9 dicembre forconi: 05/20/16

venerdì 20 maggio 2016

ULTIME SULLO SCHIANTO DELL’AIRBUS DELL’EGYPT AIR.

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IL MINISTRO DELL'AVIAZIONE EGIZIANO, SHERIF FATIH, PARLA APERTAMENTE DI TERRORISMO: “SI POTREBBE TRATTARE DI UN ATTO TERRORISTICO, MA AL MOMENTO NON ABBIAMO CERTEZZE”

Anche il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, è dell'avviso che dietro l'incidente di questa mattina ci sia il terrorismo: “Stiamo ricevendo una serie di informazioni che tendono a farci considerare anche questa ipotesi”

Piera Matteucci per “Repubblica.it”
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AEREO EGYPTAIR

Un Airbus 320, MS804, della compagnia EgyptAir, con a bordo 66 passeggeri, partito da Parigi e diretto al Cairo, si è inabissato ieri mattina dopo essere scomparso dai radar "10 miglia dopo essere entrato nello spazio aereo egiziano". Tra i passeggeri anche un bambino e due neonati. La conferma dell'inabissamento è arrivata dal presidente francese, Francois Hollande: "Le nostre informazioni sfortunatamente confermano che l'aereo dell'EgyptAir è precipitato in mare".

Brusche virate. Il ministro della Difesa greco, Panos Kammenos, in una conferenza stampa ad Atene, ha dichiarato che il velivolo ha fatto "brusche virate" a mezz'aria e ha perso quota prima di scomparire dai radar nel sud del mar Mediterraneo. "Alle 3.39 la rotta del velivolo era a sud, sud-est delle isole Kassos e Karpathos..
Immediatamente dopo essere entrato nello spazio aereo egiziano ha virato e ha cominciato a precipitare. La virata era di 90 gradi a sinistra e 360 gradi a destra", ha spiegato il ministro. Secondo Kammenos, l'aereo sarebbe precipitato da 37mila piedi a 15mila.

Aperta inchiesta

La compagnia aerea egiziana, che ha invitato alla prudenza per quanto riguarda le teorie sull'accaduto, ha assicurato di non conoscere ancora la dinamica dell'incidente, mentre i media francesi hanno riferito che il relitto è stato individuato al largo dell'isola greca di Karpathos, in acque territoriali egiziane e che almeno tre comandanti di navi che si trovavano in quell'area hanno visto fiamme in cielo. La giustizia francese ha annunciato l'apertura di un'inchiesta, mentre la Procura generale egiziana ha ordinato un'indagine sullo stato di sicurezza.

Individuati rottami al largo di Creta

Anche il ministero dell'Aviazione egiziano ha confermato lo schianto. Relitti dell'aereo sono stati localizzati al largo dell'isola greca di Creta. Lo comunica l'esercito greco. La notizia è stata confermata anche dall'emittente greca Ert tv che parla del ritrovamento di "due oggetti arancioni". I due frammenti galleggiavano nei pressi della zona in cui era stato emesso un segnale del trasponder.

Aereo scomparso, Ginori: "Si indaga sulla possibilità di esplosivo a bordo"

AEREO EGITTO
Dolore in Francia ed Egitto. I ministri degli Esteri francese e egiziano hanno espresso le proprie condoglianze per l'accaduto: si tratta della prima comunicazione ufficiale che sottintende la presenza di vittime, finora non confermata dalle autorità.

Giallo su allarme

C'è mistero sull'allarme che l'aero avrebbe lanciato prima di sparire. La compagnia aerea sostiene che alle 02.26, il velivolo ha lanciato un messaggio di Sos. Un segnale di emergenza dall'aereo è stato invece captato alle 04.26, circa due ore dopo aver perso le tracce del velivolo. Il segnale potrebbe essere stato inviato dall'apparecchiatura per la localizzazione dell'aereo installata sull'aeromobile.
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Ma l'Egitto smentisce invio dell'allarme: il primo ministro ministro Sherif Ismail ha detto che "non vi è alcuna informazione" sull'accaduto, precisando che quanto alla richiesta di soccorso non si è trattato di un Sos ma di una segnale trasmesso dalle strumentazioni di bordo del velivolo.

