9 dicembre forconi: 04/13/19

sabato 13 aprile 2019

La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali - Il testo integrale delle note di Benedetto XVI

Dal 21 al 24 febbraio 2019, su invito di Papa Francesco, si sono riuniti in Vaticano i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per riflettere insieme sulla crisi della fede e della Chiesa avvertita in tutto il mondo a seguito della diffusione delle sconvolgenti notizie di abusi commessi da chierici su minori. La mole e la gravità delle informazioni su tali episodi hanno profondamente scosso sacerdoti e laici e in non pochi di loro hanno determinato la messa in discussione della fede della Chiesa come tale. Si doveva dare un segnale forte e si doveva provare a ripartire per rendere di nuovo credibile la Chiesa come luce delle genti e come forza che aiuta nella lotta contro le potenze distruttrici.

Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi – pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità – come, a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questa ripresa. E così, nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio, ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo momento difficile. A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su “Klerusblatt” il testo così concepito.

Il mio lavoro è suddiviso in tre parti. In un primo punto tento molto brevemente di delineare in generale il contesto sociale della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile. Cerco di mostrare come negli anni ’60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare.

In un secondo punto provo ad accennare alle conseguenze di questa situazione nella formazione e nella vita dei sacerdoti.

Infine, in una terza parte, svilupperò alcune prospettive per una giusta risposta da parte della Chiesa.

I
Il processo iniziato negli anni ’60 e la teologia morale

  1. La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità. In Germania Käte Strobel, la Ministra della salute di allora, fece produrre un film a scopo informativo nel quale veniva rappresentato tutto quello che sino a quel momento non poteva essere mostrato pubblicamente, rapporti sessuali inclusi. Quello che in un primo tempo era pensato solo per informare i giovani, in seguito, come fosse ovvio, è stato accettato come possibilità generale.

Sortì effetti simili anche la “Sexkoffer” [valigia del sesso] curata dal governo austriaco. Film a sfondo sessuale e pornografici divennero una realtà, sino al punto da essere proiettati anche nei cinema delle stazioni. Ricordo ancora come un giorno, andando per Ratisbona, vidi che attendeva di fronte a un grande cinema una massa di persone come sino ad allora si era vista solo in tempo di guerra quando si sperava in qualche distribuzione straordinaria. Mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente.

Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comunità di passeggeri scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio.

Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono una conseguenza di tutti questi processi.

  1. Indipendentemente da questo sviluppo, nello stesso periodo si è verificato un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società. Cerco di delineare molto brevemente lo svolgimento di questa dinamica. Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalisticamente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia. Ricordo ancora come la Facoltà dei gesuiti di Francoforte preparò un giovane padre molto dotato (Bruno Schüller) per l’elaborazione di una morale completamente fondata sulla Scrittura. La bella dissertazione di padre Schüller mostra il primo passo dell’elaborazione di una morale fondata sulla Scrittura. Padre Schüller venne poi mandato negli Stati Uniti d’America per proseguire gli studi e tornò con la consapevolezza che non era possibile elaborare sistematicamente una morale solo a partire dalla Bibbia. Egli tentò successivamente di elaborare una teologia morale che procedesse in modo più pragmatico, senza però con ciò riuscire a fornire una risposta alla crisi della morale.

Infine si affermò ampiamente la tesi per cui la morale dovesse essere definita solo in base agli scopi dell’agire umano. Il vecchio adagio “il fine giustifica i mezzi” non veniva ribadito in questa forma così rozza, e tuttavia la concezione che esso esprimeva era divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tantomeno qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio.

Sul finire degli anni ’80 e negli anni ’90 la crisi dei fondamenti e della presentazione della morale cattolica raggiunse forme drammatiche. Il 5 gennaio 1989 fu pubblicata la “Dichiarazione di Colonia” firmata da 15 professori di teologia cattolici che si concentrava su diversi punti critici del rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle rimostranze, crebbe tuttavia molto velocemente sino a trasformarsi in grido di protesta contro il magistero della Chiesa, raccogliendo in modo ben visibile e udibile il potenziale di opposizione che in tutto il mondo andava montando contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II (cfr. D. Mieth, Kölner Erklärung, LThK, VI3,196).

Papa Giovanni Paolo II, che conosceva molto bene la situazione della teologia morale e la seguiva con attenzione, dispose che s’iniziasse a lavorare a un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Fu pubblicata con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993 suscitando violente reazioni contrarie da parte dei teologi morali. In precedenza, già c’era stato il Catechismo della Chiesa cattolica che aveva sistematicamente esposto in maniera convincente la morale insegnata dalla Chiesa.

Non posso dimenticare che Franz Böckle – allora fra i principali teologi morali di lingua tedesca, che dopo essere stato nominato professore emerito si era ritirato nella sua patria svizzera –, in vista delle possibili decisioni di Veritatis splendor, dichiarò che se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva. Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991. L’Enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993 e in effetti conteneva l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone. Il Papa era pienamente consapevole del peso di quella decisione in quel momento e, proprio per questa parte del suo scritto, aveva consultato ancora una volta esperti di assoluto livello che di per sé non avevano partecipato alla redazione dell’Enciclica. Non ci poteva e non ci doveva essere alcun dubbio che la morale fondata sul principio del bilanciamento di beni deve rispettare un ultimo limite. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Che esso in fondo, nella teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, non sia più moralmente necessario, mostra che qui ne va dell’essenza stessa del cristianesimo.

Nella teologia morale, nel frattempo, era peraltro divenuta pressante un’altra questione: si era ampiamente affermata la tesi che al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva (“infallibilità”) solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale. In questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito. E tuttavia c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta. Da tutto ciò emerge come sia messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Chi in quest’ambito nega alla Chiesa un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna.

Indipendentemente da tale questione, in ampi settori della teologia morale si sviluppò la tesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. Nell’affermare questo si sottolinea come tutte le affermazioni morali avrebbero degli equivalenti anche nelle altre religioni e che dunque non potrebbe esistere un proprium cristiano. Ma alla questione del proprium di una morale biblica, non si risponde affermando che, per ogni singola frase, si può trovare da qualche parte un’equivalente in altre religioni. È invece l’insieme della morale biblica che come tale è nuovo e diverso rispetto alle singole parti. La peculiarità dell’insegnamento morale della Sacra Scrittura risiede ultimamente nel suo ancoraggio all’immagine di Dio, nella fede nell’unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e che ha vissuto come uomo. Il Decalogo è un’applicazione alla vita umana della fede biblica in Dio. Immagine di Dio e morale vanno insieme e producono così quello che è specificamente nuovo dell’atteggiamento cristiano verso il mondo e la vita umana. Del resto, sin dall’inizio il cristianesimo è stato descritto con la parola hodòs. La fede è un cammino, un modo di vivere. Nella Chiesa antica, rispetto a una cultura sempre più depravata, fu istituito il catecumenato come spazio di esistenza nel quale quel che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano veniva insegnato e anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune. Penso che anche oggi sia necessario qualcosa di simile a comunità catecumenali affinché la vita cristiana possa affermarsi nella sua peculiarità.

