9 dicembre forconi: 08/29/18

mercoledì 29 agosto 2018

Preparatevi ad una maxi-svalutazione cinese


























Per oltre un anno ho sostenuto che le minacce commerciali del presidente Trump dovevano essere prese sul serio, mentre la maggior parte di Wall Street le ha minimizzate. Ora le guerre commerciali sono qui come ci aspettavamo, e peggioreranno prima di essere risolte.

Le guerre tra valute sorgono in una condizione di troppo debito e di crescita troppo scarsa. Le potenze economiche cercano di sottrarre la crescita ai loro partner commerciali svalutando le loro valute per promuovere le esportazioni ed importare l'inflazione.

Ma la Cina non può percorrere molto a lungo la via dei dazi.

Importa solo circa $150 miliardi di esportazioni statunitensi. Alla velocità con cui stanno andando, finiranno le merci su cui imporre dazi. Trump può andare avanti perché gli Stati Uniti importano molto di più dalla Cina.

Ma i cinesi sono ossessionati dal non voler perdere la faccia. Il presidente cinese Xi è appena stato nominato dittatore a vita. Non vuole iniziare il suo nuovo regime dittatoriale facendo marcia indietro da un braccio di ferro con Donald Trump. Quindi ha bisogno di un'altra opzione.

Affinché la Cina continui a combattere, ha bisogno di una risposta asimmetrica; ha bisogno di combattere la guerra commerciale con qualcosa di diverso dai dazi.

La Cina detiene oltre $1,200 miliardi di titoli del Tesoro statunitensi. Alcuni analisti dicono che la Cina può scaricare questi titoli del Tesoro sui mercati mondiali e far aumentare i tassi d'interesse negli Stati Uniti. Ciò farà aumentare anche i tassi dei mutui, danneggerà il mercato immobiliare negli Stati Uniti e potrebbe scaraventare l'economia statunitense in una recessione. Gli analisti la definiscono "l'opzione nucleare della Cina" quando si tratta di combattere una guerra finanziaria con Trump.

C'è solo un problema.

Tale opzione è un disastro. Se la Cina vendesse alcuni dei titoli del Tesoro USA in suo possesso, si auto-danneggerebbe perché qualsiasi aumento dei tassi d'interesse ridurrebbe il valore di mercato di ciò che ha ancora in pancia.

Inoltre ci sono un sacco di acquirenti in giro se la Cina diventasse un venditore. Quei titoli del Tesoro USA verrebbero acquistati dalle banche degli Stati Uniti, o persino dalla stessa FED. Se la Cina perseguisse una versione estrema di questo dumping, il Presidente degli Stati Uniti potrebbe interromperla con una sola telefonata al Tesoro USA.

Questo perché gli Stati Uniti controllano il libro mastro digitale che registra la proprietà di tutti i titoli del Tesoro USA. Potrebbero congelare i conti obbligazionari cinesi e questa sarebbe la fine. Quindi non vi preoccupare quando sentite che la Cina può vendere i titoli del Tesoro statunitensi. La Cina è bloccata. Non ha una cosiddetta opzione nucleare in questo mercato.

Ma se non può vincere una guerra commerciale, può provare a vincere una guerra tra valute invece...

Sebbene la Cina non abbia una cosiddetta "opzione nucleare", questo non significa che non abbia proiettili in una guerra finanziaria. La Cina non può imporre tanti dazi quanto Trump e non può scaricare i titoli del Tesoro USA, ma può contrastare la guerra commerciale combattendo una guerra tra valute.

Se Trump impone dazi del 25% sulle merci cinesi, la Cina potrebbe semplicemente svalutare la propria valuta del 25%. Ciò tornerebbe a rendere meno i cari i prodotti cinesi per gli acquirenti statunitensi. L'effetto netto sul prezzo rimarrebbe invariato e gli americani potrebbero continuare a comprare beni cinesi allo stesso prezzo in dollari.

L'impatto di una tale svalutazione non sarebbe limitato alla guerra commerciale. Uno yuan più economico esporta deflazione dalla Cina verso gli Stati Uniti e rende più difficile per la FED raggiungere il suo obiettivo d'inflazione.

Inoltre le ultime due volte che la Cina ha provato a svalutare la sua valuta, agosto 2015 e dicembre 2015, i mercati azionari statunitensi sono crollati di oltre l'11% nel giro di poche settimane. Quindi se la guerra commerciale dovesse intensificarsi, come mi aspetto, non preoccupatevi che la Cina imponga dazi doganali.

Guardate la valuta, ecco dove la Cina reagirà. Quando lo farà, i mercati azionari statunitensi saranno le prime vittime.

Forse pensate che sia improbabile perché sarebbe una reazione estrema da parte della Cina, ma dovete mettervi nei panni della leadership cinese.

Queste non sono questioni accademiche per i leader cinesi, entrano nel cuore della loro legittimità al governo.

L'economia cinese non si limita a fornire posti di lavoro, beni e servizi. Riguarda la sopravvivenza del Partito Comunista Cinese che affronta una crisi esistenziale se non riesce ad apparire forte. L'imperativo della leadership cinese è quello di evitare disordini sociali.

Se la Cina andasse incontro ad una crisi finanziaria, Xi potrebbe perdere rapidamente quello che i cinesi chiamano "Il mandato dal cielo". Questo termine descrive l'intangibile benevolenza e il sostegno popolare che sono stati necessari agli imperatori per governare la Cina negli ultimi 3,000 anni.

Se il mandato dal cielo è perduto, un governante può cadere rapidamente.

Metà degli investimenti della Cina sono uno spreco totale di capitali; producono lavori ed utilizzano input come cemento, acciaio, rame e vetro, ma il prodotto finito, che sia una città, una stazione ferroviaria o un'arena sportiva, è spesso una cattedrale nel deserto che rimarrà inutilizzata.

Negli ultimi anni la crescita cinese è stata del 6.5-10%, ma in realtà è stata più vicina al 5% o più bassa una volta effettuato un aggiustamento agli sprechi. Il paesaggio cinese è disseminato di "città fantasma" che sono il risultato di investimenti improduttivi e di un modello di sviluppo imperfetto.

Quel che è peggio è che queste cattedrali nel deserto vengono finanziate con un debito che non potrà mai essere ripagato, senza contare la manutenzione necessaria nel caso volessero essere utilizzate in futuro.