Non si esclude terrorismo

"Non si può escluderealcuna possibilità sulle cause della scomparsa dell'aereo dell'Egypt Air, compreso l'attacco terroristico, ha detto il premier egiziano Sherif Ismail che si è recato nel centro di coordinamento delle operazioni, rispondendo ad una domanda precisa in tal senso.
A lui fa eco il ministro dell'Aviazione egiziano, Sherif Fatih: "Si potrebbe trattare di un atto terroristico, ma al momento non abbiamo certezze". E ha aggiunto che "ci sono delle ipotesi, ma bisogna ancora analizzare tutte le informazioni raccolte". Anche il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, è dell'avviso che dietro l'incidente ci sia il terrorismo: "Stiamo ricevendo una serie di informazioni che tendono a farci considerare anche questa ipotesi".
Il direttore dell'Fsb russo Aleksandr Bortnikov da Minsk, dove prende parte alla riunione dei responsabili dei servizi di sicurezza dei paesi della Comunità degli Stati indipendenti, appoggia la teoria dell'attentato. Citato dall'agenzia russa Tass, sollecita quindi "tutte le parti interessate, inclusi i nostri partner in Europa, ad adottare tutte le misure necessarie per identificare le persone coinvolte in questo terribile attacco".

Francia: "Tutte le ipotesi sotto esame"

La Francia non esclude "alcuna ipotesi", ha detto il premier francese Manuel Valls e "collabora attivamente" con l'Egitto per analizzare le circostanze. Il presidente François Hollande ha parlato con il suo omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi e ha convocato all'Eliseo una riunione interministeriale di crisi.
Anche per il ninistro dell'Interno italiano, Angelino Alfano, "non si può escludere nulla ancla pista peggiore". Alfano ha precisato che "il tempo dell'accadimento è troppo recente e in luogo troppo lontano per dare giudizi affidabili al momento", ma che il nostro paese ha già attivato "tutti i canali informativi per avere notizie chiare nel minor tempo possibile".
Meteo buono. Secondo la Cnn, che ha analizzato la situazione meteo durante la fase finale del volo, la visibilità e le condizioni erano ottime e non possono avere influito sul disastro. In quella fase inoltre è praticamente impossibile che un errore dei piloti possa risultare fatale.

Le altre ipotesi

In campo, quindi, restano altre ipotesi. L'incidente o l'attentato. Nel secondo caso, l'altezza comunicata da EgyptAir esclude l'uso di missili terra-aria portatili - i cosiddetti manpads - di cui è dotato l'Is o altre formazioni terroristiche: l'Airbus era fuori dalla portata di queste armi.

L'indagine partirà dal profilo dei passeggeri. Se si ipotizza l'attentato, il primo scenario da valutare è quello di un kamikaze che avesse con sé un piccolo ordigno, nascosto in un tablet o in un computer, da appoggiare al finestrino.
L'esplosione a quella quota provocherebbe una rapida decompressione con la distruzione del velivolo. Ma può essere sufficiente anche un etto di tritolo con una miccia, secondo lo schema tentato nel dicembre 2001 da un convertito inglese che aveva nascosto l'esplosivo in una scarpa e fu fermato dagli altri passeggeri mentre cercava di farlo saltare sorvolando gli Usa.
Fonte: qui

2.AEREO EGYPTAIR, TROVATI DETRITI A NORD DI ALESSANDRIA

Nella mattinata di venerdì sono stati avvistati a nord di Alessandria dei detriti dell’aereo della EgyptAir scomparso. Lo conferma la pagina Facebook delle Forze armate egiziane, attraverso il portavoce, brigadiere Mohamed Samir.

«Gli aerei militari e mezzi della Marina egiziana sono riusciti a trovare venerdì rottami dell'aereo e beni dei passeggeri nell'area a nord di Alessandria a una distanza di 290 km» dalla costa, ha scritto il portavoce limitandosi ad aggiungere: «le operazioni di ricerca proseguono per recuperare tutto ciò che verrà trovato». In un suo comunicato, il numero 12, Egyptair ha rilanciato l'informazione precisando che il ritrovamento è avvenuto «nelle prime ore» di oggi «a 295 km dalla costa di Alessandria».
I componenti della commissione d'inchiesta egiziana creata per indagare sulle cause del disastro aereo dell'Egyptair «si recheranno immediatamente sul luogo per esaminare i rottami e le due scatole nere, quando saranno ripescate», riferiscono fonti aeroportuali al Cairo.
ricerche aereo egyptair
RICERCHE AEREO EGYPTAIR
La Commissione è guidata da Ayman el-Mokadem, capo del Comitato d'inchiesta del ministero dell'Aviazione civile, precisano le fonti riferendosi al funzionario che guidò anche le indagini sul charter russo esploso sul Sinai in ottobre. Gli esperti «avranno incontri con gli inquirenti francesi di Airbus» viene aggiunto. La creazione della Commissione era stata annunciata ieri sera dalla presidenza egiziana.
Nel frattempo, le autorità egiziane non scartano l'ipotesi dell'attentato. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Aisi ha chiesto a «tutti i settori dello Stato coinvolti, il ministero dell'aviazione Civile, la marina e l'aeronautica, che intensifichino le operazioni di ricerca» per trovare il relitto.
Il presidente del comitato greco di sicurezza aerea Athanassios Binos, ha confermato che i resi trovati nella zona vicina al luogo dove si sarebbe schiantato il velivolo «non provengono dall'aereo». «Anche il mio collega egiziano mi ha confermato che non è provato che questi rottami siano del volo Egyptair».