II
Prime reazioni ecclesiali

  1. Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa. Nell’ambito dell’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, interessa soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente sino a quel momento di questa preparazione.

In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata nel dettaglio. Come primo passo fu disposta una Visita apostolica nei seminari degli Stati Uniti.

Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi valeva ora soprattutto la loro “conciliarità”, potendo intendersi naturalmente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chiesa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momento, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo. Un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva mostrato ai seminaristi film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede. Vi furono singoli vescovi – e non solo negli Stati Uniti d’America – che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna “cattolicità”. Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco.

La Visita che seguì non portò nuove informazioni, perché evidentemente diverse forze si erano coalizzate al fine di occultare la situazione reale. Venne disposta una seconda Visita che portò assai più informazioni, ma nel complesso non ebbe conseguenze. Ciononostante, a partire dagli anni ’70, la situazione nei seminari in generale si è consolidata. E tuttavia solo sporadicamente si è verificato un rafforzamento delle vocazioni, perché nel complesso la situazione si era sviluppata diversamente.

  1. La questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti nel frattempo era già cresciuta, divenendo un problema pubblico. Così i vescovi chiesero aiuto a Roma perché il diritto canonico, così come fissato nel Nuovo Codice, non appariva sufficiente per adottare le misure necessarie. In un primo momento Roma e i canonisti romani ebbero delle difficoltà con questa richiesta; a loro avviso, per ottenere purificazione e chiarimento, sarebbe dovuta bastare la sospensione temporanea dal ministero sacerdotale. Questo non poteva essere accettato dai vescovi americani perché in questo modo i sacerdoti restavano al servizio del vescovo, venendo così ritenuti come figure direttamente a lui legate. Un rinnovamento e un approfondimento del diritto penale, intenzionalmente costruito in modo blando nel Nuovo Codice, poté farsi strada solo lentamente.

A questo si aggiunse un problema di fondo che riguardava la concezione del diritto penale. Ormai era considerato “conciliare” solo il così detto “garantismo”. Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna. Come contrappeso alla possibilità spesso insufficiente di difendersi da parte di teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero quasi impossibili.

Mi sia consentito a questo punto un breve excursus. Di fronte all’estensione delle colpe di pedofilia, viene in mente una parola di Gesù che dice: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42). Nel suo significato originario questa parola non parla dell’adescamento di bambini a scopo sessuale. Il termine «i piccoli» nel linguaggio di Gesù designa i credenti semplici, che potrebbero essere scossi nella loro fede dalla superbia intellettuale di quelli che si credono intelligenti. Gesù qui allora protegge il bene della fede con una perentoria minaccia di pena per coloro che le recano offesa. Il moderno utilizzo di quelle parole in sé non è sbagliato, ma non deve occultare il loro senso originario. In esso, contro ogni garantismo, viene chiaramente in luce che è importante e abbisogna di garanzia non solo il diritto dell’accusato. Sono altrettanto importanti beni preziosi come la fede. Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dell’accusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge. Deve proteggere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: protezione giuridica dell’accusato e protezione giuridica del bene che è in gioco. Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione giuridica della fede. Nella coscienza giuridica comune la fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. È una situazione preoccupante, sulla quale i pastori della Chiesa devono riflettere e considerare seriamente.

Ai brevi accenni sulla situazione della formazione sacerdotale al momento del deflagrare pubblico della crisi, vorrei ora aggiungere alcune indicazioni sull’evoluzione del diritto canonico in questa questione. In sé, per i delitti commessi dai sacerdoti è responsabile la Congregazione per il clero. Poiché tuttavia in essa il garantismo allora dominava ampiamente la situazione, concordammo con papa Giovanni Paolo II sull’opportunità di attribuire la competenza su questi delitti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, con la titolatura “Delicta maiora contra fidem”. Con questa attribuzione diveniva possibile anche la pena massima, vale a dire la riduzione allo stato laicale, che invece non sarebbe stata comminabile con altre titolature giuridiche. Non si trattava di un escamotage per poter comminare la pena massima, ma una conseguenza del peso della fede per la Chiesa. In effetti è importante tener presente che, in simili colpe di chierici, ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti. La gravità della pena presuppone tuttavia anche una chiara prova del delitto commesso: è il contenuto del garantismo che rimane in vigore. In altri termini: per poter legittimamente comminare la pena massima è necessario un vero processo penale. E tuttavia, in questo modo si chiedeva troppo sia alle diocesi che alla Santa Sede. E così stabilimmo una forma minima di processo penale e lasciammo aperta la possibilità che la stessa Santa Sede avocasse a sé il processo nel caso che la diocesi o la metropolia non fossero in grado di svolgerlo. In ogni caso il processo doveva essere verificato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per garantire i diritti dell’accusato. Alla fine, però, nella Feria IV (vale a dire la riunione di tutti i membri della Congregazione), creammo un’istanza d’appello, per avere anche la possibilità di un ricorso contro il processo. Poiché tutto questo in realtà andava al di là delle forze della Congregazione per la Dottrina della Fede e si verificavano dei ritardi che invece, a motivo della materia, dovevano essere evitati, papa Francesco ha intrapreso ulteriori riforme.

III
Alcune prospettive

  1. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è già fallito. Solo l’amore e l’obbedienza a nostro Signore Gesù Cristo possono indicarci la via giusta. Proviamo perciò innanzitutto a comprendere in modo nuovo e in profondità cosa il Signore abbia voluto e voglia da noi.

In primo luogo direi che, se volessimo veramente sintetizzare al massimo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signore ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio. È redento chi si affida all’amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull’incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini.

Se ora proviamo a svolgere un po’ più ampiamente questo contenuto essenziale della Rivelazione di Dio, potremmo dire: il primo fondamentale dono che la fede ci offre consiste nella certezza che Dio esiste. Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove proviene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate – solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene – anche la vita dell’uomo può avere un senso.

