SE IL NEMICO COMUNE ISIS E’ SCATTATO IL TUTTI CONTRO TUTTI
1 - SIRIA, SI INFIAMMA IL CONFLITTO: LA TURCHIA BOMBARDA LE TRUPPE DI ASSAD
Si va inasprendo di ora in ora il conflitto tra le varie parti in causa in Turchia. Nelle prime ore del pomeriggio truppe fedeli al Governo di Assad si sono avvicinate ad Afrin, l’enclave curda in territorio siriano sulla quale da giorni stanno premendo anche le forze della Turchia, che vedono nei curdi il loro principale avversario. In tutta risposta i caccia turchi hanno bombardato la strada che conduce ad Afrin, l’enclave curda nel nord della Siria.
L’arteria è percorsa dalle unità militari filo-siriane venute in aiuto ai curdi assediati dai soldati di Ankara. Lo ha riferito la tv di Stato di Damasco. Obiettivo delle forze fedeli al governo, secondo quanto reso noto da un comunicato ufficiale, è quello di schierarsi lungo il confine con la Turchia a difesa della popolazioni civili.
Da quando è venuta meno l’esigenza di fronteggiare l’Isis che ormai controlla minime porzioni di territorio a cavallo tra Siria e Irak, sono esplosi i contrasti tra tutte le altri parti rimaste in campo: le truppe fedeli ad Assad da un lato (a loro volta sostenute dai russi) e la Turchia dall’altro. Con in mezzo i curdi che dopo aver fatto da scudo all’avanzata dell’Isis rischiano di finire presi tra due fuochi.
LE OPPOSTE VERSIONI
Da parte curda le Unita’ di protezione del popolo (Ypg) confermano l’ingresso di forze filogovernative siriane nella regione di Afrin. Secondo Nuri Mahmud, portavoce delle Ypg, «il governo siriano ha risposto alla chiamata del dovere e ha inviato oggi delle unita’ militari» che verranno dispiegate «lungo la frontiera» tra Siria e Turchia.
I reparti che sostengono il presidente Bashar al Assad «parteciperanno alla difesa dell’unita’ dei confini e del territorio siriano». La notizia è però smentita dalla turchia che sostiene di aver costretto le unità di Damasco ad arretrare. Il 20 gennaio scorso Ankara ha lanciato nella regione l’operazione «Ramo d’ulivo» volta ad annullare la presenza curda ad Afrin e aveva intimato a Damasco a non interferire nell’operazione.
COMBATTIMENTI ANCHE A DAMASCO
Ma la zona curda non è l’unica parte della Siria interessata a combattimenti. Cinque civili sono stati uccisi e altri 20 feriti in bombardamenti compiuti su Damasco e zone rurali vicine alla capitale sotto il controllo governativo da parte di gruppi ribelli che controllano la regione della Ghuta orientale. Lo riferisce l’agenzia governativa Sana.
Una fonte del comando della polizia ha detto che diversi razzi e obici di mortaio si sono abbattuti nelle vicinanze della Piazza Tahrir e della Piazza degli Abbasidi. Bombardamenti con mortai sono avvenuti anche nell’area agricola di Jaramana, fuori dalla città, provocando solo danni materiali. La Ghuta orientale, sotto assedio delle forze governative, ospita circa 400.000 civili ridotti allo stremo. Tra domenica e lunedì quasi cento persone, di cui 20 minori, sono state uccise da bombardamenti governativi, secondo un bilancio dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria.
2 - LA TURCHIA BLOCCA ANCORA LA NAVE ENI «ALTRI DIECI GIORNI DI STOP»
La marina militare turca ha esteso fino al 10 marzo l’avviso relativo alle sue attività militari (Navtex) al largo di Cipro nel Mediterraneo orientale, che da 10 giorni impediscono di fatto alla nave da perforazione noleggiata dall’Eni Saipem 12000 di raggiungere l’area prevista per le sue esplorazioni su licenza di Nicosia. Il precedente avviso sarebbe scaduto dopodomani.
Lo riportano media ciprioti. La nave della compagnia italiana deve avviare una campagna per la ricerca di idrocarburi in una zona che il governo di Ankara rivendica sotto il suo controllo in quanto al largo della zona di Cipro controllata dalla Turchia. la comunità internazionale però non ha mai riconosciuto legittimità alla repubblica turca di Cipro. Pochi giorni prima del blocco della nave italiana, il presidente turco Erdogan in visita a Roma aveva avvertito il governo italiano che non avrebbe consentito ricerche petrolifere nell’area marina contesa.
