La polemica dell’Associazione nazionale magistrati è infatti diretta contro il decreto con cui il governo ha prorogato il trattenimento in servizio sino a 72 anni dei soli vertici della Cassazione. “Gli organi d’informazione hanno presentato questa questione come se fosse una questione legata alle norme del pensionamento. Questa invece è una questione collegata all’indipendenza della magistratura“, ha detto Davigo. “Non si può governare un Paese con gli slogan – ha aggiunto – Tra il bandire un concorso e l’entrata in servizio del primo magistrato che ha partecipato a quel concorso passano quattro anni. E allora non si può mandare a casa da un giorno all’altro 450 persone e dire largo ai giovani, perché i giovani arriveranno quattro anni dopo “.
Per il presidente dell’Anm la norma dell’esecutivo sui pensionamenti ha creato “due categorie” di giudici: i pochi di una categoria superiore, che devono rimanere in servizio, e tutti gli altri di una categoria inferiore che devono essere collocati a riposo. Si è creata così “l’immagine di un esecutivo che sceglie i magistrati da trattenere in servizio o da collocare a riposo”, ha aggiunto Davigo. L’Anm aveva chiesto al governo di modificare la norma e in un incontro ad ottobre l’esecutivo aveva assunto “precisi impegni politici”, ma “nessuno degli impegni è stato mantenuto”.
Il presidente dell’Anm – che parteciperà sabato prossimo alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano – non ha comunque escluso che il dialogo con l’esecutivo possa riaprirsi. “Se il governo vuole ricomporre lo strappo, che non abbiamo fatto noi, siamo sempre disponibili”, ha detto per poi rispondere direttamente a Giovanni Canzio. Il primo presidente della Cassazione nella cerimonia di inaugurazione dell’Anno Giudiziario ha infatti criticato gli appunti fatti da Davigo alla riforma del processo penale. “Canzio – ha detto l’ex magistrato della procura di Milano – è iscritto all’Anm, ha un importante incarico, la sua opinione sarà tenuta in conto nella misura che merita”. Davigo ha ricordato che le sue critiche alla riforma si riferivano soprattutto alla norma che obbliga il Pg ad avocare le indagini delle procure se entro tre mesi non sia stato chiesto il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Una norma che secondo l’Anm produce solo danni perché si limita a “trasferire il carico di lavoro da un ufficio giudiziario all’altro”.
Denatalità allarmante, corruzione endemica, tassazione abnorme, immigrazione fuori controllo. Non è il ritratto dell'Italia d'oggi, ma la Roma di 1500 anni fa. Lo dimostra lo storico francese, nonché direttore del Figaro Histoire, Michel De Jaeghere, nel corposo volume intitolato Gli ultimi giorni dell'impero romano (Leg edizioni, pp. 623, 34), un documentato studio in cui si ripercorrono le tappe della crisi che portarono al crollo di uno dei più potenti sistemi politico-militari al mondo.
MICHEL DE JAEGHERE - GLI ULTIMI GIORNI DELL IMPERO ROMANO
Grazie all'analisi di De Jaeghere appare chiaro che dal IV secolo in poi non è solo la violenza dei barbari che premono ai confini a prevalere. È anche un senso di stanchezza, di smarrimento, di incapacità di difendere gli agi conquistati in tanti secoli di pax romana. Per arginare la minaccia barbarica l' impero iniziò a stanziare somme spropositate per eserciti e armamenti.
La tassazione crebbe a dismisura.
La cittadinanza romana da onore e privilegio si trasformò in un fardello difficile da sostenere, tanto che intere popolazioni, soprattutto del ceto contadino, cercarono protezione sotto i re germanici e parteciparono ai saccheggi dei barbari.
Perse le tradizioni militari dell'era repubblicana, allentata la disciplina nelle legioni, gli imperatori si trovarono costretti a ricorrere a un esercito di mercenari, poco motivati e disposti a vendersi al miglior offerente. De Jaeghere sottolinea che ai margini dell' impero fremevano sacche di anarchia in balìa delle tribù locali che, spinte dalle invasioni degli Unni o attratte dallo stile di vita sfarzoso dei Romani, spesso sconfinavano creando disastri. Le frontiere erano un colabrodo.
OMOSESSUALITA ANTICA ROMA
I Romani si illusero di poter controllare queste tribù foraggiandole in vari modi o arruolandole nelle loro fila. Ma il tentativo di colmare lo spopolamento delle campagne e delle città, tramite una politica che incoraggiava l'immigrazione, ebbe l' esito inaspettato di ritrovarsi con il nemico in casa.
La penetrazione massiccia nel tessuto imperiale di popolazioni barbariche comportò inoltre un boom della schiavitù. Se nella Roma repubblicana i cittadini erano per lo più piccoli proprietari terrieri, con l'avvento delle conquiste si moltiplicò il numero dei latifondisti che gestivano immensi poderi grazie alla disponibilità illimitata di manodopera a costo zero.
ROMA ANTICA E ASSEDIO DEI BARBARI
De Jaeghere nota che «la schiavitù di massa (35% della popolazione italiana al tempo di Augusto) aveva paralizzato ovunque l'innovazione tecnologica». Infatti «sarebbe diventato sempre meno caro far lavorare degli schiavi piuttosto che mettere a punto delle macchine».
L'usura era diventata pratica diffusa.
De Jaeghere contesta la tesi, resa celebre da Voltaire e Gibbon, che l'avvento del cristianesimo fosse un elemento cruciale della decadenza dell' impero. Secondo la vulgata più diffusa gli imperatori sarebbero stati più interessati alle dispute teologiche che alle strategie militari. Inoltre la fine del paganesimo, religione civica che sanciva la fedeltà dei cittadini allo Stato, avrebbe aperto le porte all'anarchia. De Jaeghere ribalta questa prospettiva e sostiene, al contrario, che l'impero crollò proprio perché il cristianesimo non ebbe il sopravvento.
