9 dicembre forconi: 08/20/18

lunedì 20 agosto 2018

LA “TOKYO ELECTRIC POWER COMPANY” ASSUNSE MIGRANTI, PROFUGHI, DISABILI, ANZIANI E SENZATETTO PER BONIFICARE LA CENTRALE DI FUKUSHIMA

E’ L’ACCUSA DEL RAPPORTO ONU CHE PUNTA IL DITO CONTRO IL GRUPPO CHE SPEDI’ DECINE DI MIGLIAIA DI PERSONE, MALPAGATE E MALTRATTATE, A FARSI CONTAMINARE
Jacopo Granzotto per “il Giornale”

Migranti, profughi, disabili, anziani e senzatetto assunti (come cavie) per bonificare la centrale nucleare di Fukushima. Lavoratori probabilmente contaminati dalle radiazioni, ma anche sottopagati e maltrattati. Ennesimo, imbarazzante dossier - stavolta dell' Onu - nei confronti della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la compagnia nucleare proprietaria di Fukushima Daiichi. Una centrale in bancarotta da anni e tenuta in vita dai finanziamenti governativi e dove più volte si era discusso per l' impietoso trattamento dei lavoratori impiegati nella bonifica dei rifiuti radioattivi.

fukushima 10FUKUSHIMA
Secondo un rapporto dell' Onu decine di migliaia di lavoratori impegnati nell' opera di decontaminazione della centrale nucleare giapponese (colpita nel 2011 dal peggior incidente nucleare dai tempi di Chernobyl) starebbero rischiando la vita dopo essere stati esposti negli anni alle radiazioni. I dati forniti dal ministero del Lavoro e Welfare giapponese dicono che i lavoratori impiegati a Fukushima sono stati 46.386 nel solo 2016. In cinque anni fino al 2016, in tutto 76.951 persone.

fukushima 1FUKUSHIMA





«Le persone più a rischio di esposizione per le sostanze tossiche sono quelle più vulnerabili allo sfruttamento - affermano dall' Onu - i poveri, i bambini, le donne, i migranti, le persone con disabilità e i lavoratori anziani. Gente spesso esposta a una miriade di abusi, costretti a una scelta aberrante tra la loro salute e il reddito. Purtroppo la loro situazione rimane invisibile all' opinione pubblica».

Giappone accusato di disumanità, anche se nel paese qualcuno si indigna. A luglio, un' indagine condotta da un settimanale di Tokyo aveva certificato che quattro società di costruzione avevano assunto tirocinanti stranieri per lavori di decontaminazione radioattiva nello stabilimento.
fukushimabigFUKUSHIMA

Nell' articolo si documentava che una delle quattro società pagava ai tirocinanti la miseria di 2.000 yen (16 euro) al giorno, una frazione dei 6.600 yen forniti dal governo come indennità speciale per il lavoro di decontaminazione.
Un' altra indagine, stavolta condotta nel 2013 dalla Reuters aveva anche riscontrato diffusi abusi sul lavoro, compresi la decurtazione improvvisa e senza preavviso di una parte della retribuzione.

E così agli esperti delle Nazioni Unite non è restato che invitare le autorità giapponesi ad agire con urgenza per proteggere questi lavoratori indifesi. E a chiedere ancora una volta (e sono tre) la possibilità di visitare la stazione danneggiata. Naturalmente senza avere risposta. Giappone che respinge le accuse e attacca l' Onu: inutili allarmismi.

«Tutto ciò è deplorevole - replica stizzito il ministro degli esteri Taro Kono - queste affermazioni unilaterali possono esacerbare la sofferenza delle persone nelle aree colpite dai disastri. Abbiamo gestito correttamente casi problematici in passato e non lo consideriamo una situazione che richiede una risposta». I giapponesi sono di parola.

Fonte: qui

MARCELLO VENEZIANI: “I BENETTON NON HANNO PRODOTTO SOLO MAGLIONI E GESTITO AUTOSTRADE MA SONO STATI LA PRIMA FABBRICA NOSTRANA DELL'IDEOLOGIA GLOBAL.”

“E TOSCANI E’ STATO IL LORO PROFETA. SOCIETÀ MULTIRAZZIALE, VIA LE BARRIERE OVUNQUE, ECCETTO AI CASELLI, DOVE SI TRATTA DI PRENDERE PEDAGGI - SI È CEMENTATO UN BLOCCO TRA UN CETO PROGRESSISTA CHE FORNISCE IL CERTIFICATO DI BUONA COSCIENZA A UN CETO AFFARISTICO DI CAPITALISTI MARPIONI. PERÒ ALLE VOLTE, VEDI GENOVA, INSORGE LA REALTÀ…”

''IL CAPITALISMO ITALIANO HA SEMPRE AVUTO QUESTO LATO PARASSITARIO E RAPACE: NON INVESTE, NON RISCHIA DI SUO MA CAMPA A RIDOSSO DELLO STATO. A VOLTE SOCIALIZZA LE PERDITE E PRIVATIZZA I PROFITTI, COME SPESSO FACEVA LA FIAT, O PIAZZA I SUOI PRODOTTI SCARTATI DAL MERCATO ALLO STATO, COME FACEVA AD ESEMPIO L’OLIVETTI DI DE BENEDETTI''

Marcello Veneziani per Il Tempo

I Benetton non hanno prodotto solo maglioni e gestito autostrade ma sono stati la prima fabbrica nostrana dell'ideologia global. Sono stati non solo sponsor ma anche precursori dell’alfabeto ideologico, simbolico e sentimentale della sinistra. Sono stati il ponte, è il caso di dirlo, tra gli interessi multinazionali del capitalismo global e dell'americanizzazione del pianeta, coi loro profitti e il loro marketing e i messaggi contro il razzismo, contro il sessismo, a favore della società senza frontiere, lgbt, trasgressiva e progressista.
 
Le loro campagne, affidate a Oliviero Toscani, hanno cercato di unire il lato choc, che spesso sconfinava nel cattivo gusto e nel pugno allo stomaco, col messaggio progressista umanitario: società multirazziale, senza confini, senza distinzioni di sessi, di religioni, di etnie e di popoli, con speciale attenzione ai minori. Via le barriere ovunque, eccetto ai caselli, dove si tratta di prendere pedaggi. Di recente la Benetton ha fatto anche campagne umanitarie sui barconi d’immigrati e ha lanciato un video «contro tutti i razzismi risorgenti». Misterioso il nesso tra le prediche sulla pelle dei disperati e il vendere maglioni o far pagare pedaggi alle auto.

