9 dicembre forconi: 11/16/17

giovedì 16 novembre 2017

SAPETE CHE CHI GIRA CON AUTO STRANIERA NON DEVE AVERE L’ASSICURAZIONE IN REGOLA?

NIENTE RC AUTO? NIENTE MULTA, LO STABILISCE IL MINISTERO DELL’INTERNO. 

SE POI VI TAMPONA UN BEL TIPINO CON MERCEDES BULGARA, SONO CAZZI VOSTRI ...
Mario Rossi per www.quattroruote.it

TARGHE STRANIERE IN ITALIATARGHE STRANIERE IN ITALIA
Niente multa per chi circola in Italia con un’auto con targa estera senza assicurazione. 

Lo ha ribadito il ministero dell’interno con la circolare 300/A/2792/17/124/9 del 3 aprile scorso: “si ritiene che per tali veicoli sia esclusa l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 193 del Codice della strada anche quando, attraverso qualsiasi mezzo, sia accertato che il veicolo sia effettivamente sprovvisto di copertura assicurativa”.

Quando la carta verde non è necessaria. 

Il Viminale si riferisce ai veicoli immatricolati nei seguenti paesi: Andorra, Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Repubblica slovacca, Slovenia, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Ungheria. 

Infatti, se un veicolo è immatricolato in uno di questi Stati, l’obbligo di assicurazione nel territorio italiano si considera automaticamente assolto e, addirittura, la polizia non deve nemmeno effettuare il controllo dei documenti assicurativi.

Accordi internazionali.
TARGHE STRANIERE IN ITALIATARGHE STRANIERE IN ITALIA
Attenzione, però. La circolare del ministero dell’Interno non è frutto di un’iniziativa italiana. Tutto nasce da accordi e normative internazionali. Dapprima la «convenzione tra gli uffici nazionali di assicurazione degli stati membri dello Spazio economico europeo e di altri stati associati» del 30 maggio 2002, quella che, in pratica, ha reso non più necessaria la carta verde per circolare nei paesi firmatari; poi la decisione della commissione europea 2003/564, recepita in Italia con decreto del ministero dello Sviluppo economico 86/2008: “per i veicoli a motore immatricolati in Stati esteri, che circolano temporaneamente nel territorio della Repubblica italiana, della Città del Vaticano e della Repubblica di San Marino, l'obbligo della copertura assicurativa per la responsabilità civile verso i terzi, per la durata della permanenza in Italia, si considera assolto se la targa di immatricolazione è rilasciata” da uno degli Stati sopra citati.

AUSTRIA TARGHE 1AUSTRIA TARGHE 
Vale anche per chi circola stabilmente in Italia. Da notare che la circolare del ministero dell’interno (niente controlli sull’Rc e niente sanzioni per mancata copertura), si applica a tutti i veicoli esteri (immatricolati nei paesi indicati). Anche a quelli che circolano in Italia da più di un anno e per i quali non si è proceduto alla "nazionalizzazione".

Anche in quel caso, infatti, pur circolando illegittimamente sul territorio nazionale (ma la norma, come si sa, è inapplicabile visto che non è possibile stabilire una data di ingresso in Italia non esistendo formalità doganali), l’eventuale violazione dell'articolo 193 del Codice della strada non può essere contestata. 

Insomma, un’altra freccia all’arco dei cosiddetti furbetti delle targhe bulgare e rumene, auto spesso, in realtà, guidate da cittadini italiani.

Fonte: qui

TERZA PUNTATA: HILLARY CLINTON È FUORI DALLA POLITICA ...

SUO MARITO ED EX PRESIDENTE RISCHIA IL LINCIAGGIO PER MOLESTIE SESSUALI CON 20 ANNI DI RITARDO, E LA PALUDE DI WASHINGTON NON SI SENTE TANTO BENE (VEDI LA FINE INGLORIOSA DEI FRATELLI PODESTA) 

BILL FU PAGATO 500MILA $ PER UNA SOLA CONFERENZA A MOSCA NEL 2010 DA UNA BANCA DI INVESTIMENTI LEGATA A ROSATOM, E ALTRI UOMINI D'AFFARI COLLEGABILI A ROSATOM DONARONO 145 MILIONI ALLA FONDAZIONE CLINTON

Maria Giovanna Maglie per Dagospia

Grande confusione sotto il cielo, ma una cosa è certa, Hillary Clinton è fuori dalla politica, suo marito ed ex presidente Bill rischia il linciaggio per molestie sessuali con 20 anni di ritardo, e la palude di Washington, capitanata da vecchi e nuovi direttori dell’ un tempo glorioso FBI, non si sente tanto bene.