Essenzialmente la Cina ha di fronte un dilemma senza una via d'uscita: da un lato, la Cina ha guidato la crescita negli ultimi otto anni con credito in eccesso, investimenti infrastrutturali inutili e schemi di Ponzi.

La leadership cinese lo sa, ma ha dovuto tenere in moto la macchina della crescita per creare posti di lavoro per milioni di migranti che si trasferivano dalle campagne alle città e per sostenere i posti di lavoro per altri milioni già nelle città.

I due modi di sbarazzarsi del debito sono la deflazione (che si traduce in liquidazioni, fallimenti e disoccupazione) o inflazione (che si traduce in furto di potere d'acquisto, simile ad un aumento delle tasse).

Entrambe le alternative sono inaccettabili per i comunisti, perché mancano della legittimità politica per sopportare disoccupazione o inflazione. Entrambe le politiche causerebbero disordini sociali ed innescherebbero una potenziale rivoluzione.

Le contraddizioni interne della Cina sono tante e deve confrontarsi con un sistema bancario insolvente, una bolla immobiliare e uno schema di Ponzi (es. wealth management products, WMP) da $1,000 miliardi che sta iniziando a crollare.

Uno yuan molto più debole darebbe alla Cina un po' di spazio di manovra politico in termini di utilizzo delle sue riserve per risolvere alcuni di questi problemi.

Una maxi-svalutazione della sua valuta è probabilmente il modo migliore per evitare i disordini sociali che terrorizzano la Cina.

Quando ciò accadrà, probabilmente entro la fine di quest'anno in risposta alla guerra commerciale di Trump, gli effetti non saranno limitati alla Cina. Una grande svalutazione dello yuan rappresenterà un evento critico come lo è stato quello dell'agosto e dicembre 2015 (entrambe le volte le azioni degli Stati Uniti sono scese oltre il 10% in poche settimane).

La Cina non ha un'opzione nucleare nella guerra commerciale, ma ha un'arma molto potente che è pronta ad usare.

Saluti,


[*] traduzione di Francesco Simoncellifrancescosimoncelli.blogspot.it/

SI CHIAMA CAR-T ED È LA TERAPIA CELLULARE IN GRADO DI ATTACCARE IL CANCRO


LA COMMISSIONE EUROPEA HA DATO IL SUO VIA LIBERA ALLA CURA, CHE SI BASA SU CELLULE OTTENUTE DAL PAZIENTE E GENETICAMENTE MODIFICATE IN LABORATORIO 
SI POTRÀ USARE SUI CHI NON RISPONDE ALLA TERAPIA TRADIZIONALE: ECCO COME FUNZIONA, E QUANTO COSTERÀ…
Valentina Arcovio per “il Messaggero”

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Per la prima volta due «farmaci viventi» entrano ufficialmente nell' arsenale anticancro in Europa, e quindi anche in Italia. La Commissione europea, infatti, ha dato il suo via libera a due terapie cellulari CAR-T, basate su cellule geneticamente modificate per attaccare il tumore.
Una si chiama tisagenlecleucel e viene prodotta dalla Novartis. È stata approvata per l' utilizzo contro due tipi di tumori, la leucemia linfoblastica acuta a cellule B nei pazienti pediatrici e fino ai 25 anni di età e il linfoma diffuso a grandi cellule B negli adulti. In entrambi i casi va usata per le forme che non rispondono alle terapie tradizionali.
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L' altra terapia CAR-T approvata è l' axicabtagene ciloleucel, messa a punto dall' azienda Gilead, per il trattamento contro due forme aggressive di linfoma non Hodgkin, il linfoma diffuso a grandi cellule B e il linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B.
LA TECNOLOGIA
Entrambe le terapie si basano su una tecnologia, la CAR-T, considerata una frontiera della medicina. «L' approccio - spiega Roberto Orecchia, direttore scientifico dell' Istituto europeo di oncologia - si basa sull' impiego di cellule ottenute dal sangue del paziente stesso e modificate geneticamente in laboratorio con le metodiche dell' ingegneria molecolare».
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Le due terapie approvate consistono nell'«educare geneticamente» i linfociti del paziente a cercare, riconoscere e eliminare le cellule di leucemia o linfoma, dalle quali il paziente è affetto. Il recettore chimerico dell' antigene (Chimeric Antigen Receptor, CAR) è una proteina creata in laboratorio capace di riconoscere il tumore e attivare i linfociti T.
«Con questo approccio si stanno ottenendo in numerosi casi risposte di lunga durata, e forse guarigioni definitive, in soggetti nei quali la malattia non è più controllabile con le terapie convenzionali», sottolinea Orecchia.
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Come nel caso del bambino di 4 anni malato di leucemia linfoblastica acuta che, dopo esser stato trattato qualche mese fa all' Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma con la terapia CAR-T, nel suo midollo non è stata trovata traccia della malattia.
«Da allora abbiamo trattato altri 8 bambini, ottenendo una risposta completa», riferisce Franco Locatelli, responsabile del centro di Oncoematologia presso l' ospedale pediatrico romano che ha perfezionato la metodica, grazie al sostegno dell' Associazione italiana per la ricerca sul cancro.
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Risultati straordinari, questi, che ha spinto il team di Locatelli ad applicare lo stesso approccio contro un tumore solido, il neuroblastoma, tra le neoplasie cerebrali più diffuse nei bambini. Sono gli unici in Italia, e in Europa, ad averlo fatto. «Abbiamo già ottenuto risultati incoraggianti sui primi 5 pazienti e questo ci dimostra che è possibile estendere con successo la terapia CAR-T a diverse neoplasie, non solo quelle ematologiche», sottolinea Locatelli.
IL COSTO
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Ora, dopo l' approvazione della Commissione europea, spetterà alle agenzie del farmaco dei singoli Paesi mediare il costo della terapia e individuare i centri nei quali questa potrà essere praticata. In Italia toccherà all' Agenzia italiana del farmaco e non sarà un lavoro facile.
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«In Italia i possibili pazienti per l' indicazione pediatrica sono alcune decine - dice Andrea Biondi, direttore della Clinica Pediatrica dell' Università di Milano Bicocca, Fondazione Mbbm - mentre per il linfoma alcune centinaia.
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Numeri che possono portare a costi non indifferenti per il Sistema sanitario nazionale, ed è per questo che servono valutazioni molto attente. Del resto più che un farmaco questa è una procedura medica, ma si è deciso di trattarla come un farmaco, e questo ovviamente ha garantito l' omogeneità della cura ma ha anche aumentato i costi e la complessità».
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Attualmente i maggiori centri impegnati in questo tipo di ricerca sono il Bambino Gesù di Roma, il San Gerardo di Monza, insieme al nuovo Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, e il San Raffaele di Milano. A questo nucleo iniziale presto si unirà l' Istituto Europeo di Oncologia, che ha appena approvato un progetto di ricerca molto innovativo per lo sviluppo delle terapie cellulari.
Nei prossimi mesi, invece, dovrebbero arrivare richieste di nuove approvazioni di terapie CAR-T per i tumori del sangue. Non solo. Il nostro paese potrebbe fare da apripista anche per l' applicazione di questo approccio per i tumori solidi.
Fonte: qui

