di Jacopo Simonetta.
Modificato da un articolo già apparso di "Crisis, what crisis? il 4 Marzo 2016
Oggi “pupulista” è un insulto e lo era spesso anche in passato. Eppure proprio questa eterogenea matrice ha prodotto l’unica seria opposizione a quegli ideali di “progresso” perseguendo i quali siamo giunti esattamente dove siamo oggi.
Con questo non intendo certo idealizzare la tradizione. Chi ha vissuto in un paese ancora 40 o 50 anni fa, ha un’idea di quando schiacciante può essere quella “common decency” tanto cara ad Orwell. Tengo però a far presente è che il populismo odierno ha ben poco in comune con quello del passato. In particolare per la passione che i movimenti populisti odierni hanno per i capi autoritari, le fantasie nazionaliste e l’ assistenzialismo di stato. Tutti elementi che i populisti del passato disprezzavano profondamente.
Una differenza che probabilmente dipende dal fatto che i movimenti populisti del passato sorsero ed insorsero in difesa di una tradizione popolare all'epoca ben viva e profondamente radicata. Una tradizione che la trasformazione dei contadini ed degli artigiani prima in proletari e poi in consumatori ha distrutto. Della radice antica ed identitaria della gente comune rimane oggi solo un sentimento vago e rabbioso, su cui fanno leva gli "arruffapopolo" di professione.
Il populismo ieri.
A scuola, sembra che il storia del pensiero politico moderno si riassuma nello scontro fra due grandi scuole: quella liberal-capitalista e quella socialista che né è uscita sconfitta. La realtà è, come sempre, parecchio più complicata.
Tanto per cominciare, le due citate scuole di pensiero non erano poi così antitetiche. Condividevano infatti una comune ideologia di fondo: il progresso inteso come inarrestabile processo di miglioramento della condizione umana. Del resto, entrambe si rivendicavano legittime eredi dell’Illuminismo, visto come la grande rottura fra un “prima” fatto di miseria morale e materiale, oscurantismo, persecuzione e quant'altro. Ed un “dopo” proiettato in un futuro radioso. Un concetto nato e maturato nei circoli aristocratici e finanziari del XVIII° secolo che erano quanto di meno "popolare" si potesse immaginare.
Dunque lo scontro fra le due scuole, non di rado sanguinoso, fu sostanzialmente su quali fossero i mezzi più efficaci per raggiungere lo scopo condiviso. Se mediante un’accumulazione di capitale privato oppure di capitale statale, se tramite una liberalizzazione delle attività economiche, oppure una pianificazione delle medesime, eccetera. Ma per entrambe contrastare il progresso era affare di aristocratici parassiti, nostalgici, romantici perdigiorno, retrogradi, corporazioni oscurantiste, borghesi bigotti, masse abbrutite dall'ignoranza o nemici del popolo, secondo il caso.
In una serie di post pubblicati su “Effetto Risorse” (qui, e qui) ho cercato di tracciare l’origine di questa singolare visione del mondo. Qui vorrei accennare invece a quelle “forze oscure della reazione in agguato” che le si opposero.
Secondo la vulgata, in prima fila ci sarebbe stata l’aristocrazia molle e parassita dell’”Ancien régime”, retaggio di un mondo feudale sinonimo di ogni orrore. Solo che, sorpresa, nel '700 l’Ancien Régime era quanto mai moderno. Ed era nato proprio dallo sforzo di molti stati di chiudere definitivamente i conti con gli ultimi strascichi di una tradizione feudale oramai decotta.
La modernità, teorizzata e caldeggiata dai progressisti, nella seconda metà del XVIII secolo erano gli stati nazionali retti da autocrati “illuminati”. Vale a dire promotori a tempo pieno di quella rivoluzione industriale che cominciava a delinearsi. Del resto, le grandi famiglie dell’epoca erano composte perlopiù da banchieri, industriali ed alti funzionari. Le proprietà terriere ed i castelli in qualche caso erano una pittoresca eredità; in altri un acquisto recente destinato a dare lustro a nomi e cognomi privi di storia.