Egyptair, Egitto evoca ipotesi attentato: proseguono le ricerche

Con estrema prudenza il ministro dell'Aviazione civile egiziano Chérif Fathy ha detto che la situazione «lascia pensare (...) che le probabilità di un attacco terroristico siano maggiori di quelle di un guasto tecnico. Ma non voglio tirare conclusioni affrettate», ha precisato Fathy.

La sindrome da terrorismo globale

Poco prima anche il presidente francese François Hollande aveva dichiarato che «non era scartata alcuna ipotesi». A bordo del volo vi erano 30 passeggeri egiziani e 15 francesi oltre ai membri dell'equipaggio.

Colpo di grazia al turismo egiziano

mohammad mamdouh assem pilota
MOHAMMAD MAMDOUH ASSEM PILOTA
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EGYPTAIR
Oggi, il capo della diplomazia francese Jean-Marc Ayrault ha affermato che non vi è «assolutamente alcuna indicazione sulle cause» della scomparsa del volo della EgyptAir. «Tutte le ipotesi sono in esame, ma nessuna è privilegiata, perché non abbiamo assolutamente alcuna indicazione sulle cause», ha dichiarato Ayrault intervistato su France 2. Il ministro degli Esteri francese ha detto che oggi riceverà le famiglie dei passeggeri e alcuni rappresentanti delle istituzione «per fornire il massimo delle informazioni possibili in assoluta trasparenza»
Fonte: qui