Non è detto che si aprirà una mega inchiesta di Stato sulle ruberie e la corruzione di Hillary e compagni, anche perché l'attorney general, Jeff Sessions, in audizione alla Camera, è riuscito con le sue arti da sor Tentenna a far irritare tutti, i democratici allarmati, i repubblicani frustrati, per cui sarà bene che se ne torni in Alabama e si riprenda il suo posto di senatore, così salva capra e cavoli e le elezioni con l'ormai screditato giudice sceriffo Roy Moore, finito nel colossale tritacarne delle molestie sessuali anche lui, non si fanno più.

BILL E HILLARY CLINTONBILL E HILLARY CLINTON
Ma per darvi un'idea dell'aria che tira, il Senatore democratico Joe Donnelly, che e’ in rielezione l'anno prossimo, ha comunicato ufficialmente che sta per restituire duemila dollari di donazione provenienti da Tony Podesta, fino a ieri potente lobbista, e fratello di John, boss del partito e capo della campagna di Hillary Clinton.

Tony Podesta è finito nell'indagine del procuratore speciale, come il repubblicano Paul Manafort, la sua florida azienda chiude, i senatori, a Donelly seguiranno altri, si affrettano a prendere le distanze da una famiglia che è tutt'uno con gli Obama e i Clinton.
Per darvi un'idea dell'aria che tira, l'altra sera Chris Hayes, anchor molto liberal di MSNBC, twittava:” Per quanto grossolana cinica ed ipocrita sia stata la destra a proposito di Bill Clinton, è anche vero che i democratici e il centro-sinistra da tempo sono in ritardo per la resa dei conti sulle accuse contro di lui”.

“La resa dei conti” si intitola un articolo sull'Atlantic, scritto da Caitlin Flanagan che ricorda che le accuse degli anni 90 di Paula Jones, di Juanita Broaddrick, di Kathleen Willey, erano molto credibili e non furono prese sul serio come avrebbero dovuto, e che fu proprio il femminismo a salvare il presidente. Si unisce al ripensamento sul New York Times un'altra editorialista liberal, Michelle Goldberg, che dice di credere al racconto delle donne e che secondo lei “per Bill Clinton non c'è più un posto nella società decente”.
john podesta hillary clintonJOHN PODESTA HILLARY CLINTON

Ora, certamente l'ossessione del sexual harassment sta dilagando non più solo a Hollywood, ma anche tra giornalisti e politici, è di oggi la notizia che negli ultimi dieci anni tra Camera e Senato sarebbero stati pagati di indennizzi per vittime di molestie sessuali 15 milioni di dollari, ma Clinton non è più presidente da 17 anni, ha superato la prova di un impeachment, le accuse continue di molestie e violenze sessuali che lo riguardano non gli hanno mai tolto voti, e allora?

Attenti, il principale difensore di Bill è la moglie Hillary, una che notoriamente andava in giro a fare il lavoro sporco sistemando i guai, una che non ha esitato ad accusare la Right Wing conspiracy, una cospirazione della destra, delle accuse al marito.

Se lo accusi, sputtani anche lei, non era necessario farlo sul sexual harassment, vuol dire che intoccabili non sono più, meglio che si devono togliere di mezzo.

Più persistente dell'attuale ossessione sessuale, è solo quella della sindrome russa, sono ampiamente gonfiate tutte e due, ma la paura della Russia è un sentimento molto radicato nella società americana, praticamente un tabù, usarla come strumento di fango nella battaglia politica è irresponsabile.

donald trump jeff sessionsDONALD TRUMP JEFF SESSIONS
Non a caso Matt Drudge, uno che non si incazza mai, questa volta si incazza parecchio. Drudge Report, dopo 25 anni di attività, comincio’ pubblicando la prima notizia su Monica Lewinsky che Newsweek si teneva nascosta nel cassetto, e aveva un ufficetto grande come un armadio a Los Angeles, è un sito di tale successo che fa più visualizzazioni di Google, e nessuno più osa contestare Matt Drudge, il quale è ormai un signore ricco, conservatore, gay dichiarato, che vive a New York, e che ha appoggiato senza remore Donald Trump da un certo momento in avanti, ma che pubblica tutto senza pregiudizi e fa la fortuna di molti giornali. Il modello è quello cui si ispira Dagospia, per capirci.

