATEAU
Il parlamento francese potrebbe essere soprannominato il club delle mogli. Lo scandalo di François Fillon, che ha ingaggiato la sua sposa Penelope come assistente parlamentare, pagandola circa 500mila euro in otto anni, non è certo isolato. Secondo un calcolo del sito Mediapart il 20% dei 577 deputati versa alla propria famiglia parte dei rimborsi pubblici (oltre 9.500 euro mensili). Negli elenchi dei collaboratori si ritrovano i nomi di 52 mogli, 60 figli e 6 persone con altri gradi di parentela. «Senza parlare delle amanti, quelle si possono nascondere meglio» scherza un vecchio conoscitore di Palais Bourbon. Il Senato è sulla stessa linea: una sessantina di parenti impiegati su 348 senatori.

La parentopoli francese è l’eredità di un vecchio sistema politico che stenta a mettersi al passo con i tempi. Nonostante le nuove regole sulla trasparenza dei rimborsi, varate dal governo nel 2013, l’assunzione di mogli, figli e parenti non è stata dichiarata illegale come invece accade già in molti altri Paesi. L’europarlamento ha approvato un divieto specifico dal 2009, seguendo la prassi nel Nord Europa. In Germania l’interdizione si allarga persino agli ex coniugi. L’Italia, che di solito non brilla per moralità pubblica, ha dal 2012 una norma per impedire di stipendiare famigliari.

FRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPEFRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPE
In Francia continua a essere un’abitudine bipartisan. A destra, ci sono i casi dell’ex segretario dell’Ump, Jean-François Copé o dell’ex ministro Bruno Le Maire che hanno le mogli a busta paga. A sinistra, il caso più emblematico è quello del socialista Claude Bartolone, presidente dell’Assemblée Nationale, che per discolparsi ha sottolineato: «Non ho assunto mia moglie, ho sposato la mia assistente». Neanche il Front National, di solito gran fustigatore del “sistema”, può dare lezioni. Il deputato del Fn Gilbert Collard paga la consorte con soldi pubblici.

E tra il 2011 e il 2013 Marine Le Pen ha versato 5mila euro di rimborsi dell’europarlamento al suo compagno Louis Alliot, salvo essere poi richiamata dall’amministrazione di Strasburgo. «Non siamo sposati» si è giustificata la presidente del Fn che ora è di nuovo sotto inchiesta per gli impieghi fittizi dei suoi due assistenti (uno dei quali è la sua guardia del corpo). L’Europarlamento ha chiesto a Le Pen di rimborsare 340mila euro già intascati.

Così fan tutti. Ecco spiegato perché Fillon è poco criticato dagli avversari politici nell’affaire in corso, anche dopo che il candidato della destra ha rivelato di aver fatto lavorare non solo la moglie ma persino due figli quando era al Senato. Fillon ha sostenuto che erano stati pagati per una consulenza da “avvocati”, anche se all’epoca dei fatti i due pargoli erano ancora studenti in giurisprudenza o solo praticanti.

LA FAMIGLIA FILLON DAVANTI AL LORO CHATEAULA FAMIGLIA FILLON DAVANTI AL LORO CHATEAU
La procura ha aperto un’inchiesta per appropriazione indebita e abuso di ufficio nei confronti di madame Fillon. Il sospetto, infatti, è che la remunerazione con soldi pubblici non corrisponda un lavoro effettivo. Penelope Fillon, origini gallesi, studi da avvocato senza aver mai esercitato, era conosciuta per essere una donna discreta, una casalinga lontana dalla politica, dedita a crescere i suoi cinque figli.

«Mia moglie ha sempre lavorato per me» dice ora Fillon sostenendo che la consorte faceva per lui una rassegna stampa, correggeva i suoi discorsi, gestiva appuntamenti e parlava con elettori per raccogliere suggerimenti. Eppure nessuno l’ha mai vista all’Assemblée Nationale e non ci sono riscontri della sua attività politica nel feudo elettorale del marito, a Sablé, nella Loira.

FRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPEFRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPE
«Siamo uomini politici, non semplici cittadini: dobbiamo essere irreprensibili». Le dichiarazioni pronunciate a suo tempo da Fillon vengono ora ripescate con una certa ironia nel “Penelope Gate” alimentato sui social networt. «Chi immaginerebbe De Gaulle indagato?» si chiedeva qualche tempo fa l’ex premier per accreditare la sua immagine da uomo senza macchia rispetto a un Nicolas Sarkozy o Alain Juppé.

Adesso il candidato ha mandato in emergenza il suo avvocato dai magistrati per dimostrare la sua innocenza ed è stato costretto a promettere che lascerà la corsa all’Eliseo se riceverà un avviso di garanzia. Al di là delle conseguenze giudiziarie, lo scandalo ha già provocato un grave danno di immagine per colui che fino a poco fa era il gran favorito per diventare capo dello Stato. Fillon, che ha promesso un governo di lacrime e sangue, è in discesa nei sondaggi. Nessuno esclude che possa essere presto superato nei consensi dal giovane Emmanuel Macron.

Dietro le quinte, la destra ha cominciato a pensare a un eventuale piano B a tre mesi dal voto. Per ora Juppé e Sarkozy hanno fatto sapere di non essere interessati a ripresentarsi: la prudenza è ormai d’obbligo in un’elezione presidenziale che forse non è mai stata così incerta e ricca di colpi di scena.
Fonte: qui

VIRGINIA RAGGI, VELENO SU ROBERTA LOMBARDI “PAGA LA BABY SITTER CON I SOLDI DELLA CAMERA”



NELLA CHAT “QUATTRO AMICI AL BAR” COSÌ VIRGINIA RAGGI PARLAVA DELLA SUA COMPAGNA DI PARTITO E ACERRIMA NEMICA ROBERTA LOMBARDI: "LEI È PROPRIO L’ULTIMA DALLA QUALE ACCETTO LEZIONI DI MORALITÀ. DA QUELLA POCO DI BUONO CHE HA FATTO PASSARE LA BABY SITTER COME ASSISTENTE PARLAMENTARE, FACENDOLA PAGARE CON I SOLDI DEI CITTADINI"

CONTRO GRILLO E CASALEGGIO: "QUESTA COSA CHE MI IMPONGONO LE NOMINE IO NON LA REGGO. ALLA FINE SONO PERSONE CHE DOVRANNO LAVORARE CON ME. DEVONO GODERE DELLA MIA FIDUCIA, NON DELLA LORO. IO VORREI AVERE GENTE COME VOI (MARRA, FRONGIA E ROMEO)"

GRILLO NON HA INTENZIONE DI SCARICARE VIRGINIA RAGGI: VIA DAL CAMPIDOGLIO SOLO SE CONDANNATA - SINDACA AL SICURO ANCHE CON IL RINVIO A GIUDIZIO, NO AL PATTEGMAZZILLOVIRGINIA, VELENO SU LOMBARDI “PAGA LA BABY SITTER CON I SOLDI DELLA CAMERA”

1. VIRGINIA, VELENO SU LOMBARDI “PAGA LA BABY SITTER CON I SOLDI DELLA CAMERA”
RAGGI LOMBARDIRAGGI LOMBARDI
Maria Elena Vincenzi per la Repubblica

«Lei è proprio l’ultima dalla quale accetto lezioni di moralità. Da quella poco di buono che ha fatto passare la baby sitter come assistente parlamentare, facendola pagare con i soldi dei cittadini. Lei di certo non si può permettere di giudicare me». Così Roma Virginia Raggi parlava della sua compagna di partito e acerrima nemica Roberta Lombardi nella chat “Quattro amici al bar”, ora agli atti della procura per l’inchiesta sulle nomine che vede la sindaca di Roma indagata per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico per l’incarico di capo della direzione turismo a Renato Marra, fratello del suo fedelissimo.