L’Islamofobia è uno strumento politico

Quando, nel 2006, le caricature blasfeme contro l’Islam pubblicate su un giornale danese causarono 205 morti, l’allora Segretario Generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica Ekmeled Ihsanoglu fece visita al responsabile delle relazioni estere dell’Unione Europea, Javier Solana. 
In quel momento la posizione ufficiale della UE era che non vi era in assoluto islamofobia e che si trattava di un incidente isolato. Da allora questa è stata, più o meno, la posizione delle istituzioni europee.
Ma ora assistiamo ad un’autentica negazione della realtà. Per tre anni manifestazioni di massa in Germania, specialmente a Dresda (dirette da un uomo con precedenti penali), si sono succedute settimanalmente sotto la bandiera del PEGIDA (patrioti Europei Contro l’Islamizzazione del Continente).
Nel 2011 il massacro di 77 persone a Oslo da parte di Anders Behring Breivik fu ugualmente condannato come l’azione di un pazzo solitario. Attualmente si riconosce l’esistenza di più di 20 atti giornalieri di islamofobia solo in Germania.
Il congresso della AfD (Alternativa per la Germania) – partito xenofobo e nazionalista che in soli due anni ha ottenuto rappresentazione in otto stati della Repubblica Federale – si è tenuto il 30 aprile, ricevendo poca attenzione dai mezzi di comunicazione. Il congresso si è tenuto proprio dopo le elezioni di marzo in Germania, che hanno consacrato la AfD quale terza forza politica del paese.
Una settimana prima del congresso della AfD, gli xenofobi del Partito della Libertà d’Austria (FPO) hanno ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni presidenziali. Questo dopo che i nazionalisti del Partito Nazionale Slovacco (SNS) ottenessero di far parte del nuovo governo slovacco, e che in Polonia la destra ultra-conservatrice di Legge e Giustizia (PiS) arrivasse al potere.
Una catena ininterrotta di vittorie dell’estrema destra negli ultimi anni in Svezia, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Francia, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia e Grecia, che sono state ricevute nell’indifferenza generalizzata.
Invece, il congresso della AfD era basato sulla constatazione che una marea xenofoba, nazionalista e populista si sta impadronendo dell’Europa.
Il linguaggio adottato nel congresso sarebbe stato impensabile alcuni anni fa. Una delle risoluzioni ha affermato che l’Islam è incompatibile con l’Europa, il che porterebbe all’espulsione di tutti i musulmani di Germania. Il fatto che l’87% di loro viva là da più di 15 anni e che essi ssiano, quindi, chiaramente cittadini tedeschi perfettamente integrati nella società e con diritti protetti dalla costituzione, è un ostacolo che  (l’ AfD) risolverebbe con una  riforma costituzionale.
Alla domanda di un giornalista in una conferenza stampa su come si procederebbe all’espulsione repentina di milioni di persone dal mercato del lavoro, la risposta è stata: Hitler lo fece con sei milioni di ebrei che erano molto più integrati ed avevano più potere, e non successe nulla.
Ora, ricordiamo che Hitler dichiarò gli ebrei incompatibili con l’Europa, privandoli della loro nazionalità per poi deportarli nei campi di concentramento (la AfD sarebbe più caritatevole e  si limiterebbe ad espellerli).
La proposta della AfD non provoca un déja vu?
Un solo giorno prima del congresso della AfD, l’islamofobia è stata il tema centrale di una conferenza molto partecipata organizzata dal Centro di Ginevra per l’Avanzamento dei Diritti Umani e del Dialogo Globale e dalla Missione del Pakistan all’ONU. Validi oratori come  Idriss Jazairy della Tunisia, Uhsanoglu della Turchia, e Tehmina Janjua del Pakistan hanno preso la parola nella conferenza cui hanno partecipato vari paesi per dibattere il tema della religione.
Sono stati fatti vari sforzi per dimostrare che il Corano non predica la violenza, e che l’ISIS non rappresenta altro che una deviazione dall’autentico Islam. Di fatto tutti i partecipanti musulmani, alcuni sufi, altri sunniti, sarebbero stati considerati apostati dall’ISIS e rapidamente uccisi. Nessun rappresentante del Wahabismo o del Salaafismo (la versione puritana dell’Islam) ha partecipato.
Ma è evidente che l’islamofobia non ha niente a che vedere on la religione.
Di fatto il Corano e il Vangelo hanno molti punti in comune. Le guerre di religione sono state raramente un problema del cittadino, hanno sempre avuto origine tra re e sceicchi.
La guerra dei Trent’Anni (1618-1648) che, uccidendo il 20% della popolazione europea, causò una distruzione che l’ISIS può solo sognarsi, fu iniziata dall’imperatore Ferdinando di Boemia. Protestanti e cattolici vivevano tranquillamente fianco a fianco. Come ebrei, musulmani e cristiani in Spagna,, fino a che Isabella (di Castiglia) e Ferdinando (d’Aragona) decisero di espellere ebrei e musulmani. E quando capi religiosi come Girolamo Savonarola a Firenze (un cristiano wahabita) guadagnavano seguaci, il Papa interveniva rapidamente per ucciderli, come in altri casi lo fecero re o principi.
E’ ormai il momento di riconoscere che l’Islam è stato intrappolato a causa di una crisi interna occidentale. Ma lo stesso Islam soffre una crisi interna, del tutto ignota al resto del mondo. Ci sono varie scuole dell’Islam, oltre alla principale divisione tra sunniti e sciiti. Ma le dispute in seno all’Islam sono sempre state provocate da re, imam e ayatollah, che hanno utilizzato la religione come strumento di potere.
Uno degli argomenti contro l’Islam è che i cristiani stanno abbandonando il mondo arabo, fuggendo dal fanatismo musulmano. Ma nessuno si ferma un attimo a pensare perché i cristiani hanno vissuto là, per generazioni e generazioni fino al giorno d’oggi ……
Non è chiaro chi vincerà questa lotta interna, ma senza dubbio non sarà l’ISIS né il wahabismo, nonostante le centinaia di milioni di dollari investiti dall’Arabia Saudita nella creazione di moschee con imam radicali in tutto il mondo. L’Islam continuerà ad essere una religione con diverse correnti, che impareranno a coesistere. Ma nessuno sa quanto tempo ci metteranno.
Ma torniamo all’attualità. L’Occidente si trova in una grave crisi interna, una crisi di democrazia. E’ una crisi di natura sia  economica e sociale che di incapacità del sistema politico ad affrontarla. Bisogna riconoscere che, fino alla crisi economica del 2008 che ebbe origine nella bolla  dei derivati in USA e fu seguita dalla bolla del debito sovrano in Europa, il sistema creato dopo la 2° Guerra Mondiale stava in piedi.