Fonte: qui
L’OFFENSIVA TURCA PUO’ SCATENARE L’ARMAGEDDON IN MEDIO ORIENTE E COINVOLGERE ANCHE ISRAELE E IRAN
SOLO PUTIN PUÒ MEDIARE CON ERDOGAN
L’INQUIETUDINE DEGLI AMERICANI E LE MOSSE DI TEHERAN ALLEATO DI MOSCA E DAMASCO
Marco Ventura per il Messaggero
In Siria la guerra civile rischia di trasformarsi in vera e propria guerra fra Stati. Con le potenze regionali diversamente affiancate da Russia, Stati Uniti ed europei. Raramente si è stati così vicini a un conflitto generale in Medio Oriente, che potrebbe coinvolgere Israele e Iran.
Questo lo scenario che emerge, lungamente annunciato, nelle ultime ore di battaglia sulla strada di Afrin, caposaldo curdo-siriano a ridosso della frontiera con la Turchia. Sia le milizie curde Ypg, sia i rinforzi da Damasco sono sotto attacco dei turchi che martellano valichi e strade nel tentativo di spezzare la resistenza curda e circondare Afrin, eliminare le Ypg e bonificare la fascia frontaliera rompendo il cordone con i curdi turchi del Pkk, il partito di Ocalan fuorilegge dal 1984.
LE POSIZIONI
L'offensiva turca Ramo d'ulivo, scattata il 20 gennaio, è considerata da Damasco e dalla Russia un attentato ai confini della Siria. Le parole più pesanti quelle pronunciate dal ministro degli Esteri francese, Jean Yves Le Drian, ieri all'Assemblea di Parigi prima di partire «nei prossimi giorni» per Teheran e Mosca, alleate sul fronte siriano: «Il peggio in Siria è davanti a noi, andiamo verso una catastrofe umanitaria». Monito nel quale riecheggiano le battaglie nelle aree contese. Le forze leali a Damasco e Assad, militarmente appoggiate dai russi a terra e dal cielo, bombardano l'enclave ribelle di Goutha, a est di Damasco, mietendo vittime fra i civili. Ma la situazione più esplosiva, miccia potenziale di un conflitto non più da guerra civile ma fra nazioni, è quella di Afrin e Manbij, nord della Siria. Qui si scontrano plasticamente gli interessi di Usa, Russia e Turchia, mentre sul terreno si combattono turchi, curdi, lealisti e ribelli siriani, jihadisti, sotto gli occhi dei consiglieri militari russi e americani.
L'attacco, ordinato dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan, mira a tutelare quello che Ankara considera un interesse vitale e strategico di difesa nazionale, stroncare la minaccia curda. Ma russi e americani sostengono i curdi, non foss'altro perché decisivi nella vittoriosa guerra al Califfato. A riprova della gravità della situazione, il presidente russo Putin ha fatto sapere tramite il suo portavoce, Dmitrij Peskov, di avere affrontato la crisi di Afrin presiedendo il Consiglio di sicurezza nazionale. Addirittura come primo argomento all'ordine del giorno rispetto all'Ucraina. E fra Putin e Erdogan sono in corso colloqui telefonici per tenere sotto controllo la situazione.
IL MESSAGGIO
Il leader turco ha voluto comunicare a Putin di non accettare, ha poi detto in pubblico, «altri passi sbagliati» come l'invio ieri da Damasco di colonne militari di rinforzo alle Ypg curde, pena «un prezzo alto». Afrin - dice Erdogan - sarà assediata dall'esercito turco «per non permettere ai curdi di negoziare alcuna alleanza».
A sua volta il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, avverte che lo scontro «dev'essere risolto nel quadro dell'integrità territoriale dello Stato, in questo caso la Repubblica araba di Siria». Si può comprendere, per Mosca, la preoccupazione dei turchi, ma vanno anche riconosciute le «legittime aspettative dei curdi», evitando che qualcuno soffi sul fuoco per «estendere il caos nella regione». Per Lavrov l'unica via resta quella politica: «dialogo diretto con il governo siriano». No alla soluzione militare.
L'ALLEATO
Sullo sfondo, l'ansia degli americani e degli europei per i quali la Turchia è prima di tutto un pilastro della Nato (di qui il braccio di ferro perché Ankara si armi con sistemi europei e non russi) e l'attrito sul terreno con gli americani pro-curdi a Manbij non è solo fonte d'imbarazzo ma di inquietudine. Sullo sfondo, ancora, l'azione costante, capillare dell'Iran alleato in questa fase di Mosca e Damasco, e sempre più considerato una minaccia da Israele. Infine, la stonatura della resiliente rete di Al Qaeda il cui portavoce, Ayman al-Zawahiri, fa appello all'unità dei combattenti jihadisti e ai musulmani perché si preparino a una guerra «lunga decenni».
