Oggi faremo a pezzi l'affermazione assurda secondo cui l'Arabia Saudita è nostra alleata, e che la sicurezza dei cittadini di Lincoln NE, Spokane WA e Springfield MA non ha nulla a che fare con le macchinazioni politiche e religiose di Riyadh e con i suoi conflitti con l'Iran e il resto del mondo sciita.
E questo non è nemmeno uno sviluppo recente. Infatti per più di quattro decenni la politica mediorientale di Washington è stata sbagliata, controproducente e distruttiva.
La crisi provocata lo scorso fine settimana dal principe saudita, figlio del re ed erede al trono, ha solo chiarificato ciò che è sempre stato sotto gli occhi di tutti.
Cioè, la politica di Washington in Medio Oriente si basa sul presupposto che la risposta a prezzi elevati del petrolio e alla sicurezza energetica, possa essere data dalla Quinta Flotta nel Golfo Persico.
E che un'alleanza con una delle tirannie più corrotte, dispotiche, avare e arretrate del mondo moderno, sia il perno della stabilità regionale e della sicurezza nazionale.
Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. La Casa di Saud è un flagello per l'umanità e sarebbe dovuta scomparire decenni fa, invece è stata coccolata da Washington e ha goduto di un massiccio trasferimento di armi e sostegno politico.
Malgrado ciò, la risposta a prezzi alti del petrolio è proprio prezzi alti del petrolio. Potrebbe esserci qualcosa di più evidente al giorno d'oggi, in cui il petrolio greggio si aggira intorno ai $35 al barile nonostante le guerre nel Golfo Persico?
Ecco il punto. Il pianeta è stato dotato di un tesoro enorme sotto forma d'idrocarburi sepolti; ed è inondato quotidianamente con altri tipi d'energia grazie al solare e all'eolico.
L'unico problema è il prezzo, la forma e la pendenza della curva dell'offerta, e la velocità con cui il progresso tecnologico e l'ingegno umano spingono verso il basso il costo reale dell'estrazione e della conversione.
Oltre a ciò le forze elastiche del libero mercato hanno silenziosamente, costantemente e notevolmente migliorato l'efficienza energetica dell'economia degli Stati Uniti.
Come mostrato nel grafico qui sotto, il consumo d'energia per dollaro di PIL è solo circa il 40% rispetto al livello di quando i politici di Washington si fecero prendere dall'isteria durante la crisi petrolifera del 1973.
Spinto dalle curve della domanda e dell'offerta nel corso degli ultimi quattro decenni, il prezzo in dollari costanti del petrolio non è andato da nessuna parte. La minaccia di prezzi alti del petrolio era solo un gigantesco mito.
La linea rossa nel grafico qui sotto mostra il prezzo del petrolio greggio secondo il potere d'acquisto del dollaro a marzo 2015. Ai $35 al barile di oggi, è solo marginalmente superiore rispetto a quello nel 1971, prima che Nixon chiudesse la finestra dell'oro e inaugurasse quattro decenni d'inflazione monetaria alimentata dalle banche centrali.
La verità è che la lunga era della cosiddetta crisi petrolifera non è mai esistita. È stata solo una comoda invenzione di Washington utilizzata per giustificare la regolamentazione statalista, le sovvenzioni all'energia a livello nazionale e le politiche interventiste all'estero.
Alla fine degli anni '70, come membro dell'House Energy Committee, ho sostenuto che la soluzione a prezzi alti del petrolio fosse il libero mercato; e che se i politici avessero veramente voluto attutire il colpo economico di breve termine inferto da un'interruzione della fornitura dal Golfo Persico, la risposta non sarebbe dovuta essere portaerei, controlli dei prezzi e sussidi all'energia alternativa, bensì l'apertura delle saline in Texas e Louisiana affinché venissero usate come riserva strategica di petrolio (SPRO).
Durante l'era Reagan abbiamo ceduto alle pressioni bipartisan riguardo controlli dei prezzi e controlli sull'allocazione delle risorse, e abbiamo iniziato a riempire lo SPRO. Trentacinque anni dopo abbiamo uno SPRO traboccante petrolio e un'economia nazionale e mondiale che è zeppa d'energia a basso costo, perché il meccanismo dei prezzi ha fatto il suo lavoro.
In realtà, l'OPEC è morto stecchito e tale verità è ormai venuta fuori. Vale a dire, non c'è mai stato un vero e proprio cartello petrolifero. Era solo la Casa di Saud che faceva il tira e molla con Washington, e la sua campagna petrolifera aveva lo stesso obiettivo di qualsiasi altra grande azienda in tal campo.
Cioè, investire e produrre a prezzi che sono calcolati per massimizzare il valore attuale delle proprie riserve sotterranee. E ciò comprende una produzione di 10 milioni di barili al giorno, anche se il prezzo reale del petrolio è ricaduto ai livelli di 50 anni fa.
Ciò significa anche che la politica estera filo-saudita di Washington è una reliquia dell'ignoranza economica che Henry Kissinger e i suoi successori al Dipartimento di Stato hanno portato avanti decennio dopo decennio.
Se avessero capito come funziona il meccanismo dei prezzi dell'energia e la logica dietro allo SPRO, la Quinta Flotta non sarebbe mai stata schierata nel Golfo Persico.
Non ci sarebbe neanche stato alcun intervento di Washington nel battibecco tra Saddam Hussein e l'emiro del Kuwait riguardo la perforazione direzionale nel giacimento petrolifero di Rumaila.
Né ci sarebbe stato alcun esercito a calpestare le terre sacre dell'Arabia; né ci sarebbe stata la successiva trasformazione dei mujahidin sunniti fanatici di Bin-Laden, che la CIA aveva addestrato e armato in Afghanistan, nei terroristi di al-Qaeda.