IL DUO TRIA-GERACI È A PECHINO A PROMUOVERE LA CAUSA ITALIANA. CON LORO C'È PURE FABRIZIO PALERMO DELLA CDP, CHE HA FIRMATO ACCORDI CON LA BANK OF CHINA SULL'EXPORT E CON LA SOCIETÀ DELLA RETE ELETTRICA CINESE

SNAM E TERNA SONO PER IL 35% IN MANO AL DRAGONE 
ECCO SU COSA PUNTERANNO IL MINISTRO DEL TESORO E IL SOTTOSEGRETARIO ALLO SVILUPPO ECONOMICO
TRIA, SPREAD NON RISPECCHIA SOLIDITÀ ITALIA
giovanni triaGIOVANNI TRIA
 (ANSA) - "Lo spread attuale non risponde ai fondamentali e alla solidità dell'Italia. Ricordo che l'Italia ha un surplus primario da vent'anni. Ritengo che l'andamento sia anche dovuto ad una fase di incertezza tipica del periodo estivo. Ma nelle sue linee generali è già stato definito il rispetto delle regole di finanza pubblica''. E' quanto ha affermato il ministro dell'Economia, Giovanni Tria parlando con i giornalisti durante la sua missione in Cina.

CDP: ACCORDO CON BANK OF CHINA SU EXPORT IMPRESE ITALIANE
 (ANSA) - Cassa depositi e prestiti e Bank of China hanno siglato un accordo preliminare di collaborazione su export e internazionalizzazione delle imprese italiane in Cina. L'intesa, siglata alla presenza del ministro dell'Economia e delle Finanze Giovanni Tria in visita a Pechino, è finalizzata a favorire "un'attiva collaborazione" tra le due istituzioni in ambiti quali il sostegno alle esportazioni, il finanziamento di progetti infrastrutturali e di sostenibilità ambientale, le attività sui mercati dei capitali e la condivisione di esperienze e competenze, guardando - si legge in una nota - a una maggiore conoscenza dei rispettivi modelli operativi.
fabrizio palermoFABRIZIO PALERMO

SNAM: MEMORANDUM CON SOCIETÀ RETE CINA SU TECNOLOGIE 'GREEN'
 (ANSA) - Snam ha sottoscritto oggi con State Grid International Development (SGID), controllata al 100% da State Grid Corporation of China, la più grande utility energetica al mondo, un memorandum of understanding per valutare una serie di possibili opportunità di collaborazione in Cina e a livello internazionale, in particolare in relazione agli utilizzi delle nuove tecnologie per ridurre le emissioni di CO2.

Il memorandum è stato firmato all'Ambasciata d'Italia a Pechino dall'ad di Snam, Marco Alverà, e dal presidente di SGID, Hu Yuhai, nell'ambito della missione del Ministero dell'Economia e delle Finanze in Cina, alla presenza del ministro Giovanni Tria e dell'amministratore delegato della Cdp, Fabrizio Palermo. Tra le iniziative allo studio, si legge nella nota, figurano "la realizzazione di impianti di biogas e biometano finalizzati alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili nelle zone rurali della Cina", a cui Snam contribuirà "mettendo a disposizione il proprio know how".

Il memorandum prevede inoltre di valutare "eventuali opportunità di partnership nella ricerca e sviluppo sul gas rinnovabile, nella mobilità sostenibile e in progetti congiunti elettricità-gas" nonché "possibili collaborazioni in altri due paesi nei quali opera SGID, Australia e Portogallo, nell'ambito della manutenzione e ottimizzazione delle reti di trasporto e dei siti di stoccaggio del gas naturale".

conte e triaCONTE E TRIA
"Questa iniziativa - commenta Alverà - conferma la leadership di Snam e dell'Italia nel settore energetico e in particolare nello sviluppo di nuove fonti rinnovabili come il biometano e nell'innovazione per la sostenibilità ambientale. Siamo molto contenti di poter lavorare con un'azienda leader come SGID. Snam è pronta a mettere a disposizione la sua esperienza, le sue competenze e le sue persone per dare un contributo alla transizione energetica della Cina, che sta puntando con decisione a una maggiore sostenibilità ambientale aumentando la quota del gas nel proprio mix energetico".


LE MISSIONI DI TRIA E GERACI IN CINA: LA NUOVA POLITICA ITALIANA A PECHINO

Dal 28 agosto al 2 settembre prossimo il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il sottosegretario del ministero dello Sviluppo Economico (Mise) Michele Geraci si recheranno in Cina per svolgere due importanti missioni parallele destinate a sviluppare le relazioni tra Roma e Pechino in una fase cruciale per il loro futuro.
MICHELE GERACIMICHELE GERACI

Quella italo-cinese è una relazione consolidata, un ponte tra Occidente e Oriente che negli anni a venire avrà la possibilità di essere rafforzata con importanti puntelli di natura economica: da tempo i Paesi europei mostrano grande cautela nel relazionarsi con i grandi progetti di Pechino, specie la tanto discussa Nuova via della seta, ma nel governo guidato da Giuseppe Conte non mancano le persone giuste a cui affidare il delicato dossier Cina. A Geraci e Tria, ben conosciuti negli ambienti di Pechino e fluenti nel parlare il mandarino, si aggiunge infatti anche Paolo Savona, che da decenni studia il decollo e il consolidamento economico dell’Impero di Mezzo.

