9 dicembre forconi: 12/14/17

giovedì 14 dicembre 2017

UCCIDERE PER 200 EURO - PER L'OMICIDIO A CATANIA DELLE SORELLE MOGAVERO, ARRESTATO IL 30ENNE GIANLUCA MODICA INCASTRATO DALLE TELECAMERE A CIRCUITO CHIUSO


"AVEVO BISOGNO DI SOLDI PER SALDARE UN DEBITO MA HO UCCISO PERCHÉ TEMEVO DI ESSERE DENUNCIATO" 

UNA DELLE DONNE AVEVA MINACCIATO DI ANDARE IN QUESTURA...


I carabinieri di Catania hanno fermato un 30enne, Gianluca Modica, nell'ambito delle indagini sull' uccisione delle sorelle Maria Lucia e Filippa Mogavero, di 70 e 79 anni, accoltellate mercoledì nella loro casa di Ramacca. Si tratta di un pregiudicato di Ramacca. Le donne sarebbero state uccise con un'unica coltellata alla gola. La rapina avrebbe fruttato solo 200 euro. Ad incastrare il pregiudicato le telecamere a circuito chiuso della zona.

le due sorelle ucciseLE DUE SORELLE UCCISE
Al fermato sono contestati il duplice omicidio aggravato e la rapina. Il fermo è stato eseguito dai carabinieri a poche ore dalla scoperta dell'efferato delitto.

A incastrare Modica alcune immagini di video di sorveglianza e alcuni indumenti con tracce del duplice omicidio. Trovate anche una soletta di uno scarponcino dell'uomo che era stata rinvenuta sotto il corpo di una delle due sorelle e una felpa con cappuccio e un paio di jeans del 30enne che erano stati lavati anche con dei reagenti. Ma sugli abiti i carabinieri hanno trovato lo stesso tracce di sangue, anche su dei calzini che erano nel contenitore dei panni sporchi.

gianluca modica omicidio catania 1GIANLUCA MODICA OMICIDIO CATANIA 
"Volevo i soldi per un debito" - Il 30enne è entrato dal tetto di un'abitazione vicina, pensando che a casa non ci fosse nessuno o soltanto Filippa Mogavero, visto che la sorella Lucia era uscita per andare a comprare dei dolci per festeggiare il proprio onomastico, e la terza, Cettina, era nella scuola in cui insegna.

Modica ha ammesso di avere assassinato le due sorelle per denaro: voleva infatti 200 euro per saldare un debito pregresso di droga. 

La prima a essere aggredita è stata Filippa Mogavero, al terzo piano della loro palazzina, con la quale l'uomo ha una colluttazione: la donna viene legata. Nel frattempo rientra Lucia con un vassoio di dolci. L'uomo scende e chiede i soldi. Lei è disposta a dargliene anche di più, ma lui dice di 'accontentarsi' di 200 euro. La donna cede e gli dà i soldi e gli getta contro anche un mazzo di chiavi, intimandogli che tanto lo conosceva di vista perché era un frequentatore della piazza e lo avrebbe denunciato.
gianluca modica omicidio catania 3GIANLUCA MODICA OMICIDIO CATANIA 

"Ho ucciso perché temevo di essere denunciato" - E' stato allora, secondo il racconto del fermato, ancora da verificare, che la donna avrebbe preso un coltello. Mogavero, sostiene, si sarebbe difeso uccidendola, sgozzandola. Poi le avrebbe legato i piedi per simulare sevizie e avrebbe messo a soqquadro la casa. Intanto sale sopra e al quel punto uccide con una coltellata alla gola l'altra sorella perché teme di essere denunciato. L'arma del delitto non è stata trovata. La ricostruzione del fermato è adesso al vaglio della Procura di Caltagirone, diretta da Giuseppe Verzera.

Fonte: qui

gianluca modica omicidio catania 2GIANLUCA MODICA OMICIDIO CATANIA 

I guai che la Bce cerca di nascondere

Mentre la Banca centrale europea insiste sull'addendum relativo agli Npl, la vicenda di Steinhoff crea più di un problema per l'Eurotower.

