Che fosse soltanto questione di giorni lo si era ormai capito da tempo. La discesa sotto zero del tasso dei Bund decennali resta comunque un evento di rilievo sul panorama dei mercati, non soltanto dal punto di vista meramente statistico. Non è però l’unico esempio di titoli di Stato con scadenza 10 anni e rendimenti negativi, per i quali cioè un sottoscrittore deve paradossalmente pagare per prestare denaro all’emittente: Svizzera e Giappone hanno nel corso dell’ultimo anno e mezzo preceduto la Germania in questo terreno inesplorato, in situazioni in parte simili a quella tedesca, ma anche con caratteri differenti.
Giappone: tassi negativi per frenare lo yen
Iniziamo dal Giappone e dal suo titolo di Stato decennale che offre, si fa per dire, un rendimento pari a -0,185 per cento. La discesa sottozero risale a pochi mesi fa, esattamente ai primi di febbraio, pochi giorni dopo che la Banca centrale del Giappone aveva allentato ulteriormente la propria politica monetaria nel tentativo (poi rivelatosi velleitario) di frenare la preoccupante avanzata dello yen. Dato che le mosse ultraespansive della Banca centrale europea, in particolare quelle adottate a marzo, sono senza dubbio alla base del movimento del Bund, in tutto questo si può riscontrare una sorta di similitudine.
Il Bund come bene rifugio
Dopotutto le aspettative a medio-lungo termine dell’inflazione (quelle su cui si orientano le decisioni monetarie) sono ai minimi storici sia per l’Eurozona, sia per il Giappone, e per la verità sono in rapida discesa anche altrove: le banche sono in qualche modo forzate a intervenire. Dove le cose cambiano, relativamente, è nel ruolo di «bene rifugio» che è da sempre incarnato dai titoli tedeschi e un po’ meno da quelli giapponesi. La tensione legata ai timori per la «Brexit» è insomma stata decisiva per far compiere ai Bund quel passo in più per finire sottozero.
La correlazione con i Treasury
Così come non è stato secondario il movimento al ribasso dei rendimenti dei Treasury (i titoli di Stato Usa) in previsione di un atteggiamento meno restrittivo di quanto si potesse pensare della Federal Reserve americana dopo i deludenti dati sul mercato del lavoro e la conseguente parziale marcia indietro del presidente, Janet Yellen. La correlazione fra i tassi americani e quelli tedeschi è del resto molto più accentuata di quella esistente nei confronti del Giappone, Paese che combatte da decenni con recessione e deflazione e che quindi rappresenta un po’ un esempio a sé stante.
Svizzera: la disperata difesa di un mondo a parte
E davvero un mondo a parte, sotto molti aspetti e non soltanto quello finanziario, è di certo la Svizzera. La discesa dei tassi elvetici decennali sotto la soglia dello zero risale a un anno e mezzo fa ed è collegato a un evento del tutto particolare e inatteso dal mercato: l’abbandono del cambio fisso con l’euro (all’epoca 1,20) che si accompagnò all’abbassamento dei tassi di riferimento al valore record di -0,75 per cento. La taglia relativamente limitata dell’economia svizzera e il suo sbilanciamento verso il settore finanziario rende il Paese fortemente legato a ciò che le sta intorno, quindi in primo luogo all’Eurozona. Non è quindi certo un caso se quella mossa a sorpresa della Banca nazionale aveva preceduto di pochi giorni il lancio del «quantitative easing» da parte di Mario Draghi: in questo senso la Svizzera potrebbe essere vista come un’anticipatrice di ciò che può accadere nell’area euro, anche se è allo stato attuale francamente difficile pensare a un Bund decennale che sfiora il -0,5% e tassi di riferimento a -0,75 per cento.
La Bce sempre più alle prese con l’effetto scarsità
Tornando al caso tedesco, l’abbassamento dei rendimenti di queste ultime settimane mette a sua volta ancora più in difficoltà la stessa Bce, che vede però al tempo stesso rarefarsi sempre più i titoli da acquistare nell’ambito del suo piano. Secondo i calcoli di Frederik Ducrozet di Pictet, ormai il 75% dei bond della Germania con scadenza compresa fra 2 e 30 anni (cioè quelli che rientrano nel piano Draghi) è a tasso negativo. Ma quel che più conta è che circa il 50% (per un valore di 400 miliardi su 810 miliardi) viaggia al di sotto dello 0,40% che è poi il limite minimo oltre il quale l’Eurotower non può più operare.
Le ricadute per le famiglie italianeCosa poi voglia davvero significare avere tassi negativi per i risparmiatori dell’area dell’euro lo ha messo in chiaro la stessa Bce in uno studio contenuto nel
bollettino mensile pubblicato pochi minuti fa . Ad essere più colpite dalla politica ultra-accomodante di Francoforte sono proprio le famiglie italiane e quelle spagnole: da fine 2008 il reddito netto da interesse delle famiglie, scrive la Bce «è rimasto praticamente stabile in Germania e Francia, non invece in Spagna e Italia». In particolare, rileva il bollettino per il nostro Paese, «il calo delle entrate da interesse è più che doppio rispetto al calo dei pagamenti in interessi, con un impatto negativo sul bilancio complessivo». La ragione la spiega la Bce stessa: le famiglie italiane hanno in portafoglio «un volume relativamente ampio di asset a interesse» mentre sono, sempre relativamente, «meno indebitate» di quelle in altri Paesi. Essere più «formiche» che «cicale» non paga in un mondo a tassi sottozero.