Dietro la facciata «progressista» di Benetton c’è però la realtà di Maletton, il lato B. È il caso, ad esempio del milione d’ettari della Benetton in Patagonia, sottratto alle popolazioni locali, come le comunità mapuche, vanamente insorte e sanguinosamente represse. O lo sfruttamento senza scrupoli dell’Amazzonia, ammantato dietro campagne in difesa dell’ambiente.

O la storia dei maglioni prodotti a costi stracciati presso aziende che sfruttavano lavoratori, donne e minori a salari da fame e condizioni penose, come accadde in Bangladesh a Dacca, dove morirono un migliaio di sfruttati che lavoravano in un’azienda che produceva anche per Benetton. Le loro facce non le abbiamo mai viste negli spot umanitari di Benetton, così come non vedremo nessuna maglietta rossa, nessun cappellino rosso sponsorizzato da Benetton o promosso da Toscani per le vittime di Genova.

luciano benetton e oliviero toscaniLUCIANO BENETTON E OLIVIERO TOSCANI
A questo si aggiunge per la Benetton l’affarone di gestire prima gli Autogrill e poi interamente le Autostrade, dopo che lo Stato italiano ha investito per decenni miliardi per far nascere la rete autostradale. Un «regalo» del pubblico al privato, come succede solo in Italia. Il capitalismo italiano ha sempre avuto questo lato parassitario e rapace: non investe, non rischia di suo ma campa a ridosso del settore pubblico o delle sue commesse.

A volte socializza le perdite e privatizza i profitti, come spesso faceva per esempio la Fiat, o piazza i suoi prodotti scartati dal mercato allo Stato, come faceva ad esempio De Benedetti accollando materiali un po’ vecchiotti dell’Olivetti alla pubblica amministrazione. Aziende che si scoprivano nazionaliste quando si trattava di mungere dallo stato italiano e poi si facevano globalità quando si trattava di andarsene all’estero per ragioni di produzione, fisco o costi minori.

O si rileva la gestione delle Autostrade come i Benetton e i loro soci, con sontuosi profitti ma poi è tutto da verificare se si siano curati di investire adeguatamente per ammodernare la rete e fare manutenzione efficace. La tragedia di Genova pende come un gigantesco punto interrogativo tra i cavi sospesi sulla città.

Di tutto questo, naturalmente, si parla poco nei media italiani, soprattutto nei grandi; non dimentichiamo che Benetton, oltre che importante cliente pubblicitario nei media, è azionista nel gruppo de la Repubblica-L'Espesso-La Stampa, dove si sono incrociati - ma guarda un po’’ - i sullodati Agnelli e De Benedetti. In miniatura, segue lo stesso modello ideologico e d’affari alla Benetton, anche Oscar Farinetti, il patron di Eataly.

i meme sui benetton e il crollo del ponte di genovaI MEME SUI BENETTON E IL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA
Il capitalismo nostrano da un verso sostiene battaglie «progressiste» appoggiando forze politiche pendenti a sinistra e finanziando campagne global e antirazziste; poi dall’altro si trova invischiato in storie coloniali di espropriazione delle terre alle popolazioni indigene, di sfruttamento delle risorse e di uomini per produrre a costi minimi e senza sicurezza, ottenendo il massimo profitto.

i meme sui benetton e il crollo del ponte di genovaI MEME SUI BENETTON E IL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA


Poi vi chiedete perché in Italia certe opinioni politically correct sono dominanti: si è cementato un blocco tra un ceto ideologico-politico progressista, radical, di sinistra che fornisce il certificato di buona coscienza a un ceto affaristico di capitalisti marpioni. Un ceto che è viceversa adottato, tenuto a libro paga, dal medesimo. In questa saldatura d’interessi si formano i potentati e contro quest’intreccio ha preso piede il populismo.

Però alle volte insorge la realtà. Drammaticamente, come è stato il caso di Genova. Dove ci sono da appurare le responsabilità, i gradi e i livelli. Inutile aggiungere che con ogni probabilità non ci sarà un solo colpevole, ci saranno differenti piani di responsabilità, anche a livello di amministratori locali, di governi centrali e ministeri dei Trasporti, che avrebbero dovuto vigilare e imporre alla società Autostrade di spendere di più in sicurezza, pena la decadenza della concessione.

CARLO DE BENEDETTI FANPAGECARLO DE BENEDETTI FANPAGE
Col senno di poi è facile dire che se gli azionisti della società autostrade avessero speso la metà dei loro utili (oltre un miliardo di euro l’anno) per ulteriore manutenzione, sicurezza e rifacimento di strutture a rischio, come era notoriamente il ponte Morandi a Genova, oggi probabilmente non staremmo a piangere i morti e una città stravolta, sventrata.

Ma richiamare altre responsabilità non vuol dire buttarla sulla solita prassi del tutti colpevoli nessun condannato; no, ci sono gradi e livelli di responsabilità diversi, e qualcuno dovrà pagare per quel che è successo, ciascuno secondo il suo grado di colpa effettivamente accertata.

ROMANO PRODI E ENRICO LETTAROMANO PRODI E ENRICO LETTA
A questo punto rivedere le concessioni è necessario. Ma non può essere la sola risposta. C’è da ripensare al modello italiano che non funziona più da anni, vive di rendita sul passato e manda in malora il suo patrimonio. Bisogna ripensare alla nostra scassata modernità, al nostro obsoleto repertorio strutturale, vecchio come i capannoni di archeologia industriale e le cattedrali nel deserto che spesso deturpano il nostro paesaggio e ricordano il nostro passato, quando l’industria era il radioso futuro.

Un paese che non sa più pensare in grande, investire, intraprendere, far nascere, pensare al futuro. Resistono i ponti dei romani, resistono i ponti di epoca fascista, opere «aere perennius», ma scricchiolano o crollano le opere recenti, perché non c’è stata vera manutenzione, perché c’è stato sovraccarico, o perché furono fatte in origine con materiali inadeguati, con permessi ottenuti in modo obliquo, perché qualcuno vi speculò, e non solo le imprese di costruzione.
campagna pubblicitaria benettonCAMPAGNA PUBBLICITARIA BENETTON

In tutto questo, purtroppo, la linea grillina del non fare, del tagliare, del risparmiare sulle grandi opere o sui grandi rifacimenti non è una risposta adeguata ai problemi e alle urgenze. Non dimentichiamo che per i grillini fino a ieri era una «favoletta» il rischio di crollo del ponte Morandi di Genova, era solo un modo per mungere soldi; e dunque pur di frenare eventuali corrotti e corruttori, per loro è meglio tenersi strade scassate e ponti insicuri.