Che Dio ci sia come creatore e misura di tutte le cose, è innanzitutto un’esigenza originaria. Ma un Dio che non si manifestasse affatto, che non si facesse riconoscere, resterebbe un’ipotesi e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita. Affinché Dio sia realmente Dio nella creazione consapevole, dobbiamo attenderci che egli si manifesti in una qualche forma. Egli lo ha fatto in molti modi, e in modo decisivo nella chiamata che fu rivolta ad Abramo e diede all’uomo quell’orientamento, nella ricerca di Dio, che supera ogni attesa: Dio diviene creatura egli stesso, parla a noi uomini come uomo.

Così finalmente la frase “Dio è” diviene davvero una lieta novella, proprio perché è più che conoscenza, perché genera amore ed è amore. Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo, rappresenta il primo e fondamentale compito che il Signore ci assegna.

Una società nella quale Dio è assente – una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della “morte di Dio”. Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta, essa si è diffusa sempre più. E ora, scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani si commettono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti deve scuoterci e scandalizzarci in misura particolare.

Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza.

Il primo compito che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo consiste nell’iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivolti a lui e in obbedienza a lui. Soprattutto dobbiamo noi stessi di nuovo imparare a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita e non accantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi. Mi resta impresso il monito che il grande teologo Hans Urs von Balthasar vergò una volta su uno dei suoi biglietti: «Il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo: non presupporlo ma anteporlo!». In effetti, anche nella teologia, spesso Dio viene presupposto come fosse un’ovvietà, ma concretamente di lui non ci si occupa. Il tema “Dio” appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire.

  1. Dio è divenuto uomo per noi. La creatura uomo gli sta talmente a cuore che egli si è unito a essa entrando concretamente nella storia. Parla con noi, vive con noi, soffre con noi e per noi ha preso su di sé la morte. Di questo certo parliamo diffusamente nella teologia con un linguaggio e con concetti dotti. Ma proprio così nasce il pericolo che ci facciamo signori della fede, invece di lasciarci rinnovare e dominare dalla fede.

Consideriamo questo riflettendo su un punto centrale, la celebrazione della Santa Eucaristia. Il nostro rapporto con l’Eucaristia non può che destare preoccupazione. A ragione il Vaticano II intese mettere di nuovo al centro della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa questo sacramento della presenza del corpo e del sangue di Cristo, della presenza della sua persona, della sua passione, morte e risurrezione. In parte questa cosa è realmente avvenuta e per questo vogliamo di cuore ringraziare il Signore.

Ma largamente dominante è un altro atteggiamento: non domina un nuovo profondo rispetto di fronte alla presenza della morte e risurrezione di Cristo, ma un modo di trattare con lui che distrugge la grandezza del mistero. La calante partecipazione alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia mostra quanto poco noi cristiani di oggi siamo in grado di valutare la grandezza del dono che consiste nella Sua presenza reale. L’Eucaristia è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano che sia distribuita a tutti gli invitati a ragione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familiari o eventi come matrimoni e funerali. L’ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo Sacramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale. Se riflettiamo sul da farsi, è chiaro che non abbiamo bisogno di un’altra Chiesa inventata da noi. Quel che è necessario è invece il rinnovamento della fede nella realtà di Gesù Cristo donata a noi nel Sacramento.

Nei colloqui con le vittime della pedofilia sono divenuto consapevole con sempre maggiore forza di questa necessità. Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale, che era suo superiore visto che lei era chierichetta, introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei con queste parole: «Questo è il mio corpo che è dato per te». È evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. Sì, dobbiamo urgentemente implorare il perdono del Signore e soprattutto supplicarlo e pregarlo di insegnare a noi tutti a comprendere nuovamente la grandezza della sua passione, del suo sacrificio. E dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia.

  1. Ed ecco infine il mistero della Chiesa. Restano impresse nella memoria le parole con cui ormai quasi cento anni fa Romano Guardini esprimeva la gioiosa speranza che allora si affermava in lui e in molti altri: “Un evento di incalcolabile portata è iniziato: La Chiesa si risveglia nelle anime”. Con questo intendeva dire che la Chiesa non era più, come prima, semplicemente un apparato che ci si presenta dal di fuori, vissuta e percepita come una specie di ufficio, ma che iniziava ad essere sentita viva nei cuori stessi: non come qualcosa di esteriore ma che ci toccava dal di dentro. Circa mezzo secolo dopo, riflettendo di nuovo su quel processo e guardando a cosa era appena accaduto, fui tentato di capovolgere la frase: “La Chiesa muore nelle anime”. In effetti oggi la Chiesa viene in gran parte vista solo come una specie di apparato politico. Di fatto, di essa si parla solo utilizzando categorie politiche e questo vale persino per dei vescovi che formulano la loro idea sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici. La crisi causata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisamente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo. Ma una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza.

Gesù stesso ha paragonato la Chiesa a una rete da pesca nella quale stanno pesci buoni e cattivi, essendo Dio stesso colui che alla fine dovrà separare gli uni dagli altri. Accanto c’è la parabola della Chiesa come un campo sul quale cresce il buon grano che Dio stesso ha seminato, ma anche la zizzania che un “nemico” di nascosto ha seminato in mezzo al grano. In effetti, la zizzania nel campo di Dio, la Chiesa, salta all’occhio per la sua quantità e anche i pesci cattivi nella rete mostrano la loro forza. Ma il campo resta comunque campo di Dio e la rete rimane rete da pesca di Dio. E in tutti i tempi c’è e ci saranno non solo la zizzania e i pesci cattivi ma anche la semina di Dio e i pesci buoni. Annunciare in egual misura entrambe con forza non è falsa apologetica, ma un servizio necessario reso alla verità.