Perciò ha tutte le ragioni di incazzarsi col Washington Post e di scrivere sul suo account di Twitter personale:” ho pubblicato più di 10000 link al Washington Post in 25 anni , vi procuro il 37% del traffico secondo le stime di https://t.co/ryZX1supbD. Vi faccio un grandissimo favore, non ricevo neanche un grazie, ora mi dite pure che sono un prezzolato dei russi”! Mi pare un ragionamento sacrosanto.

Veniamo ora a chi indaga sulla questione russa nel suo insieme, ovvero a un capitolo che si potrebbe chiamare “Fbi, i ragazzi di Hillary, oppure “investigare sugli investigatori”. Il bello è che con la faccia tosta che la contraddistingue, nessuno può negare una determinazione e un fegato straordinari alla signora Clinton, lei li accusa di essere responsabili della sua sconfitta alle presidenziali.
juanita broaddrickJUANITA BROADDRICK

Nelle ultime settimane numerose commissioni del Congresso hanno chiesto che si aprano investigazione sul cosiddetto affare Uranium One e che si riapra quella sulle email stornate dall'allora Segretario di Stato.

C'è un informatore dell'FBI al quale era stato proibito di parlare, ma che ora è autorizzato dal dipartimento di Giustizia a fornire le informazioni su quell'affare che nel 2010 consenti’ alla Russia di mettere le mani su un quinto dell'uranio degli Stati Uniti pagandolo con denaro sporco, che l’Fbi sapeva essere sporco, e lo sapeva pure l'amministrazione Obama.

Donald Trump nei suoi tweet la chiama “la vera storia russa”. Un reportage straordinario che accusava Hillary Clinton lo aveva fatto nel 2015 il New York Times, salvo poi dimenticarselo; recentemente la storia è stata tirata fuori con dovizia di nuovi dettagli, compreso quello del silenzio imposto all'informatore, da un altro giornale vicino ai democratici, the Hill.

Matt DrudgeMATT DRUDGE
Per quale ragione, che non sia quella di dare materiale buono ai lettori per non perderne ancora? Probabilmente perché Hillary Clinton deve togliersi di mezzo e il partito vuole liberarsi del peso schiacciante di una Dynasty che ha regnato per 25 anni, probabilmente anche della seconda, più recente ma incombente, quella degli Obama.

In ottobre del 2010 la commissione sugli Investimenti esteri della quale facevano parte Hillary Clinton,segretario di Stato fino alla fine del 2012, e Eric Holder, Attorney General dal 2009 al 2014,quindi a capo dell’Fbi,che dipende dal.Dipartimento di Giustizia, approvo’ la prima di tre fasi , che finiranno nel 2013, della vendita di una parte di Uranium One alla russa Rosatom.

La Clinton ha sempre sostenuto di non aver avuto alcun interesse né alcun guadagno ma certamente l'ex presidente Bill Clinton fu pagato cinquecentomila dollari per una sola conferenza a Mosca il 29 giugno del 2010 da una banca di investimenti legata a Rosatom, e altri uomini d'affari collegabili a Rosatom donarono in diversi periodi 145 milioni di dollari alla Fondazione Clinton.
OBAMA HOLDEROBAMA HOLDER

Dal 2011 al 2013 inoltre Uranium One fu rappresentata dal gruppo Podesta, e retribuito con 180mila dollari. Il gruppo oggi è sotto inchiesta a seguito dell'indagine contro Paul Manafort, collaboratore di Donald Trump fino all'estate del 2016. Proprio come lui non ritenne di registrarsi come agente al servizio di stranieri perché sostiene che il cliente, il Centro per l'Ucraina Moderna, non aveva niente a che fare col governo ucraino. Peccato però che fosse stato fondato proprio da Viktor Yanukovich, dittatore dell'Ucraina finché non è scappato portandosi dietro un tesoro.

Con Yanukovich e altri dell’area trafficava, una volta si portò’ anche Bill Clinton in visita in Kazakistan, il finanziere canadese Frank Giustra, personaggio finora entrato solo come comparsa nell'intera vicenda, ma non di secondo piano, rappresentante della fondazione Clinton in Canada. Nel 2007 aveva venduto una sua società, Ur Asia energy, a Uranium One.
frank giustra ha donato 31 milioni alla fondazione clintonFRANK GIUSTRA HA DONATO 31 MILIONI ALLA FONDAZIONE CLINTON

Ora il denaro necessario per pagare l'operazione, a quanto l'Fbi sapeva già, pulito non era, al contrario era frutto di racket, rapine e riciclaggio di denaro, ma il dipartimento di Giustizia di Obama,prima con Holder, poi guidato da Loretta Lynch, decise di non far sapere nulla alle persone che trattavano la vendita di Uranium One a Rosatom, né tantomeno consentirono in seguito che fosse informato il Congresso. Come mai? Perché l'affare sarebbe saltato di fronte alla violazione della legge sulla corruzione di investitori stranieri, e con l'affare principale sarebbero saltati tutti gli altri.