Molti storici affermano che la storia è mossa dall’avidità e dalla paura. Dalla caduta del muro di Berlino nel 1989, entriamo in un periodo di capitalismo selvaggio dove l’avidità viene considerata un buon combustibile per la crescita. Non passarono neppure  vent’anni che l’avidità diede luogo al risorgere della disuguaglianza sociale che accompagnò la rivoluzione industriale.
Le cifre sono chiare e ben note: 200 persone posseggono una ricchezza equivalente a quella posseduta da 2,2 milioni di persone. La classe media si è ridotta: secondo la Banca Mondiale si è abbassata del 3% in Europa e del 7% negli Stati Uniti. In Brasile, dove 40 milioni di persone erano saliti a far parte della classe media, milioni ora scendono in piazza per paura di ricadere nella povertà.
All’avidità bisogna aggiungere la paura. E’ la paura che spinge l’ascesa di Donald Trump negli Stati Uniti (e, per essere giusti, anche quello di Bernie Sanders), e da ogni parte la gente ha paura di perdere quel mondo che conosceva e in cui si sentiva comoda e sicura.
Il messaggio della destra radicale è quello di un miglior ieri: torniamo ad un’Europa pura e ordinata, liberiamoci dei burocrati di Bruxelles che ci rendono la vita impossibile. Il nazionalismo e il populismo stanno tornando. Liberiamoci dell’euro, recuperiamo la nostra sovranità monetaria, e espelliamo tutti gli stranieri, che stanno distruggendo il mondo che conosciamo. Il sistema politico attuale è pieno di corruzione, non risponde alle necessità dei cittadini, si è trasformato in un meccanismo di riproduzione di una casta. Liberiamoci dei partiti tradizionali, che sono uno strumento degli interessi finanziari ed economici.
In questo quadro il nazionalismo e il populismo trovano molto conveniente aggiungere la xenofobia, che si è trasformata in islamofobia. Non è una coincidenza che l’Università di Tel Aviv informi che gli incidenti antisemiti quest’anno siano i più bassi dell’ultimo decennio. Non a caso l’islamofobia ha avuto origine in Francia, che ha la maggiore comunità musulmana d’Europa.
Altri due fenomeni hanno promosso l’utilizzazione dell’islamofobia come strumento politico.
Il primo è stato la creazione dell’ISIS nel 2014, con attentati in Europa che hanno diffuso una paura generalizzata.
Il secondo è stato la crisi dei rifugiati, vista come un’invasione di massa e senza precedenti in Europa.
L’islamofobia, insieme al nazionalismo e al populismo, ha enormemente aiutato la virata a destra del continente.
Ma attribuire tutta la responsabilità alla marea dei rifugiati e all’ISIS risponde ad una lettura superficiale della situazione.
Non dimentichiamo che il governo antieuropeo ungherese fu eletto nel 2010, quando non esistevano né l’ISIS né la crisi dei rifugiati. Prima del 2014 il populismo e il nazionalismo, alimentandosi della paura e dell’avidità crescente, sono stati responsabili di questa marea crescente.
Nel 2015 in Polonia, un paese dove l’Unione Europea riversò sovvenzioni come in nessun altro, il governo cadde nelle mani del Partito della Legge e della Giustizia (PiS) con la parola d’ordine “isoliamoci da quanto succede in Europa”.
In fondo il Brexit, il referendum sulla continuità britannica in Europa, fu ‘precipitato’ dal partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP) , una forza politica principalmente nazionalista e antieuropea che ha ben poco di islamofobia … tanto che il prossimo sindaco di Londra sarà un musulmano.
Ma ora siamo tutti ossessionati dall’Islam, che è diventato un facile capro espiatorio grazie all’ISIS e alla crisi dei rifugiati.
Il fatto che molti dei rifugiati fuggano dalle guerre iniziate da noi viene completamente dimenticato.
Un approccio riguardo al futuro e a come costruire una politica dell’immigrazione è, attualmente, politicamente impossibile. Dopo  il grande successo del FPO in Austria, la coalizione governativa socialista-democratico/cristiana ha dichiarato che non permetterà che la destra monopolizzi la bandiera dell’integrità nazionale, e anche che erigerà una frontiera con l’Italia.
Ma è comunque un fatto che non possiamo ritornare all’Europa di prima.
L’Europa costituiva il 24% della popolazione mondiale nell’anno 1800, e a fine di questo secolo ne avrà solo il 4%.
Quando l’Inghilterra obbligò la Cina ad accettare le sue esportazioni di oppio nel 1839, aveva una popolazione di 19 milioni di persone a fronte dei 354 milioni della Cina. Oggi il Regno Unito ha una popolazione bianca di 41,5 milioni di persone, mentre in Cina vivono 1.600 milioni di persone.
L’Europa perderà 50 milioni di abitanti in tre decenni. Il sistema pensionistico è collassato e non ha sostituzioni. Possiamo immaginare 50 milioni di immigrati cristiani? E perché fino a pochi anni fa nessuno si lamentava dei 20 milioni di musulmani che vivevano in Europa?
Senza una politica sull’immigrazione, come ignorare che il numero totale delle persone che vivono al di fuori del loro paese di nascita è ora  di 240 milioni, e che essi costituiscono il quinto paese più grande del mondo?
Come selezionare e ammettere quelli di cui si ha bisogno?
Ci stiamo dimenticando di tutto questo, fino al punto che l’Europa abbandona la Carta dei Diritti Umani, la Costituzione Europa e la sua proclamata identità, per trattare con un poco raccomandabile e ogni volta più autocrate presidente turco Recep Tayyip Erdogan e arrivare ad un accordo che contempla l’interscambio di 1 milione di siriani per 6 mila milioni di euro e l’aprire le porte dell’Europa a 70 milioni di turchi. 
L’Occidente sta facendo il gioco dell’ISIS, il cui sogno è una guerra di religioni, obbligando i musulmani in Europa e USA a scegliere tra trasformarsi in apostati e mettersi dalla parte dell’Occidente nonostante il suo rifiuto, o unirsi alla lotta per il rinascimento dell’Islam e la guerra contro i Crociati. Questa è la sua strategia.
E la crescente ondata di nazionalismo, di populismo, e ora di islamofobia, che ha paralizzato il sistema politico tradizionale, non rappresenta solo il declino della democrazia.
Apre anche la strada all’insicurezza e alla ricerca dell’uomo forte del passato. 