Inutile dire che non ci sarebbe stata neanche la massiccia compagna militare degli Stati Uniti che ha distrutto la tenue co-esistenza tra sunniti e sciiti sotto la laicità baathista di Saddam Hussein. Né i guerrafondai neocon sarebbero mai diventati una forza dominante a Washington, fomentando la follia suprema di cambi di regime in Libia, Siria, Yemen e altrove.
In breve, le eruzioni episodiche di terrorismo jihadista in Europa e anche in America, non si sarebbero verificate se non ci fosse stata la politica stolta della Quinta Flotta per gestire le risorse energetiche.
Tuttavia vi è una conseguenza ancor più deleteria scaturita dall'Errore di Kissinger. Vale a dire, ha permesso alla Casa di Saud, e alla macchina politica di Bibi Netanyahu, di mistificare i conflitti settari e tribali eruttati in Medio Oriente.
Il fatto è che non esiste una cosa come un terrorismo islamico generico. I circa 1.3 miliardi di musulmani sunniti nel mondo, non sono minimamente interessati al jihaddismo.
Allo stesso modo, i 200 milioni di fedeli di confessione sciita non sono terroristi in senso religioso o ideologico. Ci sono circa 60 milioni di sciiti in India e Pakistan e le loro lotte sono radicate negli antagonismi tra indù-India, non nei confronti dell'Occidente e degli Stati Uniti.
Allo stesso modo, gli 80 milioni di sciiti in Iran, Iraq meridionale, sud del Libano e nelle comunità alawite in Siria, hanno ospitato tattiche terroristiche sporadiche. Ma sono avvenute in risposta agli sforzi di potenze esterne che volevano occupare le terre sciite.
Questo è certamente il caso con l'occupazione ventennale israeliana del sud del Libano, la quale ha dato origine alle forze di difesa di Hezbollah. Vale la stessa cosa per le rivolte sciite a Baghdad e nel sud dell'Iraq, le quali hanno dato origine alle diverse milizie che si sono opposte anche all'occupazione americana.
Inoltre dopo il 1979 l'Iran non ha più invaso nessuno, nemmeno le comunità sciite a nord dello Yemen, le quali ora vengono bombardate dai piloti sauditi a bordo di aerei da guerra e droni forniti dagli Stati Uniti.
In breve, non c'è mai stato un attacco ideologico o religioso sciita nei confronti dell'Occidente. L'anti-americanismo della teocrazia iraniana è semplicemente una forma di patriottismo sorto a causa del sostegno di Washington nei confronti del regime brutale della Shah — e che è stato rafforzato durante gli anni '80 quando l'Iraq invase l'Iran.
Al contrario, il vero terrorismo jihadista nel mondo contemporaneo è nato quasi esclusivamente dal fondamentalismo barbaro del ramo sunnita/wahhabita dell'Islam, la cui patria è l'Arabia Saudita.
Ma questa forma di fanatismo religioso oscurantista/medievale sopravvive solo perché il regime saudita lo impone con la spada nel suo ordinamento giuridico; inonda il suo clero con i guadagni del petrolio; ed esporta centinaia di milioni di jihadisti in Siria, Iraq, Libia, Turchia, Iran, Egitto e in molti altri punti caldi del Medio Oriente.
Inoltre la Casa di Saud è anche fonte d'ispirazione e benefattore finanziario dello Stato Islamico. Se negli ultimi cinque anni non avesse sganciato miliardi in armi e aiuti ai ribelli siriani, oggi non ci sarebbe la guerra civile in Siria, né l'ISIS avrebbe potuto occupare le città e i villaggi dell'alto Eufrate dove ha stabilito il suo califfato assetato di sangue.
Quindi la recente esecuzione di un religioso sciita saudita, che non ha mai posseduto un'arma e ha sempre incitato una protesta pacifica tra le comunità sciite oppresse dall'egemonia saudita, è veramente l'ultima goccia. Si trattava di una provocazione bella e buona da parte di un regime riprovevole, il quale ha corrotto così tanto il Partito della Guerra che è addirittura riuscito ad avere un imbonitore di Washington a capo dell'assurda Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani!
Nel corso degli ultimi decenni, Washington ha dato più di $100 miliardi in armi alla Casa di Saud.
Di conseguenza, vi è un modo semplice per pulire la lavagna in Medio Oriente e mettere un'eventuale fine al jihadismo wahhabita.
Vale a dire, tagliare la vendita di armi all'Arabia Sudita.
Al semplice annuncio di una cosa del genere, diverse migliaia di principi sauditi e le loro famiglie prenderebbero i loro 747 e fuggirebbero in Svizzera, Londra, New York e in altre zone a luci rosse dell'Occidente.
Dopo l'abdicazione dalla Casa di Saud, i chierici wahhabiti non sopravviverebbero a lungo, e l'Iran e i suoi alleati sciiti, compresa la Russia, ci metterebbero poco a sconfiggere il califfato dell'ISIS.
E qualunque governo emergerebbe nella penisola arabica, una cosa è certa: i proventi della produzione del petrolio avrebbero buone possibilità di finire nelle tasche dei 30 milioni di cittadini della nazione, piuttosto che in quelle di poche migliaia di principi.
In realtà ciò è accaduto in Iran, quando i mullah — per quanto arretrati e religiosamente rigidi che potrebbero essere — rovesciarono il tiranno megalomane che sedeva sul Trono del Pavone.
È tempo che anche la Casa di Saud finisca nella pattumiera della storia.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli: http://francescosimoncelli.blogspot.it/