9 dicembre forconi: 01/14/19

lunedì 14 gennaio 2019

SALGONO A QUATTRO I DECESSI ALLA TERAPIA INTENSIVA NEONATALE DEGLI SPEDALI CIVILI DI BRESCIA


I NAS HANNO ACQUISITO LE CARTELLE CLINICHE E ORA SULLA FACCENDA PURE LA PROCURA HA APERTO UN FASCICOLO 

C'È GIÀ UN'INCHIESTA CON 16 INDAGATI PER UN CONTAGIO DA BATTERIO L'ESTATE SCORSA

NEONATO MORTO: SALGONO A QUATTRO I DECESSI
NEONATI1NEONATI1
 (ANSA) - Sono diventati quattro i casi di neonati deceduti agli Spedali Civili di Brescia nel reparto di terapia intensiva neonatale. Ai tre casi già noti, si è aggiunto anche quello di un neonato morto sabato mattina. Sarebbe stato portato in reparto poco dopo la nascita e non è sopravvissuto. Anche su questo caso l'ospedale bresciano ha disposto accertamenti.

NEONATO MORTO: SLITTA AUTOPSIA, ATTI IN PROCURA
(ANSA) - È stata rinviata di un giorno l'autopsia sul corpo del piccolo Marco, il neonato morto per un'infezione contratta durante il ricovero nel reparto di terapia intensiva neonatale degli Spedali civili di Brescia. L'esame era stato disposto dall'ospedale, ma ora sulla vicenda, dopo il Ministero della Salute e Regione Lombardia, vuole vederci chiaro anche la Procura che ha aperto un'inchiesta senza indagati. Il pubblico ministero Corinna Carrara, titolare del fascicolo, dovrebbe disporre l'autopsia per domani. In mattinata ha ricevuto l' intera cartella clinica del piccolo paziente.
SPEDALI RIUNITI BRESCIASPEDALI RIUNITI BRESCIA

NEONATI MORTI, NAS HANNO ACQUISITO CARTELLE CLINICHE
 (ANSA) - I carabinieri del Nas hanno acquisto tutte le cartelle cliniche dei quattro piccoli pazienti deceduti nel reparto di terapia intensiva neonatale degli Spedali civili di Brescia. Il materiale è stato messo a disposizione della Procura di Brescia che sta valutando come procedere. L'autopsia sulla prima bambina morta il 29 dicembre è già stata effettuata l'ultimo giorno dell'anno, mentre domani potrebbero essere eseguite quelle sui due ultimi piccoli pazienti morti sabato.

7 Gennaio 2019

Fonte: qui

IL GOVERNO BUTTA NEL CESSO I FONDI EUROPEI.

GABANELLI: "DEI 150 MILIARDI GIÀ STANZIATI HA SPESO SOLO IL 4%, E LE IMPRESE DI COSTRUZIONE FALLISCONO. ECCO IL CONTO DEI NO ALLE GRANDI OPERE” 

“DA LUGLIO A DICEMBRE HANNO FATTO RICHIESTA DI CONCORDATO ASTALDI, GRANDI LAVORI FINCOSIT, TECNIS E DA ULTIMO LA PIÙ GRANDE COOPERATIVA ITALIANA, LA CMC DI RAVENNA. PER CONDOTTE È ANDATA PEGGIO…”

GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE

Milena Gabanelli e Fabio Savelli per “Dataroom – Corriere della Sera”


gabanelli quanto ci costa non fare le opere 2GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE 
Si fa presto a dire «fermiamo tutto e rifacciamo i conti», ma anche i ripensamenti hanno un costo: il tira e molla sulle opere in corso ha dato il colpo di grazia a un intero settore. Giugno 2018, s' insedia il nuovo governo e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli decide di stoppare i finanziamenti a tutte le grandi opere già in corso o programmate: dal tunnel del Brennero (appalti per un valore di 5,9 miliardi), alla pedemontana veneta (2,3 miliardi), dall' alta velocità Brescia-Padova (7,7miliardi), al Terzo Valico tra Genova e Milano (6,6 miliardi), oltre alla Torino-Lione. Il ministro vuole rivedere il rapporto costi-benefici. Dopo sei mesi di conti, il 17 dicembre, ha scoperto che con il Terzo Valico (opera urgente, con cantieri aperti da anni) è meglio andare avanti.

