9 dicembre forconi: 11/02/16

mercoledì 2 novembre 2016

LA MAPPA SULLA PERICOLOSITÀ SISMICA DI TUTTI I COMUNI ITALIANI

LA SCALA NAZIONALE, SU CUI SI BASA LA COLORAZIONE DELLA MAPPA, VA DA 1 (MAGGIORE PERICOLO) A 4 (MINORE PERICOLO)


Raffaele Mastrolonardo per http://tg24.sky.it

La mappa mostra come è stato classificato dalla Protezione Civile il territorio del nostro Paese in base alla probabilità che in quell’area possa verificarsi un sisma di forte intensità. La scala nazionale, su cui si basa la colorazione della mappa, va da 1 (maggiore pericolo) a 4 (minore pericolo). L'obiettivo è ridurre gli effetti dei terremoti attraverso la prevenzione. Alcune regioni hanno aggiunto ulteriori sotto-classificazioni di cui si dà conto nelle finestre di pop-up che si aprono cliccando sul singolo comune. 


Fonte: qui



GUERRIGLIA IN STRADA A PARIGI DOPO CHE LA POLIZIA HA SGOMBRATO LE TENDOPOLI DI DUEMILA MIGRANTI

RIFIUTANO DI ESSERE TRASFERITI DALLA 'JUNGLE' DI CALAIS IN ALTRE REGIONI FRANCESI: VOGLIONO ANDARE NEL REGNO UNITO E NON NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA 

LE RUSPE NELLA CAPITALE DEI SOCIALISTI ANNE HIDALGO E FRANCOIS HOLLANDE...

Stefano Lorusso per www.ilmanifesto.info

migranti e scontri a parigi 9MIGRANTI E SCONTRI A PARIGI 
«La Polizia è arrivata stamattina alle 8, mi hanno colpito in faccia, vedi, ecco il livido, mi hanno obbligato a lasciare la tenda, lì avevo tutto : cellulare, documenti, il sacco a pelo. Tutto. Adesso non ho più niente ». Ali è rassegnato. Ha appena perso tutto quel che aveva. Osserva torvo il bulldozer schiacciare la sua tenda verde, la sua casa negli ultimi due mesi.

migranti e scontri a parigi 8MIGRANTI E SCONTRI A PARIGI 
Siamo a Parigi, dove circa duemila migranti sudanesi, eritrei, afgani e pakistani hanno creato degli accampamenti informali ai quattro angoli di Place de Stalingrad, nel nord della capitale francese. Lunedì scorso la polizia ha lanciato un’operazione di «controllo amministrativo» per verificare i documenti degli abitanti dell’accampamento. Trenta i migranti fermati, nessuno di loro è stato ancora rilasciato.

migranti e scontri a parigi 6MIGRANTI E SCONTRI A PARIGI 
Gli accampamenti sorgono ai quattro angoli della piazza. La geografia delle tendopoli è disegnata dall’appartenenza a comunità linguistiche o etniche vicine.

C’è la comunità di lingua Pashtun che riunisce afghani e pakistani, quella di eritrei e etiopi di etnia Oromo, due comunità sudanesi. Ogni accampamento conta una quarantina di tende, i più fortunati le hanno piantate sotto il ponte dove fila la metropolitana, al riparo dalla pioggia. Gli altri si sono dovuti accontentare dei rami degli alberi. Nei pressi degli accampamenti sono solo 3 i bagni chimici disponibili. L’odore acido degli escrementi è insopportabile.
migranti e scontri a parigi 4MIGRANTI E SCONTRI A PARIGI 

Tende, coperte, bottiglie, materassi, le fauci della ruspa inghiottiscono anche un piccolo succhietto per bambini. Aadil, guarda la scena con occhi inconsolabili. Ha più frontiere che anni alle spalle. Trascina a fatica una valigia nera con le ruote, è più alta di lui, si rovescia a più riprese. Attraversa la strada stringendo la mano della sua sorellina, Sara, 7 anni. Fa segno con una mano alle auto di fermarsi. La loro infanzia è stata sospesa sei mesi fa, quando con la loro famiglia hanno lasciato Konduz, nel nord-est dell’Afghanistan. «Siamo stati convocati, forse domani otterremo l’asilo», gioisce sua madre Nabeela, 30 anni, avvolta in un foulard grigio fumo. Ma è già la terza volta che vengono convocati a vuoto.
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L’attenzione sugli accampamenti in Place de Stalingrad è notevolmente aumentata dopo lo sgombero della jungle di Calais.