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CIPRO: NICOSIA, 'BASTA VIOLAZIONI, ANKARA TORNI A NEGOZIARE'
(ANSA) - "Desidero invitare pubblicamente ancora una volta la Turchia e la parte turco-cipriota a rispondere immediatamente al mio appello per un ritorno al tavolo dei negoziati, a condizione che pongano fine alla violazione dei diritti sovrani della Repubblica di Cipro nella Zona economica esclusiva". Lo ha detto il presidente cipriota Nikos Anastasiadis, in una nota diffusa stamani dopo che ieri le autorità turche hanno deciso di prolungare fino al prossimo 10 marzo il divieto di navigazione nell'area marittima a largo della costa sudorientale di Cipro, designata da Nicosia per le attività di trivellazione della nave Saipem 12000 noleggiata dall'Eni.
ERDOGAN RIBLOCCA LA NAVE DELL' ENI A CIPRO
Mirko Molteni per Libero Quotidiano
Rischia di costare salato all' Eni e al governo cipriota il blocco navale imposto dalla Marina turca ormai da dieci giorni alla nave Saipem 12000 con cui l' azienda italiana in accordo col governo di Nicosia intende effettuare perforazioni per prospezioni sui giacimenti gasiferi sottomarini al largo dell' isola di Cipro, nella sua Zona Economica Esclusiva che la vicina Turchia non riconosce. Ufficialmente i turchi del presidente Recep Tayyp Erdogan, che per l' ennesima volta mostra i muscoli emulando i sultani ottomani, accampano il pretesto di «esercitazioni militari» nell' area, iniziate dal 9 febbraio, ma che ieri Ankara ha comunicato di voler prolungare oltre l' originaria scadenza del 22 febbraio, fino al 10 marzo.
SEI MILIONI DI DANNI
Poiché è stato calcolato che il blocco della nave costa 600.000 dollari al giorno, si può dire che fino ad oggi il danno totale sia asceso a 6 milioni di dollari. Con la nuova estensione delle esercitazioni turche, che porterebbe a 30 giorni il «muro contro muro», può assommare a 18 milioni di dollari. Perciò nelle ultime ore si sono diffuse voci secondo cui Eni sarebbe pronta a ordinare alla nave Saipem 12000 di invertire la rotta. L' azienda, però, non conferma, né smentisce. Almeno per il momento, quindi, l' atteggiamento ufficiale di Eni è di tenere la Saipem 12000 «in posizione in attesa di un' evoluzione della situazione», come dicono i comunicati dell' azienda.
La nave resta ferma a 50 km dal tratto di mare, per la precisione l' area Cuttlefish nel «Blocco 3» della ZEE e lo stesso governo di Cipro, appoggiato storicamente dalla Grecia, è preoccupato. Dalla Farnesina fanno sapere di «voler ricercare ogni soluzione diplomatica» in una vicenda che riguarda non solo i rapporti bilaterali Roma-Ankara ma tutta la delicata situazione cipriota.
Il presidente cipriota Nicos Anastasiades si è consultato ieri per telefono col premier greco Alexis Tsipras, che gli assicura sostegno, e ha poi convocato una riunione d' emergenza del suo esecutivo. Fino a pochi giorni fa, Anastasiades cercava di minimizzare, dicendo di voler «evitare un' escalation», ma ora anche il nervosismo del suo governo cresce.
L' appoggio greco è per Cipro basilare, data la perenne tensione fra Atene ed Ankara, nonostante entrambi membri della Nato. Un divario approfonditosi fin dal 20 luglio 1974 con l' invasione turca della parte nord di Cipro, dove ancor oggi Ankara disloca 35mila soldati.
DIPLOMAZIA INUTILE
Poche settimane fa, peraltro, motovedette greche e turche si erano confrontate per isolette contese nel Mar Egeo.
L' Unione Europea non sa difendere abbastanza uno Stato membro da un altro Stato che vorrebbe accedere all' Unione, ma non ha le carte in regola. Da Bruxelles si dice semplicemente ai turchi di «astenersi da qualsiasi azione che possa danneggiare i legami di buon vicinato», mentre il presidente della Commissione Europea Juncker, incontrando il premier turco Yildrim ha glissato facendo capire che gli preme non rovinare il clima con Ankara in vista del vertice internazionale di Varna.
Non è da meno l' Italia: Paolo Gentiloni già sapeva fin dal 5 febbraio, dalla visita di Erdogan a Roma, che i turchi minacciavano colpi di testa, ma evoca una «soluzione condivisa». Che però non si vede all' orizzonte.
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