beppe grillo no tavBEPPE GRILLO NO TAV



Le altre opere, a parte la discussa Torino-Lione - dove in ballo ci sono i finanziamenti europei - a oggi sono ancora bloccate. Nel frattempo le imprese di costruzioni, che stavano già sul lastrico, sono a rischio fallimento. Da luglio a dicembre hanno fatto richiesta di concordato Astaldi, Grandi Lavori Fincosit di Roma, la Tecnis di Catania, e da ultimo la più grande cooperativa italiana, la Cmc di Ravenna. Per Condotte è andata peggio: è finita in amministrazione straordinaria per evitare la liquidazione degli asset.

DI MAIO NO TAVDI MAIO NO TAV
Operai, manovali, carpentieri, ingegneri, geometri: zero. Al lavoro non c' è più nessuno, perché nessuno viene più pagato. Quindici delle prime 20 imprese sono in stato pre-fallimentare o in forte stress finanziario perché le entrate previste sono bloccate, mentre le uscite nei confronti dei fornitori (che continuano ad accumularsi) costringono molti piccoli imprenditori a chiudere.
Parliamo di aziende il cui destino dipende da quanto «strette» sono le relazioni politiche, quasi tutte con guai giudiziari, indebolite dai tempi ingiustificabili della burocrazia e dalle modalità delle gare, dove spesso vince chi fa il prezzo più basso, obbligando le imprese in sub-appalto a tirarsi il collo.

gabanelli quanto ci costa non fare le opere 3GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE
L' esito complessivo è che nessuno rispetta le scadenze, i rimpalli di responsabilità finiscono nei tribunali in contenziosi senza fine con enormi richieste di risarcimento alle stazioni appaltanti pubbliche. La più grande, Anas, che proprio a causa dei ritardi ha cancellato solo nel 2018 circa 600 milioni di euro di lavori, deve ora affrontare le rivalse economiche delle imprese, che a loro volta sono esposte con banche e fornitori. Alla fine le richieste vengono soddisfatte al 10-15% con ritardi mostruosi che uccidono le aziende dell' indotto.
gabanelli quanto ci costa non fare le opere 6GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE

Mentre il fondo rischi da contenzioso di Anas di circa 9 miliardi serve a gestire i contraccolpi giudiziari, i costi di ri-cantierizzazione da parte di altri contractor sono quantificabili in un 20% secco in più del prezzo pattuito. Il corollario è quello del crollo dei bandi di gara pubblici (meno 67% nell' ultimo anno e mezzo), per cui oggi Anas si trova priva di autonomia finanziaria se esce dal perimetro di Ferrovie dello Stato. La sua sopravvivenza è appesa agli iter lunghissimi dei finanziamenti pubblici che partono dai Consigli dei ministri e transitano per mesi nelle commissioni parlamentari.

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Alla difficoltà di realizzare progetti approvati (300 sono le opere incompiute), si aggiungono i 21 miliardi bloccati sulle grandi opere in corso, e il fatto che negli ultimi tre anni oltre 10 miliardi di investimenti in infrastrutture, messi nero su bianco, non sono partiti. Tutto questo trascina inquantificabili costi occulti e il risultato è che le grosse imprese del settore stanno andando fuori mercato, 418 mila potenziali posti di lavoro sono saltati, mentre 120 mila aziende sono fallite.
L' agenzia di rating Standard&Poor' s l' ha appena definito «l' anno nero delle costruzioni».