Lascio ad altri il compito di informarvi sul Bitcoin e il suo approdo alla Borsa di Chicago: non perché non trovi il fenomeno interessante, anzi, ma perché l'approdo delle sue fluttuazioni folli di valutazione mi fanno pensare a un'unica cosa: la criptovaluta e il suo utilizzo saranno l'alibi perfetto per giustificare il botto in arrivo. Ne sono certo. E qualche conferma arriva indirettamente. «Il Bitcoin non è una valuta, ma un prodotto speculativo, per questo non si dovrebbe sovrastimare l'introduzione del future sulla moneta virtuale», ha affermato ieri il membro del board della Bce e governatore della Banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, in un comunicato. Quindi, occhio. Ma dalla Banca centrale europea hanno detto anche altro, sempre ieri. «La Bce avrà bisogno di un mese o due per analizzare le risposte ricevute nell'ambito della consultazione sulle linee guida per i nuovi Npl ed è molto probabile che l'attuazione venga posticipata di alcuni mesi», ha reso noto la presidente del Consiglio di vigilanza dell'Eurotower, Daniele Nouy, in un'intervista alla rivista portoghese Publico, escludendo comunque l'ipotesi che l'attuazione del piano di addendum possa essere posticipato al 2019. «Non vedo alcuna ragione per un rinvio di un anno, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è tempo sufficiente per tenere conto dei commenti sulla prima bozza. Non abbiamo bisogno di un anno per quello; abbiamo bisogno di qualche mese al massimo». 
La Nouy ha quindi osservato che per la Bce «non cambia molto se accade il primo gennaio, il primo aprile o il primo giugno. Ciò che importa è che le cose si stanno muovendo in questa direzione». Insomma, nessun dietro front sull'addendum, dopo la resa - almeno sulla tempistica - relativa alla classificazione dei titoli di Stato. Parla la Bce, parla tanto. E parla la lingua del manovratore, forte di un dato incontrovertibile: senza il Qe, l'Europa si sarebbe schiantata. L'Italia, di certo, occorre ammetterlo. Ma proprio perché soggetto dominante, l'Eurotower avrebbe anche l'obbligo della trasparenza. 
Ricorderete come la settimana scorsa vi abbia parlato del caso Steinhoff, il gigante sudafricano del retail che opera fra l'altro in Francia, Regno Unito e Usa, caduto in disgrazia mercoledì scorso dopo le dimissioni dell'amministratore delegato per una causa del 2015 presso una corte tedesca. Morale della favola, in caso di downgrade del rating, la Bce - che aveva comprato a luglio parte integrante dell'emissione obbligazionaria di Steinhoff con scadenza 2025 per 900 milioni di euro di controvalore - avrebbe scontato la prima perdita potenziale su acquisto di obbligazioni corporate legate al programma di Qe. 

