9 dicembre forconi: Si è fusa la locomotiva tedesca

sabato 13 aprile 2019

Si è fusa la locomotiva tedesca


Le previsioni di crescita dimezzate, la frenata dell'industria, la corsa alle nazionalizzazioni, il crollo dell'export, il fallimento dei progetti di maxi-fusioni. E poi: le crescenti difficoltà del settore bancario, l'ascesa dell'estrema destra, la competizione con la Cina, le tensioni con gli Stati Uniti su commercio, spese militari, approvvigionamento energetico e la grande sfida tecnologica del 5G. Da qualsiasi punto ci si metta ad osservarla - geopolitico, industriale, finanziario, sociale o economico - quella che da Berlino si impone su tutti gli Stati europei è una grande questione: la "questione tedesca", come solo pochi giorni fa l'autorevole rivista statunitense Foreign Affairs titolava un lungo articolo in cui sono messi in discussione gli equilibri geopolitici ereditati dalla Seconda Guerra Mondiale.
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Per Di Maio, il riferimento economico resta la Germania (insieme alla Francia)
Concentrati sul rallentamento economico dell'Italia malato d'Europa, i dati che da settimane giungono dal Berlino disegnano un quadro forse ancora più sconfortante. Il Governo tedesco si appresta a dimezzare le previsioni di crescita per il 2019, dall'1% allo 0,5%, anche se le cifre potrebbero cambiare ancora, riportano Spiegel e Handelsblatt, con ulteriori aggiustamenti nella presentazione ufficiale dei dati mercoledì prossimo. Ancora più in basso rispetto allo 0,8% previsto dai principali istituti di ricerca tedeschi, che a settembre prevedevano invece l'1,9%. Dal Forum Ambrosetti il presidente dell'Ifo Clemens Fuest ha definito quello dell'industria tedesca un problema "europeo". A febbraio gli ordini di fabbrica sono crollati del 4,2%, il ribasso più forte da due anni. Su base annua la flessione tocca l'8,4%, la più pesante in dieci anni. Di dati negativi sono piene le recenti rilevazioni a Berlino, dove la parola "recessione" non è più un tabù.
Le cause sono state rintracciate nel rallentamento della domanda mondiale e nelle tensioni commerciali, che hanno innescato il conseguente crollo delle esportazioni, fino a ieri punto di forza della locomotiva che non ha mancato di attirare le ire dei partner europei per il mancato rispetto del tetto al surplus commerciale. Non sorprende quindi che anche la crisi economica in Turchia abbia assestato un grave colpo all'economia tedesca sul fronte della domanda estera. Soprattutto, spiega il motivo dell'operato di Angela Merkel ("Farò di tutto per evitare un No-deal") nei negoziati sulla Brexit, volto ad evitare un altro shock all'industria, già duramente colpita dai dazi americani su acciaio e alluminio, come ha più volte messo in guardia la Confindustria (BDI). Il Regno Unito è il quarto Paese per destinazione di esportazioni per la Germania, dopo Stati Uniti, Cina e Francia. Principalmente Berlino esporta verso Londra auto per circa il 23% del suo export, oltre a ricambi, alluminio e prodotti medici.
Il settore dell'automotive, da fiore all'occhiello è finito nell'occhio del ciclone. Prima pagando a caro prezzo lo scandalo del dieselgate e i nuovi standard sulle emissioni, e di recente finita al centro di una nuova inchiesta dell'Antitrust Ue guidata da Marghrete Vestager per un presunto cartello tra le tre principali case automobilistiche: VolksWagen, Bmw e Daimler. Ma è dagli Stati Uniti che arriva la minaccia più pericolosa, quella dei dazi sulle automobili (poco meno del 20% dell'export Ger-Usa).
Il presidente americano Donald Trump da tempo si scaglia contro "l'eccessivo export" dell'Ue verso gli Stati Uniti, senza nascondere che il vero obiettivo è Berlino. È ormai guerra aperta tra Washington e Bruxelles, e l'ultimo capitolo è stato aperto dal tycoon americano sull'occhio di riguardo riservato dall'Unione Europea al suo campione dei cieli e diretto competitor dell'americana Boeing: l'Airbus franco-tedesco (e in via minore partecipato anche da Spagna e UK). Risultato: un'altra minaccia di undici miliardi di dazi che pende sul capo di tutti i Paesi dell'Ue.