RAGGI LOMBARDIRAGGI LOMBARDI
Conversazioni che i carabinieri del nucleo investigativo di Roma hanno trovato sul cellulare sequestrato all’ex capo del personale capitolino, Raffaele Marra, braccio destro della sindaca grillina arrestato per corruzione il 16 dicembre scorso. «Non la sopporto. E non sopporto che si permetta di fare la morale a me... da che pulpito! Come se lei fosse una persona integerrima! ».

ELLEKAPPA su lombardi raggi grillo m5sELLEKAPPA SU LOMBARDI RAGGI GRILLO M5S
Sono decine i messaggi in cui la prima cittadina si sfoga con i suoi fedelissimi (Marra, appunto, l’ex vice sindaco Daniele Frongia e l’ex capo della sua segreteria politica, Salvatore Romeo) e se la prende con l’onorevole grillina. I suoi interlocutori quasi sempre si accodano ai pareri negativi, si dicono d’accordo.

Ci sono momenti in cui Raggi si infuria con i vertici dei Cinquestelle, si sente commissariata. «Questa cosa che mi impongono le nomine io non la reggo. Alla fine sono persone che dovranno lavorare con me. Devono godere della mia fiducia, non della loro. Io vorrei avere gente come voi (Marra, Frongia e Romeo, ndr), persone delle quali mi fido ciecamente. Alla fine sono io il sindaco, sono io che sono stata eletta dai cittadini. Potrò pure decidere la mia squadra».

DIRETTORIO ROMANO 5 STELLE VIRGINIA RAGGI PAOLA TAVERNA ROBERTA LOMBARDIDIRETTORIO ROMANO 5 STELLE VIRGINIA RAGGI PAOLA TAVERNA ROBERTA LOMBARDI
E il riferimento, anche qui, viene esplicitato: la sindaca fa i nomi dell’ex assessore al bilancio Marcello Minenna, dell’ex capo di gabinetto, Carla Raineri, e dell’ex assessore all’Ambiente Paola Muraro, dimessasi perché indagata per reati ambientali. Quest’ultima in particolare, stando alle conversazioni acquisite nell’indagine del procuratore aggiunto Paolo Ielo e del pubblico ministero Francesco Dell’Olio, inizialmente non era gradita all’inquilina del Campidoglio che, però, poi ha iniziato ad apprezzarla tanto da difenderla con forza quando è finita nell’occhio del ciclone.

«Subito non mi piaceva, ma devo dire che è brava - scriveva - per fortuna che in questi mesi c’è stata lei. Non so come avrei fatto altrimenti. È una lavoratrice, una persona seria, affidabile e nella sua materia è molto preparata». Gli altri due, invece, Minenna e Raineri non sono mai stati apprezzati dalla sindaca. Tanto che ora non sono più nella sua squadra.

VIRGINIA RAGGI DANIELE FRONGIA RAFFAELE MARRAVIRGINIA RAGGI DANIELE FRONGIA RAFFAELE MARRA
Chat che non hanno rilievo penale ma che sono utili a comprendere l’atmosfera, le pressioni e i consigli in cui Raggi ha maturato alcune scelte. E così si scopre che i rapporti con il leader del Movimento, Beppe Grillo, sono quotidiani. Ne parla spesso con i “tre amici al bar”, lo chiama «capo».

Accade frequentemente che dica di averlo sentito, di essersi confrontata con lui. Anche perché l’attenzione su di lei è piuttosto elevata. E l’avvocata grillina lo sa. Anche per questo cerca l’approvazione del «capo». Lo scrive anche nel gruppo con i suoi fidati amici: «Non possiamo sbagliare. Ci attendono al varco al nostro primo errore. Siamo sotto una lente di ingrandimento, abbiamo tutti contro ». E in quel plurale è compresa sicuramente anche la nemica di sempre, Roberta Lombardi.
beppe grillo davide casaleggioBEPPE GRILLO DAVIDE CASALEGGIO

2. GRILLO: RAGGI VIA DAL CAMPIDOGLIO SOLO SE CONDANNATA - SINDACA AL SICURO ANCHE CON IL RINVIO A GIUDIZIO, NO AL PATTEGGIAMENTO
paola muraroPAOLA MURARO
Annalisa Cuzzocrea e Giovanna Vitale per la Repubblica