ROMA ANTICA E I BARBARI
Non solo i Padri della Chiesa, con in prima linea sant'Ambrogio, esortavano gli imperatori a combattere contro i barbari innalzando il vessillo del Cristo a difesa della città eterna, ma consideravano Roma la nuova Gerusalemme, che avrebbe diffuso in tutto i suoi territori il verbo di Gesù.
La legislazione imperiale sotto l'influsso del cristianesimo tentò di arginare la degenerazione dei costumi e introdusse misure contro l'usura, l'aborto, il divorzio e l'omosessualità.
IMPERO ROMA
Alcune leggi imposero di sopperire alle necessità delle classi più povere. Ma questi provvedimenti venivano costantemente disattesi, la corruzione era diventata l'unica legge di Roma, gli aristocratici vivevano al di là del bene e del male, i miserabili diventavano sempre più miserabili. Formalmente l'impero era cristiano, ma il sistema era in putrefazione.
Oggi in Europa c'è un gran parlare di crisi della civiltà occidentale.
Molti i segnali che indicano un esaurimento della spinta propulsiva che aveva fatto del Vecchio continente un faro e che ancora oggi richiama milioni di disperati.
Ma forse basta rileggere la storia per capire che alcuni processi possono ripetersi, pur nelle mutate circostanze.
«L' impero romano ci serve da avvertimento», conclude De Jaeghere.
LE RIVELAZIONI DEL ‘CANARD ENCHAINÉ’ POTREBBERO COSTARE L’ELISEO AL CANDIDATO DEL CENTRODESTRA (FINORA STRA-FAVORITO) E SPIANARE LA STRADA A MARINE LE PEN
LUI NON SMENTISCE
1. CANDIDATO DESTRA REPLICA A CANARD: 'SONO SCANDALIZZATO'
FRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPE
(ANSA) - Ira di Francois Fillon per le accuse del settimanale satirico, Le Canard Enchainé, sull'impiego fittizio alla moglie, Penelope Fillon. "Sono scandalizzato dal disprezzo e dalla misoginia dell'attacco", ha commentato Fillon, giungendo questa mattina a Bordeaux. "Vedo che il tempo delle 'fialette puzzolenti' (una sorta di corrispettivo francese della 'macchina del fango',ndr.) è aperto", ha aggiunto il candidato all'Eliseo per il voto di primavera, senza però smentire le accuse del Canard: "Non farò commenti".
Secondo il settimanale, la moglie franco-gallese è stata remunerata per 8 anni come assistente in parlamento, incassando circa "500.000 euro lordi" in totale. Impiegare un familiare come collaboratore parlamentare non è vietato.
Ma - sostiene il Canard - una stretta collaboratrice di Fillon ha detto di non aver mai saputo che la moglie dell'ex premier lavorasse come assistente, né di averla mai incontrata. Il che ha scatenato le accuse di impiego fittizio come ai tempi di Jacques Chirac.
FILLON SARKOZY
2. FILLON, BOMBA «SPORCA» SULLA CORSA ALL'ELISEO: "LA MOGLIE PAGATA PER 10 ANNI SENZA LAVORARE"
Colpo grosso di Le Canard Enchainé ai danni di François Fillon. La rivista satirica francese, non nuova a inchieste clamorose che hanno fatto luce su segreti gelosamente nascosti da personaggi di primo piano della politica e non solo, ha pubblicato documenti che dimostrerebbero che per dieci anni la moglie del prossimo candidato del centrodestra alle presidenziali è stata pagata come assistente parlamentare del marito pur non avendo lavorato.
Penelope Fillon, che è nata in Galles e ha dato cinque figli all'aspirante presidente francese, avrebbe ricevuto complessivamente 500mila euro tra il 1992 e il 2002: si tratterebbe di fondi a disposizione del consorte, all'epoca deputato nazionale, e questo risulterebbe dalle buste paga scovate da Le Canard Enchainé.
FRANCOIS FILLON CON LA MOGLIE PENELOPE
Assumere familiari non è contro le regole, ma a patto che il parente in questione lavori effettivamente per il deputato ma secondo Le Canard non era questo il caso di madame Fillon. Il settimanale non è riuscito a trovare alcuna conferma del lavoro svolto dalla signora Fillon. Penelope Fillon, peraltro, molto riservata, si è sempre tenuta lontana dalla vita politica del marito.
Non solo. Quando nel 2002 Fillon divenne per la prima volta ministro, chiamato dal presidente Jacques Chirac, la moglie proseguì il «lavoro», o meglio, continuò ad essere pagata come assistente parlamentare del deputato che subentrò a Fillon all'Assemblee Nationale ricevendo tra i 6.900 ed i 7.900 euro al mese.
Non è tutto. Penelope Fillon tornò ad essere pagata «per almeno sei mesi» quando il marito nel 2012, allora primo ministro, lasciò il governo dopo la sconfitta del presidente Nicolas Sarkozy ad opera del socialista François Hollande.
FILLON E PUTIN
Oltre ai circa 500.000 euro ricevuti come assistente parlamentare del marito Penelope Fillon venne pagata circa 5.000 euro al mese da maggio 2012 a dicembre 2013 dal periodico La Revue des Deux Mondes, rivista letteraria di proprietà di un amico di Fillon, Marc Ladreit de Lacharriere. Le Canard Enchainé ha riferito che il direttore del mensile, Michel Crepu, ha dichiarato: «Non ho mai incontrato Penelope Fillon né l'ho mai vista in redazione».