In quest’ambito è necessario rimandare a un importante testo della Apocalisse di San Giovanni. Qui il diavolo è chiamato accusatore che accusa i nostri fratelli dinanzi a Dio giorno e notte (Ap 12,10). In questo modo l’Apocalisse riprende un pensiero che sta al centro del racconto che fa da cornice al libro di Giobbe (Gb 1 e 2, 10; 42, 7-16). Qui si narra che il diavolo tenta di screditare la rettitudine e l’integrità di Giobbe come puramente esteriori e superficiali. Si tratta proprio di quello di cui parla l’Apocalisse: il diavolo vuole dimostrare che non ci sono uomini giusti; che tutta la giustizia degli uomini è solo una rappresentazione esteriore. Che se la si potesse saggiare di più, ben presto l’apparenza della giustizia svanirebbe. Il racconto inizia con una disputa fra Dio e il diavolo in cui Dio indicava in Giobbe un vero giusto. Ora sarà dunque lui il banco di prova per stabilire chi ha ragione. “Togligli quanto possiede – argomenta il diavolo – e vedrai che nulla resterà della sua devozione”. Dio gli permette questo tentativo dal quale Giobbe esce in modo positivo. Ma il diavolo continua e dice: “Pelle per pelle; tutto quanto ha, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia” (Gb 2, 4s). Così Dio concede al diavolo una seconda possibilità. Gli è permesso anche di stendere la mano su Giobbe. Unicamente gli è precluso ucciderlo. Per i cristiani è chiaro che quel Giobbe che per tutta l’umanità esemplarmente sta di fronte a Dio è Gesù Cristo. Nell’Apocalisse, il dramma dell’uomo è rappresentato in tutta la sua ampiezza. Al Dio creatore si contrappone il diavolo che scredita l’intera creazione e l’intera umanità. Egli si rivolge non solo a Dio ma soprattutto agli uomini dicendo: “Ma guardate cosa ha fatto questo Dio. Apparentemente una creazione buona. In realtà nel suo complesso è piena di miseria e di schifo”. Il denigrare la creazione in realtà è un denigrare Dio. Il diavolo vuole dimostrare che Dio stesso non è buono e vuole allontanarci da lui.

L’attualità di quel che dice l’Apocalisse è lampante. L’accusa contro Dio oggi si concentra soprattutto nello screditare la sua Chiesa nel suo complesso e così nell’allontanarci da essa. L’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente. No, anche oggi la Chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania. La Chiesa di Dio c’è anche oggi, e proprio anche oggi essa è lo strumento con il quale Dio ci salva. È molto importante contrapporre alle menzogne e alle mezze verità del diavolo tutta la verità: sì, il peccato e il male nella Chiesa ci sono. Ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile. Anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama. Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (“martyres”) nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli.

Il termine martire è tratto dal diritto processuale. Nel processo contro il diavolo, Gesù Cristo è il primo e autentico testimone di Dio, il primo martire, al quale da allora innumerevoli ne sono seguiti. La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente. Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa, possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro sofferenza si impegnano per Dio. È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Fra i compiti grandi e fondamentali del nostro annuncio c’è, nel limite delle nostre possibilità, il creare spazi di vita per la fede, e soprattutto il trovarli e il riconoscerli.

Vivo in una casa nella quale una piccola comunità di persone scopre di continuo, nella quotidianità, testimoni così del Dio vivo, indicandoli anche a me con letizia. Vedere e trovare la Chiesa viva è un compito meraviglioso che rafforza noi stessi e che sempre di nuovo ci fa essere lieti della fede.

Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!

(Benedetto XVI)   
CITTÀ DEL VATICANO , 11 aprile, 2019 / 8:30 AM (ACI Stampa)