Non hanno intenzione di scaricare Virginia Raggi, i vertici dei 5 stelle. Non finché sarà umanamente possibile difenderla. Tenere il punto su Roma e dare la colpa di tutto alla stampa («gossip», dice Luigi Di Maio) è una strategia concordata tra Beppe Grillo e Davide Casaleggio. L’unica considerata in grado di traghettare il Movimento verso il successo alle prossime politiche.
GRILLO CASALEGGIO TORTAGRILLO CASALEGGIO TORTA

Così, anche nell’ipotesi di un rinvio a giudizio, il garante potrebbe scegliere di non far scattare alcuna sanzione («automatica - ricorda chi ha parlato col capo - solo nel caso d condanna in primo grado».) È per questo che la strada del patteggiamento è considerata non percorribile («È un’ammissione di colpa, la cacceremmo in un attimo») ed è stata negata ieri dallo stesso avvocato della sindaca, Alessandro Mancori.

virginia raggi paola muraroVIRGINIA RAGGI PAOLA MURARO
L’idea è di permettere a Virginia Raggi di professare la sua innocenza nell’interrogatorio di lunedì. E intanto, vedere che succede. L’ala dura - silente perché costretta dalle intimidazioni del blog - promette che dopo il rinvio a giudizio tornerà all’attacco, ma non ha armi. Il nuovo regolamento parla chiaro e lascia totale discrezionalità a Grillo. Che per quel che ha visto finora - non intende cambiare rotta.

Dal canto suo, l’accusata prepara una strategia difensiva tutta all’attacco. Vuole smontare l’ipotesi di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico relativa alla nomina di Renato Marra, fratello dell’ex braccio destro finito in carcere. Sulla prima imputazione, contestata in concorso con il fedelissimo che all’epoca guidava il dipartimento del personale, tenterà di scaricare la colpa sul solo Marra.

Secondo i suoi legali, mancherebbe l’elemento psicologico del reato, dunque il dolo: Raggi aveva delegato al suo responsabile delle Risorse umane, di cui si fidava ciecamente, ogni verifica relativa alla rotazione dei dirigenti appena bandita. E lui ne avrebbe approfittato.
MAZZILLOMAZZILLO

Come si desumerebbe da varie conversazione in chat, intercettate dagli inquirenti, in cui lei lamentava di essere stata tenuta all’oscuro dell’aumento di stipendio di Renato. Quanto al falso dichiarato all’autorità Anticorruzione, cui ha scritto di aver agito «in autonomia», si appellerà all’art.38 comma 2 del Regolamento degli Uffici e Servizi del Comune di Roma per dimostrare che non aveva l’obbligo di comparare i curricula dei candidati per il posto poi ottenuto da Renato Marra.

La norma prevede che gli incarichi di quel tipo siano «conferiti e revocati dal sindaco» su un ventaglio di proposte che spettano all’assessore del personale (ha lei la delega) e all’assessore competente per materia. Tutto questo nonostante l’incaricato al Turismo Adriano Meloni, in procura, nei giorni scorsi, abbia ammesso come a suggerirgli la nomina di Marra fosse stato proprio il fratello Raffaele.

ROCCO CASALINO E BEPPE GRILLOROCCO CASALINO E BEPPE GRILLO
Non bastasse l’inchiesta, c’è il nodo bilancio. Federica Tiezzi, presidente dell’organo dei revisori del Comune, ha detto ieri in aula: «È vero che presenta un equilibrio ma, se l’ente non si attiva, i rischi potenziali che ci sono metterebbero comunque il comune a rischio». I 5 stelle protestano, la accusano di incoerenza. «Non c’è nessun rischio - spiega l’assessore Andrea Mazzillo - il ruolo dell’Oref si esaurisce con il parere positivo dato il 23 gennaio».