François Fillon è al momento favorito nei sondaggi per le elezioni all'Eliseo, fissate per il prossimo aprile.
Interrogatorio e poi richiesta di giudizio immediato. Il giorno dopo la consegna dell'avviso a comparire a Virginia Raggi, i magistrati della Procura di Roma tracciano il percorso dell'inchiesta sulla nomina di Renato Marra costato alla sindaca la contestazione di abuso d'ufficio e falso.
L'incrocio tra gli atti firmati dalla stessa Raggi e la conversazione via chat con Raffaele Marra - nel corso della quale lei si lamenta per non essere stata informata che il nuovo incarico avrebbe portato a un aumento di stipendio di 20 mila euro - convince l'accusa di aver ottenuto la prova evidente della sua responsabilità.
RAFFAELE MARRA VIRGINIA RAGGI
E dunque di poter andare subito a processo. Anche perché nuovi elementi emergono dalle chat sequestrate dai carabinieri, dimostrando addirittura l'esistenza di un patto per spartirsi le nomine siglato prima delle elezioni al Campidoglio tra Raffaele Marra e Salvatore Romeo.
LA DOPPIA ACCUSA
Ieri il difensore di Raggi ha incontrato i pubblici ministeri coordinati dall'aggiunto Paolo Ielo per concordare tempi e modi dell'interrogatorio e ha ribadito che la sua assistita «è pronta a chiarire ogni passaggio». Ma l'impresa appare tutt'altro che semplice, visto che la doppia contestazione rischia di trasformarsi in una tenaglia.
VIRGINIA RAGGI DANIELE FRONGIA RAFFAELE MARRA
L'abuso d' ufficio - sostiene l' accusa - è dimostrato dal fatto che «Renato Marra ha ottenuto un ingiusto vantaggio patrimoniale» grazie al passaggio da vicecapo della Municipale a responsabile del Turismo. E soprattutto che si è proceduto affidando la pratica al fratello, nonostante l'evidente conflitto di interessi.
Ecco dunque il nodo: se Raggi negherà davanti ai magistrati di aver compiuto questo abuso ammettendo che la pratica era gestita da Marra, ammetterà automaticamente di aver commesso un falso dichiarando all'autorità anticorruzione del Campidoglio di aver fatto tutto da sola. E a quel punto i pm la informeranno di voler andare subito a processo dove rischia una pena di almeno tre anni.
L'alternativa per l'accusa è il patteggiamento - che può chiudersi con la condanna a un anno - ma sembra difficile, se non impossibile, che la sindaca possa accettarlo. Senza dimenticare lo spettro della legge Severino che fa scattare la sospensione dall' incarico di un amministratore pubblico dopo la condanna in primo grado.
SCARPELLINI RAGGI MARRA
«HO STUDIATO I NOMI»
I pm stanno esaminando nuovi documenti, compreso lo scambio di messaggi del 15 maggio scorso, un mese prima dei ballottaggi. Scrive Marra: «Ho appena finito di studiare i nominativi per gli incarichi delle strutture di diretta collaborazione del sindaco e del vicesindaco». La prova evidente di quanto era già stato raccontato dall'ex assessore al Bilancio Marcello Minenna e dall'ex capo di gabinetto Carla Raineri, entrambi dimissionari proprio perché intenzionati a non subire la presenza di Marra. Ma anche del capo dell'avvocatura Rodolfo Murra, che per primo ha parlato di una «sindaca sotto ricatto».
MINENNA
L'AMMISSIONE DI MELONI
Quanto è accaduto in questi mesi rende evidente quale fossero le «pressioni» esercitate su Raggi, tanto che fu proprio lei - quando Beppe Grillo le chiese di spostare Marra da vicecapo di gabinetto - a dire che «se va via lui, io mi dimetto».
Spostandolo subito dopo al Personale. Due giorni fa, i pubblici ministeri hanno interrogato l'assessore Meloni proprio per chiarire i passaggi della nomina di Renato Marra visto che il Turismo rientra nelle sue competenze. E lui non ha avuto dubbi nel ricostruire che cosa accadde prima del 9 novembre: «Fu Salvatore a suggerirmi di prendere suo fratello». L'ulteriore conferma di chi prendeva le decisioni e soprattutto della bugia della sindaca sul fatto che era una «sua determinazione».
CARLA RAINERI
«TI PUÒ FAR MALE»
Evidentemente Marra - come lui stesso si vantava raccontando di aver guidato i 5 Stelle in campagna elettorale - poteva orientare l' esito delle pratiche e individuare le persone «fidate» da mettere nei posti chiave. Lo ha detto anche Sergio Scarpellini, il costruttore accusato di avergli regalato un appartamento in cambio di averlo «a disposizione» per curare i suoi affari con il Campidoglio intercettato mentre parla con la sua segretaria: «Marra è una personalità, se non ti aiuta ti può far male».
Trump procede con le nomine della sua amministrazione. Al vertice degli 007 l'esponente del Tea Party, contrario all'accordo con l'Iran e membro a vita della Rifle Association. Favorevole al muro al confine col Messico il nuovo Attorney general Jeff Sessions.