Si è fusa la locomotiva tedesca


Le previsioni di crescita dimezzate, la frenata dell'industria, la corsa alle nazionalizzazioni, il crollo dell'export, il fallimento dei progetti di maxi-fusioni. E poi: le crescenti difficoltà del settore bancario, l'ascesa dell'estrema destra, la competizione con la Cina, le tensioni con gli Stati Uniti su commercio, spese militari, approvvigionamento energetico e la grande sfida tecnologica del 5G. Da qualsiasi punto ci si metta ad osservarla - geopolitico, industriale, finanziario, sociale o economico - quella che da Berlino si impone su tutti gli Stati europei è una grande questione: la "questione tedesca", come solo pochi giorni fa l'autorevole rivista statunitense Foreign Affairs titolava un lungo articolo in cui sono messi in discussione gli equilibri geopolitici ereditati dalla Seconda Guerra Mondiale.
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Per Di Maio, il riferimento economico resta la Germania (insieme alla Francia)
Concentrati sul rallentamento economico dell'Italia malato d'Europa, i dati che da settimane giungono dal Berlino disegnano un quadro forse ancora più sconfortante. Il Governo tedesco si appresta a dimezzare le previsioni di crescita per il 2019, dall'1% allo 0,5%, anche se le cifre potrebbero cambiare ancora, riportano Spiegel e Handelsblatt, con ulteriori aggiustamenti nella presentazione ufficiale dei dati mercoledì prossimo. Ancora più in basso rispetto allo 0,8% previsto dai principali istituti di ricerca tedeschi, che a settembre prevedevano invece l'1,9%. Dal Forum Ambrosetti il presidente dell'Ifo Clemens Fuest ha definito quello dell'industria tedesca un problema "europeo". A febbraio gli ordini di fabbrica sono crollati del 4,2%, il ribasso più forte da due anni. Su base annua la flessione tocca l'8,4%, la più pesante in dieci anni. Di dati negativi sono piene le recenti rilevazioni a Berlino, dove la parola "recessione" non è più un tabù.
Le cause sono state rintracciate nel rallentamento della domanda mondiale e nelle tensioni commerciali, che hanno innescato il conseguente crollo delle esportazioni, fino a ieri punto di forza della locomotiva che non ha mancato di attirare le ire dei partner europei per il mancato rispetto del tetto al surplus commerciale. Non sorprende quindi che anche la crisi economica in Turchia abbia assestato un grave colpo all'economia tedesca sul fronte della domanda estera. Soprattutto, spiega il motivo dell'operato di Angela Merkel ("Farò di tutto per evitare un No-deal") nei negoziati sulla Brexit, volto ad evitare un altro shock all'industria, già duramente colpita dai dazi americani su acciaio e alluminio, come ha più volte messo in guardia la Confindustria (BDI). Il Regno Unito è il quarto Paese per destinazione di esportazioni per la Germania, dopo Stati Uniti, Cina e Francia. Principalmente Berlino esporta verso Londra auto per circa il 23% del suo export, oltre a ricambi, alluminio e prodotti medici.
Il settore dell'automotive, da fiore all'occhiello è finito nell'occhio del ciclone. Prima pagando a caro prezzo lo scandalo del dieselgate e i nuovi standard sulle emissioni, e di recente finita al centro di una nuova inchiesta dell'Antitrust Ue guidata da Marghrete Vestager per un presunto cartello tra le tre principali case automobilistiche: VolksWagen, Bmw e Daimler. Ma è dagli Stati Uniti che arriva la minaccia più pericolosa, quella dei dazi sulle automobili (poco meno del 20% dell'export Ger-Usa).
Il presidente americano Donald Trump da tempo si scaglia contro "l'eccessivo export" dell'Ue verso gli Stati Uniti, senza nascondere che il vero obiettivo è Berlino. È ormai guerra aperta tra Washington e Bruxelles, e l'ultimo capitolo è stato aperto dal tycoon americano sull'occhio di riguardo riservato dall'Unione Europea al suo campione dei cieli e diretto competitor dell'americana Boeing: l'Airbus franco-tedesco (e in via minore partecipato anche da Spagna e UK). Risultato: un'altra minaccia di undici miliardi di dazi che pende sul capo di tutti i Paesi dell'Ue.
Dietro c'è l'evidente e interessata strategia americana di rompere l'unità dell'Ue. Negli Stati Uniti si parla di una "New German Question". Secondo Foreign Affairs, l'ordine geopolitico ed economico costruito alla fine della II Guerra Mondiale, grazie all'intervento e alla sicurezza garantita dagli Usa, rischia di vacillare. La rinuncia di Berlino alle sue ambizioni geopolitiche le ha permesso allora di concentrarsi su quelle economiche: "Gli Stati Uniti non solo hanno tollerato il successo economico della Germania occidentale e del resto dell'Europa occidentale, ma l'hanno accolto favorevolmente, anche a spese dell'industria americana". Tutto pur di ancorare la Germania post-bellica al mondo liberale del Vecchio Continente e nell'orbita della Nato, e pur di sopprimere le spinte nazionalistiche che storicamente hanno caratterizzato il Vecchio Continente ma soprattutto la Germania: perché lì "nessun altro nazionalismo aveva svolto un ruolo così distruttivo nel sanguinoso passato dell'Europa".
Oggi però la crisi economica e le crescenti tensioni con gli Stati Uniti stanno facendo risorgere la questione tedesca: "Il nazionalismo è in aumento in tutta Europa; la democrazia è sotto pressione in alcune aree del continente; il regime internazionale di libero scambio è sotto attacco, principalmente dagli Stati Uniti; e la garanzia di sicurezza americana è stata messa in dubbio dallo stesso presidente Trump", da tempo critico verso il mancato rispetto degli impegni degli alleati Nato sulle spese militari.
La "guerra" che gli Usa stanno facendo all'Europa e alla Germania investe i settori più disparati ma tutti cruciali. Duri avvertimenti a Berlino e tentativi di boicottaggio sono arrivati sul progetto del gasdotto Nord Stream 2 per portare 55 miliardi di metri cubi di gas annui dalla Russia in Germania e di qui in Europa, rendendola quindi più dipendente da Mosca. Così come sono arrivati "inviti" a non consentire l'ingresso del colosso cinese Huawei nella costruzione della rete 5G tedesca.
Le insidie geopolitiche che arrivano dall'altra sponda dell'Atlantico si sommano alle difficoltà crescenti che la Germania sta incontrando nel Vecchio Continente. Sul fronte interno, dove l'estrema destra di Afd ha fatto per la prima volta dal Dopoguerra apparizione nel Bundestag. Ma pure nel panorama europeo i tempi pare siano cambiati. Aumenta l'ostilità anti-tedesca in alcuni Paesi del sud Europa (Grecia e Italia in primis), ad esempio. E scricchiola l'asse con la Francia su importanti decisioni politiche, come il progetto di rafforzamento dell'Eurozona e la Brexit. Il Financial Times ne sottolinea l'ironia per il Regno Unito, da quarantanni dentro l'Ue con l'intento di dividere l'alleanza franco-tedesca senza successo, per poi riuscirci nel momento della sua uscita.
Sul fronte Ue Berlino ha subito una importante bocciatura da parte della Commissione Europea al progetto di fusione della tedesca Siemens con la francese Alstom per la nascita di un grande campione europeo del business ferroviario capace di competere con il colosso cinese CRRC: il No di Vestager ancora oggi è bersaglio di affondi da parte del ministro dell'Economia Altmaier e dagli industriali tedeschi. E ha di fronte una strada tutta in salita nel settore bancario: tanto per il salvataggio di Nord Lb grazie all'iniezione di soldi pubblici quanto per l'ambiziosa (e secondo alcuni membri del Consiglio di Vigilanza della Bce "illogica") fusione tra i due principali istituti in difficoltà, Deutsche Bank e Commerzbank.

Da qualsiasi lato la si prenda, la questione tedesca esiste e anche gli altri partner europei ne pagano le conseguenze. L'Italia lo fa indirettamente (al netto delle scelte di politica economica assunte dall'attuale come dai governi precedenti), essendo le due economie strettamente legate: quello tedesco è il primo mercato di sbocco dell'export italiano (12% del valore totale), così come la Germania è al primo posto per importazioni in Italia, circa il 16% del valore complessivo dell'import. Se c'è un aspetto positivo, è appeso alla speranza: quella di trovarsi di fronte, al momento dei negoziati in Europa sulle misure di spesa, interlocutori più morbidi, consapevoli del fatto che la locomotiva europea si è fusa.
Fonte: qui

ARRESTI NEL PD, TREMA LA GIUNTA UMBRA!

AI DOMICILIARI IL SEGRETARIO REGIONALE GIAMPIERO BOCCI E L’ASSESSORE ALLA SANITÀ LUCA BARBERINI 
INDAGATA LA PRESIDENTE CATIUSCIA MARINI 
L’ACCUSA? AVER CREATO UN'ASSOCIAZIONE A DELINQUERE PER TRUCCARE E CONDIZIONARE LE ASSUNZIONI NEGLI OSPEDALI 
ALMENO 8 I CONCORSI TAROCCATI 
LE INTERCETTAZIONI: "QUELLI CHE MI HAI DATO TE LI HO DATI TUTTI IL MASSIMO..." 
ZINGARETTI HA SUBITO COMMISSARIATO LA FEDERAZIONE LOCALE…
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

Un'associazione a delinquere per truccare e condizionare le assunzioni negli ospedali, piegandole alle richieste dei politici locali. L'avevano messa in piedi, secondo l'accusa della Procura di Perugia, il direttore generale della Azienda ospedaliera umbra Emilio Duca, il direttore amministrativo Maurizio Valorosi e altri complici.
CATIUSCIA MARINI E GIANPIERO BOCCICATIUSCIA MARINI E GIANPIERO BOCCI

Ma dietro ci sarebbero state le pressioni della presidente della Regione Catiuscia Marini, dell' assessore alla Salute Luca Barberini e del segretario del Partito democratico umbro (nonché ex deputato e sottosegretario al ministero dell' Interno) Giampiero Bocci. Barberini e Bocci sono ora agli arresti domiciliari come Duca e Valorosi, mentre la presidente Marini è indagata per concorso in abuso d' ufficio, rivelazione di segreto e falso.