A nessuno nel governo del presidente Nobel per la pace evidentemente venne in mente che così facendo non solo si sarebbe diventati complici, come si è diventati di fatto, del metodo illegale col quale i russi gestiscono a volte gli affari internazionali, ma anche che il governo russo avrebbe avuto strumenti di ricatto verso gli Stati Uniti. Chi è invece il colluso con Mosca? Quello che in quegli anni faceva il palazzinaro.
hillary e obamaHILLARY E OBAMA

I responsabili di Rosatom sezione Usa sono poi finiti in galera, ma solo nel 2015.
I dirigenti americani coinvolti nell'intera vicenda dal 2009 al 2015 sono Robert Mueller, allora direttore dell' FBI, oggi procuratore speciale del Russiagate; Rod Rosenstein, allora Us Attorney oggi vice Attorney General, e di fatto, con la ricusazione di Sessions, titolare dell'inchiesta Russiagate; Andrew McCabe, allora assistente del direttore, oggi vice direttore dell' FBI. Quest'ultimo signore ha una moglie, Jill, mpegnata in politica col partito democratico, che si è candidata l'anno scorso a senatore di Stato In Virginia, e ha avuto dal Partito un finanziamento molto sostanzioso, anche se poi non ce l'ha fatta.

Sempre lui era a capo nel 2016 dell'inchiesta sulle email sottratte da Hillary Clinton e dai suoi collaboratori all'indirizzo riservato del Dipartimento di Stato e stornate su un account a tutti accessibile, quello privato della Clinton, comprese un numero indefinito di carattere strettamente riservato.

Il suo capo, James Comey, sfoglio’ la margherita dell'inchiesta per quasi un anno, uso’ parole dure nei confronti della Clinton ma non ritenne di trovare nulla che la incriminasse; licenziato poi da Donald Trump, si è trasformato in una sorta di testimone d'accusa del Russiagate, nel quale gioca soprattutto la parte di quello che dice e non dice.

ROBERT MUELLER JAMES COMEYROBERT MUELLER JAMES COMEY
Di fatto, aveva scritto un memorandum per il Congresso nel quale definiva il comportamento della Clinton “grossly negligent”, che e’ una incriminazione di fatto, ma poi queste due paroline diventarono “extremely careless”, e una inclinazione diventò una leggerezza. Ora, a quanto nessuno smentisce, il fratello di Comey, Peter, cura le finanze della Dynasty e della Fondazione. Ecco perché le pretese di Hillary erano così alte. Quando si dice la palude.

Nell'inchiesta cosiddetta Russia Gate,che per gli affari e la collusione con la Russia cerca di incastrare Donald Trump e la sua campagna, come scrive un altro giornale non amico del presidente, Forbes, è veramente arrivato il tempo di investigare gli investigatori. Quanto a Hillary, che non sia il presidente degli Stati Uniti è un miracolo.