La nuova task force del Mise con vista sulla Cina
Il 20 agosto scorso il Mise guidato da Luigi Di Maio ha annunciato la creazione della Task Force Cina, “un meccanismo operativo di lavoro, cooperazione e dialogo fra Governo, associazioni di categoria e società civile, volto all’elaborazione di una nuova strategia nazionale di sistema, destinata a rafforzare le relazioni economiche e commerciali con la Cina”, come si legge sul sito del dicastero.
gianni letta giovanni triaGIANNI LETTA GIOVANNI TRIA

Geraci, che ha insegnato per anni discipline finanziarie in tre diverse università cinesi, sarà il vertice della struttura di coordinamento e ha invocato un approccio sistemico nelle relazioni con Pechino, sottolineando come la Cina, “che ha lanciato il suo ambizioso programma di avanzamento tecnologico Made in China 2025 e che ha un immenso mercato interno sempre più desideroso di beni di qualità, presenta per l’Italia sia dei rischi (in quanto sempre più concorrente diretto nel comparto manifatturiero), ma anche delle imperdibili opportunità, sia sul piano dell’incremento del nostro export sia per quanto riguarda l’attrazione degli investimenti: è giunto il momento per l’Italia di cogliere queste opportunità e cavalcare l’onda cinese, invece di lasciarci travolgere da essa”.

In questo contesto si inserisce il grande obiettivo del viaggio di Geraci nell’Impero di Mezzo: magnetizzare investimenti in Italia, per esempio (e soprattutto) sul settore delle infrastrutture, che necessitano di un’iniezione enorme di capitali come dimostrato dai recenti fatti di Genova. Centrale nelle discussioni sarà sicuramente il tema del porto di Trieste, la cui amministrazione da tempo auspica l’apertura a Pechino che potrebbe trasformare il capoluogo giuliano in un importante hub commerciale di caratura globale. All’importante viaggio di Geraci si sovrapporrà l’altrettanto delicata missione di Tria, che incontrerà le sue controparti ufficiali cinesi per discutere dell’intervento di Pechino a sostegno del debito pubblico italiano.
MICHELE GERACIMICHELE GERACI

Il ruolo della Cina in Italia e la missione di Tria
Primo punto all’ordine del giorno nei colloqui di Tria con i principali esponenti della politica e dell’economia cinese sarà la possibilità che Pechino acquisti quote di debito pubblico italiano dopo la fine del quantitative easingpermettendo che esso rimanga in condizioni stabili e che il sistema Paese non manchi delle risorse volte a impostare politiche espansive.

Come dichiarato da Carlo Pelanda a Formichein questo momento nel mercato globale si sta riducendo la liquidità perché le banche centrali, a parte quella giapponese, stanno man mano riducendo la massa di liquidità che era servita negli anni passati a comprare titoli di debito. In più c’è una fuga dei capitali verso il dollaro e una percezione dei rischi piuttosto elevata per l’Italia. Questo potrebbe portare a ridurre la platea di compratori di debito italiano”, e a rendere auspicabile un intervento cinese che, in ogni caso, Roma dovrebbe monitorare con cautela.

Numerosi Paesi, infatti, stanno precipitando nella cosiddetta “trappola del debito“, faticando a ripagare l’intervento economico cinese. Non dovrebbe essere questo il caso dell’Italia, che però dovrà essere in grado di mediare il suo oggettivo interesse nazionale, che porterebbe ad auspicare un’apertura crescente ai traffici verso Oriente, con i reali rapporti di forza delineati, in particolare, dal recente viaggio di Conte a Washington.
Sempre su Formiche si legge: “L’idea che la Cina possa aumentare l’esposizione verso il nostro debito (creando dunque una domanda che contribuisca a tenere sotto controllo il livello dei tassi) costituisce una prospettiva che risponde a una logica economica condivisibile ma, oltre una certa misura, rischiosa sotto il profilo degli equilibri politici internazionali (specie verso gli Usa), e decisamente non auspicabile per la sicurezza delle nostre infrastrutture strategiche”.

Conte deve incontrare al più presto Xi Jinping
Per approfondire tali sinergie e smussare le problematiche poste in evidenza serve, in ogni caso, un incontro ufficiale ad alti livelli: solo la figura del presidente del Consiglio Giuseppe Conte può avere il peso istituzionale necessario per dare profondità alla nuova politica cinese dell’Italia. E da questo punto di vista c’è da ritenere che  Xi Jinping avrebbe sicuramente interesse a parlare personalmente con il nuovo leader di Roma, dando continuità agli ottimi rapporti interpersonali che l’hanno unito a Sergio Mattarella, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.
Michele GeraciMICHELE GERACI
Allo stato attuale delle cose, il primo vertice in cui Conte e Xi presenzieranno congiuntamente sarà il G20 di Buenos Aires di fine novembre. A quella data, dopo la visita alla Casa Bianca, da ospite di Donald Trump, Conte sarà reduce anche dal viaggio in Russia alla corte di Vladimir Putinove giungerà il 24 ottobre prossimo. A tanta sollecitudine verso Stati Uniti e Russia non è corrisposto, per ora, altrettanto zelo in direzione di Pechino. Ma l’Italia può e deve approfondire la dialettica bilaterale con un attore sempre più influente nella geopolitica e nella geoeconomia planetaria. Per dimostrare alla Cina di essere interessata a progetti d’ampio respiro e ribadire la sua autonomia decisionale. Tria e Geraci dovranno sondare il terreno per future, importanti missioni.


QUANTO E DOVE HA INVESTITO LA CINA IN ITALIA

Dal calcio alle quote in gruppi strategici, la Cina è dall'inizio del 2014 sempre più presente nell'industria italiana. È la fotografia che emerge nei giorni della visita a Pechino e Shanghai del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, dal 27 agosto al 2 settembre.