Al vertice della Cia Mike Pompeo, esponente del Tea Party, membro a vita della Rifle Association, e oppositore dell’accordo con l’Iran mentre il nuovo Attorney general Jeff Sessions, ex procuratore generale dell’Alabama, condivide col neopresidente le stesse posizioni oltranziste sull’immigrazione ed è un entusiasta sostenitore del muro al confine con il Messico. I media americani ricordano poi che definì un “traditore della razza” un bianco che lavorava per degli afroamericani e disse che il suo unico problema con il Ku Klux Klan era l’uso di droga da parte dei membri. Infine c’è Michael Flynn, il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, generale a riposo filo-russo secondo cui “la paura dei musulmani è razionale”, scelto da Obama nel 2012 per guidare la Defense Intelligence Agency, l’intelligence militare, ma costretto a lasciare nell’agosto del 2014 per tensioni e divergenze con la Casa Bianca. Dopo la contestata scelta di Steve Bannon come chief strategist della Casa Bianca, il neopresidente Donald Trump procede con le nomine della sua nuova squadra dell’amministrazione Usa e, al momento, Flynn e Sessions hanno già accettato l’incarico.
Pompeo, direttore della Cia – Il deputato del Kansas Mike Pompeo, esponente dei Tea Party, è stato tra i più convinti oppositori all’Obamacare ed è contrario alla chiusura di Guantanamo. Pompeo è inoltre noto per essere stato tra i sostenitori del programma di sorveglianza dell’Nsa rivelato da Edward Snowden. E in un tweet pubblicato meno di 24 ore fa, riferendosi all’accordo con l’Iran sulla revoca delle sanzioni collegata a un ridimensionamento del programmanucleare aveva scritto: “Non vedo l’ora di smantellare questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del mondo”. Il tweet rimanda ad un articolo dello stesso Pompeo al settimanale neo-con The Weekly Standard, intitolato ‘Smantellare l’accordo con l’Iran? Facile”.
Sessions, nuovo Attorney general – Il senatore dell’Alabama Jeff Sessions sarà il nuovo Attorney general degli Stati Uniti (colui che guida il dipartimento della Giustizia) nella futura amministrazione del presidente eletto Donald Trump. Sessions, 69 anni, ex procuratore generale dell’Alabama e procuratore federale, è noto per le sue posizioni oltranziste. Politico lo definisce “tra i più conservatori al Congresso, con dure posizioni sulle questioni dell’immigrazione e sulle politiche fiscali, ma generalmente benvoluto tra i suoi colleghi del partito repubblicano”.
Aggiunge che era stato il primo a esprimere sostegno a Trump al Senato. Varie sue dure affermazioni in materia di immigrazione si sono molto avvicinate a quelle di Trump. Sessions si oppone a ogni possibilità di cittadinanza per gli immigrati senza documenti ed è un entusiasta sostenitore della costruzione di un muro al confine con il Messico. Veterano dell’esercito, Sessions è un membro di alto rango della Commissione servizi armati del Senato e presidente della Sottocommissione forze strategiche.
Dopo vent’anni al Congresso, potrebbe trovare opposizione per la conferma al Senato. Nel 1986, è stato il secondo nominato in cinquant’anni a vedersi negata la conferma a giudice federale, a causa dell’accusa che avesse pronunciato commenti razzisti. Tra questi, secondo una testimonianza in quello stesso anno avrebbe apostrofato un giudice afro-americano con l’espressione a sfondo razzista “boy”, accusa che Sessions smentì. All’udienza in proposito disse di non essere razzista, ma che gruppi come l’Associazione nazionale per il progresso delle persone di colore e l’Unione per le libertà civili americane potrebbero essere ritenute “antiamericani”.
Flynn, Consigliere per la Sicurezza Nazionale – Generale a riposo di grande esperienza, oltre alle tre stelle sulle sue mostrine può vantare successi decisivi nello smantellamento delle reti degli insorti in Afghanistan ed Iraq. Ma alla Casa Bianca arriva dopo essersi attirato le critiche di molti, anche al Pentagono, per le sue posizioni filo Russia, che lo hanno messo in sintonia con il suo futuro boss, e le sue posizioni anti-Islam, che sarebbero state all’origine, a sua detta, dello strappo con Barack Obama.
Senza contare che l’uomo che avrà un ruolo centrale nel consigliare un presidente privo di esperienza, si è espresso in favore all’estradizione di Fetullah Gulen, il religioso turco che vive in Pennsylvania ed è stato accusato dalle autorità turche di aver fomentato il golpe della scorsa estate. “Il suo vasto network ha tutte le caratteristiche per corrispondere alla descrizione di una pericolosa cellula dormiente” terroristica ha scritto il generale. Lo staff di Trump disse che si trattava di opinione personali di Flynn il quale non avrebbe neanche reso noti i contratti della sua società di lobby con gruppi legati al governo di Ankara.
Flynn era stato scelto da Obama nel 2012 per guidare la Defense Intelligence Agency, l’intelligence militare, ma fu costretto a lasciare l’incarico nell’agosto del 2014 per tensioni e divergenze con la Casa Bianca. Flynn non reagì con disciplina militare ed in diverse occasioni attaccò in pubblico il comandante in capo. E da allora si è distinto per una serie di dichiarazioni, ed azioni, non in linea con al politica estera e di sicurezza dell’amministrazione.
Sorprese tutti infatti il suo viaggio lo scorso anno a Mosca quando apparve al fianco di Vladimir Putin ad un gala per una televisione filo Cremlino, Rt, una ricca ‘photo opportunity’ per il presidente russo in un momento di tensione con Washington. Comportamenti che suscitarono critiche da parte dei vertici militari aumentate quando Flynn, lasciando il decoro che tradizionalmente si aspetta da un generale in pensione, è diventato un acceso sostenitore, in tv e sui palchi dei comizi con i fan che urlavano ‘in galera’ rivolti alla Clinton, della campagna di Trump.