Mercoledì scorso, quel bond crollò da 85 a 41 centesimi, un tonfo che non poteva che prefigurare un taglio mortale: detto fatto, il giorno dopo, Moody's prese le forbici e segò letteralmente il rating di quattro notch, in pieno territorio non-investment grade (quindi fuori dal mandato statutario di acquisto Bce), «a causa di incertezze e implicazioni gravi per la liquidità e la struttura debitoria di capitale della società». Venerdì le perdite di Steinhoff si sono ovviamente ampliate e la Bce ha dovuto prendere atto di avere nel proprio bilancio un ammasso di immondizia che qualcuno, forse eccedendo in pessimismo, ha già definito Enron 2.0
Per il controvalore? 
No, per il crollo di credibilità che perdite reali sullo stato patrimoniale porterebbero non solo alla reputazione della Bce, ma alla sostenibilità e liceità del programma di acquisto obbligazionario corporate, quello che di fatto ha garantito alle aziende di mezza europea e a quelle extra-europee che operano nell'Ue attraverso sussidiarie estere di stare in piedi, visto che godono di finanziamento non bancario a tasso zero e senza riscontro di mark-to-market: la Bce compra tutto. A prescindere. Anche Steinhoff. Il problema è che il mercato se ne frega del silenzio dei giornali o degli stessi membri della Bce e va a vedere come stanno davvero le cose. 
Primo, l'implosione di Steinhoff avrebbe un immediato ricasco a livello globale, dove il conglomerato garantisce occupazione a 130mila persone. Secondo, il ministro delle Finanze sudafricano, Malusi Gigaba, ha detto chiaramente di essere conscio del fatto che molti fondi pensionistici e di accantonamento saranno colpiti dalle perdite di valore dei bond e ha già chiesto la preparazione di un report relativo all'estensione dell'esposizione. Terzo, non sarà solo la Bce a pagare un prezzo, se davvero come pare Steinhoff non ha futuro, se non quello del Chapter 11, ovvero i libri in tribunale. Sono infatti parecchie le banche Usa ed europee che rischiano di restare con il cerino in mano, in caso di evento di credito. Tanto è vero che venerdì Steinhoff ha rinviato un meeting con i creditori, inizialmente fissato per ieri, al 19 dicembre, citando ragioni legato alla pubblicazione dei dati di esercizio, ma tutti sanno che la ragione è un'altra: o le istituzioni compromesse ammettono davanti al mondo che stanno per salvare un'azienda privata insolvente, svelando in pieno lo schema Ponzi insito nel Qe oppure saranno tanto a fare i conti con obbligazioni pagate oro e che adesso valgono pressoché zero, almeno in nozionale. 
L'esposizione totale a Steinhoff era di 18 miliardi di euro alla fine dello scorso marzo, con Bloomberg che ieri ha confermato come le liabilities di lungo termine siano a 12,1 miliardi di euro e quelle a breve termine a 5,87 miliardi. Ma, attenzione, il continuo rinvio da parte di Steinhoff della pubblicazione dei dati finanziari relativi all'intero anno potrebbe portare con sé delle sorprese, una volta che il sipario si sarà alzato sulla situazione reale. E sorprese temo non piacevoli, soprattutto quelle legate alla reale accountability dell'emissione obbligazionaria del bond 2025 dello scorso luglio, proprio quella finita in pancia alla Bce con tanta avidigia. Ecco cosa ha dichiarato, nel silenzio totale dei media europei, Adrian Saville, Ceo della Cannon Asset Managers di Johannesburg ieri pomeriggio sempre a Bloomberg: «Ciò che di pericoloso è sconosciuto sono le strutture di finanziamento fuori bilancio, che potrebbero tramutarsi facilmente e rapidamente in liabilities nuove di zecca per le banche, oltre a quelle già potenzialmente presenti. Se l'azienda fallisce, il debito di breve termine potrebbe letteralmente precipitare». 
A livello globale, alcuni dei creditori privati di Steinhoff includono Citigroup, Bank of America, Hsbc e Bnp Paribas. Inoltre, l'esposizione è formata anche da quella diretta delle banche al presidente del gruppo, il miliardario Christo Wiese e i suoi veicoli di investimento: solo lo scorso anno, piazzò 628 milioni in azioni Steinhoff come collaterale per un finanziamento da Citigroup, Hsbc, Goldman Sachs Group Inc. e Nomura Holdings Incorporated, il tutto per finanziare - attraverso un oscuro concambio azionario - l'acquisizione delle catene Mattress Firm negli Usa e Poundland nel Regno Unito. Attualmente, il valore totale delle azioni è di 365 milioni di euro, quando solo un mese fa era di 2,2 miliardi di euro. 
E la Bce cosa dice? Nulla. Ma bacchetta, anzi minaccia apertamente, le banche soprattutto italiane per i loro Npl, certamente frutto in parte di pratiche da capitalismo di relazione ma anche di prestiti a un'economia reale che si è vista travolta dalla crisi. Venerdì scorso erano circolati rumors relativi alla volontà dell'Eurotower di vendere quei bond, peccato che da statuto Qe la Bce le obbligazioni possa solo comprarle e non venderle: almeno per ora e in caso non si arrivi all'ennesimo cambio emergenziale di regolamento. E, come vi dicevo nel primo articolo su Steinhoff, il nozionale della Bce relativo ad acquisti di bond di aziende traballanti è di 18 miliardi di euro, non noccioline. E parliamo solo dei 26 cosiddetti fallen angels, di cui si sa che l'Eurotower abbia comprato obbligazioni corporate in seno al Qe, nonostante stati patrimoniali e numeri operativi non certo entusiasmanti. 
Qual è il rischio, oltre a quello inestimabile a livello reputazionale? Che la Bce, dopo aver operato da hedge fund, si trovi a essere di fatto l'equity-holder post-ristrutturazione di una serie infinita di aziende europee fallite, decotte o in odore di bancarotta. Così, anche io posso fare l'imprenditore: piace vincere facile a molti capitani coraggiosi del capitalismo moderno. E la Bce, con il suo silenzio in merito, davvero si sente di andare moralmente avanti con le minacce relative all'addendum? Dopodomani è previsto il board e la conferenza stampa di Mario Draghi: chissà se menzionerà la faccenda. Di più, chissà se qualche "autorevole" collega di altrettanto "autorevoli" testate avrà il coraggio di chiederne conto, così come chiede conto continuamente del cattivo stato di salute delle banche italiane per le sofferenze.
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A Reggio il pentito Muto parla e il Sindaco resta muto

Caro amico ti scrivo, cosi mi distraggo un po’, a Reggio Emilia i preti non si possono ancora sposare, ma i Muto iniziano a parlare e accade pure l’incredibile, il direttore della Gazzetta di Reggio, giornale non ostile al PD, si fa per dire, chiede, quasi ingiunge al sindaco Luca Vecchi di dire 335, non per auscultargli il torace, ma per sapere se il nostro ha ricevuto un avviso di garanzia in seguito alle indagini collaterali, scaturite dalle dichiarazioni del pentito ndranghetista Muto. 