La causa principale è nel mostro a cinque teste della burocrazia, e qualcuno punta il dito contro il nuovo codice degli appalti che ha introdotto ulteriori controlli sulle imprese sottoponendole al visto preventivo dell' autorità anti-corruzione. La patente di legalità però è inevitabile perché le infiltrazioni malavitose sono talmente ramificate da toccare decine di sub-fornitori. Sarebbe invece il caso di accendere un faro sul ruolo del Cipe.

gabanelli quanto ci costa non fare le opere 4GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE
Il comitato interministeriale per la programmazione economica alle dirette dipendenze di Palazzo Chigi, che dovrebbe fungere da distributore delle risorse, ma viene interpellato per ogni modifica progettuale anche quando il costo dell' opera resta immutato. Ogni passaggio «costa» 6-8 mesi.

Il governo ha trovato in cassa 150 miliardi disponibili già stanziati, di cui è stato speso meno del 4%. Soldi immediatamente utilizzabili grazie a un accordo con la Banca europea degli investimenti.
Ci sono 60 miliardi destinati al Fondo Investimenti e sviluppo infrastrutturale; 27 miliardi del Fondo sviluppo e coesione; 15 miliardi di fondi strutturali europei; 9,3 miliardi di investimenti a carico di Ferrovie dello Stato che controlla l' altra grande stazione appaltante del Paese, Rfi, Rete ferroviaria italiana; 8 miliardi di misure per il rilancio degli enti territoriali; 8 miliardi per il terremoto; 6,6 miliardi nel contratto di programma dell' Anas. Ma il governo ha preferito fermare tutto, e attingere da lì i fondi per la riforma delle pensioni, il reddito di cittadinanza, la flat tax per le partite Iva.

gabanelli quanto ci costa non fare le opere 5GABANELLI QUANTO CI COSTA NON FARE LE OPERE
Nel negoziato con la Commissione Ue sono stati proprio gli investimenti a essere sacrificati. L' impostazione complessiva prevede ancora 15 miliardi nei prossimi tre anni per le grandi opere, ma al 2019 è stato sottratto un miliardo per destinarlo come copertura di altre misure, togliendo solo a Ferrovie dello Stato circa 600 milioni. I costruttori per stare a galla hanno iniziato la corsa disperata a vincere maxi commesse all' estero, per arricchire i portafogli-lavori e godere di maggiore credibilità verso le banche, il mercato, le agenzie di rating.

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Spesso propositi di lungo termine che finiscono per appesantire i conti (già in rosso) quando c' è da anticipare il costo di alcune opere. Alla fine il rischio è quello di spianare la strada all' ingresso in Italia dei grandi general contractor europei e cinesi che hanno le spalle finanziarie più larghe per assorbire cambi di programma e ripensamenti con la conseguenza però di creare minore occupazione. Dalla francese Vinci (40 miliardi di fatturato) al colosso China State Construction Engineering. Basti pensare che la nostra più grande impresa di costruzioni, la Salini Impregilo, ha un fatturato di 6,3 miliardi (dato 2016).

Fonte: qui

TEL AVIV - OSSA COLTIVATE IN VITRO, LENTI PER I CIECHI, IL GABINETTO CHE TRASFORMA LE FECI IN CARBONE




Daniel Mosseri per “Libero Quotidiano”

mobileye auto senza pilota israele 1MOBILEYE AUTO SENZA PILOTA ISRAELE
Per la macchina che si guida da sola ci vorrà ancora un po' di tempo, non solo per una questione tecnologica. La vettura senza pilota esiste già (chi scrive l' ha provata sotto le mura di Gerusalemme): quelle che mancano sono le infrastrutture stradali, legislative ed assicurative per farla circolare. Nell' attesa ci possiamo consolare con le ossa che crescono fuori dal corpo umano, il distributore che genera l' acqua dal nulla, il gabinetto che trasforma le nostre deiezioni in carbone e fertilizzante, e ancora con gli occhiali che leggono i libri a chi non può vedere.
lenti per ciechi inventate in israele 1LENTI PER CIECHI INVENTATE IN ISRAELE

Il futuro è iniziato alcuni anni fa e forse noi non ce ne siamo accorti: i nostri vicini di casa israeliani - Tel Aviv è a tre ore di volo da Roma - invece sì. Perché le invenzioni appena menzionate sono tutte made in Israel, come tante altre in arrivo dal piccolo ma innovativo stato ebraico.