Chi, invece, si oppose fieramente, da subito e per oltre un secolo alla visione progressista del mondo fu un’eterogenea accozzaglia di movimenti in cui confluirono e defluirono personaggi molto diversi. Anche un certo numero di latifondisti ed intellettuali certo, ma principalmente artigiani, operai e contadini proprietari della terra. Ivi compresa parte della piccola aristocrazia di campagna, marginalizzata ed impoverita dallo sviluppo dell’industria e della finanza.
Uno dei primi e più famosi di questi movimenti fu quello dei “Luddisti” che sfociò in vere e proprie sommosse represse nel sangue. Lo scopo che animava questi ribelli era soprattutto la salvaguardia della dignità del lavoro artigianale e manuale. La meccanizzazione e la specializzazione dei ruoli in fabbrica erano visti infatti come degradanti per i lavoratori. Ma ancor più era avversata l’istituzione del lavoro dipendente salariato.
Oggi che sempre più gente anela ad un salario che non può avere sembra incredibile. Ma fin’oltre la metà del XIX secolo l’imposizione del regime salariale era visto da molti dei diretti interessati come una vera e propria forma di schiavitù.
Solo in alcuni casi da questi movimenti nacquero dei veri partiti, come il People’s Party in USA ed il Narodničestvo in Russia, spesso confusi con partiti di matrice socialista. Ma al contrario dei marxisti, i populisti vedevano nella grande industria, nella meccanizzazione ed elettrificazione nient’altro che potenti mezzi per meglio proletarizzare e sfruttare i lavoratori.
Come fondamento dell’edificio sociale proponevano non già la dittatura del proletariato od il benessere, bensì quell'insieme di valori e comportamenti radicati nella tradizione popolare che davano identità, struttura sociale e resilienza alle classi lavoratrici. Difendevano quindi la piccola proprietà privata e gli antichi diritti d’uso civico. Avversavano invece i monopoli ed il latifondo, tanto quanto la statalizzazione dei mezzi di produzione. In alternativa, tentarono di costituire cooperative che quasi sempre fallirono perché avversate sia dai liberali che dai socialisti, sia pure per opposte ragioni. Rifiutavano l’ingerenza nelle loro faccende tanto dello stato, quanto dei sindacati di partito. Preferivano invece organizzarsi autonomamente in strutture di remota tradizione e spesso divenute illegali come le ghilde, le confraternite e le società di mutuo soccorso.
Sicuramente il più tragico evento legato a questa tradizione fu l’Holomodor (dai 3 ai 9 milioni di morti secondo le stime) con cui tra il 1932 ed 1933 Stalin chiuse definitivamente la partita con la pretesa dei contadini ucraini di rimanere economicamente autonomi.
Il populismo domani?
Nei due secoli che hanno preceduto la totale egemonia dell’ideologia progressista ci furono anche altri ed importanti movimenti politici, basti citare gli anarchici ed i monarchici, su barricate opposte. Qui ho voluto rievocare fugacemente il populismo delle origini perché tutti noi stiamo scivolando giù per la china del “dirupo di Seneca” senza reagire. Le ragioni sono molte e una fra queste penso sia una terribile carenza di idee politiche. Forse conoscere meglio il passato potrebbe stimolare la nostra creatività. Purtroppo, il fallimento dei sistemi socialisti è stato erroneamente interpretato come la dimostrazione della giustezza del sistema capitalista.
Perfino il movimento ambientalista, che avrebbe potuto rappresentare la vera novità politica del XX secolo, si è dissolto nella matrice progressista, disgregato in un ala filo socialista (maggioritaria in Europa occidentale) ed una filo-liberale (maggioritaria in Europa orientale). E man mano che diventa evidente che anche il capitalismo ha fallito e con lui il progressismo tutto, ci troviamo nel vuoto completo.
E dal vuoto, come diceva Gramsci, nascono i mostri.
Fonte: qui