Indagini inerenti l’appoggio elettorale che il capo mandamento Lamanna avrebbe chiesto per il sindaco. Insomma, mentre Muto parla, quelli dotati di favella tacciono. Muto per ora il sindaco, che aveva molto parlato di attacco alla democrazia ogni volta che si levava una critica verso di lui, muto il Pd, che pure aveva fragorosamente testimoniato il suo impegno antimafia, insomma in città parla solo il Muto. 

Però il direttore della Gazzetta non si è fermato li, ha chiesto pure le fatture della casa del primo cittadino, acquistata e completata da presunti ndranghetisti. 

Perchè tutto questo sia accaduto è un mistero, anche se è difficile che le cose a Reggio accadano per caso. Inoltre, presso la sede della Cgil, si è tenuta una assemblea che ha ripercorso le tappe del processo Aemilia, ponendo al sindaco le stesse domande. Ora, capire le logiche di un potere così lungo e pervasivo è difficile, specie per i non addetti ai lavori e anche ai livori che agitano la sinistra, pertanto non lo faremo, nè ci uniremo al coro di chi attacca il sindaco, rimarremo garantisti, anche se la sinistra con gli avversari è forcaiola. 

Una cosa possiamo però augurarci, che si accenda una piccola luce sui legami delle cosche in Città. Che abbiano fatto tutto da sole non lo crede nessuno, come nessuno crede che le auto brucino per autocombustione, con temperature esterne vicine allo zero. 

Detto bravo al dottore, anzi al direttore, non resta che attendere che il sindaco dica 33…5!

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Bitcoin vs Fiat Currency: Which Fails First?

What if bitcoin is a reflection of trust in the future value of fiat currencies?
I am struck by the mainstream confidence that bitcoin is a fraud/fad that will soon collapse, while central bank fiat currencies are presumed to be rock-solid and without risk. Those with supreme confidence in fiat currencies might want to look at a chart of Venezuela's fiat currency, which has declined from 10 to the US dollar in 2012 to 5,000 to the USD earlier this year to a current value in December 2017 of between 90,000 and 100,000 to $1:
On 1 December, the bolivar traded in the parallel market at 103,024 VED per USD, a stunning 59.9% depreciation from the same day last month.
Analysts participating in the LatinFocus Consensus Forecast expect the parallel dollar to remain under severe pressure next year. They project a non-official exchange rate of 2,069,486 VEF per USD by the end of 2018. In 2019, the panel sees the non-official exchange rate trading at 2,725,000 VEF per USD.

Gordon Long and I discuss Fiat Currency Failure (The Results of Financialization - Part IV) in a new 31-minute video.
 The bottom line is that fiat currencies are debt-based claims on future profits, energy production and wages, claims that are expanding far faster than the real economy and the productivity of the real economy.If this is your idea of rock solid, I'll take my chances with bitcoin, which currently buys more than 1 billion bolivars. Of course "it can't happen here," which is precisely what the good people of Venezuela thought a decade ago.
In effect, fiat currencies and debt are like inverted pyramids resting on a small base of actual collateral.
If you look at the foundations of fiat currencies, you find loose sand, not bedrock. Massive mountains of phantom wealth have been created by central-bank inflated bubbles, bubbles based not on actual expansion of net income earned from producing goods and services, but on financialization, the pyramiding of debt and leverage on a small base of real assets.
"Free money" that accrues interest isn't free. Eventually the interest eats debtors alive, regardless of the debtor's size or supposed wealth.
Creating "free money" in unlimited quantities impoverishes everyone who holds the currency. In the initial boost phase, the issuance of "nearly free money" to borrowers, qualified or not, generates the illusion of prosperity. But once the boost phase ends, reality sets in and marginal borrowers default, inflation moves from assets (good inflation) to real-world essentials (bad inflation), and creating more "free money" ceases to be the solution and becomes the problem
Yes, cryptocurrencies are risky--but so are fiat currencies. Illusory "wealth" evaporates, and expanding credit-based "risk-free money" at rates that exceed the rate of expansion of the real economy reduces the purchasing power of all those holding the currency. Eventually trust in the currency, and in the authorities who control its issuance, erodes, and a self-reinforcing feedback loop turns the rock-solid currency into sand.
What if bitcoin is a reflection of trust in the future value of fiat currencies? Those dismissing bitcoin as a fad might be missing the point: trust in the authorities who control the expansion of fiat currencies might be eroding fast in a certain segment of the populace.
And more importantly, they might be right, and everyone who placed their trust in the authorities who control the expansion of fiat currencies ends up holding a handful of sand.
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Il rilancio delle autostrade sul rettilineo di partenza gare da oltre 20 miliardi