Le ragioni per cui una nazione di sette milioni di abitanti si è trasformata in una Silicon Valley sul Mediterraneo sono molteplici: scarsità di risorse del territorio, alta scolarizzazione media, università e centri di ricerca di prestigio, un impegno bellico non comune (innovazione tecnologica e investimenti per la difesa vanno da sempre a braccetto) ed emergenze a non finire.
mobileye auto senza pilota israele 2MOBILEYE AUTO SENZA PILOTA ISRAELE

Di grande aiuto si è anche rivelato il lungo servizio militare, durante il quale le menti più acute vengono messe a lavorare una accanto all' altra - e poi finiscono per fare rete da civili. Insomma: di motivi per fare bene in campo dell' innovazione gli israeliani ne hanno tanti, quelli brutti inclusi.

COLTIVATORI DI OSSA
coltivazione di ossa in israeleCOLTIVAZIONE DI OSSA IN ISRAELE
«La gente non lo sa ma la perdita di tessuto osseo è un male comune e diffuso», ricorda a Libero Shai Meretzki, presidente e fondatore di Bonus-Bio. Incidenti stradali, operazioni militari, attacchi terroristici ma anche cancro e malattie degenerative sono tutte cause di perdita di tessuto osseo.

Al posto dei difficili e dolorosi autotrapianti - per cui una persona è privata chirurgicamente di un osso "inutile" che sostituirà quello che non c' è più - «con una piccola liposuzione isoliamo dal tessuto adiposo le cellule in grado di generare ossa e le coltiviamo in vitro». Meretzki, biotecnologo di professione, ha già "cresciuto" e fatto innestare con successo fino a 17 cm3 di ossa. «In media ci mettiamo due settimane a crescere il tessuto che ci serve», aggiunge. E conclude: «Fra qualche mese la nostra sperimentazione partirà anche in Usa e in Europa».
mobileye auto senza pilota israeleMOBILEYE AUTO SENZA PILOTA ISRAELE

Più terrena ma non meno rivoluzionaria è l' invenzione di Amit Gross. Il microbiologo dell' Università Ben Gurion del Neghev ha messo a punto una toilette che estrae carbone e fertilizzante liquido dalle deiezioni umane.

lo skyline di tel avivLO SKYLINE DI TEL AVIV
«In Israele desalinizziamo l' acqua dal mare e poi la usiamo per tirare lo sciacquone: non è un peccato?», ci spiega nel raccontarci l' origine della sua idea. Trattare cioè a 200 gradi centigradi ciò che normalmente scivola giù verso il sistema fognario. «Ne abbiamo ricavato dei pellet di carbone utili per il riscaldamento e del fertilizzante per l' agricoltura». I tempi in cui solo la cacca degli erbivori era considerata concime sono superati.

ossa coltivate in laboratorioOSSA COLTIVATE IN LABORATORIO
«Con il nostro trattamento, i grassi, le tracce di antibiotico e tutto quanto non fa bene alla terra cambia proprietà e ridiventa utile». E l' energia necessaria per il trattamento termico? «Ne serve un quinto rispetto a quella che si ricava dalla materia prima», risponde.

TOILETTE PUBBLICHE
La sua idea non è per il bagno di casa «ma a Pechino, per esempio, i bagni in comune sono la norma», spiega Gross, immaginando l' installazione delle toilette ecologiche anche nelle scuole, caserme o bagni pubblici. L' applicazione pratica della sua invenzione potrebbe rivelarsi vincente nei paesi in via di sviluppo con sistemi sanitari al minimo per scarsità di acqua.

