SABINO CASSESE SUGGERISCE DI DIVIDERE LA CARICA DI SINDACO: UNO CHE TAGLIA I NASTRI ED UNO CHE LAVORA
PORTICI DELLE BASILICHE DORMITORIO PER I SENZA TETTO
IL CASO DEI POLACCHI ACCAMPATI A DUE PASSI DA SAN PIETRO. DA DIECI ANNI
1. COSÌ ROMA RISCHIA DI MORIRE
Sabino Cassese per il Corriere della Sera
C' è una nuova «questione romana», non quella dei rapporti tra Stato e Chiesa, ma quella del rapido declino della capitale d' Italia. Potremmo oggi ripetere le parole con le quali l' ambasciatore francese a Roma Gramont, nel 1860, sintetizzava il suo giudizio: «C' est ici que l' Orient commence» (è qui che comincia l' Oriente). Con l' Unità d' Italia, Roma si era sollevata al rango delle capitali europee. Ora è una città in stato di abbandono.
Le strade sono intransitabili a causa delle buche. Nei casi più gravi, vengono tenute chiuse per evitare incidenti, ma così impedendo alla gente di raggiungere le proprie abitazioni. Vi sono lavori pubblici che attendono da quarant' anni d' esser fatti. Per la pulizia di strade e giardini, in alcuni casi diventati pattumiere, si ricorre ormai al «fai da te»: si paga qualche extracomunitario di buona volontà, che provvede. Se un albero crolla, lo si circonda con qualche segnale di pericolo e lo si lascia per terra.
Alcuni luoghi pubblici, anche i portici di una delle principali basiliche, sono intransitabili perché vi sono persone accampate, che hanno fatto della strada la propria casa. Tolleranza e incuria regnano sovrane. I trasporti pubblici non funzionano, per cui tutti ricorrono ai mezzi privati, con conseguenze gravi per traffico e ambiente. I vigili urbani sono diventati una entità astratta. Gli amministratori locali vivono sulla luna, invece di girare per le strade e constatare in che condizioni sono.
Questo degrado - di cui ho tratteggiato solo i lati più evidenti - non è cominciato da oggi, ma si è ora improvvisamente accelerato. Mentre Roma ritorna a grandi passi verso il livello di una città medio-orientale, Milano corre, e ai romani che visitano la «capitale morale» pare di esser in un altro Paese. Poiché una nazione e uno Stato non possono tollerare questa situazione, occorre un piano straordinario per Roma, che impegni tutto il Paese, che renda concreta quella «promessa» che si legge nella Costituzione: «Roma è la Capitale della Repubblica». Questo piano straordinario dovrebbe partire da tre punti.
Il primo è affidare le funzioni di rappresentanza a una persona diversa dal sindaco. Occorre riconoscere che oggi i sindaci di Roma, di una città dove risiedono due capitali (quella dello Stato e quella di una potenza mondiale, la Chiesa cattolica), sono caricati di una funzione da ciambellani, debbono ricevere capi di Stato, visitare pontefici, accompagnare personalità straniere in visita. Questo assorbe energie e «vizia», abituando chi dovrebbe gestire e amministrare a stare sotto la luce dei riflettori, accanto ai grandi nomi della vita internazionale.
Il secondo è dare alla Capitale un ordinamento speciale, come molte delle capitali del mondo (la Costituzione dispone espressamente che «la legge dello Stato disciplina il suo ordinamento»). Un ordinamento speciale che riconosca una realtà ineludibile: la duplicità di funzioni del potere locale romano, che è chiamato anche ad agire come capitale, quindi nell' interesse della intera nazione.
Ciò significa che, accanto al rappresentante scelto dal popolo, vi sia un gestore che goda dei poteri necessari a intervenire sullo svolgimento delle attività di interesse generale: per esempio, un organismo politico, un ministro senza portafoglio che faccia sentire nella città gli interessi del Paese e un organismo tecnico che dia attuazione alla cura di questi interessi. Questo era inizialmente chiaro ai «padri fondatori»: Quintino Sella, tra gli altri, pensò che la «città amministrativa» non dovesse essere lontana dalla stazione ferroviaria, perché non doveva servire i romani soltanto, ma anche tutti i cittadini italiani.