DOPO OLTRE 10 ANNI IL CONSIGLIO DI STATO SBLOCCHERÀ A GIORNI LA ROMA-LATINA, UNA PARTITA DA 2,7 MILIARDI. MA C’È UN LUNGO ELENCO DI OPERE IMPANTANATE DA ANNI TRA RICORSI E RITARDI CHE NON HANNO FATTO IMPIEGARE LE RISORSE STANZIATE 


Dopo oltre 10 anni di ricorsi, controricorsi, rimpalli politici e lungaggini burocratiche il maxi-progetto dell’autostrada Roma-Latina è pronto a uscire dall’impasse e a inaugurare un periodo caldo per la viabilità nazionale. La sentenza in arrivo dal Consiglio di Stato potrebbe idealmente dare il via a un domino fra i tanti progetti autostradali sparsi per lo Stivale. Dal Veneto alla Sicilia si contano infatti nuove opere, completamenti di tratta e manutenzioni straordinarie incagliati fra ricorsi, burocrazia e altre grane. E i soldi in ballo sono tanti: le principali opere autostradali valgono infatti oltre 20 miliardi di euro. Una partita in cui sono coinvolti i big del settore (Autostrade per l’Italia, Consorzio Sis, Gavio e altri) e di cui fa parte anche l’Anas, che dalla prossima fusione con Ferrovie dello Stato dovrebbe ottenere un impulso importante da scaricare sui progetti viari. L’attesa di queste ore è tutta per la Roma-Latina su cui pende il ricorso al Consiglio di Stato. Un’opera da 2,7 miliardi di euro che oltre all’autostrada prevede una bretella fra Cisterna e Valmontone. I giudici si dovevano pronunciare lo scorso martedì 5 dicembre, ma si andrà ai supplementari.

Novità sono attese per le prossime settimane. Forse già entro fine anno. La partita iniziata nel lontano 2006 è ridotta a due contendenti: da un lato il Consorzio Sis, alleanza italo-spagnola che unisce Sacyr Construccìon, Sipal e Inc, che era usicsto vincitore dalla gara; dall’altro il gruppo guidato da Salini, che include i gruppi Astaldi, Pizzarotti e Ghella. È stato proprio il raggruppamento italiano a portare al Tar l’affidamento in concessione da parte di Autostrade del Lazio dell’opera al Consorzio Sis. Al centro delle contestazioni, non solo le divergenze sul piano economico (l’offerta era stata più bassa) ma anche su altri aspetti tecnici dell’opera . A marzo 2017 il Tribunale amministrativo ha tuttavia rigettato l’istanza della cordata italiana, che si è prontamente appellata al Consiglio di Stato. Il dossier finito nelle stanze di Palazzo Spada è uno di quelli che scotta perché sblocca uno dei progetti più importanti del panorama infrastrutturale: oltre 186 chilometri di viabilità, di cui circa 90 di assi autostradali, con un orizzonte temporale verosimile di costruzione pari a 4-5 anni. Un’opera attesa pure dai cittadini romani e laziali, soprattutto da quelli puntualmente imbottigliati nella sconquassata statale Pontina. Gli effetti sulla viabilità sarebbero notevoli: verrebbe alleggerito il flusso quotidiano sul Gra, diversificato il traffico estivo verso il litorale ma soprattutto razionalizzato il volume generato dall’aeroporto di Fiumicino. L’interconnessione con la Roma-Fiumicino toglierebbero infatti a passeggeri e merci diretti a Sud (buona parte della logistica va verso Pomezia) l’obbligo di transitare dal raccordo. Anche per questo motivo la Roma-Latina è un chiodo fisso dell’assessore alle Infrastrutture della Regione, Fabio Refrigeri. Un asse portante per i trasporti del Lazio cui si accompagna un altro progetto appena sbloccato dall’intervento del governo: il completamento della Civitavecchia-Orte, cioè della trasversale Tirreno-Adriatico. 