Uno dei principali censori del suo comportamento è stato il generale a riposo Stanley McChristal, che aveva voluto Flynn al suo fianco a capo dell’intelligence militare in Iraq ed Afghanistan. Insieme all’ammiraglio Michael Mullen, ex capo degli Stati Maggiori Riuniti, Stanley contattò Flynn per avvisarlo che il suo comportamento, le sue continue comparsate in tv per parlare a difendere Trump ed attaccare Obama, avrebbero potuto mettere a rischio la fiducia della Casa Bianca nei militari. Flynn replicò alle critiche, affermando: “Quando qualcuno dice, sei un generale devi stare zitto, io rispondo, ma devo smettere di essere americano?”.
Nella stessa intervista al Washington Post, il generale, da sempre democratico, nato in Rhode Island in una famiglia di militari, avvisò del rischio per gli Stati Uniti rappresentato da una “componente malata” dell’Islam. “Sta succedendo qualcosa nel mondo islamico – disse – per quale motivo dobbiamo rafforzare la sicurezza nei nostri aeroporti? Non è perché sta crollando la chiesa cattolica”. Ed a febbraio ha postato un video su Youtube in cui affermava: “La paura dei musulmani è razionale”. Affermazioni che sono all’origine delle critiche arrivate dai gruppi per i diritti civili, allarmati anche dal fatto che il generale non abbia voluto prendere le distanze dalle promesse di Trump di reintrodurre il water boarding e gli altri metodi di interrogatorio brutale ed addirittura uccidere o catturare i parenti dei sospetti terroristi. Intervistato da al Jazeera, Flynn si è limitato a dire di “credere che si debbano lasciare molte opzioni sul tavolo fino all’ultimo minuto”. “Michael Flynn ha mostrato un profondo disprezzo per le leggi internazionali, compresa la convenzione di Ginevra e le leggi che proibiscono la tortura”, ha affermato John Sifton di Human Rights Watch.
Il gen. Micael Flynn: per fermare la guerra servono una visione strategica e l’energia nucleare
martedì 11 agosto 2015
Il gen. Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha concesso il 4 agosto una intervista per “Head to Head”, programma condotto da Mehdi Hasan di Al Jazeera, che ha un contenuto esplosivo non soltanto perché ha accusato l’amministrazione Obama di aver “deciso consapevolmente” di sostenere i gruppi della jihad nel costituire un Califfato Islamico.
Dando voce a un raggruppamento di funzionari della Difesa e ufficiali americani, il generale ha chiesto che gli Stati Uniti pongano la parola fine alla politica di guerra, pervengano ad accordi con le nazioni dell’Asia sudoccidentale su una strategia regionale di sviluppo economico, unica azione capace di assicurare la pace.
Il gen. Flynn ha parlato in modo appassionato, prendendo le parti di chi considera, nonostante tutto, “fattibile” la pace nella regione, e l’ha fatto evocando la necessità di una visione, di una strategia, di una giusta immaginazione!
Il giudizio della storia sulla decisione di attaccare l’Iraq, nel 2003, non sarà tenero, ha detto; guardando indietro di 50-70 anni si riconoscono numerosi errori strategici che sono responsabili di molti focolai di instabilità. V’è qualcosa di sbagliato nella politica e nella strategia americana, se dal 2004 al 2014 il numero di gruppi individuati nell’elenco dei terroristi presso il Dipartimento di Stato è raddoppiato.
Gli americani hanno investito più nella conflittualità, che nella ricerca di soluzioni. Hanno impiegato più droni, più bombe; hanno spedito più gente ad uccidere più gente. Tuttavia, gettare droni, “addestrare una sessantina di tizi”, sono misure tattiche, cose ottuse che possono solo portare a conflitti più ampi, mentre sono disponibili soluzioni strategiche per la regione, incentrate su un cambiamento nel sistema economico dell’intera Asia sudoccidentale.
Ciò che il Gen. Flynn ha posto sul tavolo come elemento di cambiamento è una rete regionale di centri di sviluppo per l’impiego civile dell’energia nucleare, per permettere in particolar modo la dissalazione dell’acqua marina. I sauditi, i giordani, gli egiziani e, ora, i tunisini, ha sottolineato Flynn, stanno firmando contratti con la Russia, che attribuisce grande importanza allo sviluppo delle tecniche nucleari. L’energia dell’atomo è la forma meno dispendiosa di energia per la dissalazione, operazione necessaria per irrigare una regione così arida.
Pur restando contrario agli accordi del gruppo P5+1 sull’Iran e diffidando della classe dirigente iraniana, egli sostiene che l’Iran dovrebbe essere parte di tale accordo regionale e che il gruppo P5+1 dovrebbe essere coinvolto proprio nello sviluppo regionale dell’energia nucleare.
Il generale vorrebbe che si pensasse al futuro dei prossimi 10-50 anni, o anche dell’intero secolo a venire. Questo è, infatti, il pensiero strategico.
Per poter sconfiggere l’ISIS e gli altri gruppi della jihad, le nazioni devono offrire alle proprie generazioni più giovani, soprattutto nella fascia dei 15-25 anni, qualcosa di utile da fare, ha insistito.
L’intervista si conclude con la domanda: il generale ha in mente di candidarsi alla Presidenza?
Il gen. Flynn: per fermare la guerra servono una visione strategica e l’energia nucleare
martedì 11 agosto 2015 22:35
Il gen. Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha concesso il 4 agosto una intervista per “Head to Head”, programma condotto da Mehdi Hasan di Al Jazeera, che ha un contenuto esplosivo non soltanto perché ha accusato l’amministrazione Obama di aver “deciso consapevolmente” di sostenere i gruppi della jihad nel costituire un Califfato Islamico.