François Guennoc, segretario dell’Auberge des migrants (associazione umanitaria presente anche a Calais), parla di tre-quattro mila migranti che non hanno voluto o potuto entrare nel dispositivo di accoglienza francese, lasciando il campo in modo indipendente. Molti hanno riparato nelle cittadine portuali sulla costa attorno a Calais, alcuni si sono diretti verso il Belgio, altri verso Parigi.

Nei giorni precedenti lo sgombero di Calais, le associazioni che si occupano della distribuzione di cibo in Place de Stalingrad fornivano circa 700 pasti. A seguito dello sgombero i numeri sono saliti : ogni sera più di 1000 persone si mettono in fila per ristorarsi con un piatto caldo.
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La sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha scritto nei giorni scorsi al ministro dell’Interno Cazeneuve ribadendo la necessità di sgomberare gli accampamenti in Place de Stalingrad. «Non sono i migranti di Calais quelli che sono venuti a Parigi», ha assicurato François Hollande. Ma non è chiaro. Quello che sembra certo è che lo sgombero avverrà entro il fine settimana.

Per impedire la costituzione di nuovi accampamenti sulle strade della capitale, la sindaca aveva annunciato a inizio settembre l’apertura di un «centro d’accoglienza umanitario» nei pressi di Porte de la Chapelle, nel nord della città.

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Avrebbe dovuto entrare in funzione già da metà ottobre, ma il progetto ha subito dei rallentamenti. Il centro dovrebbe prendersi carico dei migranti per un periodo che va dai cinque ai dieci giorni, per poi ripartirli nei vari Cao (Centres d’accueil et orientation) disseminati su tutto il territorio nazionale, gli stessi dove sono stati trasferiti i migranti di Calais. Il campo potrà ospitare fino a 600 persone e dovrebbe aprire le sue porte nei prossimi giorni, secondo Colombe Brossel, vice sindaco di Parigi. Ma la maggior parte dei migranti vuole raggiungere il Regno Unito. Difficilmente accetterà questa soluzione.

Nel nord della capitale è nata la variante urbana della jungle di Calais. L’accampamento si allarga, ogni giorno nuovi migranti raggiungono Parigi, ma in Place de Stalingrad non ci sono tende per tutti. Molti dormono per strada. Di notte la colonnina di mercurio sfiora lo zero.
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La vita prosegue frenetica. Persone entrano ed escono dal metro, gli accampamenti sembrano ormai più un arredo urbano che un’emergenza umanitaria in carne ed ossa. Alcuni commercianti della zona si lamentano : «Questa situazione non è più sopportabile. Ho perso il 50% dei miei affari da quando queste persone vivono qui», dichiara il proprietario di un bar su Avenue Jean Jaures, sotto la garanzia d’anonimato.

«Cerco di passare di qui il meno possibile, c’è puzza di escrementi, è disgustoso, fanno pipì dappertutto. Ci sono delle persone che gli forniscono del cibo, è naturale che si ammassino tutti qui», assicura con una smorfia Claire, 30 anni, impiegata, che ha un appartamento che dà sugli accampamenti.
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Molti abitanti del quartiere hanno organizzato distribuzioni di cibo tre volte al giorno. «Siamo semplici cittadini, facciamo quel che possiamo per alleviare i dolori di queste persone. Dormire per strada è terribile, che almeno possano riscaldarsi con un pasto caldo», dice Anne. Sono molte le associazioni presenti, si incaricano di fornire cibo, cure mediche, corsi di lingua e beni di prima necessità.

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Tra queste c’è Baam (Bureau d’accueil et d’accompagnement des migrants), che offre corsi di francese ai migranti di Place de Stalingrad, oltre che un supporto legale per i richiedenti asilo. Ogni sera duecento migranti si siedono sulle gradinate della piazza dove i volontari, studenti, cittadini, dispensano i corsi. «Liberté, égalité, fraternité significa questo» chiosa Manuel, studente di science politiche.

Fonte: qui

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A MOSUL, È IN CORSO L'ULTIMO ASSALTO ALLA ROCCAFORTE IRACHENA DELL'ISIS


LE MILIZIE PARAMILITARI SCELGONO UNA RESA DEI CONTI SANGUINOSA IN IRAQ PIUTTOSTO CHE LASCIAR PASSARE GLI INTEGRALISTI IN TERRA SIRIANA, COME AVREBBERO VOLUTO DA WASHINGTON, PER AUMENTARE LA PRESSIONE SU ASSAD E SUI SUOI ALLEATI RUSSI

Giampaolo Cadalanu per ''la Repubblica''

La palazzina sulla linea del fronte, al secondo piano, sarebbe l' ideale per un momento di pausa nel combattimento, se non fosse per quella strisciata di sangue che imbratta la terrazza e continua sulla scala.

la battaglia di mosul 5LA BATTAGLIA DI MOSUL 
I soldati della Golden Division, le truppe scelte irachene, si sfamano con una mela e qualche biscotto. E raccontano che oggi in questa casa di Bazwaya, a pochi chilometri dalla periferia di Mosul, sono morti in quattro. Qualcuno ipotizza persino che sia stato "fuoco amico". Ma loro sono entusiasti: la resistenza dei miliziani è stata più debole del previsto, la difesa dello Stato Islamico sembra crollare.