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI

Un terremoto giudiziario che fa tremare il governo della Regione e la politica del Pd in Umbria. Ieri gli ufficiali della Guardia di finanza hanno perquisito gli uffici della presidente Marini che si è detta «tranquilla e fiduciosa nell' operato della magistratura».

Il neo-segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha già commissariato la federazione locale.
In attesa delle versioni degli inquisiti, le carte dell' accusa raccontano di un «efficiente e solido sistema clientelare», fondato su una «prolungata e abituale attività illecita» per pilotare i concorsi dell' azienda ospedaliera. Almeno 8 sono i concorsi manipolati individuati dagli investigatori delle Fiamme gialle e dai pm guidati dal procuratore Luigi De Ficchy, che grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali hanno seguito quasi in diretta le assegnazioni dei posti ai candidati indicati dai politici Bocci, Barberini e Marini. Grazie ai dirigenti ospedalieri che li informavano prima sul contenuto delle prove d' esame e poi aggiustavano i punteggi a loro favore.

«Gli porto su le domande, sennò come fa?», diceva, prima di andare in consiglio regionale, il direttore Duca. Al quale una componente della commissione d' esame confidava: «Quelli che mi hai dato te (i nomi dei candidati, ndr ) li ho dati tutti il massimo...».
nicola zingarettiNICOLA ZINGARETTI

Dopodiché si giustificava con un primario dispiaciuto per il piazzamento di due infermiere: «Ma non te sto a dire... erano tanti da sistema'». Per l' assunzione di quattro assistenti contabili, Duca e Valorosi si sono trovati a dover assecondare le raccomandazioni dell' assessore Barberini e di Bocci, ma anche della nipote di un dirigente regionale del Pd e della presidente Marini.

Dalle intercettazioni del 9 maggio 2018, infatti, risulta che il direttore abbia promesso di consegnare le tracce della prova scritta al vicepresidente del consiglio regionale Alvaro Mirabassi e a Bocci, dopodiché incontra la presidente della Regione: «Qui ce so le domande, tra quelle lì... sta tranquilla», le dice, e secondo gli inquirenti «consegna un foglio al di lei segretario, Valentino Valentini, al quale viene affidato il compito di portarlo a una donna».

Era la favorita della governatrice, che assieme ai nomi dei segnalati dagli altri politici figurerà nelle prime quattro posizioni. Gli stessi aiuti vengono garantiti anche per le prove pratiche e orali, in particolari alla candidata di Bocci. «Era andato da Bocci per scrivergli un po' d' appunti per 'sta ragazza», dice Duca, mentre Valorosi riferisce: «Messaggio da Bocci: vuole gli orali, le domande orali». Alla presidente della commissione Duca raccomanda di «portare avanti le persone raccomandate da Bocci, Barberini e Marini, e dunque di "gonfiare" in particolare la valutazione di una delle candidate».

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI
Per un candidato meritevole ma «non segnalato» si riserva un posto futuro, mentre per la nomina del direttore della Struttura di anestesia vengono abbassati i punteggi di un «esterno» sperando che non si presenti (come avverrà), e alzati quelli del favorito da Bocci: «Ci puoi anche mettere mezzo punto in più per avvicinarlo a questo, che tanto non ci sarà, e dopo lo porti a 39!». Conclusione del giudice: «L' intera procedura verrà svuotata di ogni valenza in quanto gli indagati ne decideranno le sorti in maniera del tutto indipendente da ogni valutazione di merito».

Fonte: qui

ECCO COME VENIVANO TRUCCATI I CONCORSI NELLA SANITA’ IN UMBRIA 
UN SISTEMA DI PRESSIONI DI CURIA, MASSONI, POLITICI 
LO SCONTRO TRA LE DUE ANIME DEL PD LOCALE, IL TRUCCO DELLE COMMISSIONI “PILOTATE”, GLI AIUTINI AI SEGNALATI E ALLE AMANTI 
LA RITORSIONE CONTRO LA PEDIATRA CHE VOLEVA VEDERCI CHIARO: “A QUELLA DOBBIAMO DARE UNA BASTONATA…”
PERUGIA, LO SFOGO NELLE INTERCETTAZIONI: GIUNTA, CURIA E MASSONI NON MI MOLLANO
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

Nel sistema delle assunzioni pilotate, anche chi alla prova d'esame faceva «scena muta» poteva avere delle chance . Il direttore amministrativo dell' Azienda ospedaliera perugina Maurizio Valorosi s'era messo a disposizione del politico che aveva raccomandato la candidata da respingere, Gianpiero Bocci.
CATIUSCIA MARINICATIUSCIA MARINI

«Gli ho detto "Gianpiero, io se tu dici che è una questione vitale... da quanto vedo c'ha delle difficoltà"», raccontava al direttore generale Emilio Duca. Ma Bocci non insisté: «Non è una questione di vita o di morte... Ho capito, insomma, che sì, interessava, però fino a un certo punto... e allora meglio prendere due buoni».

Ora che sono tutti agli arresti domiciliari (Duca, Valorosi, l'ormai ex segretario regionale del Pd Bocci e l' altrettanto ex assessore regionale alla Sanità Luca Barberini), emergono i retroscena delle trame per truccare i concorsi raccontati dagli stessi protagonisti. Che si arrabattavano per «contemperare l' onestà intellettuale, l' attenzione ai nostri amministratori, ma anche il funzionamento dell' azienda», confidava Duca.

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI
Per il giudice che ha ordinato gli arresti è la dimostrazione di un «meccanismo clientelare diffusissimo», alimentato con «prassi illecite ben tollerate da tutto l' ambiente», del quale «gli stessi indagati sembrano essere dei semplici ingranaggi». Al punto che Duca quasi si lamentava di non riuscire a scrollarsi di dosso «le sollecitazioni dei massimi vertici di questa regione a tutti i livelli... ecclesiastici - omissis - ecumenici, politici, tecnici... Tra la massoneria, la giunta e la curia - omissis - non me danno tregua».