Dall' irrigazione goccia a goccia alla desalinizzazione dell' acqua di mare, disponibilità e gestione delle risorse idriche sono tradizionali priorità della classe dirigente e degli scienziati israeliani. In tempi recenti, si è imposta Watergen. «Ricaviamo acqua potabile direttamente dall' aria», dice a Libero la portavoce dell' azienda composta da un team di giovani ingegneri. Il processo non è dissimile da quello dei condizionatori d' aria, che estraggono l' acqua dall' ambiente.

lenti per ciechi inventate in israeleLENTI PER CIECHI INVENTATE IN ISRAELE
Con una differenza: «Il motore delle nostre macchine è di plastica e i consumi di elettricità sono bassissimi». Plastica poi fa rima con leggerezza e trasportabilità: ecco perché i distributori d' acqua hanno fatto la loro apparizione ai mondiali di calcio in Russia lo scorso luglio ma sono presenti in pianta stabile anche ad Hanoi in Vietnam, un paese con molta umidità nell' aria ma poca di acqua potabile.

Grandi eventi, inquinamento e - sempre con un occhio alle emergenze - anche le calamità più o meno naturali sono situazioni in cui l' acqua si rivela più preziosa del solito. Così a Watergen hanno approntato anche un veicolo di risposta rapida (ERV): un camioncino colore oro blu in grado di produrre 600 litri d' acqua dal nulla.

AUTO SENZA PILOTA
ossa coltivate in laboratorio in israele 1OSSA COLTIVATE IN LABORATORIO IN ISRAELE
La lista delle innovazioni è in continuo aggiornamento, ma non si può dimenticare Orcam, il dispositivo intelligente che legge l' ora, le insegne, i cartelli stradali, la carta moneta, i libri, i giornali e i codici a barre degli acquisti, aiutando non vedenti, ipovedenti e dislessici nella vita di tutti i giorni. Il marchingegno pesa 22 grammi e si applica a un comune paio di occhiali.

E l' automobile driverless? A marzo 2017, Intel ha investito 15,3 miliardi di dollari per rilevare Mobileye, il produttore israeliano dei sensori per l' auto senza pilota. Ci vuole pazienza, ma c' è da scommettere che arriverà.

Fonte: qui

Lo Stato è o non è come una famiglia?