Dando voce a un raggruppamento di funzionari della Difesa e ufficiali americani, il generale ha chiesto che gli Stati Uniti pongano la parola fine alla politica di guerra, pervengano ad accordi con le nazioni dell’Asia sudoccidentale su una strategia regionale di sviluppo economico, unica azione capace di assicurare la pace.
Il gen. Flynn ha parlato in modo appassionato, prendendo le parti di chi considera, nonostante tutto, “fattibile” la pace nella regione, e l’ha fatto evocando la necessità di una visione, di una strategia, di una giusta immaginazione!
Il giudizio della storia sulla decisione di attaccare l’Iraq, nel 2003, non sarà tenero, ha detto; guardando indietro di 50-70 anni si riconoscono numerosi errori strategici che sono responsabili di molti focolai di instabilità. V’è qualcosa di sbagliato nella politica e nella strategia americana, se dal 2004 al 2014 il numero di gruppi individuati nell’elenco dei terroristi presso il Dipartimento di Stato è raddoppiato.
Gli americani hanno investito più nella conflittualità, che nella ricerca di soluzioni. Hanno impiegato più droni, più bombe; hanno spedito più gente ad uccidere più gente. Tuttavia, gettare droni, “addestrare una sessantina di tizi”, sono misure tattiche, cose ottuse che possono solo portare a conflitti più ampi, mentre sono disponibili soluzioni strategiche per la regione, incentrate su un cambiamento nel sistema economico dell’intera Asia sudoccidentale.
Ciò che il Gen. Flynn ha posto sul tavolo come elemento di cambiamento è una rete regionale di centri di sviluppo per l’impiego civile dell’energia nucleare, per permettere in particolar modo la dissalazione dell’acqua marina. I sauditi, i giordani, gli egiziani e, ora, i tunisini, ha sottolineato Flynn, stanno firmando contratti con la Russia, che attribuisce grande importanza allo sviluppo delle tecniche nucleari. L’energia dell’atomo è la forma meno dispendiosa di energia per la dissalazione, operazione necessaria per irrigare una regione così arida.
Pur restando contrario agli accordi del gruppo P5+1 sull’Iran e diffidando della classe dirigente iraniana, egli sostiene che l’Iran dovrebbe essere parte di tale accordo regionale e che il gruppo P5+1 dovrebbe essere coinvolto proprio nello sviluppo regionale dell’energia nucleare.
Il generale vorrebbe che si pensasse al futuro dei prossimi 10-50 anni, o anche dell’intero secolo a venire. Questo è, infatti, il pensiero strategico.
Per poter sconfiggere l’ISIS e gli altri gruppi della jihad, le nazioni devono offrire alle proprie generazioni più giovani, soprattutto nella fascia dei 15-25 anni, qualcosa di utile da fare, ha insistito.
L’intervista si conclude con la domanda: il generale ha in mente di candidarsi alla Presidenza?
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Il gen. Flynn: per fermare la guerra servono una visione strategica e l’energia nucleare
martedì 11 agosto 2015 22:35
Il gen. Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha concesso il 4 agosto una intervista per “Head to Head”, programma condotto da Mehdi Hasan di Al Jazeera, che ha un contenuto esplosivo non soltanto perché ha accusato l’amministrazione Obama di aver “deciso consapevolmente” di sostenere i gruppi della jihad nel costituire un Califfato Islamico.
Dando voce a un raggruppamento di funzionari della Difesa e ufficiali americani, il generale ha chiesto che gli Stati Uniti pongano la parola fine alla politica di guerra, pervengano ad accordi con le nazioni dell’Asia sudoccidentale su una strategia regionale di sviluppo economico, unica azione capace di assicurare la pace.
Il gen. Flynn ha parlato in modo appassionato, prendendo le parti di chi considera, nonostante tutto, “fattibile” la pace nella regione, e l’ha fatto evocando la necessità di una visione, di una strategia, di una giusta immaginazione!
Il giudizio della storia sulla decisione di attaccare l’Iraq, nel 2003, non sarà tenero, ha detto; guardando indietro di 50-70 anni si riconoscono numerosi errori strategici che sono responsabili di molti focolai di instabilità. V’è qualcosa di sbagliato nella politica e nella strategia americana, se dal 2004 al 2014 il numero di gruppi individuati nell’elenco dei terroristi presso il Dipartimento di Stato è raddoppiato.
Gli americani hanno investito più nella conflittualità, che nella ricerca di soluzioni. Hanno impiegato più droni, più bombe; hanno spedito più gente ad uccidere più gente. Tuttavia, gettare droni, “addestrare una sessantina di tizi”, sono misure tattiche, cose ottuse che possono solo portare a conflitti più ampi, mentre sono disponibili soluzioni strategiche per la regione, incentrate su un cambiamento nel sistema economico dell’intera Asia sudoccidentale.
Ciò che il Gen. Flynn ha posto sul tavolo come elemento di cambiamento è una rete regionale di centri di sviluppo per l’impiego civile dell’energia nucleare, per permettere in particolar modo la dissalazione dell’acqua marina. I sauditi, i giordani, gli egiziani e, ora, i tunisini, ha sottolineato Flynn, stanno firmando contratti con la Russia, che attribuisce grande importanza allo sviluppo delle tecniche nucleari. L’energia dell’atomo è la forma meno dispendiosa di energia per la dissalazione, operazione necessaria per irrigare una regione così arida.
Pur restando contrario agli accordi del gruppo P5+1 sull’Iran e diffidando della classe dirigente iraniana, egli sostiene che l’Iran dovrebbe essere parte di tale accordo regionale e che il gruppo P5+1 dovrebbe essere coinvolto proprio nello sviluppo regionale dell’energia nucleare.
Il generale vorrebbe che si pensasse al futuro dei prossimi 10-50 anni, o anche dell’intero secolo a venire. Questo è, infatti, il pensiero strategico.