Secondo la Procura dietro il «sistema» c' era una vera e propria associazione a delinquere, ma il giudice delle indagini preliminari non la vede allo stesso modo. Perché, sostiene, «dovrebbe ricomprendere i referenti politici, che incidono pesantemente nelle procedure di selezione sia del personale infermieristico che medico». I pubblici ministeri, invece, per ora li hanno lasciati fuori dalla presunta «consorteria criminale».

Ma al di là dei reati contestati, l'indagine che scuote alle fondamenta la Giunta e il Partito democratico dell' Umbria ha scoperchiato un sistema di potere dentro il quale si specchiano due fazioni interne al Pd e al governo regionale, da sempre in lotta tra loro. Nel corso di Perugia se ne parla nei crocchi e ai tavolini dei bar. È come se la magistratura avesse gridato alla città che il re è nudo, e in questo caso la verità conosciuta da tutti ma da tutti taciuta è lo scontro intestino tra l'anima ex democristiana della Margherita (rappresentata da Bocci e Barberini) e quella ex comunista dei ds, di cui è espressione la presidente della Regione Catiuscia Marini.
CATIUSCIA MARINI E GIANPIERO BOCCICATIUSCIA MARINI E GIANPIERO BOCCI

Con Bocci si scontrò alle primarie, lo sconfitto si trasferì alla Camera e al sottogoverno nazionale (sottosegretario all' Interno), ma qui è rimasto saldamente agganciato a un pezzo di governo e di amministrazione del consenso. Quando nel 2016 la presidente nominò Duca alla guida dell'Azienda ospedaliera di Perugia, il suo fedelissimo Barberini si dimise dall' assessorato: lui e Bocci sponsorizzavano Valorosi, rimasto nella carica di direttore amministrativo. Poi la protesta rientrò, e dalle intercettazioni sembrerebbe che la convivenza proseguì grazie alla gestione clientelare delle assunzioni, con la spartizione dei posti da assegnare grazie ai concorsi truccati.

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI
Quando s' è trattato di eleggere il segretario regionale, dopo la sconfitta alle elezioni politiche che ha contribuito a scolorire l'Umbria rendendola sempre meno rossa, Bocci s' è candidato alle primarie contro Walter Verini, il deputato scelto da Zingaretti per commissariare il partito dopo gli arresti.

«Io e Bocci non siamo la stessa cosa - dichiarò Verini all' epoca -, io non ho mai avuto un candidato per una Asl, e quando sento dire "i miei" penso ai familiari, non alle truppe nel partito». Nei gazebo vinse Bocci, quattro mesi dopo è lui a guidare il Pd, ma ancora una volta sono arrivati prima i magistrati.

«L' inchiesta farà il suo corso, però è chiaro che un sistema di governo che pure ha prodotto risultati positivi e importanti si mostra logoro, chiuso e autoreferenziale - dice Verini nella sede del partito dopo aver diretto la prima riunione di ciò che resta della segreteria -. Io credo che abbiamo gli anticorpi per risollevarci, ma se non lo facciamo in fretta lasceremo campo libero alla Lega, oltre che alla magistratura».

Catiuscia MariniCATIUSCIA MARINI
Salvini ha già chiesto elezioni anticipate per la Regione, ma la ministra 5 Stelle Giulia Grillo lo ha stoppato: «Nessun sciacallaggio». Il 26 maggio qui si voterà per il Parlamento europeo ma anche per il sindaco. Per provare a riprendersi la città ceduta cinque anni fa al candidato di Forza Italia Andrea Romizi, il Partito democratico ha evitato di dilaniarsi alle primarie scegliendo il giornalista tv Giuliano Giubilei, che ora per provare ad arrivare al ballottaggio dovrà saltare anche l' ostacolo di questa inchiesta giudiziaria.

Che rischia di avere conseguenze pure su altri confronti e conflitti di potere e sottopotere, dove gli sfidanti fanno capo sempre agli stessi schieramenti. Come nella imminente scelta del rettore dell' università; i due candidati con maggiori possibilità si portano addosso le rispettive sponsorizzazioni di Bocci e Marini. Anche se c' entrano nulla con l' indagine, entrambi temono di uscirne azzoppati. Perché a prescindere dai reati, è un sistema di potere a ritrovarsi sotto accusa.
GIANPIERO BOCCIGIANPIERO BOCCI

COSÌ SILURARONO LA PEDIATRA ONESTA «A QUELLA DAREMO UNA BASTONATA»
Luca Benedetti Michele Milletti per “il Messaggero”

Nell' inchiesta su sanità e favori che ha messo in ginocchio il Pd umbro e fatto vacillare la giunta regionale con arresti e indagati, c' erano i favoriti e i nemici. E i nemici sono quelli che si opponevano a quel sistema che per la Procura si basava su un «muro di omertà».
«Una bastonata, di quelle forti, che si fa male», è l'indicazione che il direttore amministrativo dell' azienda ospedaliera perugina, Maurizio Valorosi (ai domiciliari) chiede di dare alla professoressa Susanna Esposito, primario di Clinica Pediatrica. Lo chiede a Diamante Pacchiarini (direttore sanitario, indagato).

La Esposito nel maggio dell'anno scorso ha presentato un esposto in Procura per segnalare criticità e anomalie. L'anomalia era la presenza a reparto di un professore di geriatria medica parcheggiato a Pediatria dal 2015. Due anni dopo la scheda di valutazione firmata dalla Esposito è stata positiva, ma la professoressa ha spiegato in Procura che lo aveva fatto «solo perché pressata (anche con minacce di conseguenti provvedimenti disciplinari in caso contrario) dalla dirigenza amministrativa....».
Catiuscia MariniCATIUSCIA MARINI

In effetti l'Esposito viene bastonata: sospesa per quattro mesi e multata di 350 euro. «Tu controlla i tabulati orari...Diamà, fatti mandare i tabulati orari dell' ultimo anno e mezzo», dice il direttore generale Emilio Duca (da venerdì mattina ai domiciliari) perché la Esposito viene inchiodata alla sospensione e alla multa controllando al millimetro le presenze a reparto. Ma, scrive il gip, facendo anche scadere i termini perentori di 30 giorni per iniziare il provvedimento disciplinare.

IL TRUCCO DELLE COMMISSIONI
Il sistema prevedeva l' aiutino ai segnalati, agli amici e anche alle amanti. Per farlo funzionare c' era un passaggio chiave: la formazione delle commissioni dei concorsi. Per esempio per il concorso di dirigente sanitario biologico un primario segnala un membro «affidabile». Il dg Duca spiega che il terzo membro della commissione va sorteggiato. E l' unica strada per mettere un amico è fare in modo che al sorteggio pubblico non si presenti nessuno.