Allargando lo sguardo fuori dai confini laziali ci sono diverse altre grandi partite aperte. A partire dal Nord. Pochi giorni fa la Regione Lombardia è intervenuta per salvare l’Autostrada Pedemontana, su cui pesa un’istanza di fallimento avanzata nei mesi scorsi dalla procura di Milano. Il presidente Roberto Maroni si è speso in prima persona portando a casa una trasformazione del prestito ponte da 200 milioni di euro in un mutuo al 2034. Resta da vedere se basterà a convincere il Tribunale di Milano a non scrivere in anticipo la parola fine a un’opera imponente: 157 chilometri, di cui 87 di autostrada, con una deadline fissata al 2021 (circa 13 anni dall’approvazione definitiva del progetto) e un conto complessivo compreso tra i 4 e i 5 miliardi. Sempre a Nord c’è poi un’altra Pedemontana, quella veneta. Una superstrada a pedaggio da 94 chilometri, che costerà 2,2 miliardi di euro, su cui è al lavoro il Consorzio Sis e che è appena uscita dalle sabie mobili con un maxi-bond. Il primo tratto dovrebbe aprire a settembre 2019, mentre il governatore Luca Zaia ha promesso il massimo impegno per tagliare il nastro inaugurale nel 2020. 

Nel puzzle autostradale italiano non manca Autostrade per l’Italia. Il gruppo controllato da Atlantia, che oggi gestisce oltre 3mila chilometri di autostrade sparsi in 15 Regioni, ha previsto un impegno da quasi 6 miliardi per due maxi-cantieri da aprire nei prossimi anni. Quello più vicino alla luce è il Passante di Genova che, con i suoi 4,25 miliardi di costi e i 35 chilometri di tragitto, rappresenta il progetto più importante e complesso avviato in Liguria dopo il Terzo valico e il nodo ferroviario genovese. È in corso la progettazione esecutiva, qualcuno scommette su una partenza entro fine 2018. Più nebuloso lo scenario attorno al completamento dell’autostrada Tirrenica, unendo il tratto da Livorno a Civitavecchia (205 chilometri per 1,42 miliardi). Il progetto è in attesa dell’approvazione del piano finanziario e della stipula dell’atto aggiuntivo alla convenzione vigente. Domina l’incertezza, si vedrà. Allo studio di Autostrade per l’Italia ci sono anche altri progetti, che però non rientrano nel piano finanziario e sono quindi per ora senza impegno economico: nuove corsie in varie tratte per circa 157 chilometri di asfalto e una spesa stimabile di 2,8 miliardi.Tra i vari cantieri e progetti aperti spiccano ancora il completamento dell’autostrada Asti-Cuneo da parte del Gruppo Gavio, che è in attesa dell’autorizzazione Ue al finanziamento e spera di far partire i lavori nel 2018. E quello della Siracusa-Gela da parte del Consorzio Autostrade Sicilia controllato dalla Regione: stato dei lavori al 45% a inizio anno, circa 19 chilometri da Rosolini a Modica previsti entro il 2019 e il tratto finale da Modica a Gela (71 km) ancora in fase di progetto. E infine l’Anas, che in attesa delle nozze con FS sta portando avanti due progetti importanti. Il completamento della E78 Grosseto-Fano, tramite la realizzazione del tratto umbro (2019 per l’appalto dei lavori e fine prevista nel 2023), e un piano da 1,6 miliardi per la manutenzione straordinaria e la messa in sicurezza della E45-E55 Orte-Mestre. Sono solo le prime voci di un lungo elenco di tratte “sospese” che scontano la difficoltà di fare grandi opere in Italia. Si vedrà a breve se la Roma- Latina segnerà una svolta o resterà un episodio. 

Andrea Frollà Roma 

Fonte: qui

CHIUDE PER "RISTRUTTURAZIONE” IL SAN DOMENICO PALACE HOTEL DI TAORMINA CHE HA OSPITATO L’ULTIMO VERTICE


35 DIPENDENTI ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO FINISCONO IN MEZZO ALLA STRADA 

LA STRUTTURA, CHE HA OSPITATO DA MARLENE DIETRICH ALLA REGINA ELISABETTA, E' DI PROPRIETA' DELLA "TAORMINA HOTEL MANAGEMENT" DEL GRUPPO STATUTO

Michela Tamburrino per “la Stampa”

La prima foto, un po' impettita, è quella del Kaiser, nessun messaggio vergato a mano, Lui non ne aveva bisogno. La data è ben chiara, 1905. Si apre così l' album dei ricordi del San Domenico Palace Hotel di Taormina e si chiude, chissà per quanto, con le facce serie dei potenti della terra, per il primo G7 dell' era Trump.