Roberto Savio - ALAI
Fonte: http://www.vocidallastrada.org/2016/05/lislamofobia-e-uno-strumento-politico.html#more


Per concessione di Centro di Iniziativa Popolare "G. Tagarelli"
Fonte: http://www.alainet.org/es/articulo/177329
Data dell'articolo originale: 10/05/2016
URL dell'articolo: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=17918 

ISLANDA SENZA EURO? IN SPAVENTOSA CRESCITA! ECCO COSA NON VI DICONO!


Workers clear up dead herring worth  billions in exports  Tuesday Feb. 5 2013 from the shore of  Kolgrafafjordur, a small fjord on the northern part of Snaefellsnes peninsula, west Iceland, for the second time in two months. Between 25,000 and 30,000 tons of fish died in December and more now, due to lack of oxygen in the fjord thought to have been caused by a landfill and bridge constructed across the fjord in December 2004. The current export value of  the estimated 10,000 tons of herring amounts to ISK 1.25 billion ($ 9.8 million, euro 7.2 million), according to Morgunbladid newspaper. (AP Photo/Brynjar Gauti)(LaPresse/AP/Brynjar Gauti)

Visto che i media di regime non lo fanno, ve lo ricordiamo noi
Caso Grecia, c’è un precedente: nel 2010 il popolo Islandese con un referendum mandò a quel paese l’Europa

NEL MARZO DEL 2010 PIÙ DEL 93% DEI 300MILA ABITANTI DELL’ISOLA HA VOTATO “NO” ALLA RESTITUZIONE DI 3,9 MILIARDI DI EURO.

TRA IL 2009 E IL 2010 IL PIL DI REYKJAVIK È DIMINUITO DEL 10% E UNA RIPRESA HA INIZIATO A VEDERSI DAL 2011 QUANDO IL PAESE HA RITROVATO IL SENTIERO DELLA CRESCITA, MA LA CURA NON È STATA INDOLORE.

Per la Grecia che sta decidendo con un referendum quale deve essere l’atteggiamento nei confronti dei suoi creditori esiste un suggestivo precedente. Nel marzo del 2010 più del 93% dei 300mila abitanti dell’Islanda ha votato “No” alla restituzione di 3,9 miliardi di euro a Gran Bretagna e Olanda, entrambe colpite dal fallimento di tre banche del piccolo paese nordico. Sfortunatamente per i greci le similitudini sono più apparenti che reali e in ogni caso il voto liberatorio di Reykjavik non ha messo le ali ad un’economia che soffriva innanzitutto di mali propri. Facciamo un piccolo passo indietro.

Negli anni che precedono la crisi del 2008 l’Islanda attrae capitali dagli investitori esteri come se fosse un’idrovora grazie a tassi di interesse locali ben più alti (per combattere l’inflazione) rispetto a quelli statunitensi o dell’area Euro. Gli islandesi viceversa cercano di contrarre prestiti in euro o dollari su cui pagano interessi più bassi. Su entrambe le parti grava il rischio di cambio, ovviamente con dinamiche opposte. Se la corona si rafforza per un islandese è più facile ripagare i suoi debiti, se si indebolisce gli investitori esteri vedono diminuire il valore dei loro investimenti. In mezzo a questo vorticoso flusso di denaro proveniente da mezzo mondo, ci sono le banche islandesi che a loro volta si indebitano in valuta straniera e prestano in corone lucrando sulla differenza dei tassi.