Fca, Telecom Italia, Enel, Generali e Terna sono solo alcune delle realtà industriali italiane dove aziende cinesi hanno una partecipazione. Il picco degli investimenti si è verificato soprattutto tra il 2014 e il 2015, anno in cui il gigante della chimica cinese, China National Chemical, ha acquisito una quota di controllo in Pirelli per 7,3 miliardi di euro, l'operazione di acquisizione di un gruppo italiano da parte di un'azienda statale cinese a oggi più nota, se si esclude il mondo del pallone.
xi jinpingXI JINPING

La Cina è entrata nel Milan e nell'Inter, con l'acquisizione di una quota di maggioranza nel club nerazzurro nel 2016 da parte del gruppo Suning, e quella, tra luci e ombre, della totalità del Milan, per 740 milioni di euro, da parte di una cordata guidata dall'imprenditore cinese, Yonghong Li, al vertice del club fino a luglio scorso, e sul quale la Procura della Repubblica di Milano ha aperto un fascicolo per l'ipotesi di reato di false comunicazioni sociali. 

Gli investimenti cinesi hanno riguardato molte aziende italiane, di primo piano, e non solo. Tra questi, per citare i casi più importanti, si può ricordare l'investimento da 400 milioni di euro di Shanghai Electric in Ansaldo Energia e l'acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte del colosso dell'energia elettrica di Pechino, China State Grid, per un valore complessivo di 2,81 miliardi di euro.

Interessati dalle mire cinesi sono stati anche i gruppi dell'agroalimentare, come il brand Filippo Berio, controllato da Salov, in cui il gruppo cinese Bright Food ha acquisito una quota di maggioranza; o quelli della moda, con il passaggio di Krizia al gruppo di Shenzhen, Marisfrolg. Tra gli investimenti più recenti, da ricordare, a fine 2017, l'acquisizione del gruppo biomedicale Esaote da parte di un consorzio nel quale figura anche Yufeng Capital, co-fondato dal patron di Alibaba, il gigante dell'e-commerce cinese, Jack Ma.

L'elenco degli investimenti cinesi è ancora lungo e l'aumento dell'interesse della Cina verso l'Italia negli ultimi anni non è sfuggita agli occhi degli osservatori più esperti: secondo uno studio pubblicato a inizio 2017 dal Mercator Institute for China Studies di Berlino e dal gruppo di consulenza Rhodium Group, tra il 2000 e il 2016, l'Italia è stata al terzo posto, tra i Paesi dell'Unione Europea, per le destinazioni degli investimenti cinesi, a quota 12,8 miliardi di euro. Hanno fatto meglio solo la Gran Bretagna, a quota 23,6 miliardi di euro, e la Germania, in seconda posizione, a quota 18,8 miliardi di euro. L'Italia ha surclassato anche la Francia, ferma a quota 11,4 miliardi di euro.

Il trend è mutato proprio alla fine del 2016, quando il governo cinese ha dato un taglio allo shopping sfrenato dei gruppi all'estero, per concentrare le attenzioni sui progetti di sviluppo industriale e su quelli che rientrano nell'iniziativa di sviluppo infrastrutturale tra Asia, Europa e Africa Belt and Road, lanciata dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013.
xi jinpingXI JINPING

Italia Cina investimenti commercio
 Industria economia Cina (Afp)
Boom dell'interscambio nel 2017 a 42 miliardi

Un interscambio in crescita del 9,2% nel 2017, a quota 42 miliardi di euro, e un deficit commerciale italiano in riduzione, sono tra i segnali più positivi nel rapporto tra Italia e Cina. L'Italia è sempre più presente in Cina, secondo gli ultimi numeri, che vedono un record assoluto delle esportazioni nel 2017, a quota 20,33 miliardi di dollari, con una crescita del 22,2% rispetto all'anno precedente, a fronte di un aumento delle importazioni dalla Cina del 10%, a 29,2 miliardi di dollari: il deficit commerciale è sceso per la prima sotto i nove miliardi di dollari e il valore dell'interscambio tra Roma e Pechino ha portato l'Italia a diventare il quarto partner della Cina all'interno dell'Unione Europea.

La tendenza si è confermata anche nel primo trimestre 2018, secondo i dati delle Dogane cinesi. Nei primi tre mesi dell'anno le importazioni della Cina dall'Italia sono cresciute del 18,62% su base annuale (pari a 4,98 miliardi di dollari), mentre le esportazioni cinesi verso l'Italia hanno segnato un balzo del 18,86%, a quota 7,48 miliardi di dollari di valore, per un interscambio complessivo di oltre dodici miliardi di dollari: in molti, però, ritengono che i margini per aumentare gli scambi siano ancora alti, soprattutto nei settori delle tecnologie verdi, dell'agroalimentare, dell'urbanizzazione sostenibile, dei servizi sanitari e del settore aerospaziale, individuati già nel 2014 come priorità nella cooperazione tra i governi dei due Paesi.

trump e xi jinping alla citta proibita piazza tien an menTRUMP E XI JINPING ALLA CITTA PROIBITA PIAZZA TIEN AN MEN
I settori di punta dell'export italiano nel 2017 sono quelli della meccanica strumentale, che lo scorso anno ha segnato un aumento del 24,8% rispetto al 2016, l'automobilistico, con una crescita dell'11,8%, e del farmaceutico, con un aumento del 9,09%. L'appuntamento da non perdere per mettere in mostra l'export italiano è quello del prossimo novembre quando, dal 5 al 10, si terrà a Shanghai la prima China International Import Expo, dove è prevista la partecipazione di circa 140 Paesi, secondo le stime cinesi, e la presenza del presidente cinese, Xi Jinping.

Le due missioni
Il viaggio in Cina del ministro dell'Economia, Giovanni Tria, che sarà a Pechino e Shanghai da domani al 2 settembre prossimi, sarà il primo banco di prova per il governo giallo-verde nell'ex Celeste Impero. La Cina ha mostrato finora fiducia nel nuovo esecutivo. Subito dopo la nascita del governo guidato da Giuseppe Conte, Pechino si è detta "felice di vedere la stabilità politica e sociale" in Italia, tramite la portavoce del Ministero degli Esteri, Hua Chunying, che ha ricordato la "tradizionale amicizia" che lega i due Paesi.

