Qualsiasi imprenditore, lavoratore e professionista italiano potrebbe dirvi che le imposte sono alte.
E i dati dell’Istat e della nota di aggiornamento al Def certificano che nel 2017 la pressione fiscale sul Pil rimarrà più elevata rispetto ai livelli pre-crisi: 42,6% (al lordo del bonus 80 euro, altrimenti sarebbe 42%) contro il 41,3% del 2008. Ma nell’arco di dieci anni ci sono tributi che hanno visto crescere – e di molto – il proprio peso, e altri che invece sono diventati più leggeri.
Molti dei rincari maggiori riguardano i tributi locali, a partire da Imu e Tasi, ma anche le addizionali comunale e regionale all’Irpef. In calo, invece, il gettito di Ires e Irap su società, imprese e autonomi. Mentre i due tributi più importanti per le casse pubbliche – l’Irpef e l’Iva – non sembrano aver subito variazioni sostanziali rispetto al 2008, anche se gli incassi derivanti dall’imposta sul valore aggiunto hanno visto nel corso degli anni una riduzione più marcata e poi una ripresa, legata tra l’altro al rincaro di due punti percentuali dell’aliquota ordinaria (dal 20 al 22%) e al meccansimo dello split payment (si veda anche l’articolo sotto).
D’altra parte, proprio per scongiurare l’aumento dell’Iva (e delle accise) dal prossimo 1° gennaio, se ne va il grosso delle risorse stanziate con la manovra di Bilancio 2018: circa 15,7 miliardi tra collegato fiscale e disegno di legge, cui se ne aggiungono altri 6,4 per il 2019. Il tutto mentre si apre già la lunga volata della campagna elettorale, con candidati e partiti intenti a rilanciare l’eterna promessa di taglio delle tasse in cima alle proprie agende. Senza dimenticare gli allerta in arrivo dalla Commissione europea, che sul finire della scorsa settimana è tornata a far filtrare qualche perplessità sulla tenuta dei conti pubblici.
Ecco perché guardare come si è mosso il gettito dei principali tributi nel periodo più buio della crisi economica può aiutare a capire quale potrebbe essere il trend dei prossimi anni.
La corsa (e lo stop) dell’Imu
Paradossalmente, il maggior incremento di gettito è una buona notizia per i contribuenti, perché riguarda la cedolare secca, regime opzionale che riduce l’incidenza dell’Irpef sui redditi delle locazioni abitative e – secondo gli stessi documenti governativi – contribuisce ad arginare il fenomeno degli affitti in nero. Secondo la proiezione a fine 2017 basata sul preconsuntivo dei primi nove mesi dell’anno, la tassa piatta sfiorerà i 2,5 miliardi (+248% rispetto al 2011, in cui peraltro il debutto avvenne in corsa e tra mille incertezze).
Fatta questa eccezione, agli altri aumenti di gettito corrisponde un incremento del tax rate vero e proprio. Rispetto al 2008, l’aumento maggiore è ancora quello di Imu e Tasi, che pure vivono una stagione di “tregua” dopo il blocco dei rincari dettato dalla legge di Stabilità 2016 (e riconfermato per l’anno prossimo): compreso il saldo del 16 dicembre, quest’anno i due tributi immobiliari porteranno nelle casse dei Comuni e dell’Erario un gettito quasi doppio rispetto all’Ici del 2008: circa 20,8 miliardi contro 10,9 (dato, quest’ultimo, attualizzato per rendere possibile il confronto a parità di potere d’acquisto).
Anche le addizionali comunale e regionale all’Irpef vedono un andamento analogo e si sono stabilizzate nel 2016 dopo essere state usate per “scaricare” sulla tassazione locale almeno una parte della stretta tributaria seguita all’emergenza-spread di fine 2011.
I primi sgravi su utili e lavoro
Guardando anche i tributi erariali, nell’attuale “mix delle tasse” si intravedono, di fatto, due componenti. Da un lato, negli anni peggiori della crisi si è cercato di recuperare gettito dove era possibile senza colpire ulteriormente i redditi di lavoro e di pensione su cui gravano già le ritenute Irpef (dagli immobili, ma anche dalla benzina, dai giochi e dai bolli), e gran parte di questi rincari pesano ancora oggi sulle tasche dei contribuenti. Dall’altro, dal 2014 si è iniziato ad alleggerire la pressione fiscale in alcuni settori, nel tentativo di far ripartire i consumi o, a seconda dei casi, la produttività. Categoria in cui ricadono il bonus degli 80 euro o il al taglio dell’Irap sulla componente lavoro o ancora, dall’anno d’imposta 2017, alla riduzione dell’Ires al 24 per cento.