Intanto è necessario rimettere in discussione il modello imperante, con un residuo di statalismo incapace e impotente, che si accompagna a un capitalismo vorace e parassitario sotto le vesti progressiste e umanitarie, con tutte le sue connivenze politiche denunciate da Di Maio. Quelle aziende che mettevano in cerchio i bambini del mondo, salvo vederli sfruttare nelle aziende del Terzo mondo o espropriare delle loro terre. Quelle aziende che volevano abbattere muri e frontiere nel mondo e nel frattempo crollavano i ponti di casa. Fonte: qui

UNO DEI ROM CHE DUE MESI FA HA TRAVOLTO E UCCISO DUCCIO DINI A FIRENZE È GIÀ FUORI DI GALERA


Claudia Osmetti per “Libero quotidiano”

duccio dini 1DUCCIO DINI
Qualcuno, quasi ragionando in termini di un fatalismo che in questo caso nulla c' entra, ha persino detto che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come se recarsi al lavoro, in una domenica di inizio estate, possa costituire un errore di comportamento, o un' imprudenza.

Macché. La verità è che Duccio Dini, il ragazzo di 29 anni travolto da alcune auto che s' inseguivano a velocità folle per il centro di Firenze il 10 giugno scorso, è morto ucciso dall' arroganza di un gruppo di rom (perché nello specifico si tratta di rom, e chiariamoci subito per evitare malintesi che sanno di accuse un po' troppo benpensanti: fossero italiani, il nostro giudizio sarebbe stato lo stesso) che per regolare chissà quale conto interno ha utilizzato le vie pubbliche come una grande pista di formula uno. E lo ha messo sotto. Più che sfortuna, prepotenza e mancato rispetto delle regole. Già, le regole.
firenze corteo per duccio dini contro i rom 5FIRENZE CORTEO PER DUCCIO DINI CONTRO I ROM

La storia di Duccio sarebbe sufficientemente assurda così, eppure c' è dell' altro.
C' è che una manciata di giorni prima di Ferragosto uno di quegli sconsiderati automobilisti dall' acceleratore impazzito è uscito di prigione. Li avevano presi subito, e subito il loro avvocato aveva presentato istanza di scarcerazione.

Procedura regolare, non è questo il punto. Su sei, appena uno è finito ai domiciliari, un 27enne di origine macedone, incensurato, l' unico della combriccola a dover fronteggiare l' accusa di tentato omicidio - per gli altri si parla di un capo di imputazione più pesante, l' omicidio volontario. Uno solo. Ma tanto basta a far indignare amici e parenti di Duccio. Che si sentono traditi da una giustizia che si vorrebbe "certa", ma troppo spesso non lo è.
duccio dini inseguimento romDUCCIO DINI INSEGUIMENTO ROM

Ovvia la considerazione che la legge è legge, vale per tutti, per i normali cittadini e anche per i balordi. Sono le basi dello stato di diritto. Ma la percezione è sempre più quella di un sistema che si allontana dal sentire comune, lasciando la sensazione di aver subito un' ingiustizia nell' ingiustizia. In questo senso, l' ondata di sdegno che la scarcerazione del rom ha sollevato è politicamente bipartisan.
duccio dini 2DUCCIO DINI

«Siamo amareggiati, questa vicenda dimostra che il sistema penale italiano va rivisto», sbotta l' assessore al Welfare di Firenze Sara Funaro (Pd). «Chi è razzista? Chi prova schifo e vergogna per una notizia simile o chi offende la memoria di un' intera comunità permettendo a questo "bravo ragazzo" di cavarsela con 65 giorni di carcere?», le fa eco Francesco Torselli, consigliere comunale (Fdi). E allora valgono, eccome se valgono, le parole di chi Duccio lo conosceva per davvero.

Messe nero su bianco in una lettera che Libero pubblica integralmente. Una lettera su cui in tanti, e in primis politici e operatori del sistema giuridico, dovrebbero riflettere.

LA LETTERA
ENRICO ROSSI ROMENRICO ROSSI ROM
«Sono un amico di Duccio e della sua famiglia, mi meraviglio di quanto sia stato deciso. Sono passati appena 65 giorni da quella brutta giornata e quell' uomo è di nuovo fuori? Dopo i primi due arresti, ne sono stati eseguiti altri quattro nell' ambito delle indagini. Misure di custodia cautelare in carcere, disposte dal gip su richiesta della procura fiorentina, nei confronti di uomini di etnia rom accusati di omicidio volontario e oggi vogliono farci credere che non esiste più questo pericolo?

Fin dal primo momento tutte le persone vicine a Duccio e alla sua famiglia si sono strette chiedendo a gran voce "giustizia e pena certa". Speravamo che questa volta, non accadesse quello che accade troppo spesso.

duccio diniDUCCIO DINI
Tutti avevamo paura che, passato un po' di tempo e una volta spente le luci sulla vicenda, le persone coinvolte nell' omicidio potessero uscire di carcere, senza scontare la pena che meritano. E, purtroppo, è proprio quanto successo in questi giorni.

Nessuno di noi voleva crederci, abbiamo sperato fino alla fine non fosse vero. E invece Ci tengo a precisare che non è questione di etnia e non è questione di colore. Ma solo di giustizia: chi sbaglia, qualunque lingua parli, deve pagare. Esistesse la certezza della pena, qualcuno di sicuro ci penserebbe qualche secondo in più prima di mettersi nei guai.

Oggi nessuno ha paura, sanno in un modo o nell' altro di farla franca. Chiedo a tutti: dove è finita la giustizia? Dove è finito il rispetto verso il prossimo? Finché non sarà garantita la legalità sarà difficile sentirsi al sicuro».

Fonte: qui

RICOMINCIA IL DIESELGATE: DAIMLER RICHIAMA SETTECENTOMILA AUTO IN CUI SAREBBERO STATI SCOPERTI DEI DISPOSITIVI IN GRADO DI MANOMETTERE I LIVELLI REALI DELLE EMISSIONI INQUINANTI

TRA I MODELLI INCRIMINATI CI SONO VETTURE MERCEDES "CLASSE C" CON MOTORI IBRIDI, MA ANCHE MODELLI PREMIUM DELLA "CLASSE E" & "S", ALCUNI FUORISTRADA E DIVERSI SUV
Walter Rahue per “la Stampa”

Il gruppo Daimler è costretto a richiamare in fabbrica in tutta Europa fino a 700mila vetture diesel in cui sarebbero stati scoperti dei dispositivi in grado di manomettere i livelli reali delle emissioni inquinanti.
DAIMLER MERCEDESDAIMLER MERCEDES

Secondo quanto anticipato ieri dal sito on-line del settimanale "Der Spiegel", a ordinare il drastico provvedimento sarebbe stata la stessa Agenzia federale dei Trasporti tedesca che in un dossier interno elenca ben 24 modelli dotati di un software illecito.Tra i modelli incriminati ci sono vetture Mercedes della classe C con motori ibridi, ma anche modelli premium della classe E ed S, alcuni fuoristrada della classe G, diversi Suv e anche i furgoni Vito.