Fonte: qui

Si dimette il vice presidente della Commissione Grandi Rischi

Scarascia Mugnozza lascia, in contrasto con presidente su dighe

(ANSA) - ROMA, 27 GEN - Il vice presidente della Commissione Grandi Rischi, Gabriele Scarascia Mugnozza, si è dimesso. Alla base della decisione, secondo quanto si apprende, il contrasto con il presidente Sergio Bertolucci dopo le sue dichiarazioni su un possibile 'effetto Vajont' in relazione alla diga di Campotosto, in Abruzzo. Secondo Scarascia Mugnozza, le parole del presidente sono state associate alla Commissione Grandi Rischi nonostante nel verbale della riunione non si facesse alcun riferimento al Vajont. Le dimissioni sono arrivate ieri al Dipartimento della Protezione Civile che dovrà ora inoltrarle alla presidenza del Consiglio.

Manovra aggiuntiva, il regalo (con dedica) di Renzi

La realtà è una brutta bestia, c'è poco da fare. Puoi cercare di cambiarla, nasconderla, mistificarla, ma, alla fine, torna sempre a galla. 

E presenta sempre il conto. Mi fanno tenerezza gli indignati speciali contro l'Ue rispetto alla richiesta di Pierre Moscovici di rientrare in tempi certi dai 3,4 miliardi di buco che l'Italia presenta a livello di deficit: facile ora farsi scudo con il terremoto, la neve e la valanga che ha spazzato via il resort di Rigopiano (abusivo) per cercare di tirare ancora una volta un bel calcio al barattolo. Facile, ma anche patetico. 


Chi mi segue su queste pagine sa che penso che l'Ue sia una cloaca burocratica da cui bisogna uscire al più presto, ma io lo dico da sempre, anche quando l'euroentusiasmo era la norma (anche su queste pagine): come mai adesso sono tutti euroscettici? Moscovici non ha colpe, se volete arrabbiarvi con qualcuno fate pure, ma cercate il vero responsabile: il quale, ha un nome e un cognome, oltre che un domicilio.

Si chiama Matteo Renzi, domiciliato a Rignano sull'Arno. Come mai nessuno ha detto nulla, quando per elargire mance e prebende in vista del referendum del 4 dicembre, il governo da lui presieduto ha sforato volontariamente dai limiti imposti?
L'Ue era stata chiara fin dall'inizio al riguardo: tu sfora, ti lasciamo tranquillo e ti garantiamo flessibilità fino a dopo la consultazione referendaria (visto che Bruxelles tifava apertamente per il "Sì"), dopodiché i conti vanno saldati. E così è stato, né più, né meno: perché quindi queste pose da nazionalisti orgogliosi, adesso? 

Lo sapevamo che sarebbe finita così, io ho cominciato a scriverlo a novembre: se fai un patto, devi rispettarlo.

E Matteo Renzi, per pagare il bonus ai diciottenni e altre amenità in stile Achille Lauro, aveva fatto un patto con l'Ue. Ora, tocca pagarlo. E, giustamente, all'Europa non frega nulla se non sappiamo nemmeno guardare le previsioni del tempo, visto che i terremoti non sono prevedibili, ma la neve e il maltempo sì e si sapeva da giorni che sarebbe arrivato un fronte freddo dall'Est. Invece di maledire l'Ue, perché non chiedete a Renzi cosa ha fatto per i terremotati? 

Nulla e infatti il disagio maggiore è stato creato dal combinato disposto di maltempo forte e condizioni già precarie per i residenti del posto: le famose casette, le quali dovevano arrivare per tutti entro Natale, dove sono? 

In compenso, si sono dati soldi a pioggia a tutti in sede di Legge di stabilità, sperando di scongiurare la vittoria del "No". E adesso piangiamo? Anzi, facciamo anche i duri, con Padoan che minaccia velatamente di essere pronto ad affrontare la procedura di infrazione, pur di non pagare.

Addirittura si arriva a ipotizzare elezioni a giugno, pur di non aprire i cordoni della borsa. Siamo patetici, siamo i degni eredi di Alberto Sordi e dei suoi personaggi umanamente mediocri. 

Come mai non erano a disposizione le turbine? 