HOTEL SAN DOMENICO TAORMINAHOTEL SAN DOMENICO TAORMINA
Era maggio 2017 e sullo sfondo si nota il parco di questo 5 stelle Lusso che s' affaccia su un panorama che è un gioiello. All' interno, suite da cinquemila euro a notte prenotate da sceicchi e oligarchi russi. Era nato come monastero dei frati domenicani e poi trasformato in rifugio, molto meno parco, di personalità ben spendenti. Simbolo dell' ospitalità siciliana mai minimalista, meta privilegiata dei re di Spagna e di Gran Bretagna, del Belgio e d' Olanda, di attrici come Audrey Hepburn, Marlene Dietrich, Susan Hayward.

È il San Domenico Palace Hotel di Taormina, un pezzo di storia che chiude i battenti per ristrutturazioni. Un anno, due anni, difficile prevedere tempi precisi, persino d' inizio lavori in attesa di permessi di là da venire. Ad aggiudicarsi la struttura all' asta di Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, era stata la Taormina Hotel Management del gruppo Statuto, già proprietario del Four Season di Milano e del Danieli di Venezia. Un acquisto strappato per soli 200.000 euro allo sceicco del Qatar: costo dell' operazione, 52,5 milioni di euro.

francesco bellavista caltagironeFRANCESCO BELLAVISTA CALTAGIRONE
Non passa un amen che il rappresentante legale della società annuncia la ristrutturazione: chiusura, licenziamenti e lavori. Dicono i proprietari: «Gli interventi sono obbligatori perché l' albergo va rimesso a norma. Approfittiamo di questa necessità per migliorarne il servizio. Riqualificazione, metratura delle stanze, cablaggi, svecchiature, tutto quello che fa di un 5 stelle Lusso un albergo d' esperienza indimenticabile, dunque competitivo. In modo arbitrario è stato detto che avremmo abbassato il profilo dell' hotel solo perchè abbiamo deciso di farne una struttura stagionale e non più aperta tutto l' anno. Anche il Cala di Volpe e il Quisisana sono alberghi stagionali e più amati nel mondo».
SAN DOMENICO PALACESAN DOMENICO PALACE

Un cambiamento epocale anche per i lavoratori della struttura, 35 assunti a tempo indeterminato che si sono visti recapitare la lettera d' addio come pacco dono natalizio. A loro nome parla Francesco Lucchesi, segretario generale Filcams Cgil di Messina: «L' azienda ha aperto una procedura di licenziamento collettivo e a fronte di una situazione tragica così improvvisa ha proposto di smistare i curricula dei dipendenti presso le aziende con le quali ha rapporti di lavoro.

<Loro scrivono che "per fronteggiare le conseguenze sociali derivanti dal piano dei licenziamenti, l' azienda si rende disponibile ad affidare a società specializzate nel ricollocamento dei lavoratori interessati, i loro curricula per un reimpiego degli stessi presso società che intrattengono rapporti commerciali con la società del San Domenico Palace Hotel". Ma è impossibile un' operazione del genere. Noi abbiamo figure professionali che vanno dallo chef due stelle Michelin allo staff amministrativo, gli economi, i magazzinieri, i giardinieri, i barman. Tutti di età comprese tra i 30 e i 55 anni.

Hotel San DomenicoHOTEL SAN DOMENICO
"E non parliamo dell' indotto. Un danno anche per l' immagine di Taormina che ha 160 strutture alberghiere, di queste solo 3 o 4 restano aperte tutto l' anno e tra queste c' era il San Domenico. Un abbandono generale e dire che ci aspettavamo tanto dal G7".

E voi che cosa chiederete al tavolo di contrattazione? «Diremo no ai licenziamenti e chiederemo una ristrutturazione graduale e fatta a blocchi per dare modo agli impiegati di continuare a lavorare, a turno, usufruendo della cassa integrazione a rotazione. Sacrifici, certo ma così non si perderebbero posti di lavoro. Altrimenti quando si riaprirà le professionalità saranno perse e la proprietà avrà agio di assumere solo con contratti a tempo determinato».