Trump in Cina raccoglie il fallimento della politica USA in Asia

Il giro di Donald trump in Asia ha dimostrato che la Cina si sta trasformando nel leader assoluto della regione mentre gli USA perdono i loro “assets” e il potenziale per affermare il loro dominio nel continente asiatico.
Donald Trump ha trascorso una settimana e mezzo girando per i paesi asiatici e lui stesso ed il suo enturage, durante l’ampio giro, non hanno mai utilizzato il termine Asia Pacifico preferendo una definizione differente, “Indo Pacifico” che non è quasi mai utilizzata nelle capitali asiatiche.
Il cambiamento di enfasi che si è manifestato nella politica USA, durante la recente visita del segretario di Stato Rex Tillerson in India,  va ricercato nel desiderio di Washington di contrastare la leadership della Cina sul continente asiatico, facendo una scommessa e puntando le proprie carte  sull’India e sugli alleati degli USA nel Pacifico, come dimostra l’analista russo Serguéi Strokán nel suo articolo sul periodico Kommersant.
La visita del presidente Trump a Pechino ha dimostrato che gli USA non dispongono di strumenti di pressione sulla Cina idonei ad imporre le loro le condizioni commerciali  e mantenere le promesse fatte da Trump in campagna elettorale dello scorso anno.
A Manila la Cina è stata inaspettatamente appoggiata dall’anfitrione dei due vertici asiatici, il presidente filippino Rodriogo Duerte, il cui paese presiede adesso l’ASEAN (Alleanza dei paesi Asiatici) . Nonostante l’alleanza di vecchia data con Washington, il presidente filippino ha rifiutato l’idea di aumentare la pressione su Pechino che mantiene dispute territoriali con alcuni paesi   dell’ASEAN.
Premier cinese con Trump
Secondo Strokán, nonostante i tentativi di presentare una nuova politica degli USA in Asia diretta a contenere la Cina ed a creare una coalizione contro la Corea del Nord, Donald Trump non ha raggiunto i suoi obiettivi chiave. Il capo della Casa Bianca neppure è riuscito ad avanzare nella soluzione del problema nordcoreano.
Il desiderio degli Stati della regione di trovare una soluzione alle loro dispute senza la partecipazione di Washington ha vanificato i tentativi del presidente Trump di rafforzare l’influenza statunitense nel sud est asiatico attraverso la mediazione USA tra le parti in conflitto, conclude Strokán.
di  Serguéi Strokán
Fonte: Kommersant.ru
Traduzione e sintesi: Sputnik Mundo

Fonte: qui

LA RUSSIA VA IN AIUTO DEL VENEZUELA IN DEFAULT IMPEGNANDOSI NELLA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO DA 3,15 MILIARDI DI DOLLARI

SALGONO A OLTRE TRE MILIONI I PROFUGHI IN FUGA DALLO STATO SUDAMERICANO, I PAESI CONFINANTI IN ALLARME: “È LA NOSTRA SIRIA, BISOGNA AGIRE SUBITO”
Francesco Semprini per La Stampa

SCONTRI IN VENEZUELASCONTRI IN VENEZUELA
Mosca accorre in aiuto di Caracas per evitare il «fallimento» finanziario del Paese, mentre la crisi venezuelana si acuisce sul piano interno e internazionale, tanto da essere definita la «Siria delle Americhe». La Russia ha dato luce verde ieri alla ristrutturazione del debito da 3,15 miliardi di dollari del Venezuela, con un impegno da parte del Paese latinoamericano per ripagare il passivo «entro 10 anni»

Un salvataggio in extremis giunto dopo che l' agenzia di rating Standard & Poor' s ha dichiarato il Venezuela in «default selettivo» per il mancato rimborso di 200 milioni di dollari di obbligazioni statali.

nicolas maduroNICOLAS MADURO
Mentre la collega Fitch ha inserito la compagnia petrolifera pubblica Pdvsa in «default restrittivo» a causa del ritardo nei pagamenti dei bond in scadenza al 27 ottobre e 2 novembre scorsi. Il rischio collaterale a un «default» era quello di ondate speculative al ribasso che avrebbero dato il colpo di grazia a una nazione già piegata da una crisi politica, economica e sociale devastante. La mancanza di generi di prima necessità e la recrudescenza dello scontro tra il governo di Nicolas Maduro e l' opposizione stanno spingendo un numero sempre maggiore di persone a lasciare il Paese.

VENEZUELA PROTESTEVENEZUELA PROTESTE
I numeri sono da brivido: 1,2 milioni di persone hanno chiesto asilo in Colombia, circa un milione in Brasile e 600 mila a Panama, in totale la metà della cifra registrata per la Siria in tutta la sua crisi. Non a caso durante l' ultimo vertice sulla cooperazione dell' area Pacifico (Apec) è circolato un dossier informale tra le diplomazie latinoamericane, messicana e canadese, in cui la crisi venezuelana veniva definita come «la Siria delle Americhe». Una tragedia umanitaria in divenire che potrebbe raggiungere proporzioni equivalenti a quella siriana in meno di quanto si pensi.