Come mai l'Enel ci ha messo quattro giorni, in alcune località, a riportare la luce con i generatori? 

È colpa dell'Ue?

Non è forse colpa del governo Renzi e della sua bambinesca voglia di rinnovamento giovanilista, il quale per furore iconoclasta verso l'ancient regime della Prima Repubblica ha semi-rottamato le Province, non rendendosi conto che così si metteva a rischio il funzionamento della cinghia di trasmissione tra le stesse, i comuni e l'Anas per la gestione delle strade? 

Se non vi fidate di me, chiedete a qualsiasi amministratore pubblico e vedrete cosa vi dirà rispetto a questa rivoluzione: per risparmiare quattro soldi, perché alla fine i dipendenti mica sono a spasso ma ricollocati altrove sempre nella Pubblica amministrazione, siamo ridotti come avete visto. 


E non solo nelle zone terremotate, basti vedere il cavalcavia crollato un paio di mesi fa nel lecchese: ancora tutto fermo, lavori che non cominciano e disagi enormi per cittadini e imprese della zona. Tocca andare a Roma per un tavolo che sblocchi 10 milioni di euro: chi doveva operare nel frattempo? 

La Provincia, la quale ha la competenza sull'Anas? 

E come fa, se non esiste più? È forse colpa dell'Ue anche questo? 

O forse del governo dei supergiovani, come direbbero Elio e le storie tese? 

Finché daremo vita a teatrini simili, saremo sempre l'Italietta che tutti prendono in giro. Finché avremo governi che spendono e spandono per mera ricerca e gestione del consenso, non potremo lamentarci perché l'Europa ci bacchetta: certo, la Spagna è al 5,3% di rapporto deficit/Pil, ma ha sforato perché ha messo in campo politiche e incentivi per l'occupazione, non ha dato 500 euro ai diciottenni per andare a sentire il concerto di Fedez, spacciando il tutto per politica culturale. 

Per favore, smettiamo di essere ridicoli. 

Vi racconto un aneddoto, come riportato dal quotidiano Il Gazzettino. Paolo Rossetto è un imprenditore di Caneva con esperienza pluriennale a Piancavallo, località per la quale garantisce la pulizia delle strade in caso di neve e tre anni fa era stato contattato dalla Regione Marche per svolgere dei servizi eccezionali durante una copiosa nevicata. Proprio per questo motivo, martedì scorso, nel momento di massima emergenza - il giorno seguente si abbatterà in Abruzzo, la slavina killer sull'albergo Rigopiano -, è stato interpellato nuovamente per correre in aiuto delle popolazioni isolate e senza corrente elettrica. La richiesta della Regione era per un totale di sei turbine, equamente distribuite tra grandi e piccole, così da far fronte a sgombero di strade più o meno ampie di carreggiata. Rossetto non ci ha pensato due volte e ha risposto positivamente. 

Memore di quanto accaduto alla prima esperienza, ha tuttavia chiesto una modifica della formula di pagamento: «Ho dovuto attendere due anni e mezzo per veder saldate tutte le mie spettanze: per questo, ho sollecitato il pagamento anticipato di 11mila euro, pari alla spesa che io stesso devo saldare immediatamente agli autotrasportatori che effettuano il trasporto eccezionale dei miei mezzi dal Friuli alle Marche». 

La risposta dell'ente pubblico? «Sono spariti», fa sapere amareggiato Rossetto. 

Colpa dell'Ue? 

Questa volta in parte sì. 

Abbiamo trovato 20 miliardi per le banche in tre ore e Bruxelles non ha detto nulla, ma le amministrazioni locali devono sottostare all'idiota Patto di stabilità che non consente loro di utilizzare i soldi che hanno in cassa, nemmeno per le emergenze. 

Queste sono le ragioni per cui ritengo l'Ue una iattura e per cui sarebbe giusto battere i pugni sul tavolo, non per i debiti fatti da Matteo Renzi e che ora non si vogliono onorare, facendosi scudo con l'emergenza terremoto e neve. 