A poche centinaia di metri, le Humvee blindate avanzano nei campi. Nere, con i fari accesi in mezzo a nuvole di polvere, sembrano mezzi alieni tratti da Guerre stellari. Dalle case di Gogjali, l' ultimo villaggio prima di Mosul, salgono colonne di fumo grigio. Probabilmente incendi, più che petrolio dato alle fiamme.

Nell' abitato lo scontro è pesante: si distinguono le raffiche di armi leggere, i colpi cadenzati dei grossi calibri, e ogni tanto l' esplosione di una bomba, subito seguita dal rombo lontano del cacciabombardiere che ha condotto l' attacco da alta quota.

la battaglia di mosul 4LA BATTAGLIA DI MOSUL 4
Mosul è lì, dietro quella nuvola sporca, in attesa e in agguato. La seconda fase dell' Operazione Ninive, condotta da Est dalle truppe irachene della Divisione d' oro e da quelle della Nona da sud, è partita di slancio, travolgendo con i miliziani dell' Isis anche le incertezze dell' alleato americano, che avrebbe voluto una sosta di riorganizzazione prima dell' ingresso a Mosul. Perché mentre i governativi procedono rapidamente, anche le Hashd al Shaabi, le Unità di mobilitazione popolare sciite, sono entrate nella zona di Tal Afar, a Ovest del capoluogo. 

Vogliono tagliare i rifornimenti dell' Isis ma di fatto chiudono la possibile via di ritirata per i jihadisti.

Il piano delle milizie paramilitari è palese: preferiscono una resa dei conti sanguinosa in Iraq piuttosto che lasciar passare gli integralisti in terra siriana, come forse invece avrebbe fatto piacere agli strateghi della Casa Bianca, contenti di far aumentare la pressione su Bashar Assad e sui suoi alleati russi.

la battaglia di mosul 3LA BATTAGLIA DI MOSUL 
Ma l' avanzata non si può fermare: in serata i primi drappelli hanno superato Gogjali e sono arrivati a Karama, nella periferia di Mosul, cioè nel cuore della parte irachena di Daesh. Bisogna arrivare in fretta nel capoluogo per «tagliare la testa al serpente», ha annunciato il premier iracheno Haidar al Abadi, lanciando un ultimatum agli uomini dello Stato Islamico: «Arrendetevi o morirete ». Per chi alza le mani c' è magari un trattamento un po' ruvido, ma nemmeno troppo violento: ce lo mostra Emad, nella ripresa del suo cellulare. «Quello sono io», indica, orgoglioso di condurre tre miliziani prigionieri con le mani legate dietro la schiena, con qualche spintone e una tirata di capelli. Chi viene catturato vivo deve essere subito condotto a Bagdad.

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Ma nella scheda del telefonino è ripresa anche la sorte di chi vuole combattere fino alla fine: «Questo era un foreign fighter saudita, abbiamo trovato il suo passaporto », aggiunge il militare indicando la foto di un corpo senza vita. In un' altra foto un cadavere quasi irriconoscibile: «E questo era un giapponese». Era uno straniero con gli occhi a mandorla, più probabilmente un uighuro del Xinjang o un militante indonesiano, chissà. Quella fine nella polvere di Bazwaya era ciò che desiderava, se ha scelto la via indicata da Abubakr al Baghdadi.

Recitava la scritta su un muro nel vicino villaggio di Al Hamdaniyah, "Come voi volete vivere, noi vogliamo morire".

I militari della Golden Division si riposano a Bartella, a pochi chilometri dal fronte. Hanno trovato qualche casa in condizioni accettabili, qualcuno tenta di dormire ma poi accoglie con un sorriso i visitatori stranieri. Hanno tutti t-shirt "dedicate" allo status di truppe speciali, uno esibisce il marchio delle pistole Glock, altri indossano stemmini della divisione scelta, ma la più popolare è quella con su scritto: Dangerous Sniper, cecchino pericoloso.

la battaglia di mosul 1LA BATTAGLIA DI MOSUL 
Saif è l' unico a torso nudo e mostra orgoglioso la cicatrice di un proiettile dello Stato islamico: è entrato sotto la clavicola ed è uscito dall' altra parte senza troppo danno. Può essere la prova che il cielo era dalla sua parte, dopo tutto.