Vi è un diverbio sul ruolo dello Stato tra gli economisti classici neoliberisti cultori dell’austerity e gli economisti keynesiani ma vige sulla questione un duplice equivoco che tento qui di chiarire.
Alla linea neoliberista, che equipara lo Stato a una famiglia cioè a un semplice cliente bancario, che deve stringere la cinghia, seguire l’austerity, tagliare le spese pubbliche per far “quadrare i conti” in un “pareggio di bilancio” tipico del cliente bancario che giocoforza si indebita per vivere e deve rimborsare tali debiti (+ gli interessi), si contrappone la linea keynesiana per cui il debito di uno Stato non è come il debito di una famiglia verso l’esterno, poiché lo Stato si indebita verso i propri cittadini, ossia con sé stesso, e a ogni debito corrisponde la spesa dello Stato per i propri cittadini.
Innanzitutto il primo equivoco è quello di asserire che lo Stato è come una famiglia. Per certi versi non lo è. E hanno ragione i keynesiani a ribadirlo. Lo Stato non è come una famiglia.
E non lo è, perché, nella famiglia vige all’interno l’economia del dono, ognuno contribuisce per quello che può e a tutti viene garantita una dignità di vita mentre all’esterno, tra i suoi membri e gli altri, vige il do ut des contabile, come i normali clienti bancari, indebitati per il solo fatto di esistere, e il debito di uno diventa il debito di tutta la famiglia. [1]
Nello Stato vige solamente il do ut des contabile, siamo tutti clienti bancari e l’economia del dono, nella famiglia Stato, non esiste. Tranne per il debito da rimborsare in solido. Ma non siamo come una famiglia perché non siamo nell’economia del dono.
D’altro canto, a guardarci meglio, si potrebbe invece dire che nei fatti lo Stato è come una famiglia nel senso che è diventato un cliente bancario. Quando i keynesiani dicono che lo Stato non è come una famiglia, perché il debito dello Stato è il credito dei cittadini, dovrebbero dire che per definizione lo Stato non dovrebbe essere un cliente bancario che si indebita verso l’esterno – il cartello delle dealer –  perché dovrebbe avere la sovranità monetaria, e la sovranità dello Stato dovrebbe garantire a tutti la sovranità individuale.
Ora tutti sappiamo che nei fatti non è così, lo Stato è “quotato” in una “borsa” dove il rating di agenzie private d’intesa tra loro, e in conflitto di interessi con i rentiers che ci prestano la moneta, determina a quanto pagheremo la nostra liquidità. Cioè, quanti soldi ci costerà comprare i soldi per funzionare.
Nessuno che si chieda se sia normale comprare i soldi. Comprare i soldi” è come se il metro che misura la lunghezza misurasse sé stesso e, per gli interessi, come se ad ogni misurazione di sé stesso lo stesso metro si accorciasse. O come se ad ogni uso del simbolo monetario trattato come merce perché “venduto”, il valore monetario si restringesse, si usasse, appunto, si usurasse.
E visto che chi compra i soldi, lo “Stato”, tali soldi non ce li ha, poiché li deve pagare con una somma superiore a quella acquisita precedentemente, l’indebitamento è matematicamente certo, esponenziale, e pertanto insostenibile.
Nella contestazione keynesiana, è quindi sottinteso il pensiero, che se lo Stato facesse lo Stato NON sarebbe come una famiglia perché NON dovrebbe indebitarsi con un cartello di banche dealer. Primo punto.
Ma, secondo punto, è altrettanto equivoca la concezione dello Stato che NON è una famiglia adducendo che il debito dello Stato è la ricchezza dei cittadini. Primo perché allo stato attuale lo Stato NON è indebitato nei confronti dei cittadini, ma nei confronti di un cartello di banche dealer, di preferenza straniere. Sono loro che vendono per prime le scritture contabili virtuali che fungono da moneta alla finzione giuridica Stato.
Secondo, perché lo Stato NON coincide con la somma dei cittadini. Non questo Stato che è persona giuridica a sé stante.
Se mi obbligassero a scegliere tra i due termini, naturalmente sceglierei la linea keynesiana ma il fatto è che contesto sia il paradigma della moneta debito, che esso sottintende, senza sia pur minimamente rimetterlo in discussione, sia l’idea stessa di Stato NON coincidente con i suoi cittadini, che questa visione presuppone.
La moneta debito, secondo i keynesiani, non è un problema perché il debito dello Stato sarebbe il credito dei cittadini e viceversa. Dimenticano che lo Stato non solo NON coincide con i suoi cittadini, poiché è una persona giuridica a sé stante ma è anche una finzione giuridica. Non esiste in quanto tale ma gli si intesta un conto. Ergo la moneta debito in questo tipo di Stato finzione giuridica, è sempre e comunque un problema. Perché chi gestisce questa finzione, le entrate le destina al rimborso dei debiti bancari, come se si trattasse di un un cliente bancario indebitato, ma spalma il debito dell’ente sui singoli cittadini. Con la scusa che “siamo una famiglia”. E il debito esiste sempre per il solo fatto che compriamo la moneta.