Quando la smetteremo di essere il Paese delle scuse e delle emergenze, forse cominceranno a prenderci sul serio. 

E a rispettarci di più, ma, per favore, evitiamo di scadere ulteriormente nel ridicolo. 

Quanto sta facendo Padoan all'Ecofin è una pantomima, che rischiamo di pagare carissima. Di tutto questo, ringraziate quella testa di legno di nome Matteo Renzi. 

Non l'Ue. 


Fonte: qui

LA GRANDE SFIDA DI TRUMP NON VERRÀ VINTA COL PROTEZIONISMO

Meno male che il 45° presidente americano si chiama Donald Trump. Un presidente non allevato come i predecessori in un partito, è uno che nella vita ha lavorato, sa come funzionano le cose e, proprio perché non proviene dalla politica, non deve ricambiare favori a nessuno. E’ per questo motivo che l’establishment lo detesta. Trump ha capito la cosa fondamentale: la politica è una palude da ripulire a fondo e nel discorso inaugurale ha voluto sottolineare che la sua elezione non ha avuto nulla a che vedere con il rituale del trasferimento di potere tra partiti, i soli a prosperare nella palude mentre le fabbriche chiudono e i posti di lavoro evaporano. La sua elezione, ha affermato, è il trasferimento dei poteri al popolo. Parole da abile populista, si dirà, ma è un fatto che Trump oggi esiste per i danni enormi commessi dalla sinistra progressista, il più grave dei quali è aver ignorato la classe lavoratrice. La creazione di posti di lavoro o riportare il lavoro in America, come dice il neo presidente, è la vera, enorme sfida. Perché se fallirà in questo obiettivo difficilmente fra quattro anni sarà rieletto, con il rischio che il partito democratico riprenda il sopravvento magari guidato da una Michelle Obama. Nel qual caso, Addio per sempre America.

Trump da anni ha compreso che la “narrativa” della crescita economica americana era una bufala e sa bene che il suo paese si è deindustrializzato dopo decenni di politiche folli che hanno toccato il culmine con Obama. Apple è un’azienda americana ma tutti i componenti della gamma dei suoi prodotti, dall’iphone all’ipad, dall’Ipod al Macbook provengono dall’Asia. Fornitori e subfornitori di aziende come Ford, Chrysler e Tesla Motors sono acquistati al di fuori degli usa in 60 paesi tra cui e in maggior parte in Asia. Da Walmart il più grande retailer statunitense, tra migliaia di merceologie, non si trova un prodotto made in usa. Lo stesso facendo lo shopping on line su Amazon. Purtroppo, insieme ai prodotti, sono espatriate anche le professionalità che li creano, soprattutto quelle ad alta qualificazione.

Dunque Trump è ben consapevole che la supply chain industriale americana è stata trasferita all’estero e, insieme, una parte cospicua del Pil con la conseguenza, tra l’altro, del collasso della base imponibile a livello, locale e federale. Nello stesso tempo la riforma sanitaria obamiana, mentre ha ingrassato le compagnie di assicurazione, ha dato un colpo mortale alle piccole medie aziende. Oggi, quasi 50 milioni di americani vivono di sussidi. La situazione è tragica e Trump ha promesso un’inversione di rotta.