«Non abbiamo avuto perdite significative, Alhamdu Lillah, grazie a Dio», dice Mohamed, ventenne di Diyala. La benevolenza dall' alto è stata stimolata sicuramente dalle tante bandiere sciite con l' immagine di Ali, cugino del profeta Maometto. Ma nei combattimenti sono servite anche le cinquanta tonnellate dei carri armati Abrams, capaci di intercettare a cannonate le auto- bomba lanciate contro i militari. Solo ieri, secondo le stesse dichiarazioni dell' Isis, ne sono state usate sette. Dove i tank non c' erano, le truppe scelte di Bagdad hanno fatto saltare in aria le macchine cariche di tritolo grazie ai lanciamissili controcarro teleguidati Kornet, orgoglio dell' industria militare di Mosca.

LA BATTAGLIA DI MOSULLA BATTAGLIA DI MOSUL
E poi a dare una mano c' era anche qualche militare meno propenso a comparire, qualcuno con occhi chiari e rosso di capelli, pronto a tirarsi la kefiah sul volto alla vista di una telecamera per rifugiarsi dentro un blindato Cougar. «Non vogliono essere ripresi », dice l' ufficiale iracheno: «Sono soldati delle forze speciali americane».

Fonte: qui

Sciopero generale delle Poste il 4 novembre 2016 contro l'ulteriore prrivatizzazione


Sciopero generale delle Poste il 4 novembre 2016
"Saranno garantiti i servizi essenziali. I sindacati: "Una privatizzazione totale di Poste italiane mette in discussione non solo anni di sacrificio e di lavoro dei dipendenti, ma anche il futuro svolgimento del servizio universale"

Sciopero generale delle Poste il 4 novembre 2016

Le organizzazioni sindacali Slc-Cgil, Slp-Cisl, Failp-Cisal, Confsal Comunicazioni e Ugl Comunicazioni hanno proclamato uno sciopero generale nazionale dei lavoratori di Poste italiane per l'intera giornata di venerdì 4 novembre. L'azienda garantirà comunque i servizi essenziali quali accettazione delle raccomandate e assicurate; accettazione e trasmissione telegrammi e telefax e l'anticipazione al giorno precedente del pagamento dei ratei di pensione in calendario per il giorno dello sciopero.

LE MOTIVAZIONI DELLO SCIOPERO - La decisione del Consiglio dei ministri di quotare in Borsa un ulteriore 29,7% e del conferimento a Cassa Depositi e Prestiti del rimanente 35% del capitale, con l’uscita definitiva del ministero dell’Economia dall’azionariato di Poste Italiane, muta completamente gli assetti societari e il controllo pubblico in Poste Italiane. Una decisione assunta a breve distanza dal primo collocamento azionario di oltre il 30% effettuato ad ottobre 2015.

Una privatizzazione che “ha il solo fine di fare cassa e recuperare qualche miliardo di euro per incidere in quantità insignificante sul debito pubblico, ma che non tiene in considerazione il ruolo sociale svolto da Poste Italiane sull’intero territorio”, dicono i sindacati. I sindacati di categoria ritengono estremamente grave e, peraltro, antieconomica, l’intera operazione di dismissione da parte dello Stato, in considerazione che dal 2002 ad oggi Poste Italiane ha sempre avuto bilanci positivi e ha versato consistenti dividendi al Ministero del Tesoro, azionista di riferimento.

“Una privatizzazione totale di Poste italiane mette in discussione non solo anni di sacrificio e di lavoro dei dipendenti profusi per darle una dimensione d’impresa tra le più importanti in Italia, ma anche il futuro svolgimento del servizio universale, l’unitarietà dell’Azienda e la sua tenuta occupazionale. A questa situazione si aggiungono le problematiche aziendali, figlie di una applicazione monca del piano industriale, che prevedeva un forte rilancio della logistica, una applicazione inefficace e scorretta dell’accordo sulla riorganizzazione dei servizi postali, le carenze di addetti nella sportelleria degli Uffici Postali e le continue pressioni commerciali in Mercato Privati, figlie di una finanziarizzazione sempre più spinta dell’azienda”.

Queste le motivazioni che hanno indotto i sindacati a lanciare una fase di forte mobilitazione che culminerà con lo sciopero generale del 4 novembre con manifestazioni in tutta Italia.




Fonte: today.it