In tutti i casi si tratta di nuovi modelli attualmente ancora in vendita e che nel corso delle verifiche tecniche sulle emissioni effettuate dagli esperti dell' agenzia con sede a Flensburg, sarebbero risultati manomessi. In 24 modelli Mercedes i tecnici hanno riscontrato nei test effettuati sia in laboratorio che su strada emissioni di ossidi di azoto ben superiori a quelle dichiarate dalla casa automobilistica. I clamorosi risultati dei test condotti dall' agenzia federale sono stati inviati già lo scorso mese di maggio al ministro dei Trasporti Andreas Scheuer (Csu) che ha immediatamente convocato a Berlino l' amministratore delegato di Daimler Dieter Zetsche chiedendo spiegazioni.

A mandare su tutte le furie il ministro del governo di Angela Merkel è stato soprattutto il fatto che anche a tre anni dallo scoppio dello scandalo del dieselgate in casa Volkswagen, un costruttore tedesco così prestigioso come quello di Stoccarda continui a equipaggiare molte delle sue vetture diesel con un software palesemente illegale.

Le manipolazioni perpetuate dal gruppo Daimler riguarderebbero praticamente l' intera gamma di modelli Mercedes, da quelli più economici della classe C a quelli più prestigiosi ed esclusivi. Non si tratta dunque di un' ennesima svista o di eccezioni, ma di manomissioni sistematiche.

L' ordine di richiamare in fabbrica le 700mila vetture coinvolte e di rimuovere i dispositivi truffaldini aggiornando i sistemi software è pervenuto ai vertici della Daimler alla fine di luglio. Ieri la casa di Stoccarda non ha voluto commentare la notizia anticipata dallo Spiegel confermando però indirettamente il provvedimento di richiamo ordinato dall' agenzia federale dei trasporti tedesca.
DIESELGATEDIESELGATE

«La nostra società presenterà ricorso contro il provvedimento dell' agenzia - ha dichiarato un portavoce del gruppo Daimler - Ma al tempo stesso stiamo sviluppando un update del software e informeremo tutti i nostri clienti non appena questo sarà pronto e approvato dalle autorità competenti».

Daimler aveva già sospeso nei giorni scorsi le consegne di vetture diesel della classe C alle concessionarie e bloccato anche la produzione di alcuni motori per camion. Delle 700mila vetture coinvolte dal provvedimento, 280mila sono attualmente in circolazione in Germania, 420mila nel resto dell' Europa.

Il nuovo scandalo mette in serio imbarazzo il marchio leader dell' industria automobilistica tedesca. Dopo lo scoppio del dieselgate nell' autunno del 2015, il gruppo Daimler aveva categoricamente escluso di aver manipolato a sua volta i livelli reali delle emissioni inquinanti dei motori a gasolio. Nel luglio dell' anno scorso, tuttavia, la procura di Stoccarda aprì un' inchiesta nei confronti dell' azienda accusata di aver installato dal 2008 al 2016 un software illecito su oltre un milione di vetture.

Fonte: qui

“LANCIAMO IL PIU’ GRANDE PROGRAMMA DI MANUTENZIONE DELLE INFRASTRUTTURE”

LA PROMESSA DI GIANCARLO GIORGETTI: “A SETTEMBRE IL GOVERNO VARERÀ UN PIANO PER STRADE E SCUOLE E SU QUESTO FRONTE NON ESISTONO DEFICIT, PIL, O PARAMETRI EUROPEI CHE TENGANO 
IN ITALIA SI E’ PENSATO ALLE ‘NUVOLE’ E NON ALLE STRUTTURE DI BASE 
PER EVITARE L'ATTACCO DELLO SPREAD, DRAGHI PROLUNGHI L' ACQUISTO DEI TITOLI DI STATO…”
Alberto Gentili per “il Messaggero”

giancarlo giorgettiGIANCARLO GIORGETTI
Il Consiglio dei ministri straordinario è finito da poco, i vertici di Autostrade hanno appena fatto mea culpa, promettendo mezzo miliardo per le vittime e la ricostruzione del ponte crollato in 8 mesi. E il leghista Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, regista e mediatore nel governo, non è affatto impressionato: «Quello di Autostrade è un atto dovuto e anche tardivo. E' il minimo che potesse fare, dopo i primi comunicati inverosimili.

Sono tornati sulla terra. Ma il governo, con responsabilità e senza fare processi sommari, ha intenzione di verificare se esistono le condizioni per il permanere della concessione. Ciò che è accaduto è impensabile: un tratto autostradale non può e non deve crollare in un Paese come l' Italia. Ciò che ho visto oggi ai funerali, il dolore dei familiari delle vittime, è stato straziante. A maggior ragione bisogna fare giustizia».

Autostrade chiede che la magistratura accerti le responsabilità. Se si scoprisse che la società non ha colpe fermerete la procedura di revoca della convenzione?
«E' partita da poche ore una lettera del governo in cui abbiamo contestato ad Autostrade la responsabilità del crollo, sta adesso alla società rispondere. Ci saranno tutte le verifiche del caso. C'è un'inchiesta penale, con ipotesi di reato gravissime e i risultati dovranno arrivare al più presto: non possiamo accettare che certe situazioni si protraggono all'infinito e si arrivi a prescrizione come per la strage di Viareggio».

Il ponte lo lascerete costruire ad Autostrade?
DI MAIO CONTE GIORGETTIDI MAIO CONTE GIORGETTI
«La loro disponibilità è doverosa. Ora il governo valuterà se accettare, nella consapevolezza che non basta questo per chiudere la partita».

Non temete penali miliardarie e 19 mila dipendenti di Autostrade senza lavoro?
«Ora la priorità è evitare che ci siano altre vittime. Il governo, ne abbiamo appena parlato in Consiglio dei ministri, è determinato a varare a settembre una grande operazione di messa in sicurezza infrastrutturale del Paese. Un piano che non riguarderà solo la rete autostradale, i ponti, i viadotti, gli acquedotti, ma anche le scuole e le situazioni di rischio causate dal dissesto idrogeologico. Sarà un'operazione di manutenzione senza precedenti, con investimenti ingenti in lavori pubblici. Negli ultimi anni il Paese e le sue strutture sono state trascurate, dimenticate. Si è pensato alle Nuvole, all'arredo urbano. Ora si torna a garantire le strutture di base, l' essenziale».