Purtroppo l’inversione di rotta rischia di far infrangere l’America contro un enorme scoglio. Lo scoglio del protezionismo. Crede il neo presidente di riportare il lavoro a casa scatenando guerre commerciali con i partner e, in particolare con la seconda potenza mondiale, la Cina accusata anche di manipolare la sua valuta a danno dell’America?  Ma chi nel mondo attuale non manipola la valuta? Non ricorda, Donald, che sono stati proprio gli Stati Uniti a fare scuola in questo campo? Non ricorda che fu proprio un suo famoso  predecessore nel 1971 a violare gli accordi monetari e dare inizio alle guerre e instabilità valutarie? Non è stata la Cina o la cosiddetta globalizzazione ad aver rubato i posti di lavoro all’America. E’ l’America stessa ad averglieli ceduti in un lento quanto inesorabile e subdolo processo innescato clonando valuta a volontà invece di produrre. Lo scambio USA-Cina non è stato: prodotti americani contro prodotti cinesi ma: debito statunitense contro prodotti cinesi. Non è questa la causa del deficit commerciale permanente americano rispecchiato dai trilioni di riserve accumulate dalla Cina di cui ora questo paese si sta liberando? Chi stampa denaro per importare invece di produrre per esportare, pagando in tal modo le importazioni, vive al di sopra della propria capacità produttiva e finisce per darla in appalto al partner finanziatore. E così è accaduto. Certo i bassi salari della Cina e di altri paesi emergenti hanno amplificato la crisi di destrutturazione ma quando l’America era grande, cioè fino agli anni 60, il salario e la produttività del lavoratore medio statunitense erano i più alti del pianeta e questo fu il motivo della leadership industriale degli Stati Uniti, oggi perduta.
Dio non voglia che Trump imbocchi la strada del protezionismo come il suo predecessore Herbert Hoover che, verso la metà del 1930, firmando la Smoot-Hawley, un provvedimento di tariffe doganali aggravò la depressione, impastoiò il commercio internazionale, aumentò i costi di importazione, colpì il consumatore e ridusse le esportazioni. Le conseguenze del protezionismo sono sempre disastrose e portano a vere e proprie guerre, quelle che Trump con la sua politica di distensione, vuole evitare. Nessuno ha mai vinto con le guerre commerciali e Trump non pensi di essere più scaltro e intelligente dei suoi predecessori.

Trump ha solo un modo di ricostituire la supply chain e far ritornare il lavoro in America: renderla fiscalmente più competitiva. 

Come? Eliminando le tasse sul reddito delle imprese e spostandole sui consumi. Non tassare chi impiega capitali e chi rischia, significa aumentare la domanda di lavoro e quindi l’occupazione. 

Tassare le imprese, invece, significa diminuire la domanda di lavoro e penalizzare l’occupazione. 

 Solo eliminando le tasse Trump può ricostituire il tessuto di piccole imprese distrutto dal fisco. Sono le piccole imprese a creare la maggior parte del lavoro in un paese, non quelle grandi. Tagliare le tasse sui redditi significa permettere alle piccole imprese di diventare medie, e alle medie di diventare grandi, liberando tutte le energie creative nel sistema industriale. Parallelamente,

Trump dovrebbe, tassare le imprese che non producono valore aggiunto all’interno ma all’estero. La misura può apparire odiosa ma è l’unico modo di evitare l’imposizione di dazi e non contravvenire alle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio che supervisiona gli accordi commerciali.

Il neo presidente dovrebbe ricordarsi che l’America divenne la più grande potenza mondiale proprio perché fino al 1913 non esistevano le tasse sui redditi ma solo sui consumi. Dovrebbe inoltre ricordarsi che a partire da 1945 i politici giapponesi, per ricostruire velocemente l’economia distrutta dal conflitto mondiale eliminarono le tasse su investimenti, guadagni in conto capitale, profitti, plusvalenze, interessi e rendite perché compresero chiaramente che tutto il capitale esentato dalle tasse sarebbe stato automaticamente reinvestito nell’economia. Il che avvenne e il Giappone prosperò fino al 1970. La rivoluzione che Trump deve fare è di ritornare alle origini non solo tagliando tasse ma anche quella spesa pubblica improduttiva(ovvero tutto ciò che non è essenziale)che rende prospera “la palude” e questo sarà il compito più difficile e impopolare perché gran parte dell’elettorato campa su sussidi ormai considerati diritti acquisiti ma che, non Trump, ma la crisi mondiale revocherà dovunque.


La transizione pertanto sarà molto dura, ma Trump ha fatto l’errore di non dirlo chiaramente a un elettorato che dopo decenni di politiche distruttive si aspetta miracoli. Il rischio, pertanto, è che, per salvare capre a cavoli, accontentare questi e quelli, perda di vista l’obiettivo fondamentale diventando il presidente di un nuovo establishment ammantato di anti-estabishment.

Fonte: qui