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI
Ecco cosa ascolta da Duca la Finanza: «É stato detto che il giorno ultimo quando scade, presso i locali della Direzione del personale verrà praticato il sorteggio...di norma non viene nessuno...se non c' è nessuno e l'Ufficio personale se la sente dice: abbiamo sorteggiato...guarda caso è passato...». Anche un altro primario spinge per un membro di commissione amico. E Duca spiega: «Vediamo se io riesco, detto tra noi, a trovare una soluzione qua con l' estrattore».

TUTTI CHIEDEVANO PIACERI
Il dg Duca è l'uomo chiave dell' inchiesta. Per la Procura l'uomo del sistema e l'uomo che non può dire no al sistema. C'è da scegliere il primario di Gastroenterologia e lui, al telefono, si sfoga così per una impasse ancora irrisolta: «La gastro va chiusa...vanno rinchiusi in galera tutti (omissis)...non riesco a togliermi le sollecitazioni dei massimi vertici di questa regione a tutti i livelli...ecclesiastici(omissis) ecumenici, politici, tecnici. Se no a st' ora c' avevo messo le mani sulla gastro altro che disposizioni di servizio dell' altra volta; tra la massoneria, la curia e la giunta-omissis-non me danno tregua. E la Calabria Unita...(omissis)».

GIANPIERO BOCCI - LUCA BARBERINIGIANPIERO BOCCI - LUCA BARBERINI
Duca si sfoga, ma dice di aver capito quando Valorosi lo richiama all' ordine per far ricapitare le domande per gli orali di un concorso. Valorosi: «Messaggio da Bocci...vuole gli orali, le domande orali. Duca: «Ho capito». Gianpiero Bocci al momento dell' intercettazione, maggio 2018, sta passando le ultime ore al Viminale come sottosegretario all' Interno del governo Gentiloni. Ai domiciliari finirà da segretario regionale del Pd.

Fonte: qui

NELL’INCHIESTA SULLA SANITÀ IN UMBRIA SPUNTANO ANCHE RAPPORTI SESSUALI IN UFFICIO CON UNA CANDIDATA POI SELEZIONATA PER IL POSTO DA DIRIGENTE A TEMPO DETERMINATO PER IL SERVIZIO PROGRAMMAZIONE ECONOMICA-FINANZIARIA 
LA CONTESTAZIONE A EMILIO DUCA: “I DUE INTERLOCUTORI SI SCAMBIANO EFFUSIONI E HANNO UN RAPPORTO SESSUALE”

EMILIO DUCAEMILIO DUCA
«Il problema è che dico all’assessore. gli dico “guarda noi, io so’ riuscito a fa tutto sabato perché in verità mi sono dovuto anche prostituire perché, capisci anche l’imbarazzo visto dalla Mecocci (Patrizia, docente e direttore della Scuola di specializzazione in Geriatria, indagata) le ho detto “guarda è una persona dell’assessore… questa è quella che non è venuta gliè da da’ na mano».

Le raccomandazioni di “Concorsopoli” viaggiavano sempre sulla direttrice politico-amministrativa. Quando era l’assessore Luca Barberini, quando l’ex sottosegretario Gianpiero Bocci, quando, ancora la presidente della Regione, Catiuscia Marini a segnalare i nominativi e a chiedere le tracce delle prove d’esame. Tutti interessati – ma non solo loro – a piazzare i propri candidati ai primi posti dei concorsi pubblici dell’Umbria. Un “sistema” ormai collaudato, secondo la procura.

GIANPIERO BOCCI - LUCA BARBERINIGIANPIERO BOCCI - LUCA BARBERINI
È l’aprile del 2018 – nel pieno di un’indagine ancora top secret –: Emilio Duca, parlando con Maurizio Valorosi chiarisce di aver avuto i temi dalla dottoressa Mecocci «la quale gestiva personalmente e direttamente il concorso con il consenso del dottor Dottorini (Maurizio, presidente della Commissione di uno dei concorsi, anche lui indagato, ndr)».

Duca e Valorosi discutono addirittura – annota sempre il gip Valerio D’Andria – dell’esito della procedura, programmando quale debba essere l’ordine in modo da soddisfare tutte le esigenze in gioco: quelle della direttrice del Reparto, quelle dei medici interni che ambiscono a stabilizzare il loro rapporto di lavoro e quelle dei “raccomandati” dal politico”.
CATIUSCIA MARINICATIUSCIA MARINI

In particolare l’assessore alla sanità ha condizionato quattro procedure concorsuali, l’allora onorevole, nonché sottosegrerario del Pd, Bocci è intervenuto illecitamente in tre procedure. Un «abile sfruttamento di un efficiente e solido sistema clientelare».

Ma nell’inchiesta che ha provocato un terremoto politico senza precedenti spuntano anche rapporti sessuali in ufficio con una candidata poi selezionata per il posto da Dirigente a tempo determinato per il servizio programmazione Economica-finanziaria.

È il capo di imputazione 28: l’unico in cui la procura contesta a Emilio Duca il reato di corruzione per aver «compiuto atti contrari ai propri doveri d’ufficio in cambio di utilità consistite in diversi rapporti sessuali. A fronte di questi ultimi Duca poneva in essere – è sempre il capo di imputazione – un’attività di intermediazione e di influenza presso i componenti della Commissione esaminatrice».

LUCA BARBERINILUCA BARBERINI
Il riferimento è al caso di uno degli indagati che «incontra la candidata e le dà suggerimenti sia sul curriculum che sulle condotte da assumere dopo la nomina della commissione esaminatrice. Alla fine del secondo colloquio – scrive il gip – inoltre i due interlocutori si scambiano effusioni e hanno un rapporto sessuale». La circostanza si ripete anche in successive occasioni, riporta l’ordinanza: «Anche dopo la procedura i due si incontrano presso l’ufficio (...) consumando in ogni occasione un rapporto sessuale».

Il pm evidenzia come «i convegni amorosi si tengano proprio nel periodo in cui si svolge la procedura e senza che vi siano indici apparenti di una relazione sentimentale tra i due indagati» e ciò - sostiene - «indurrebbe a ritenere presente un vero e proprio accordo corruttivo fondato su uno scambio tra le prestazioni sessuali e la nomina». Fonte: qui