Per finanziare questo piano sforerete i vincoli di bilancio?
«Su questo fronte non esistono deficit, Pil, o parametri europei che tengano. Siamo convinti che l' Unione sarà ovviamente benevola. In più snelliremo tutte le procedure, a partire dal codice degli appalti che va totalmente rivisto dato che non permette di arrivare in tempi ragionevoli alla realizzazione degli interventi».

Quanto durerà questo piano e quale mole di investimenti mobiliterete?
«Dobbiamo stabilire i dettagli. C'è anche il problema di dotare la pubblica amministrazione delle strutture tecniche che negli ultimi anni si sono impoverite. Non ci sono più ingegneri, esperti in grado di capire i rischi, progettare ed essere la controparte dei privati. E si deve tornare, per realizzare questa mega operazione di manutenzione, all' afflato degli anni Sessanta che permise di ricostruire in Paese».

Si farà anche la Gronda di ponente, osteggiata negli anni scorsi dai grillini?

«Penso proprio di sì. Ma prima va ricostruito il ponte, dato che per la Gronda ci vorranno almeno 10 anni».

Il commissario per la ricostruzione sarà il governatore Toti?
«Vedremo se sarà necessario un commissario. Ne discuteremo. Adesso abbiamo dato tutti i fondi richiesti».

Ci sarà una legge speciale per Genova con agevolazioni fiscali e poteri straordinari?
«E' possibile. Il porto deve poter funzionare: è la porta d' ingresso nel Nord Italia e del centro Europa».

Di Maio non ha escluso la gestione diretta da parte dello Stato di asset strategici come la rete autostradale. Condivide o è un eccesso di statalismo?

«Se ne può discutere. Va fatta però prima un' operazione oggettiva e onesta riguardo alla concessioni: quando si vedono i dati di bilancio e i margini di redditività, viene qualche pensiero riguardo al dare e all' avere di queste convenzioni. Una riflessione va fatta».

Tav e Tap verranno realizzate nonostante le perplessità dei 5Stelle?
«Penso che la Tap si farà: è un' opera che ha comportato grandi investimenti e ha coinvolto numerosi Paesi. Mi sembra difficile che possa essere fermata.
Per quanto riguarda la Tav bisogna decidere e decidere presto: ci sono investimenti in corso e altri in fase di appalto. Forse la cosa più ragionevole è un ridimensionamento dell' opera».

Tav ridimensionata quanto?
«Nel progetto originario c' è una mega stazione d' ingresso, avveniristica e megagalattica che costa 30-40 milioni di euro. Ecco, possiamo rinunciarci. Come possiamo evitare alcune varianti di percorso che impatterebbero sui centri abitati. Si può fare una Tav più sobria, ma farla».

E l' Ilva? Tra meno di un mese rischia di chiudere e 14mila dipendenti potrebbero perdere il lavoro?
«Di Maio, che giustamente vuole approfondire la questione della gara, parte proprio dalla tutela dei dipendenti e farà la cosa giusta. Nessuno perderà il lavoro».

Torniamo ad Autostrade. E' vero che nel 2006 finanziò la Lega con 150 mila euro?
«Non lo sapevo, il segretario era Bossi. Ma ho letto che in quegli anni, come dicono i documenti ufficiali, Autostrade dette un identico contributo a tutti i partiti. Non ho motivo di ritenere che non sia vero».
MARIO DRAGHIMARIO DRAGHI

In un' intervista ha detto di temere un attacco dei mercati finanziari perché le élite europee temono il contagio populista e vogliono farvi cadere. Conferma?
«Ho detto una cosa di una banalità sconcertante: sta declinando il quantitative easing della Bce, i fondi speculativi fanno il loro mestiere, tocca a noi essere credibili e vincere l'istinto speculativo».

Dunque non c'è un complotto, una trama?
«No. Ma noi, visto il debito pubblico che abbiamo, dobbiamo dimostrare di avere un programma serio e credibile di crescita in grado di ridurlo».

Lei conosce Draghi, pensa che la Bce debba continuare a tutelare i Paesi sotto attacco speculativo continuando ad acquistare titoli di Stato?
«Draghi e la Bce in questi anni hanno svolto una funzione importantissima. Mi auguro che il programma del quantitative easing vada avanti».

Avete cominciato a lavorare alla manovra economica. Il ministro dell' Economia Tria è sotto assedio?
«E' sotto assedio per forza, come ogni ministro del Tesoro quando inizia la sessione di bilancio. Tutti vanno a battere cassa e Tria è costretto a dire di no in ragione delle compatibilità finanziarie. In concreto Lega e 5Stelle chiedono la realizzazione delle loro promesse elettorali: flat tax, reddito di cittadinanza e revisione della Fornero. Tria ha chiesto ai propri uffici di preparare diversi scenari di copertura e di applicazione, a settembre troveremo il modo per finanziare le tre proposte».
toninelli ai funerali per le vittime del crollo del ponte a genovaTONINELLI AI FUNERALI PER LE VITTIME DEL CROLLO DEL PONTE A GENOVA

Per intero? Non è più probabile che ci sia un' applicazione graduale?
«Il governo punta a durare 5 anni. Abbiamo perciò tempo per realizzare le tre riforme e non si faranno tutte e subito. Però si interverrà in modo significativo: non le faremo al 100%, ma neppure al 10%».

Con quali risorse? Lascerete aumentare l' Iva e cancellerete il bonus da 80 euro?
«La clausola di salvaguardia sull' Iva l' hanno messa quelli prima e noi stiamo cercando di sterilizzarla. Per quanto riguarda gli 80 euro verranno inseriti nella riforma complessiva delle aliquote fiscali: non saranno più classificati come spesa, ma come riduzione di tasse».

il crollo del ponte morandi a genovaIL CROLLO DEL PONTE MORANDI A GENOVA
Per ottenere più margini andrete alla guerra con Bruxelles?
«Nessuno va alla guerra con nessuno. In tanti hanno detto in passato che le regole europee sono stupide, introdurremo un nuovo approccio come siamo riusciti a fare con l' immigrazione. Ad esempio, per noi la flat tax è una riforma strutturale e il reddito di cittadinanza va visto come una parte di un diverso approccio alle diseguaglianze, a maggior ragione dato che Fondo sociale europeo che non ha particolarmente brillato».
 
E quanta flessibilità chiederete? E' vero che volete spingere nel 2019 il rapporto deficit-Pil dallo 0,8 programmato, all' 1,6-1,7 per avere circa 15 miliardi in più di spesa?
«Questa è la base di partenza, a maggior ragione dopo l' emergenza infrastrutturale emersa in questi giorni. Meno di questo non si può immaginare. Si possono però ottenere ulteriori margini se ci dimostreremo seri e credibili».