Nicolas MaduroNICOLAS MADURO
«I siriani fuggivano in Europa, i venezuelani in Paesi di minore rilevanza mediatica, pertanto il fenomeno non ha la visibilità che dovrebbe», spiega Ian Bremmer di Eurasia Group, di ritorno dal vertice Apec in Vietnam. Tutto ciò trasforma la crisi interna in questione di sicurezza regionale. Ipotesi respinta con forza da Russia e Cina, che in Consiglio di Sicurezza Onu, assieme a Egitto e Bolivia, sono stati categorici nel definire la crisi una questione interna sulla quale l' Onu non deve mettere bocca.

supermercati desertiSUPERMERCATI DESERTI
Per eludere il veto di Mosca e Pechino in Cds, Italia e Stati Uniti hanno convocato una riunione informale per denunciare attraverso l' Alto Commissario dell' Onu per i diritti umani, Zeid Ra' ad al Hussein, la situazione dei diritti umani nel Paese sulla base delle segnalazioni di detenzioni arbitrarie, torture e maltrattamenti degli oppositori del governo. P iù in là della denuncia tuttavia non si va: la riunione è stata per l' ambasciatrice americana Nikki Haley una vetrina per mostrare i muscoli, per l' Italia un modo per ribadire la profonda preoccupazione per un Paese con cui è legata a doppio filo.

caracas a fuoco e fiammeCARACAS A FUOCO E FIAMME
«Finché ci sarà questo muro contro muro all' Onu non si può andare oltre, le sole misure che possono funzionare sono quelle prese dai singoli Paesi, come le sanzioni», spiega una fonte diplomatica vicina al dossier. Il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, si dice contrario a nuove misure restrittive sul petrolio di Caracas, perché «il regime riuscirebbe a utilizzare altri canali di sbocco».

Quello che il clan di Maduro teme è una stretta dell' Unione europea con sanzioni ad personam. «I pezzi grossi del Governo venezuelano, che già non possono viaggiare in Usa e Canada, si vedrebbero precluso l' accesso in Europa - spiega la fonte -. E ancor peggio vedrebbero sequestrati i "tesoretti" nascosti nei conti delle banche nel Vecchio continente».

Fonte: qui
MADURO PUTINMADURO PUTIN

USA vs Cina: chi ha il coltello dalla parte del manico?

Il momento giusto è adesso!
E’ questo che Cheng Fengying, un ricercatore del CICIR (China Institutes of Contemporary International Relations), ha esclamato in preda ad una febbrile eccitazione, al solo sentirsi domandare se il progetto di internazionalizzazione dello yuan intrapreso dal suo governo fosse fattibile.

Cerchiamo di valutare gli effetti dell’ormai prossima introduzione dei futures yuan-oro, avvalendoci dell’entusiasmo coinvolgente di analisti del settore.