Pochi giorni dopo, in un messaggio di congratulazioni inviato a Conte dal primo ministro cinese, Li Keqiang, Pechino si è detta "pronta a lavorare con il nuovo governo italiano" con il quale c'è "una fiducia politica reciproca in costante crescita". Nel messaggio, il premier cinese non ha dimenticato di citare l'iniziativa Belt and Road, lanciata dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013, per la connessione infrastrutturale di Asia, Europa e Africa, che ha auspicato di "allineare" alle strategie di sviluppo italiane.

giovanni tria e claudio borghiGIOVANNI TRIA E CLAUDIO BORGHI
L'interesse italiano sulla Cina si è manifestato concretamente con la creazione di una task force dedicata al Paese, nata nei giorni scorsi, su iniziativa del Ministero al Lavoro e allo Sviluppo Economico, e in particolare del vice presidente del Consiglio, Luigi Di Maio, e del sottosegretario Michele Geraci, nome quest'ultimo noto in Cina per la sua attività svolta come economista e direttore del China Economic Research Program presso la Nottingham University Business School China, prima di assumere l'incarico governativo.

Anche Geraci sarà in Cina negli stessi giorni di Tria: il suo sarà un ritorno che coinciderà, in parte, con la visita del ministro dell'Economia: i due saranno a Shanghai negli stessi giorni a cavallo tra fine agosto e l'inizio di settembre, prima dell'arrivo di Geraci a Pechino, per una visita che si concluderà il 7 settembre prossimo.

Fonte: qui

ITALY: IN TRUMP WE TRUST!


Come ben sapete a noi piace fantasticare, siamo stati i primi a scrivere che questa volta potrebbe essere diverso, difficile credere le Donald Trump dopo gli elogi al Governo italiano resti indifferente ad un eventuale attacco della speculazione internazionale al nostro Paese, ma di qui a credere che le promesse di Trump rivelate dal Corriere della Sera siano reali, ce ne passa, noi preferiamo osservare i mercati e muoverci di conseguenza…
Il presidente Donald Trump, stando a quanto riportato dal Corriere della Sera, avrebbe detto al primo ministro italiano Giuseppe Conte che gli Stati Uniti sono disposti ad aiutare il paese acquistando obbligazioni governative l’anno prossimo. L’offerta sarebbe pervenuta a margine dell’incontro con Trump alla Casa Bianca circa tre settimane fa ma Conte non ha spiegato esattamente in cosa consiste l’offerta di aiuto da parte di Trump e se effettivamente c’è la possibilità che si concretizzi.
Nel 2019, il Tesoro dovrà collocare sul mercato titoli di Stato per circa 400 miliardi di euro, di cui 260 miliardi a media-lunga scadenza, ma da qua al 2019, il problema vero sarà la Germania e la guerra commerciale nel bel mezzo della sua fase cruenta, quando arriveranno dati che testimoniano il crollo del commercio mondiale e soprattutto nel 2019 ci sarà un tedesco alla presidenza della BCE anche se Angela Merkel ha suggerito che non è una loro priorità…
Certo gli USA non hanno fondi sovrani per acquistare BTP, il Tesoro e la Fed si legge non hanno un mandato per un simile intervento, ma gli Stati Uniti d’America possono fare altro e chi dice che il Tesoro o la Fed non possono fare quello che vogliono, non ha capito nulla della natura intrinseca della finanza americana.

Non ho il tempo questa mattina di fare una ricerca approfondita, ma ricordo che Icebergfinanza nel 2012 scrisse un articolo dettagliato spiegando come secondo lo Statuto della Fed è possibile l’acquisto di titoli di Stato stranieri per alcune specifiche finalità. Se qualcuno di Voi ha tempo mi farebbe un grande piacere se lo trova o attraverso Machiavelli.
Giusto per coloro che non ci arrivano o che sorridono, questa è una notizia che circolava nel 2013…

La Fed pronta a comprare Btp 

“Se in parallelo gli Stati Uniti compreranno il debito europeo è ancora tutto da vedere – avverte Segre – tuttavia è tecnicamente possibile”. La Fed di Ben Bernanke è, infatti, pronta ad avviare quell’operazione che da mesi i governi europei chiedono che venga messa in cantiere dalla Bce. D’altra parte è stato proprio Bernanke a spiegare che “la Fed ha l’autorità per acquistare sia debito pubblico nazionale sia debito pubblico straniero”“Nulla può fermare la Fed dal fare il lavoro che la Bce si rifiuta di fare”, spiega il capo economista di Ubs Andreas Hoefert (…) Anche perché, qualora la Fed dovesse entrare a gamba tesa sui mercati del Vecchio Continente, deve sganciare euro che, al contrario di come fa coi dollari, non può stampare. Aldilà della validità dell’operazione che gli analisti di Bernanke stanno studiando(…)
Ma di questo ne parleremo in maniera approfondita nel prossimo Machiavelli, nel frattempo il solito Bini Smaghi l’incendiario di turno torna a soffiare sul fuoco…
“Gli investitori, le agenzie di rating, i mercati, si stanno focalizzando sempre più sulla data di metà ottobre, quando verrà presentata la Legge di Bilancio. Ma il concentrarsi delle aspettative su questa specie di D-Day per il nostro Paese crea tensioni, nervosismo, incertezze. E sempre più operatori, a partire dagli stranieri, finiscono con l’abbandonare l’Italia. Se non si dà un segnale forte per interrompere quest’ossessione del 15 ottobre, la fuga dei capitali che già conosce un’accelerazione pericolosa, si accentuerà, lo spread s’impennerà e alla fine a farne le spese saremo tutti, imprese e cittadini”.
Questi sono i personaggi che la carta straccia italiana intervista, questi sono gli sciacalli che quotidianamente seminano terrore e paura sempre con la solita litania.
Vi faccio un rapido riassunto di come funzionano le cose in questo Paese, soprattutto partendo dal fatto che hanno provato ad infiltrarlo dentro il mondo cooperativo italiano, facendolo presidente della BCC Chianti Banca poi per fortuna respinto al mittente…