Fonte: qui


DALLA PADELLA AUTOSTRADE ALLA BRACE ANAS?

“IL GIORNALE” TREMA ALL’IPOTESI DI RIMETTERE LE STRADE ITALIANE NELLE MANI DELL’AZIENDA PUBBLICA: “LA SUA REPUTAZIONE E’ MACCHIATA DA INCHIESTE E ACCUSE CHE VANNO DALLA CORRUZIONE AL DISASTRO COLPOSO”

LA NAZIONALIZZAZIONE DI AUTOSTRADE COSTA VENTI MILIARDI DI EURO (ANCHE SENZA PENALI)

IL CROLLO DEL PONTE MORANDI RIPRESO DA TERRA



Il video è impressionante. E' forse il più chiaro tra quelli che mostrano il momento del crollo del ponte Morandi, lo scorso 14 agosto a Genova. Lo ha diffuso Guardia di Finanza e riprende il disastro da sotto il ponte, a terra. Dove all'improvviso si abbatte l'apocalisse. E' in quell'inferno di cemento armato, acciaio e auto che cadevano da 50 metri che sono morte due delle vittime del ponte.
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AUTOSTRADE ALL' ANAS? SCENARIO DA BRIVIDI: ECCO LA LISTA NERA DI DISASTRI E SCANDALI
Ludovica Bulian per “il Giornale”
Potrebbe rivelarsi un salto nel buio la procedura con cui il governo intende revocare la concessione ad Autostrade per riportarla nelle mani dello Stato. E il «buio» si chiama Anas, azienda pubblica che con 6mila dipendenti gestisce 26mila chilometri di strade e autostrade e che negli anni ha visto la sua reputazione macchiata da inchieste e accuse che vanno dalla corruzione, per le mazzette sugli appalti, al disastro colposo per crolli e incidenti. Se la revoca ai Benetton andasse in porto, toccherebbe al colosso statale che da sette mesi è integrato con Ferrovie dello Stato, subentrare nella gestione della rete.
Una macchina che però, se si guarda allo stato del patrimonio stradale italiano, negli anni non ha brillato per efficienza. Eppure, c' è un «prima» e un «dopo» in Anas, secondo il suo amministratore delegato, Gianni Vittorio Armani, che quando è arrivato a fine 2015 si è «trovato in un disastro - ha rivelato al Corriere - Manutenzione delle strade assurda, inchieste, arresti. Una struttura in cui chi gestisce i cantieri non sa neppure dire quanti sono quelli aperti».
Il dopo, Armani l' ha tratteggiato in un' intervista di due mesi fa, in cui ironia della sorte, prevedeva per Anas una competizione diretta proprio con concessionari come Autostrade: «Siamo disponibili a partecipare alle gare, possiamo rendere per lo Stato più efficace riassegnazione delle autostrade». Di certo ci vorrà del tempo per recuperare il deficit, perlomeno di fiducia, accumulato in questi anni.
I CROLLI E LE INCHIESTE
Strade in condizioni disastrose, ponti, cavalcavia pericolanti. Il 40% delle infrastrutture gestite dall' Anas ha più di 35 anni, secondo l' Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. E l' usura, unita alla scarsa manutenzione, ha fatto i suoi danni. Come il crollo, nel 2015 a seguito di una frana, del viadotto Himera lungo la Palermo-Catania, per cui sono indagati due dipendenti dell' Anas.
viadotto sicilia anasVIADOTTO SICILIA ANAS
La ricostruzione doveva essere completata nel 2018. Invece, a tre anni dal disastro, i lavori sono appena stati aggiudicati e termineranno tra due. O come il cedimento, l' anno scorso, del cavalcavia della tangenziale di Fossano (Cuneo), precipitato su un' auto dei carabinieri, miracolosamente illesi. L' Anas ha parlato di «probabili vizi in fase di costruzione», e tra i 12 indagati per disastro colposo figurano dipendenti dell' azienda. Nel 2016 venne giù il cavalcavia Annone Brianza (Lecco): tra gli altri è indagato un ingegnere Anas.
MANUTENZIONE A PICCO
Incidenti che si sono verificati in anni di scarsi investimenti in manutenzione ordinaria e straordinaria. Quest' ultima valeva 200 milioni di euro nel 2011, solo 100 nel 2012 e nel 2013, per arrivare a 400 nel 2014 e scendere a 300 nel 2015.
Di fronte alla situazione allarmante, poi, il cambio di rotta annunciato dai nuovi vertici.
viadotto sicilia anasVIADOTTO SICILIA ANAS
Nel 2016-2017 il capitolo ammonta a 1,2 miliardi, e per il 2018 a 600 milioni, «tre volte la spesa degli anni precedenti». Merito del nuovo Contratto di programma che per il quinquennio 2016-2020 prevede 23 miliardi di stanziamenti di cui 11 per la manutenzione. Solo per la Salerno-Reggio sono stati spesi 1,7 miliardi in interventi.
Quella stessa Salerno Reggio, costata oltre 8 miliardi e 233 milioni di euro, dove la Procura di Vibo Valentia nel 2016 ha sequestrato la galleria «Fremisi-San Rocco» per due incidenti mortali avevano fatto emergere «gravi difetti strutturali».
PROCESSI E CONTENZIOSO
Tra inchieste e cause civili, il contenzioso vale 6 miliardi, di cui 5 relativi a lavori, cantieri, gare. Nell' ultimo bilancio relativo al 2016, si legge che Anas ha avuto altri 19 procedimenti penali e sette richieste di risarcimento danni per sinistri mortali. E poi c' è la maxi inchiesta, con la richiesta di rinvio a giudizio di 52 persone, che ha smascherato il giro di tangenti per l' aggiudicazione di appalti.
SICILIA MAGLIA NERA
Solo nell' isola, l' Anas gestisce 4.155 chilometri di strade. Ma non c' è pace tra chiusure, crolli e danni. Come quello del viadotto Scorciavacche, tra Palermo e Agrigento, che ha ceduto nel 2015 a pochi giorni dalla sua inaugurazione. I lavori per la ricostruzione sono fermi. Dopo 4 anni è stata invece riaperta la statale rimasta bloccata dopo il crollo del viadotto Petrulla, a Licata.
E un anno e mezzo fa è stato chiuso in attesa di manutenzione il viadotto Akragas ad Agrigento, un altro ponte di Morandi. La situazione, all' indomani di Genova, ha spinto il governatore Nello Musumeci a convocare un vertice sulle strade. Musumeci ha annunciato che il Consorzio autostrade siciliane, che gestisce la Palermo-Messina, la Messina-Catania e la Siracusa-Gela, chiuderà entro l' anno. E che l' Anas è interessata alla successione.
LA NAZIONALIZZAZIONE DI AUTOSTRADE COSTA VENTI MILIARDI DI EURO (ANCHE SENZA PENALI)
Alessandro Barbera per “la Stampa”
Entrando ai funerali delle vittime del crollo di ponte Morandi, Luigi Di Maio si è rivolto sicuro ad uno dei familiari: «Stai tranquillo, questi i nostri ponti e le nostre strade non li gestiranno mai più». Se ciò avverrà davvero lo si capirà solo nelle prossime settimane.
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La promessa fatta ieri da Autostrade di stanziare mezzo miliardo di euro per la gestione dell' emergenza e la ricostruzione del ponte potrebbe convincere il governo a rinunciare alle soluzioni più radicali. In queste ore la Lega sembra orientata a trattare, i Cinque Stelle più decisi ad andare avanti con la revoca della concessione. Proviamo allora a immaginare cosa accadrebbe concretamente se il governo decidesse per la rinazionalizzazione delle autostrade.
L' operazione è tecnicamente possibile, ma costerebbe al contribuente non meno di venti miliardi di euro, anche escludendo l' obbligo di pagare una penale ai proprietari della società - la famiglia Benetton - e ai suoi azionisti. Vediamo perché.
I numeri della società Autostrade è la società controllata da Atlantia per la gestione di 2.854 chilometri di asfalto da Tarvisio a Taranto. 
anas logoANAS LOGO
L' anno scorso ha fatto utili per poco di un miliardo di euro, ha debiti verso i fornitori per 1,3 miliardi e raccolto sul mercato obbligazionario altri sette miliardi e mezzo. Dà lavoro a 7.428 persone, due terzi delle quali impegnate direttamente nella gestione e manutenzione della rete sul territorio. Ipotizziamo dunque che lo Stato faccia ciò che Di Maio ha promesso a Genova, e restituisca ad Anas - di fatto il principale concorrente pubblico di Autostrade - la gestione della rete: sarebbe il ritorno alla situazione precedente la privatizzazione di fine anni Novanta. Da un punto di vista strettamente finanziario, l' operazione è percorribile: Anas subentrerebbe nella concessione, e con essa prenderebbe possesso dei ricavi delle vecchie Autostrade. 
Un' autorevole fonte del settore che chiede l' anonimato la spiega così: «È come il subentro nella gestione di una qualunque attività commerciale: i dipendenti e i loro contratti verrebbero ceduti insieme ad essa».
Più del settanta per cento dei ricavi di Autostrade vengono dai pedaggi: il subentro nella concessione da parte di Anas permetterebbe quindi di pagare i dipendenti della società e di finanziare gli investimenti promessi, esattamente come ha fatto fino ad oggi la società controllata dalla famiglia Benetton. Ciò non significa che l' operazione sarebbe indolore per il contribuente.
I rischi 
Primo: le penali. La convenzione firmata fra lo Stato e Autostrade prevede un indennizzo in caso di revoca pari ai minori ricavi di qui al 2038, ai quali si aggiungerebbero gli eventuali danni riconosciuti da un giudice. La tesi di Palazzo Chigi - assistito da Guido Alpa, maestro di diritto del premier Conte - è che codice civile e degli appalti permetterebbero di evitare il mega esborso.
La battaglia legale sarebbe lunga e carica di incognite, rendendo l' operazione di rinazionalizzazione molto incerta negli esiti. Ma anche immaginando lo scenario più ottimistico - sul quale peraltro molti giuristi sollevano dubbi - i costi ci sarebbero comunque. Lo Stato dovrebbe infatti farsi carico delle obbligazioni emesse - i sette miliardi e mezzo sopracitati - che dovrebbero essere coperte dallo Stato con un aumento del debito di pari valore. Lo Stato dovrebbe farsi carico degli 1,3 miliardi di debiti della società, e della perdita di valore lamentata da azionisti ed obbligazionisti.
toninelliTONINELLI
Una delle battaglie politiche di maggior successo dei Cinque Stelle in questi anni è stato il riconoscimento dei risarcimenti ad azionisti ed obbligazionisti delle banche fallite durante il governo Renzi: difficile immaginare che usino un doppio standard per i piccoli risparmiatori coinvolti dal tracollo di società Autostrade e dalle conseguenze in Borsa per il titolo della controllante Atlantia. Una settimana fa quel titolo capitalizzava circa venti miliardi, oggi oscilla attorno ai sedici.
Infine c' è l' inevitabile aumento di capitale che andrebbe sostenuto per permettere ad Anas di farsi carico dei debiti di Autostrade. Per evitare un ulteriore aumento del debito pubblico potrebbe farlo la holding del gruppo Ferrovie, la quale - così dice la legge approvata dal precedente governo - dovrebbe incorporare la stessa Anas. Peccato che proprio il ministro Toninelli, prima dell' incidente di Genova, ha promesso di fermare la fusione fra le due società.
Fonte: qui