Il “gioco” assume dimensioni impressionanti per un piccolo paese come l’Islanda. Le banche locali arrivano a gestire attività per 168 miliardi, quasi 20 volte il Pil dell’isola. Troppo anche se sembra una festa in cui tutti si divertono.

Non soddisfatte, le tre principali banche del paese aprono conti online in Gran Bretagna ed Olanda per i risparmiatori locali. In questo modo raccolgono valuta estera e la reinvestono in patria, di nuovo sfruttando la differenza dei tassi. Il 15 settembre 2008 la musica si ferma e la festa finisce all’improvviso nel peggiore dei modi. Il fallimento di Lehman Brothers paralizza i flussi di denaro, in tutto il mondo squilibri, debolezze ed esagerazioni finanziarie vengono alla luce. I capitali iniziano a fuggire dal paese e la corona perde il 50% del suo valore trascinando al ribasso tutti gli asset ad essa collegati.
Incapaci di ripagare i loro debiti, le banche islandesi falliscono una dopo l’altra.
Il governo è costretto a nazionalizzarle e per farlo deve farsi aiutare anche dal Fondo monetario internazionale a cui chiede un prestito di 5 miliardi di euro impegnandosi in cambio ad attuare misure di austerità fiscale. I conti online all’estero vengono abbandonati al loro destino garantendo solo minimi rimborsi. I risparmiatori inglesi e olandesi non pagano quasi dazio perché i soldi li mettono Londra e Amsterdam. Diventa una questione tra governi ma quello islandese “spariglia” il gioco rivolgendosi al popolo che con un referendum dice no alla restituzione dei soldi. L’Olanda rimarrà particolarmente scottata dalla vicenda e anche per questo motivo si dimostrerà particolarmente intransigente in altre situazioni a cominciare da quella greca.
L’Islanda è quindi riuscita con il voto popolare a liberarsi del debito verso gli stranieri. Ma la cura a cui si è sottoposta non è stata certo indolore e i risultati iniziano a vedersi solo ora. Ha dovuto salvare le sue banche spendendo una cifra pari al 30% del suo Pil e per farlo ha dovuto chiedere un prestito al Fondo monetario internazionale da 5 miliardi di euro.
Ha imposto rigidi controlli sull’esportazione di capitali che solo da poche settimane vengono gradualmente allentati. Tra costi dei salvataggi e aumenti del debito il costo complessivo della crisi è stato stimato al 65% del Pil. Tra il 2009 e il 2010 il Pil è diminuito del 10% e una ripresa ha iniziato a vedersi dal 2011 quando il paese ha ritrovato il sentiero della crescita (2% all’anno).
I turisti stranieri sono in forte crescita grazie al cambio favorevole così come le esportazioni. Il calvario insomma è durato un triennio. Come per l’Islanda anche per la Grecia la partita del debito è ormai soprattutto una questione tra governi. Le banche, sono state “graziate” nel 2011 dall’intervento degli Stati, e dei relativi contribuenti, portando comunque a casa un taglio del 50% del valore dei loro crediti. Proviamo a “traslare” il precedente islandese sulla situazione greca. Anche con una moneta propria il sistema bancario nazionale andrebbe sostenuto, di fatto nazionalizzato. Ipotizzando un costo dell’operazione simile a quello dell’Islanda servirebbero circa 60 miliardi di euro.
Dove trovarli dopo aver rotto con i creditori europei ed Fmi? Inoltre dal punto di vista delle relazioni internazionali una cosa è mettere in conto a due governi 3,9 miliardi di euro, un altro è scaricare debiti che sono enormemente superiori. Se il costo finale della crisi fosse simile a quello islandese si parlerebbe di 120 miliardi. Superata la bufera finanziaria, dopo un’inevitabile profonda recessione è possibile che anche la Grecia ritrovi la via della crescita. La via islandese è una strada che si può scegliere di percorrere. Basta sapere che farlo non sarà comunque indolore.