ChiantiBanca, sconfitta la lista Bini Smaghi 

Ma noi partiamo da qui…
Il 15 gennaio 2015 il consiglio di amministrazione della banca d’affari francese Société Générale ha annunciato la nomina di Bini Smaghi alla carica di Presidente del consiglio d’amministrazione in occasione dell’assemblea generale degli azionisti del 19 maggio 2015.[8]
…per arrivare qui…
Ricordo per dovere di cronaca che Bouton, attuale consigliere di Rotschild, poi costretto alle dimissioni, era il presidente di Société Générale ai tempi dello scandalo Kerviel, il trader che con operazioni spericolate diede il via al collasso dei fondi monetari con peridte intorno ai 5 miliardi di euro e il suo responsabile era quel Mustier che ora è l’amministratore delegato di Unicredit….
MILANO (Reuters) – UniCredit e Société Générale non commentano le indiscrezioni stampa secondo cui la banca italiana starebbe lavorando con Daniel Bouton, senior advisor di Rothschild, per una possibile fusione con l’istituto francese.
Al momento non è stato possibile avere un commento da Rothschild.
Il quotidiano MF oggi scrive che i colloqui tra le due banche per studiare l’integrazione o l’acquisizione non si sono fermati. UniCredit, aggiunge, sarebbe affiancata da “consulenti di prim’ordine”, a partire da Bouton.
Bouton è stato presidente di SocGen, da cui si è dimesso nel 2009 in seguito allo scandalo Kerviel, dopo un decennio alla guida della banca francese.
Anche l’AD di UniCredit Jean Pierre Mustier è un ex manager di Société Générale e la sua nomina nel 2016 aveva acceso le speculazioni sulla possibilità che i due istituti unissero le forze.
A giugno l’FT ha scritto che UniCredit stava esplorando la possibilità di una fusione con la rivale francese, aggiungendo che la volatilità della situazione politica italiana aveva causato uno slittamento dei tempi dell’eventuale operazione.
In occasione della diffusione della trimestrale all’inizio di questo mese, Mustier ha detto che il piano della banca al 2019 è basato sulla crescita organica ma che il nuovo piano potrebbe considerare anche la crescita esterna.
“L’Europa ha bisogno di banche paneuropee forti e noi intendiamo essere un vincitore paneuropeo”, ha dichiarato.
Un fallito come Bouton, presidente di SocGen, ai tempi dello scandalo Kerviel, ora advisor Rotschild, e Jean Pierre Mustier attuale AD UC responsabile del trader che causò 5 miliardi di perdite ora stanno per regalare Unicredit ai francesi! 😎
15:47 - 26 ago 2018 https://twitter.com/icebergfinanza/status/1033712550087680000

Noi consigliamo all’attuale Governo di bloccare in qualunque modo possibile l’ipotesi di fusione con la banca francese, non è interesse nazionale una simile operazione e Unicredit è banca di interesse nazionale, secondo il  nostro modesto parere, visto che Société Générale è secondo il nostro famigerato modellino che ci ha permesso di individuare quasi tutte le banche fallite, nazionalizzate o incorporate nella crisi americana,  una delle banche più sistemiche e peggio messe a livello di parametrio di rischio.

Un fine estate incandescente ci attende o forse chissà, veto su bilancio europeo e una serie di no a cascata a questa Europa di burocrati e plutocrati, egoista e menefreghista.

27 Agosto 2018

Fonte: qui

Trump fa comprare Btp, l'ultima balla che non salva l'Italia

Si dice che Trump sia pronto ad aiutare l'Italia acquistando Btp. Meglio stare attenti alle mosse e ai silenzi delle banche centraliAttenzione, ringalluzzimento generale di sovranisti e dintorni: il Financial Times ieri sparava la notizia in base alla quale Donald Trump avrebbe garantito a Giuseppe Conte appoggio al suo governo attraverso l'acquisto di Btp, se la fine della schermatura del Qe della Bce dovesse portare turbolenze ulteriori al nostro spread. Esatto, parliamo dello stesso Donald Trump che intende stendere al tappeto l'Europa con i dazi sull'export di automobili. E lo stesso Donald Trump che non più tardi di giovedì ha mostrato tutto il nervosismo in atto Oltreoceano, parlando alla NBC e prefigurando crolli dei mercati, in caso di suo impeachment. E parliamo, come ci mostra il grafico, dello stesso Trump che ha fatto salire di oltre il 27% il deficit Usa in un anno, tutte spese che necessitano finanziamento: ovvero, Treasuries da piazzare in un momento in cui tutti li stanno invece scaricando, Giappone, Russia e Turchia in testa. 
Sapete chi non li scarica? La Cina. La quale, però, formalmente sarebbe in guerra commerciale con gli Stati Uniti a colpi di dazi e sanzioni senza precedenti: quanto tempo è che vi dico che si tratta di una pantomima dal duplice obiettivo, ovvero schiantare un competitor economico come l'Ue e ingenerare una pre-recessione globale che permetta alla Fed, la stessa chiamata a finanziare quel deficit, di bloccare il processo di normalizzazione dei tassi e magari tornare a stampare un pochino? 
 
Signori, a novembre in America si vota e vi assicuro che il nostro spread interessa all'elettore americano medio meno delle previsioni del tempo in Afghanistan. E poi scusate, ma se c'è la certezza che gli Usa sosteranno le nostre emissioni, diventando loro gli acquirenti di ultima istanza di Btp al posto della Bce, cosa diavolo andrà a fare il ministro Tria in Cina? Perché l'intento principale, ufficiale e non smentito da alcuno, Conte per primo, è proprio quello di cercare di convincere Pechino a comprare nostro debito pubblico: cosa tentiamo, il colpo alla Totò con la Fontana di Trevi, sperando che i due formali arci-nemici non se ne accorgano, tanto noi italiani siamo i più furbi di tutti? Oppure diventeremo addirittura artefici della Yalta 2.0 fra Cina e Uds, il tutto in nome del comune amore e dell'attrattività irresistibile dei nostri titoli di Stato? 
"Ho riso molto quando ho letto la notizia. Non sono infatti a conoscenza di portfolio di cui Trump abbia la gestione diretta. Tutto quanto penso possa ottenere è qualche acquisto, magari da parte di fondi pensione statali ma il tutto sarebbe più di valore nominale che effettivo, a livello di ammontare". Sapete chi lo ha detto? Non il sottoscritto, ma Jan von Gerich, strategist di Nordea Bank, interpellato da Bloomberg, relativamente proprio al presunto supporto di Trump verso il nostro debito pubblico. Questo grafico, ci mostra plasticamente le straordinarie performance di investimento e di liquidità di cui godono i fondi pensione statali Usa. 
 