Il prezzo non è elevato, l’offerta eccede la domanda e la Cina è saldamente al primo posto fra gli importatori di greggio.Che tempo fa oggi sul mercato del petrolio?
Ecco perché a Pechino, gli analisti gridano in coro che il momento è più propizio che mai.
Nella terra del Dragone, ormai si sà, gli sprovveduti si contano sulle dita di una mano: tutti paiono pienamente consci dei pericoli che comporta il portare avanti una mastodontica operazione come quella del petro-yuan.
Il deflusso di capitali e l’aumento dell’offerta di yuan sul FOREX [con conseguente svalutazione della stessa] sono entrambi percepiti come rischi concreti.
Tuttavia, come afferma ancora il nostro Cheng, la Cina è convinta che il gioco valga la candela:
Se non dovessimo introdurre ora quei futures, mancheremmo un’occasione d’oro: quella di essere “long”  [dentro il mercato] quando il ciclo si invertirà riportando la domanda ad eccedere l’offerta ed il prezzo del greggio a salire.
Ma quali sono gli effetti di questo progetto, se messo in pratica?
A rispondere questa volta è il direttore del Centro per la Globalizzazione e la Modernizzazione dell’Istituto cinese per il Commercio Estero, Wang Zhimin:
Il petro-yuan renderà più conveniente commerciare con il Renminbi piuttosto che in dollari, grazie proprio al collegamento esclusivo che vanterà con l’oro.
Se ci pensate, lo stesso sistema di Bretton Woods prevedeva il mantenimento degli equilibri fra economia reale e finanziaria attraverso l’inappellabile giudizio dell’oro, il quale costituisce ancora una sicura risorsa per l’umanità.
In soldoni, per strappare il primato al dollaro, sarà necessario trasferire l’equivalente di  600-800 miliardi di dollari [al giorno] dal sistema del petro-dollaro a quello del petro-yuan.
Cifre esorbitanti che, però, non è affatto improbabile raggiungere: da questo sistema tutto cinese, infatti, guadagneranno cifre faraoniche proprio quegli esportatori di petrolio che per primi sposeranno la causa del petro-yuan.
Come?
Che domande! Acquistando oro a prezzo di saldo.
Difatti, una volta che la domanda di oro incomincerà a salire, le valute di carta [fiduciarie], perderanno sempre più potere d’acquisto nei confronti dell’oro, tant’è che di metallo giallo se ne comprerebbe progressivamente di meno.
A chiunque, quindi, conviene saltare sul treno il prima possibile!
Su questo treno hanno già prenotato un posto Russia [con un faraonico accordo bilaterale con la Cina], l’Iran ed il Venezuela, quest’ultimo ormai prossimo al collasso e decisamente impaziente di vedere i petro-yuan librarsi in volo.
Se, dopo quanto accaduto negli ultimi anni, contiamo che anche Iraq, Egitto e Siria non storcerebbero di certo il naso nel liberarsi del cappio statunitense del dollaro, allora, nel gruppo dei volenterosi, metteremmo insieme una generosissima fetta dei più grandi esportatori di petrolio al mondo.
Ad eccezione dell’Arabia.
Già.
Proprio quell’Arabia che – impantanata in due crisi [una politica e l’altra economica] ed in due conflitti armati [in Yemen e quello ombra con l’Iran], nonché pronta ad infilarsi in un terzo [Libano] – altro non è che la chiave di volta dell’intero sistema del petro-dollaro.
Ora, se ci trovassimo tutti nei panni statunitensi, non faremmo sonni tranquilli nel sapere che l’ultimo baluardo a protezione dell’egemonia economica a stelle e strisce, è un paese la cui famiglia reale – con la quale da inizio Novecento sono stati stipulati tutti gli accordi petroliferi della regione – sta vivendo la peggior crisi di potere mai attraversata nell’ultimo secolo.
E ancor meno se il nostro diretto avversario, la Cina, organizza al venerdì sera, sessioni di burraco proprio con membri della famiglia Saud.
In quest’ottica va inquadrato il primo viaggio oltre-oceano del presidente Trump in estate, in occasione del quale ha nuovamente comprato la lealtà del petrolio saudita per l’esorbitante cifra di 350 miliardi di dollari in armi e munizioni – un’offerta pari al 200% di quelle fatte da Obama durante il suo mandato –.
Come il petro-dollaro s’indebolisce, così fanno le economie occidentali, sorrette dai principi di quello stesso Sistema.
Tutto ciò getta gli USA e la loro valuta nel panico.
Finchè gli USA non rivedranno la loro politica estera, rinunciando al mondo unipolare a cui sono stati abituati per decenni, non ci sarà posto per loro. Per esser chiari: Russia e Cina, gettando le fondamenta per un nuovo mercato Euro-asiatico rifornito dalla Nuova Via della Seta, sono riuscite a minare le fondamenta dell’invalicabile egemonia statunitense.
afferma l’analista Randy Martin.
Il quale prosegue, dicendo:
Il mondo deve ora fare i conti con una superpotenza ai suoi ultimi giorni di vita, che esterna tutte le sue più nere paure servendosi di un atteggiamento militarmente ultra-aggressivo.
[…] tutto ciò può essere davvero pericoloso: costituisce senz’altro una minaccia per l’umanità intera.
La telenovela di Trump con Kim Jong-Un, le esercitazioni militari a ridosso dei confini sino-russi, la militarizzazione dell’Arabia Saudita, l’incoraggiare i nipponici ad abbandonare l’impostazione difensiva delle loro forze armate, il partecipare in teatri quali Libia, Siria, o l’africa orientale: tutti tentativi per militarizzare il contesto politico, estremizzando le reazioni dei leader ed approfittando della situazione siglando immensi contratti militari.
La ricetta è quella di sfruttare la politica della tensione lungo i confini nazionali dei propri avversari nella speranza che uno sproposito commesso da qualche grande attore – vedi Russia o Cina –  fornisca il pretesto ideale per muovergli guerra con la benedizione della comunità internazionale – cioè delle Nazioni Unite –.
Una tattica rivelatasi di successo svariate volte ma che, oggi, viste le capacità belliche, economiche [e di sopportazione] degli amici dello Yuan, può rivelarsi, per gli Stati Uniti, un’arma a doppio taglio.
Una situazione scomoda, in un duello.
Soprattutto quando, messa la mano sul fodero e fissato l’avversario negli occhi, scopri di non esser tu ad impugnare saldamente il coltello dalla parte del manico.
Fonte: qui

Cosa potrebbero significare per il dollaro uno yuan coperto dall'oro e le criptovalute



Nonostante le criptovalute abbiano rubato tutte le attenzioni sulla scena finanziaria, c'era una notizia intrigante apparsa il primo settembre sul Nikkei Asian Review. Scrivendo da Denpasar, Indonesia, Damon Evans riportava che "la Cina è prossima ad inaugurare contratti futures sul petrolio greggio prezzati in yuan e convertibili in oro, in quello che gli analisti descrivono come un cambiamento epocale nel settore".