Fonte: qui

Il muro sul Brennero e la fine del trattato di Schengen

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DURISSIMA LETTERA DEL COMMISSARIO EUROPEO AVRAMOPOULOS AD ALFANO: BRUXELLES NON E’ CONTRARIA ALLA EVENTUALE CHIUSURA DEL BRENNERO E PREPARA UNA PROCEDURA DI INFRAZIONE CONTRO L’ITALIA SUI RIMPATRI DEI MIGRANTI

La Commissione Europea certifica il fallimento del piano di rimpatri: trasferiti solo 1.500 migranti a fronte dei 160mila previsto per la fine del 2017. Il muro? “E’ possibile, in via eccezionale, adottare misure provvisorie per incanalare i flussi migratori…”

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera
DIMITRIS AVRAMOPOULOS
DIMITRIS AVRAMOPOULOS
La lettera è stata trasmessa al Viminale sei giorni fa e contiene tre punti di contestazione alle politiche migratorie dell' Italia. Quanto basta per riaprire lo scontro con Bruxelles. Perché il documento firmato dal commissario Dimitris Avramopoulos fa proprie «le preoccupazioni espresse dall' Austria riguardo al potenziale aumento di migranti in provenienza dall' Italia».
E non esclude che sui Cie possa essere avviata una procedura di infrazione. Nel giorno in cui la stessa Commissione europea decreta ufficialmente il fallimento del piano di ricollocamento dei profughi giunti nel nostro Paese e in Grecia - appena 1.500 trasferimenti a fronte dei 160 mila previsti per la fine del 2017 - si scopre che anche Roma è sotto tiro.
Durissima la reazione del ministero dell' Interno, dove si sottolinea: «Il nostro impegno è massimo, ma non riusciamo nemmeno a garantire il trasferimento degli eritrei che hanno diritto all' asilo visto che gli Stati membri non forniscono alcuna collaborazione». Proprio ieri il prefetto Mario Morcone ha evidenziato come «nelle strutture sono attualmente presenti ben 120 mila stranieri».

Il «muro» austriaco

simona vicari con angelino alfano
SIMONA VICARI CON ANGELINO ALFANO
Scrive Avramopoulos: «Ho ribadito che il Codice frontiere Schengen vieta l' installazione di recinzioni alle frontiere interne. Tuttavia è possibile, in via eccezionale, adottare misure provvisorie per incanalare i flussi migratori, se necessario e proporzionato.
Per preservare l' integrità dello spazio Schengen, condivido tuttavia le preoccupazioni espresse dall' Austria riguardo al potenziale aumento dei movimenti secondari di migranti in provenienza dall' Italia e all' importanza dell' essere preparati ad affrontare i flussi migratori provenienti dalla rotta del Mediterraneo centrale.
La barriera prevista al Brennero
LA BARRIERA PREVISTA AL BRENNERO
In tale contesto è fondamentale che l' Italia - uno degli Stati membri in prima linea, particolarmente esposto alla rotta del Mediterraneo centrale proveniente dalla Libia - intensifichi gli sforzi già in atto per fornire le condizioni di accoglienza necessarie ai migranti in arrivo e per prevenire le fughe».

Cie e «hotspot»

Ieri il ministro Angelino Alfano si è detto «disponibile ad aprire due nuovi centri di smistamento» ed è tornato a proporre «hotspot» galleggianti. Su questo la posizione della Commissione è però netta: «Frontex non dispone in permanenza di navi più grandi.
Migranti - vertice polizia al Brennero
MIGRANTI - VERTICE POLIZIA AL BRENNERO
Confido che l' Agenzia valuterà la proposta ma, come viene giustamente osservato nella lettera, il trasferimento in alto mare da una nave all' altra di un gran numero di migranti soccorsi/intercettati ne metterebbe a rischio la vita».
Critiche forti di Avramopoulos anche sulle strutture: «Pur riconoscendo il forte impegno dell' Italia, un gran numero di sbarchi avvengono al di fuori dei punti di crisi (hotspot), e i previsti gruppi mobili addetti ai punti di crisi non sono ancora operativi. È quindi importante predisporre i punti di crisi supplementari in Sicilia.
Per quanto riguarda il rimpatrio e la riammissione, l' attuale capacità ricettiva dei centri di trattenimento chiusi è chiaramente insufficiente e deve essere ampliata rapidamente.
Occorre inoltre predisporre urgentemente un nuovo programma di rimpatrio volontario assistito».

Flop del piano Juncker

Ieri la Commissione ha dovuto riconosce in un rapporto ufficiale il fallimento completo dell' agenda Juncker approvata nell' ottobre scorso. A fronte dei 20 mila profughi da ricollocare entro metà maggio, Italia e Grecia sono riusciti a trasferirne appena 1.500: dal nostro Paese sono partiti solo 595 stranieri, di cui 24 bambini.
CENTRI SOCIALI BRENNERO
CENTRI SOCIALI BRENNERO
La Ue conferma che «Austria, Ungheria e Slovacchia non hanno ancora offerto di ricollocare alcun profugo, mentre Germania e Polonia non rispettano l' obbligo di indicare, ogni tre mesi, il numero di richiedenti asilo da accogliere».
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