Vi sentite più tranquilli? Meglio che i nostri Btp li comprino col contagocce i fondi pensione degli insegnanti del Maryland e del West Virginia che quel complottardo di Mario Draghi, il quali invece acquista col badile, no? E vogliamo parlare della minaccia di Di Maio verso l'Ue sulla questione Diciotti, ovvero se non partono i ricollocamenti, noi non versiamo più i 20 miliardi di contributi annui all'Unione? Qualcuno spieghi al ministro Di Maio, utilizzando parole semplici (ma anche gesti, figure, ipnosi, un cane-guida se serve), che se anche risparmiassimo i 20 miliardi di contributi che diamo all'Ue, immediatamente perderemmo l'appoggio della Bce nell'acquisto di titoli di Stato per quel che resta del programma di Qe, visto che Draghi verrebbe subito messo in minoranza nel board come ritorsione e che, grazie a questo governo, in Europa siamo isolati come non mai. E siccome in soli due mesi dall'estero hanno già scaricato 72 miliardi di controvalore di Btp, ci rimetteremmo. E anche pesantemente. Dubito il ministro Di Maio capisca ma qualcuno ci provi, per carità. Ma vi rendete conto delle idiozie che sostiene questo Governo pur di non ammettere che il Re è nudo? Il tutto, giocando con i destini del Paese. 
Se infatti in due mesi gli investitori esteri hanno scaricato 72 miliardi di controvalore di Btp e come mostra questo grafico, sempre dello stesso Financial Times, chi sta comprando con il badile sono le nostre banche, tanto per proseguire la vecchia abitudine di sostenere i governi di turno, calmierando lo spread (ma i poteri forti non erano contro questo governo?). 
 
Peccato che ci sia un duplice problema. Primo, così facendo gli attivi delle banche vanno al Tesoro e non a famiglie e imprese. Secondo, se per caso qualcosa andrà fuori giri in autunno, a livello interno, europeo o addirittura globale (ipotesi tutt'altro che peregrina), il valore in calo di quei Btp si tramuterà in perdita per le nostre banche e i loro bilanci. E dopo, quale potrebbe essere la soluzione? A chi ci rivolgiamo, se - per caso - si rendesse necessario accedere a fondi emergenziali per evitare una crisi sistemica del comparto, come accaduto in Spagna? Ci rivolgiamo alla Fed, forse? O magari al ministero delle Finanze russo? O a quello ungherese? Il tutto, giova ricordarlo, senza più lo scudo della Bce, se davvero il Qe terminerà a inizio del 2019 (cosa che, come sapete, io non credo ed è l'unico elemento di speranza che mi rimane, stante la situazione attuale). 
Signori, siamo non solo ai titoli di coda, ma, ormai, veramente alle comiche. Peccato che altrove non si monopolizzi l'attenzione su una nave con 170 immigrati ma si guardi al quadro un pochino più ampio. 
La Germania, non a caso, punta alla presidenza della Commissione Ue, piazzando un proprio uomo al posto di Juncker e rinunciando alla guida della Bcr per Jens Weidmann
Vi siete chiesti perché? 
Forse perché sanno che, stante quanto sta arrivando, la politica monetaria per parecchi anni andrà con il pilota automatico e in assoluto sincronismo con quella di Fed, Bank of Japan e Pboc cinese: se si blocca lo stimolo, sotto qualsiasi forma o nome lo si voglia applicare, viene già tutto. Per primo, quell'enorme schema Ponzi che è l'economia cinese. E allora, hai voglia a piazzare Btp. La Commissione, invece, conta eccome. Perché è il cuore pulsante e decisionale dell'Europa, anche e soprattutto relativamente agli accordi commerciali. Ma qui non la si vuole capire, qui si gioca a fare i rivoluzionari in base al teorema Ricucci, ovvero con le terga del Paese. Il quale, oltretutto, applaude anche e passa le giornate a ritwittare gli slogan propagandistici del ministro dell'Interno o di quello del Lavoro: stiamo scavandoci la fossa da soli e nemmeno ce ne accorgiamo. 
Ragionate: vi sembra una normale coincidenza che la sentenza contro Manafort e la confessione di Cohen, entrambe due siluri contro Trump, siano arrivate proprio ora? E vi pare altrettanto un caso che, come ovvio, proprio ora sia arrivata la replica del Presidente, il quale non a caso ha parlato di mercati che crollano - e non di un Paese che si rivolta in sua difesa - in caso di impeachment? Proprio ora, alla vigilia del simposio di Jackson Hole, gran cerimoniere la Fed e il suo presidente, Jerome Powell, sempre casualmente tornato nel mirino di Trump a inizio settimana proprio per la sua politica di rialzo dei tassi. E, ciliegina sulla torta, in perfetta contemporanea torna a farsi vivo anche il defunto Al-Baghdadi con un discorso di 40 minuti in stile Fidel Castro: insomma, l'Isis è viva e lotta insieme a chi non vuole dire addio al Qe globale. 
Tutte coincidenze, a vostro modo di vedere? Ma, soprattutto, un dato dovrebbe farci pensare, prima di berci tutte le baggianate che arrivano da governo e dintorni: il silenzio tombale di Mario Draghi. Ormai, da settimane. E, cosa ancora più preoccupante, quantomeno a livello di segnale proxy di tensione, la sua assenza insieme a quella del numero uno della Bank of Japan, Haruhiko Kuroda, proprio alla riunione dei banchieri centrali organizzata dalla Fed a Jackson Hole. Disinteresse? No, necessità di non stare a qualche migliaio di chilometri dal posto di lavoro in questo momento. Qualcosa, insomma, potrebbe accadere questo weekend, magari di quelle sottotraccia di cui noi nemmeno ci accorgiamo. Ma chi sovrintende alla politica monetaria, sì. 
Attenti, vi dissi in tempi non sospetti che questo autunno rischiava di farci ricordare quello del 2011 come una passeggiata nel parco. Beh, i rischi sono decisamente aumentati. E le prospettive peggiorate. Parecchio. Ma se volete morire sulle barricate, fatte da questo Governo con i mobili dell'intero Paese, parafrasando Flaiano, fate pure. Il masochismo e l'autolesionismo non sono reato. Basta poi non lamentarsi. 
25 Agosto 2018
Fonte: qui