Lo Stato, senza sovranità monetaria, è come una famiglia che si indebita verso l’esterno, ma a differenza della famiglia (o della tribù) quantunque si indebitasse verso i suoi cittadini, come nel caso delle scritture contabili fallaci delle banche, diventa un alieno fittizio per fungere da contropartita al cittadino creditore – come una società schermo, per intenderci.
Nella famiglia, se si arricchisce un membro ne usufruiscono tutti gli altri, per una sorta di coincidenza fattuale e informale tra il membro della famiglia e la famiglia stessa. Il collante che opera tale miracolo, è l’amore.
Mentre nel caso dello Stato, se lo Stato ha maggiori entrate, dalle tasse, ad esempio, NON significa automaticamente che tutti i cittadini se ne avvantaggino, anzi. E se lo Stato acquisisce maggiore liquidità, è ipse facto, un aumento del debito pubblico da addebitare ai cittadini.
E qua viene il punto: tutta la moneta circolante in un paese – nel presente paradigma che è anche molto antico – è un debito della finzione giuridica Stato nei confronti di un cartello costituito da altre finzioni giuridiche, le banche, che sono controllate da persone fisiche in carne ed ossa – gli azionisti, o gli azionisti degli azionisti – e che nella maggior parte dei casi hanno già realizzato il profitto cartolarizzando tali crediti, per spalmare i rischi e le dilazioni sui buoni padri di famiglia*. I cittadini sono sempre debitori, in solido, con la finzione dello Stato, mentre i grandi azionisti delle banche dealer sono ipse facto creditori della stessa.
Un dare un avere. E la forma è salva. Non la sostanza. Poiché se nel dare vi è un cittadino in carne e ossa, e nell’avere vi è una finzione giuridica, i debitori saranno certi, mentre i creditori veri si nasconderanno dietro la finzione giuridica.
Lo Stato sarebbe sì come una famiglia se non fosse una persona giuridica a sé stante, fictio juris, se fosse la somma di tutti noi cittadini, se fossimo nel regime dell’economia del dono, come lo erano le tribù prima dell’invenzione della moneta e lo sono le tribù indigene a tutt’oggi.
Ma lo Stato è stato creato proprio per conformarsi a un regime monetario in cui i cittadini venissero privati del reddito monetario, organizzati e messi a profitto come bestiame a vantaggio di una casta sovrana per “diritto divino” ed essendo una finzione giuridica, una scatola vuota senza il diritto di godimento della proprietà – che appartiene unicamente alle persone fisiche – è diventato una società veicolo strumentale del cartello bancario che con la magia delle scritture contabili moltiplica i suoi utili occulti a nostro debito.
Pertanto il duplice equivoco è questo: se è vero che nel presente paradigma lo Stato è come una famiglia nel suo essere cliente bancario privato della sovranità monetaria, è pur vero che in detto paradigma, la spesa dello Stato sarebbe la ricchezza dei cittadini, se e solamente se il debito contratto per immettere moneta lo fosse nei confronti dei propri cittadini-soci, di sé stesso.
Alla luce di quanto sopra, lo Stato dev’essere come una famiglia o no?
Nel paradigma della moneta debito in cui siamo lo Stato è purtroppo semplice cliente bancario ma sarebbe auspicabile che fosse come in una famiglia, dove ciò che spende o che guadagna un membro è una spesa o un guadagno per tutta la comunità. Nella famiglia si chiama amore, ed è il suo collante, nella società si chiama solidarietà, e sarebbe il collante di una società organica, “keynesiana”.
Nel paradigma che auspichiamo, di moneta cassa, lo Stato non essendo più una finzione giuridica ma la semplice somma di tutti i cittadini, sarebbe sì come una famiglia, ma una famiglia sovrana, con la possibilità di battere la propria moneta, una moneta-cassa. Una cassa dei cittadini: ogni spesa dello Stato sarebbe la ricchezza dei cittadini, perché spesa all’interno, un po’ come quando in una famiglia si distribuisce la torta fatta “dalla mamma” – scherzo – la torta fatta da tutti i membri della famiglia.
In un paradigma di moneta-cassa, quindi, ciò che si distribuisce è la cassa, e non il debito, e lo Stato sarebbe come in una famiglia, ma una famiglia NON cliente bancario, una famiglia SOVRANA.

Tale Stato-somma dei cittadini sarebbe il recinto in cui il popolo sovrano eserciterebbe tale sovranità con la possibilità – normata – di battere moneta, almeno spicciola, a circolazione interna, per i propri cittadini e il loro benessere, mentre la moneta “grossa” per i commerci internazionali andrebbe normata e definita in ambito internazionale, su un piede di parità tra tutti i popoli e tra i loro Stati, in virtù dell’autodeterminazione dei popoli.
Una moneta di conto, unità di misura, non coniata né emessa, e non coincidente con alcuna moneta nazionale (come lo è attualmente il dollaro), non tesaurizzabile, ma decisa tra Stati di determinate macroaree, e poi tra le varie macroaree, per effettuare le transazioni internazionali.
Nforcheri 07/01/2019
Fonte: qui
[1] Almeno per quello che riguarda la famiglia tradizionale mediterranea, le cose sono così.