ABBIAMO LE AUTOSTRADE PIÙ CARE D'EUROPA (E CADONO A PEZZI)

LA CONCORRENZA È TALMENTE SCARSA CHE BRUXELLES CI HA DEFERITO ALLA CORTE DELL'UNIONE EUROPEA 
IL SISTEMA DEI CASELLI, CHE HA PURE LA FRANCIA (DOVE COSTANO MENO), È CONSIDERATO DA MOLTI OBSOLETO: IN AUSTRIA E SVIZZERA CI SONO GLI ABBONAMENTI ANNUALI, IN GERMANIA, OLANDA E BELGIO SONO GRATIS
Milena Gabanelli e Ferruccio Pinotti per www.corriere.it del 10 giugno 2018

Neanche fossero un tappeto da biliardo! Le nostre autostrade sono le più care d’Europa. In Germania, Olanda e Belgio le autostrade sono gratuite. In Austria l’abbonamento annuale alla rete autostradale costa 87,30 euro l’anno per gli automobilisti e 34,70 per i motociclisti. In Italia con 34 euro si percorrono 400 chilometri. In Svizzera l’abbonamento costa 40 franchi l’anno, circa 38,12 euro.

In Francia il sistema di pedaggi è simile al nostro, ma meno caro: Parigi-Lione sono più o meno 450 chilometri, €19,80 in moto, €33,30 in auto. In Italia la tratta Ventimiglia-Bologna, chilometraggio equivalente, costa 40,50 euro. In Spagna le autostrade si chiamano Autovie e sono gratuite; solo per le Autopistas si paga. In Slovenia il costo dell’abbonamento annuale è di 55 euro per i motociclisti, di 110 per gli automobilisti. In Italia con questa cifra si può percorrere una volta la Milano-Napoli andata e ritorno.