Per poter sconfiggere l’ISIS e gli altri gruppi della jihad, le nazioni devono offrire alle proprie generazioni più giovani, soprattutto nella fascia dei 15-25 anni, qualcosa di utile da fare, ha insistito.
L’intervista si conclude con la domanda: il generale ha in mente di candidarsi alla Presidenza?
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Il gen. Flynn: per fermare la guerra servono una visione strategica e l’energia nucleare
martedì 11 agosto 2015 22:35
Il gen. Michael Flynn, ex direttore della Defense Intelligence Agency, ha concesso il 4 agosto una intervista per “Head to Head”, programma condotto da Mehdi Hasan di Al Jazeera, che ha un contenuto esplosivo non soltanto perché ha accusato l’amministrazione Obama di aver “deciso consapevolmente” di sostenere i gruppi della jihad nel costituire un Califfato Islamico.
Dando voce a un raggruppamento di funzionari della Difesa e ufficiali americani, il generale ha chiesto che gli Stati Uniti pongano la parola fine alla politica di guerra, pervengano ad accordi con le nazioni dell’Asia sudoccidentale su una strategia regionale di sviluppo economico, unica azione capace di assicurare la pace.
Il gen. Flynn ha parlato in modo appassionato, prendendo le parti di chi considera, nonostante tutto, “fattibile” la pace nella regione, e l’ha fatto evocando la necessità di una visione, di una strategia, di una giusta immaginazione!
Il giudizio della storia sulla decisione di attaccare l’Iraq, nel 2003, non sarà tenero, ha detto; guardando indietro di 50-70 anni si riconoscono numerosi errori strategici che sono responsabili di molti focolai di instabilità. V’è qualcosa di sbagliato nella politica e nella strategia americana, se dal 2004 al 2014 il numero di gruppi individuati nell’elenco dei terroristi presso il Dipartimento di Stato è raddoppiato.
Gli americani hanno investito più nella conflittualità, che nella ricerca di soluzioni. Hanno impiegato più droni, più bombe; hanno spedito più gente ad uccidere più gente. Tuttavia, gettare droni, “addestrare una sessantina di tizi”, sono misure tattiche, cose ottuse che possono solo portare a conflitti più ampi, mentre sono disponibili soluzioni strategiche per la regione, incentrate su un cambiamento nel sistema economico dell’intera Asia sudoccidentale.
Ciò che il Gen. Flynn ha posto sul tavolo come elemento di cambiamento è una rete regionale di centri di sviluppo per l’impiego civile dell’energia nucleare, per permettere in particolar modo la dissalazione dell’acqua marina. I sauditi, i giordani, gli egiziani e, ora, i tunisini, ha sottolineato Flynn, stanno firmando contratti con la Russia, che attribuisce grande importanza allo sviluppo delle tecniche nucleari. L’energia dell’atomo è la forma meno dispendiosa di energia per la dissalazione, operazione necessaria per irrigare una regione così arida.
Pur restando contrario agli accordi del gruppo P5+1 sull’Iran e diffidando della classe dirigente iraniana, egli sostiene che l’Iran dovrebbe essere parte di tale accordo regionale e che il gruppo P5+1 dovrebbe essere coinvolto proprio nello sviluppo regionale dell’energia nucleare.
Il generale vorrebbe che si pensasse al futuro dei prossimi 10-50 anni, o anche dell’intero secolo a venire. Questo è, infatti, il pensiero strategico.
Per poter sconfiggere l’ISIS e gli altri gruppi della jihad, le nazioni devono offrire alle proprie generazioni più giovani, soprattutto nella fascia dei 15-25 anni, qualcosa di utile da fare, ha insistito.
L’intervista si conclude con la domanda: il generale ha in mente di candidarsi alla Presidenza?
Al grido di “Make Italia great again “, la festa dei trumpiani d’Italia si è dipanata in due location. La prima quella dell’ala dura e pura, la cosiddetta “hard wing”, in un’Art Gallery di via Sallustiana, proprio davanti al Mel Sembler Building dell’Ambasciata americana di via Veneto. Appuntamento un’ora e mezzo prima del giuramento di “The Donald”. Un vai e vieni di un centinaio di persone capitanate da Leo Zagami dell’Ordo Illuminatorum, tra cui, come racconta lo stesso Zagami, “molti esponenti della massoneria, degli Amici di Putin in Italia, rappresentanti dell’ambasciata russa a Roma”. E tra loro anche lo scrittore Alfonso Luigi Marra, ex parlamentare europeo.
La seconda location ha avuto più il sapore del ricevimento romano, nei saloni del piano nobile del Palazzo Ferrajoli che sta proprio di fronte a Palazzo Chigi, dall’altro lato di piazza Colonna.
In serata i due gruppi si sono ricongiunti proprio a Palazzo Ferrajoli per una cena ristretta, benedetta da due bottiglie in oro 24 carati di Franciacorta edizione ultralimitata.
Pochi i nomi noti. A palazzo Ferrajoli il senatore Peppe Esposito (del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti), la senatrice Cinzia Dato, il giudice Antonio Marini, molti professori universitari, avvocati, notai, qualche monsignore. Massimo Lucidi, braccio destro dell’amico di una vita di Donald Trump (e suo vicino di casa nella Trump Tower, oltre a esserne il consulente social media), George Lombardi. Si è affacciata anche Francesca Immacolata Chaouqui, pr, al centro del Vatileaks2.
L’evento praticamente si divide in due. Una sala dedicata all'approfondimento culturale dell’evento del giuramento del presidente, al suo cerimoniale anche religioso, sotto la regia dell’animatore del Centro della promozione del libro, Giovanni Cipriani.