Non coperti dal bitcoin, non coperti da ethereum, ma coperti dall'o-r-o. Quanto scarso amore hanno i cinesi per la tecnologia! Per il momento, il petrolio è prezzato in dollari, sia il Brent sia il West Texas Intermediate.

Evans spiegava:


La mossa della Cina permetterà agli esportatori, come la Russia e l'Iran, di eludere le sanzioni statunitensi tramite negoziazioni in yuan. Per stimolare ulteriormente il commercio, la Cina (il più grande importatore mondiale di petrolio) dice che lo yuan sarà completamente convertibile in oro sugli exchange di Shanghai e Hong Kong.

Questo sarà il primo contratto futures in Cina aperto a società straniere come i fondi d'investimento, le società di trading e le società petrolifere.

È da tempo che la Cina vuole sganciarsi dal dollaro e ora ci sta provando per la terza volta con gold contract denominati in yuan.

"È un meccanismo che può attirare i produttori di petrolio che preferiscono evitare di usare dollari e non sono disposti ad accettare di essere pagati in yuan per le vendite di petrolio in Cina", ha affermato Alasdair Macleod di Goldmoney.

"È un trasferimento di asset dal liquido nero al metallo giallo, è una mossa strategica per sostituire l'oro al petrolio piuttosto che ai bond statunitensi, che invece possono essere stampati dal nulla", ha spiegato Grant Williams.

Se l'Arabia Saudita accettasse lo yuan per regolare gli scambi di petrolio, ha dichiarato Louis-Vincent Gave, "sarà una bella gatta da pelare per Washington, poiché il Tesoro americano la vedrebbe come una minaccia all'egemonia del dollaro [...] ed è improbabile che gli Stati Uniti continuerebbero ad approvare le vendite di armi ai sauditi e la protezione della Casa di Saud".


Diciamo che la Cina acquisti l'Aramco, il prezzo del petrolio saudita potrebbe spostarsi dai dollari allo yuan, dice Macleod: "Se la Cina può legare l'Aramco, la Russia, l'Iran e altri, avrà un grado di influenza su quasi il 40% della produzione globale e sarà in grado di far progredire il suo desiderio di escludere il dollaro in favore dello yuan".

Per quanto riguarda le criptovalute, invece, Goldman Sachs "sta ponderando l'idea di una nuova operazione di negoziazione dedicata al bitcoin e ad altre valute digitali, la prima azienda di Wall Street si prepara a tuffarsi in questo mercato in espansione seppur ancora un po' controverso" riferisce il Wall Street Journal.

Si scopre che Goldman Sachs sta solo rispondendo a clienti che vogliono giocare nello spazio crypto. Paul Vigna, Telos Demos e Liz Hoffman scrivono:
Goldman cerca di servire un crescente numero di investitori istituzionali che vogliono scommettere sul bitcoin. Il suo sforzo potrebbe comportare la nascita di una squadra di trader che renderanno i mercati in bitcoin simili a quello dello yen giapponese o alle azioni di Apple Inc.
Circa 70 hedge funds hanno acquistato bitcoin. La volatilità dei prezzi delle criptovalute fornisce qualcosa che i mercati tradizionali hanno scordato... l'azione. "Goldman, una volta conosciuta come il trader più veloce a Wall Street, è quella che ha arrancato di più rispetto ai suoi pari. I ricavi nei suoi investimenti a reddito fisso sono diminuiti del 21% rispetto allo scorso anno, trascinati a fondo da una scarsa performance delle commodity e delle valute".

Il dollaro finirà presto sotto attacco: sia da uno yuan coperto dall'oro che dalle criptovalute. Potremmo chiederci se tutto questo si adatti bene al piano di Janet Yellen di rialzare i tassi d'interesse e ridurre il bilancio del suo datore di lavoro. Scommetto di no.

[*] traduzione di Francesco Simoncellifrancescosimoncelli.blogspot.it