Efficienza
La rete italiana (e quella francese che però vanta una rete di oltre 9.100 chilometri contro i nostri quasi 7.000) ha scelto un sistema di pedaggi basato sui caselli. Un sistema che in molti Paesi europei è giudicato antiquato e oneroso in termini di costi di progettazione, costruzione, personale per la riscossione (dove non sono automatici) e assistenza. Inoltre i caselli consumano corrente e producono incolonnamenti quando il traffico è intenso.

Concessioni
Oltre ai mille chilometri gestiti da Anas, per gli altri seimila chilometri le concessioni sono 26, ma quasi il 70% se lo spartiscono da anni due gruppi. Si tratta del Gruppo Atlantia (Benetton), che controlla Autostrade per l’Italia e che gestisce oltre 3.000 chilometri, e del Gruppo Gavio, che gestisce oltre 1.200 chilometri. Insieme coprono i tre quarti circa del mercato. Gli altri 1.650 chilometri sono gestiti da società controllate da enti pubblici locali e da alcuni concessionari minori.

La concorrenza
Dopo continui richiami sul tema della concorrenza, Bruxelles ha messo il dossier sul tavolo della Commissione. Un anno fa lo Stato italiano è stato deferito alla Corte di giustizia per non avere messo a gara la realizzazione dei lavori della Civitavecchia-Livorno, prorogando la concessione alla Società autostrada Tirrenica Spa, partecipata al 99% dall’Atlantia dei Benetton. Ma l’appoggio ai signori delle autostrade è sempre stato bipartisan. A partire dagli anni Novanta sono state rinnovate molte concessioni, sia da governi di destra che di sinistra, mediante proroghe anche di oltre vent’anni e senza gare pubbliche.

La contropartita è la promessa di investimenti: però se si va a vedere nell’ultima relazione attività del Ministero dei Trasporti si scopre che succede il contrario. Per l’anno 2016 il valore degli investimenti è pari a 1.064 milioni di euro, il 20% in meno rispetto all’importo a consuntivo dell’esercizio precedente. Anche la spesa per le manutenzioni è calata del 7% rispetto al 2015.

La gallina dalle uova d’oro
Il fatturato del 2017 del settore autostradale è stato di quasi 7 miliardi e l’83% dei ricavi arriva dai pedaggi. Le concessioni generano per lo Stato canoni complessivi di oltre 841 milioni (dati 2016). Un business ricchissimo per i privati, e non a caso la famiglia Benetton è in testa nella classifica delle cedole che le società quotate staccheranno nel corso del 2018, con quasi 377 milioni di dividendi. I 97 milioni in più rispetto all’ anno scorso sono in gran parte frutto della partecipazione in Atlantia, che ha ulteriormente alzato la posta della distribuzione ai soci portandola da 0,97 a 1,22 euro per azione (ovvero quasi 63 milioni in più nella cassaforte della famiglia). Arrotonda l’incasso dei Benetton la partecipazione in Autogrill (il cui dividendo è passato da 0,16 a 0,19 euro per azione).
gilberto benettonGILBERTO BENETTON

I lavori «in house»
L’affidamento dei lavori a società controllate dai concessionari è un mercato stimabile intorno ai 3,5 miliardi di euro. Le società che lavorano di più «in house» sono Itinera del gruppo Gavio e la Pavimental del gruppo Benetton, cioè Autostrade per l’Italia. La riforma dei lavori pubblici e il Codice degli appalti 2016 aveva previsto, a partire dal 18 Aprile 2018, l’innalzamento dal 60% all’80% della quota obbligatoria dei lavori da mettere a gara. Era uno scherzo: nell’ultima legge di bilancio la soglia è stata riportata al 60%.

Le tariffe
L’attuale regime di proroga prevede l’incremento annuo dei pedaggi del 2,75% (oltre il doppio dell’inflazione), un tasso che la Commissione ha chiesto di ridurre allo 0,50%. Molto alta la remunerazione del capitale investito dai concessionari, prevista dalle leggi italiane ancora in vigore: un tasso di interesse del 7,95% all’anno. Mentre sul denaro che chiedono in prestito (fra cui a cassa Depositi e Prestiti) pagano l’1,7%.


autostrade benettonAUTOSTRADE BENETTON
La decisione dell’Europa
Il 17 maggio 2017 l’esecutivo Ue ci aveva ricordato per l’ennesima volta «che la proroga di una concessione equivale a una nuova concessione» e dunque deve essere messa a gara. Dopo una trattativa durata un anno, il 27 aprile 2018 anche l’Europa, tramite il Commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager, si è arresa accettando un compromesso: disco verde in cambio di 8,5 miliardi di investimenti delle concessionarie italiane. Il piano, accolto in base alle norme dell’Ue sugli aiuti di Stato, prevede la proroga delle due maxi concessioni detenute da Autostrade per l’Italia (Benetton) e da Società Iniziative Autostradali e Servizi (Gavio).

Il rinnovo delle concessioni dovrebbe consentire ai Benetton di portare a termine tempestivamente la cosiddetta «Gronda di Genova», mentre la Sias (Gavio) finanzierà gli investimenti necessari per concludere i lavori dell’autostrada Asti-Cuneo A33. In sostanza: Autostrade per l’Italia che già vantava una concessione rinnovata in automatico fino al 2038, con il consenso dell’Ue se la vede allungata fino al 2042. Mentre quella di Gavio sulla A4 Torino-Milano gestita da Sias, che scadeva nel 2026, è stata prorogata al 2030. Altre concessioni scadono addirittura nel 2046 (Sat S.p.A.) o nel 2050 (Sitaf S.p.A., Società Italiana Traforo Monte Bianco).

Sanzioni
La Commissione ha previsto l’imposizione di sanzioni in caso di ritardi nel completamento lavori o di mancata realizzazione degli investimenti. L’Italia dal canto suo si impegna ad introdurre dei massimali sugli aumenti dei pedaggi, e ad abbreviare di 13 anni la durata della concessione di Sias per l’autostrada Asti-Cuneo, per poi mettere a gara la tratta, insieme alla Torino-Milano. Sul resto, chi vivrà vedrà. Certo, siamo stati bravi ad ammorbidire l’Europa, che per anni ha detto: «dovete costruire un regime di vera concorrenza». Si può brindare all’ottimo risultato portato a casa, forse non esattamente nell’interesse dei cittadini. Fonte: qui