Il terzo punto è abbandonare il ragionamento cinico: lasciamo che i Cinque Stelle dimostrino quel che (non) sanno fare, in modo da far capire che una dirigenza politica e amministrativa non si improvvisa. Occorre invece riconoscere che l' evidente incapacità amministrativa di quel movimento politico danneggia romani e italiani, e che, quindi, vanno aiutati. Aiutarli vuol dire prestare alla città una ventina di sperimentati amministratori pubblici, capaci di costituire, con l' esempio, focolai di buona gestione, riconoscendo che per fare il buon amministratore non basta essere un politico onesto.
2. “IN DIECI ANNI NON CI HA MAI CACCIATO NESSUNO. QUESTA È CASA NOSTRA”
Claudio Rinaldi per il Corriere della Sera
«In dieci anni non ci ha mai cacciato nessuno. Ormai questa è casa nostra». Dopo la denuncia del Corriere di ieri, «gli accampati di San Pietro» sono sempre lì, all' angolo tra via San Pio X e Borgo Santo Spirito. Un piazzale a due passi dal Vaticano con vista su Castel Sant' Angelo, dove vivono undici persone, provengono tutti dalla Polonia e hanno scelto Roma perché speravano in un futuro migliore. «Benvenuto nel nostro salotto», dice Wieswava, diventata Anna da quando nel '98 ha lasciato Cracovia per un lavoro da domestica tuttofare in provincia di Rieti.
«Vent' anni fa per me l' Italia era un sogno, oggi mi adatto con quello che ho: un sacco a pelo, tre magliette, due jeans e una famiglia acquisita con la quale condivido tutto, dalla mattina alla sera». Eppure Anna una famiglia d' origine ce l' aveva; sua figlia, una maestra di scuola elementare, vive a pochi chilometri da Roma: «Lei non sa che abito qui - afferma, mentre rifiuta di essere fotografata in volto - e non voglio che lo sappia». Robert invece, 48 anni, un passato da muratore e un presente da lavavetri lungo i semafori del Lungotevere, non ha problemi: «Gli unici parenti che conosco sono seduti sul muretto qui con me. Viviamo con poco, ma stiamo bene e non abbiamo mai perso il sorriso».
Le giornate incominciano presto, gli alberi che loro chiamano «serrande», non coprono del tutto i raggi del sole, e proseguono sempre allo stesso modo: «La mattina andiamo sotto il Colonnato di San Pietro - spiega Robert - perché lì Papa Francesco ha fatto installare delle docce per i senzatetto e poi mentre io provo a racimolare un po' di soldi, loro puliscono casa». Il piazzale è in ordine, un sacco di spazzatura pieno è appoggiato a un muretto: «Al bagno andiamo al Pronto Soccorso del Santo Spirito - ci tiene a specificare -, siamo attenti ai nostri spazi. Quella per esempio è la nostra cucina».
In un angolo ci sono le provviste per mangiare, un sacco di patate, del pollo in scatola, persino del tè in busta e un fornellino alimentato a gas; dall' altra parte del piazzale invece uno stendino con alcune magliette appese e due uomini che dormono. «D' estate viviamo qui - confessa Luca, 34 anni -, d' inverno invece andiamo nel sottopasso di Via Gregorio VII. Anche lì siamo organizzati benissimo. È il nostro hotel a quattro stelle». Luca è arrivato nel 2000 in Italia, aveva una fidanzata e un lavoro, poi ha perso tutto e negli anni ha trovato anche la galera.
«Ho iniziato a rubare motorini, poi sono passato alle Ford, ma ora basta, grazie a loro sono diventato una persona diversa». Loro, gli undici polacchi di Borgo Santo Spirito, non si lamentano e non pensano di andare altrove: «Sappiamo che a Roma ci sono decine di palazzi occupati - conclude Luca -, ma a noi non interessano. Preferiamo stare qui, non diamo fastidio a nessuno. È per questo che la polizia non è mai venuta a trovarci».
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