E poi la sala dedicata agli interventi degli “organizzatori” politico-accademici: dall’avvocato Fabrizio Bonanni Saraceno, responsabile dell’associazione “Verso il Futuro”, al fondatore di “Scenari economici”, Antonio Maria Rinaldi, a Fabio Verna, economista dell’Università di Messina, e tanti altri. Testimonianze dell’imprenditore di Arezzo Marco Arcuri e del sindaco di Vigo di Fassa, Leopoldo Rizzi, che (e non sarà l’unico in tutta la serata) si richiama ad Alcide De Gasperi.
Tanti i temi: “Basta Europa a guida tedesca”, “Sì ai richiedenti asilo e non all’immigrazione indiscriminata”, “No ai salvataggi delle banche”, “Futuro per i nostri figli, perché non debbano andare all’estero”, “Amicizia con la Russia che fa parte dell’Europa”. In collegamento telefonico da Washington, perché invitato da Trump, Gian Mario Ferramonti.
Alle 17 in punto tutti in silenzio ad ascoltare il giuramento e soprattutto il discorso del 45mo Presidente degli Stati Uniti d’America. Poi applausi convinti, commozione. Pari solo a quella di quando, durante l’evento, fanno gli auguri alle persone trovate vive sotto la slavina in Abruzzo. Quasi fosse un segno del cielo che il salvataggio sia avvenuto proprio oggi, il giorno dell’Inaugurazione di Trump (“Si vede proprio che oggi lo Spirito soffia”, commenta Lucidi).
Il discorso di The Donald era quello che l’uditorio voleva sentire: un discorso netto. “Il governo deve tornare al popolo”. È quello che vogliono anche i trumpiani d’Italia .Tutti alla ricerca di una ricetta per far ripartire l’economia italiana e per far vincere di nuovo un centrodestra, che archivi quello berlusconiano, insieme ai gigli magici e a Verdini, e si riprenda Palazzo Chigi, come ha detto Lucidi.
L’intermezzo musicale di un bravo e giovane tenore napoletano, Giuseppe Gambi, dà il là a questa speranza. È l’aria della Turandot di Puccini “Nessun dorma”, che termina con il “Vincerò”.
Adnkronos- No al ballottaggio, sì al premio di maggioranza. Sono queste le decisioni della Corte Costituzionale sulla legittimità della legge elettorale Italicum. I giudici, riuniti ieri e oggi in camera di consiglio al palazzo della Consulta, si sono pronunciati sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate da cinque diversi Tribunali ordinari: Messina, Torino, Perugia, Trieste e Genova. Dopo questa sentenza, "la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione", si specifica.
"La Corte - riferisce una nota della Consulta - ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all’esame delle singole questioni sollevate dai giudici".
Nel merito, "ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno e ha invece accolto le questioni relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono".
Inoltre, "ha accolto la questione relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio". Infine, ha dichiarato "inammissibili o non fondate tutte le altre questioni".
Legge elettorale "suscettibile di immediata applicazione".
Dalla Corte Costituzionale arriva il via libera al voto con l'Italicum modificato in base al pronunciamento di oggi, modello valido però soltanto per la Camera, mentre per l'elezione del Senato occorrerebbe far riferimento al cosiddetto 'Consultellum', vale a dire il meccanismo uscito dalla sentenza numero 1 del 2014 sempre della Consulta intervenuta sul cosiddetto 'Porcellum'.
Se si dovesse votare oggi per la Camera quindi sostanzialmente si avrebbe un proporzionale con possibilità di premio di maggioranza per la lista che dovesse raggiungere il 40 per cento. Qualora però non venisse raggiunto questo tetto la partita finirebbe lì, in quanto non ci sarebbe più la possibilità di un secondo tempo, vale a dire un ballottaggio tra le prime due liste.
Entrando più nello specifico, il territorio nazionale viene ripartito in 20 circoscrizioni elettorali, corrispondenti alle regioni, divise a loro volta in complessivi 100 collegi plurinominali, a ciascuno dei quali viene assegnato un numero di seggi compreso tra tre e nove.
I seggi vengono distribuiti tra le liste che raggiungono la soglia del 3 per cento dei voti validi su base nazionale, mentre, come detto, alla lista che dovesse ottenere il 40 per cento dei voti validi sempre su base nazionale verrebbero assegnati 340(il 54% dei deputati eletti) deputati su 630.
La ripartizione avviene nelle circoscrizioni in misura proporzionale al numero di voti che ciascuna lista ha ottenuto e poi nei collegi plurinominali anche in tal caso in misura proporzionale al numero di voti ottenuto da ciascuna lista.
Le liste sono formate da un candidato capolista e da un elenco di candidati e l'elettore può esprimere fino a due preferenze di sesso diverso, tra coloro che non sono capilista. Quindi sono proclamati eletti dapprima i capilista nei collegi, i cosiddetti capilista bloccati, e successivamente i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze.
A questo punto interviene l'altra novità fissata dalla sentenza della Consulta. Per i capilista, che contrariamente agli altri candidati possono presentarsi in più collegi fino a un massimo di dieci, non sarà più possibile esprimere un'opzione per un collegio piuttosto che per un altro, scegliendo così chi favorire tra i candidati che si sono piazzati alle loro spalle in base alle preferenze.
Se tuttavia decideranno comunque per la pluricandidatura, si procederà a un sorteggio per stabilire il collegio di elezione non potendolo più scegliere, meccanismo attualmente previsto in caso di mancata opzione volontaria.
La Corte Costituzionale ha infatti stabilito che "sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio non censurato nelle ordinanze di rimessione".