Quando le banche cominciano a sganciarsi dal sistema…
- venerdì 17 giugno 2016 06:00
Immaginiamo che cosa accadrebbe se i tassisti, invece di esigere una tariffa dai propri clienti, fossero costretti a pagarli per poterli trasportare a destinazione. Nessuno farebbe più il tassista. E così era prevedibile che la politica dei tassi negativi non solo non avrebbe resuscitato l’economia reale, ma avrebbe costretto le banche a smettere di fare le banche. Il principale gruppo finanziario giapponese, il secondo gruppo assicuratore del mondo e la seconda maggiore banca tedesca hanno iniziato a mettere i soldi sotto il materasso o stanno considerando di farlo.
Il Giappone è noto per avere per primo praticato l’espansione monetaria con decenni di “Quantitative Easing”, politica che non ha fermato la deflazione ma ha abbattuto i tassi e le rendite. Così, i buoni del Tesoro decennali hanno una rendita negativa del -0,17% e per trovare una rendita positiva occorre muoversi sui trentennali che offrono lo 0,26%. Si tratta comunque di un investimento imprevedibile, dato che nessuno può prevedere che cosa sarà l’inflazione fra trent’anni! Secondo le regole della domanda e dell’offerta, un paese con il debito pubblico al 218% del PIL, il più alto del mondo, dovrebbe offrire rendite a due cifre per trovare acquirenti. Ma il mercato è drogato dalla liquidità pompata dalle banche centrali e dai tassi zero. In queste straordinarie circostanze era solo questione di tempo prima che qualcuno scendesse dalla giostra impazzita.
L’8 giugno, l’agenzia giapponese NHK ha riportato che la Bank of Tokyo-Mitsubishi, la più grande banca del paese, cessava di fungere da “primary dealer” del debito pubblico e di acquistare buoni del tesoro in assoluto. L’agenzia notava che ciò “potrebbe avere un effetto domino tra le altre grandi banche” e sconvolgere il mercato del debito sovrano giapponese.
In Germania, Münich Re, il secondo più grande gruppo assicuratore del mondo, ha già iniziato ad accantonare la liquidità in eccesso nei propri forzieri invece di depositarla alla BCE, dove si paga un tasso negativo del -0.40%. Nikolaus von Bomhard, AD del gruppo, ha annunciato nel marzo scorso che avrebbe sperimentato la praticità di tenere le riserve in contanti e in oro, cominciando con dieci milioni di euro.
Ora, secondo la Reuters, la Commerzbank starebbe valutando di fare la stessa cosa. Teniamo presente che la Commerzbank è di fatto di proprietà del governo, che detiene la quota di maggioranza, e che sia il ministro del Tesoro Wolfgang Schaeuble sia il capo della Bundesbank Jens Weidmann hanno pubblicamente criticato la politica di tassi negativi della BCE. Berlino ha confermato di essere al corrente dell’orientamento della Commerzbank. E la stampa tedesca riporta di alcune banche in Baviera che starebbero già riempiendo i forzieri.
L’argomento usato dalla BCE per i tassi negativi sui depositi è semplice: le banche sarebbero così state costrette a investire nell’economia reale il denaro ottenuto in prestito dalla BCE a costo zero. L’evidenza empirica dopo due anni di QE mostra che ciò non è avvenuto.
Tuttavia, l’istituto centrale presieduto da Mario Draghi ha incrementato il programma di QE, portando gli acquisti mensili da 60 a 80 miliardi, iniziando il 9 giugno ad acquistare anche i bond delle imprese. Circola la voce che tra i primi titoli acquistati ve ne siano di vicini al rating “spazzatura”, titoli che la BCE continuerebbe a tenere in pancia anche se fossero declassati nel futuro, come è stato ufficialmente puntualizzato.
La politica dei tassi negativi sta distruggendo la parte essenziale del sistema bancario, la funzione della raccolta e del sistema dei pagamenti. Queste conseguenze erano note in anticipo: negli Stati Uniti sono stati compiuti degli studi su quale fosse il limite fisico dei tassi negativi. La conclusione, per quanto possa sembrare strabiliante, è che il limite è costituito dal volume dei forzieri delle banche, e cioè dalla capacità fisica di accaparrare il denaro. In altre parole, era prevedibile che le banche mettessero i soldi nell’equivalente del materasso, cosa che i clienti avrebbero fatto anche nel vero senso della parola.
Ciò naturalmente non mette al riparo dal pericolo più grave, quello dell’iperinflazione. Per ora, l’iperinflazione si è manifestata nel settore dei titoli finanziari (asset-price inflation), ma prima o poi potrebbe sconfinare nei prezzi al consumo e distruggere il valore del denaro.
È la stessa BCE ad ammetterlo, dopo averlo negato per anni. Anzi, lo scorso novembre, Draghi ha confessato che questo è proprio l’obiettivo del QE: pompare la bolla finanziaria per ottenere uno “spillover” nell’economia reale…. (vedi)