Dietro c'è l'evidente e interessata strategia americana di rompere l'unità dell'Ue. Negli Stati Uniti si parla di una "New German Question". Secondo Foreign Affairs, l'ordine geopolitico ed economico costruito alla fine della II Guerra Mondiale, grazie all'intervento e alla sicurezza garantita dagli Usa, rischia di vacillare. La rinuncia di Berlino alle sue ambizioni geopolitiche le ha permesso allora di concentrarsi su quelle economiche: "Gli Stati Uniti non solo hanno tollerato il successo economico della Germania occidentale e del resto dell'Europa occidentale, ma l'hanno accolto favorevolmente, anche a spese dell'industria americana". Tutto pur di ancorare la Germania post-bellica al mondo liberale del Vecchio Continente e nell'orbita della Nato, e pur di sopprimere le spinte nazionalistiche che storicamente hanno caratterizzato il Vecchio Continente ma soprattutto la Germania: perché lì "nessun altro nazionalismo aveva svolto un ruolo così distruttivo nel sanguinoso passato dell'Europa".
Oggi però la crisi economica e le crescenti tensioni con gli Stati Uniti stanno facendo risorgere la questione tedesca: "Il nazionalismo è in aumento in tutta Europa; la democrazia è sotto pressione in alcune aree del continente; il regime internazionale di libero scambio è sotto attacco, principalmente dagli Stati Uniti; e la garanzia di sicurezza americana è stata messa in dubbio dallo stesso presidente Trump", da tempo critico verso il mancato rispetto degli impegni degli alleati Nato sulle spese militari.
La "guerra" che gli Usa stanno facendo all'Europa e alla Germania investe i settori più disparati ma tutti cruciali. Duri avvertimenti a Berlino e tentativi di boicottaggio sono arrivati sul progetto del gasdotto Nord Stream 2 per portare 55 miliardi di metri cubi di gas annui dalla Russia in Germania e di qui in Europa, rendendola quindi più dipendente da Mosca. Così come sono arrivati "inviti" a non consentire l'ingresso del colosso cinese Huawei nella costruzione della rete 5G tedesca.
Le insidie geopolitiche che arrivano dall'altra sponda dell'Atlantico si sommano alle difficoltà crescenti che la Germania sta incontrando nel Vecchio Continente. Sul fronte interno, dove l'estrema destra di Afd ha fatto per la prima volta dal Dopoguerra apparizione nel Bundestag. Ma pure nel panorama europeo i tempi pare siano cambiati. Aumenta l'ostilità anti-tedesca in alcuni Paesi del sud Europa (Grecia e Italia in primis), ad esempio. E scricchiola l'asse con la Francia su importanti decisioni politiche, come il progetto di rafforzamento dell'Eurozona e la Brexit. Il Financial Times ne sottolinea l'ironia per il Regno Unito, da quarantanni dentro l'Ue con l'intento di dividere l'alleanza franco-tedesca senza successo, per poi riuscirci nel momento della sua uscita.
Sul fronte Ue Berlino ha subito una importante bocciatura da parte della Commissione Europea al progetto di fusione della tedesca Siemens con la francese Alstom per la nascita di un grande campione europeo del business ferroviario capace di competere con il colosso cinese CRRC: il No di Vestager ancora oggi è bersaglio di affondi da parte del ministro dell'Economia Altmaier e dagli industriali tedeschi. E ha di fronte una strada tutta in salita nel settore bancario: tanto per il salvataggio di Nord Lb grazie all'iniezione di soldi pubblici quanto per l'ambiziosa (e secondo alcuni membri del Consiglio di Vigilanza della Bce "illogica") fusione tra i due principali istituti in difficoltà, Deutsche Bank e Commerzbank.

Da qualsiasi lato la si prenda, la questione tedesca esiste e anche gli altri partner europei ne pagano le conseguenze. L'Italia lo fa indirettamente (al netto delle scelte di politica economica assunte dall'attuale come dai governi precedenti), essendo le due economie strettamente legate: quello tedesco è il primo mercato di sbocco dell'export italiano (12% del valore totale), così come la Germania è al primo posto per importazioni in Italia, circa il 16% del valore complessivo dell'import. Se c'è un aspetto positivo, è appeso alla speranza: quella di trovarsi di fronte, al momento dei negoziati in Europa sulle misure di spesa, interlocutori più morbidi, consapevoli del fatto che la locomotiva europea si è fusa.
Fonte: qui

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