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The Biggest Bubble Ever, In Three Charts

Each quarter, Credit Bubble Bulletin’s Doug Noland posts a “flow of funds” report that analyzes the debt and securities markets data released by the Fed in its Z.1 Report. It’s always shocking to see the numbers we’re dealing with, but even more so lately as history’s biggest financial bubble starts to dwarf its predecessors.
Here’s some of the scarier data in chart form, with Noland’s commentary:
To the naked eye, percentage debt growth figures for the most part don’t appear alarming. But there’s several unusual factors to keep in mind. First, the outstanding stock of debt has grown so enormous that huge Credit expansions (such as Q3’s) don’t register as large percentage gains. Second, overall system debt growth continues to be restrained by historically low interest-rates and market yields. Debt simply is not being compounded as it would in a normal rate environment. And third, it’s a global Bubble and a large proportion of global Credit growth is occurring in China, Asia and the emerging markets. U.S. securities markets continue to be a big target of international flows.

With global Bubble Dynamics a dominant characteristic of this cycle, it’s appropriate to place Rest of World (ROW) data near the top of Flow of Funds analysis. ROW holdings of U.S. Financial Assets jumped $724 billion (nominal) during the quarter to a record $26.347 TN. This puts growth over the most recent three quarters at a staggering $2.124 TN (16% annualized). What part of these flows has been associated with ongoing rapid expansion of global central bank Credit? It’s worth recalling that ROW holdings ended 2007 at $14.705 TN and 1999 at $5.639 TN. As a percentage of GDP, ROW holdings of U.S. Financial Assets ended 1999 at 57%, 2007 at 100%, and Q3 2017 at a record 135%.



Meanwhile, the Fed’s Domestic Financial Sectors category expanded assets SAAR $2.841 TN during Q3 to a record $95.213 TN. In nominal dollars, the Financial Sector boosted assets a notable $5.085 TN over the past three quarters, almost 8% annualized growth. Notably, the sector’s holdings of Debt Securities surged a nominal $775 billion in three quarters to a record $25.425 TN. Pension Funds were a huge buyer of Treasuries during the quarter (SAAR $1.075 TN). Over the past three quarters, the Financial Sector boosted holdings of Corporate & Foreign Bonds by nominal $427 billion to $8.026 TN. More very big numbers.

One doesn’t have to look much beyond the booming Rest of World and Domestic Financial Sector to explain ongoing over-liquefied securities markets. The numbers confirm a historic financial Bubble.

Total Equities Securities jumped $1.229 TN during the quarter to a record $43.969 TN, with a one-year gain of $5.923 TN (16.4%). Equities jumped to a record 224% of GDP, compared to 181% at the end of Q3 2007 and 202% to end 1999. Debt Securities gained $171 billion during Q3 to a record $42.385 TN, with a one-year gain of $1.080 TN. At 217% of GDP, Debt Securities remain just below the record 223% recorded in 2013.


This puts Total (Debt & Equities) Securities up $1.400 TN during the quarter to a record $86.080 TN. Total Securities inflated $7.003 TN, or 9.1%, over the past year. Total Securities experienced cycle tops of $55.261 TN during Q3 2007 and $36.017 TN to end March 2000. Total Securities ended Q3 2017 at a record 441% of GDP. This outshines the previous cycle peaks of 379% for Q3 2007 and 359% at Q1 2000. One more way to look at post-crisis securities market inflation: Total Securities ended Q3 $30.819 TN, or 56%, higher than the previous cycle peak in Q3 2007.


There’s no doubt that financial sector leveraging and foreign flows (especially through the purchase of U.S. securities) continue to play an integral role in the U.S. Bubble. Inflating asset prices and resulting bubbling U.S. Household Net Worth are instrumental in fueling the overall U.S. Bubble Economy.

As we think ahead to 2018, the question becomes how vulnerable U.S. securities markets are to waning QE and reduced central bank Credit expansion. Inflating a Bubble creates vulnerability to any slowdown in underlying Credit and attendant financial flows. And it’s the final parabolic speculative blow-off that seals a Bubble’s fate. It ensures market dependency to unusually large and inevitably unsustainable flows. The Fed’s latest Z.1 report does a nice job of illuminating the historic scope of the U.S. securities Bubble. U.S. securities markets have been on the receiving end of extraordinary international flows, while inflating securities and asset prices have spurred rapid financial sector expansion.
Note that in the two “% of GDP” charts today’s numbers are compared to the previous two bubble peaks when things had gotten so far out of hand that the following year saw massive financial crises. So the fact that we’ve blown through those two previous records portends interesting times ahead.
To sum up Noland’s analysis, the US, along with the rest of the world, has entered full Ponzi, where credit has to continue to rise at unprecedented rates to keep the system from imploding. But the more credit we take on, the more fragile the system becomes. A sudden decline in equities or bonds, geopolitical tensions escalating, cryptocurrencies threatening fiat currencies, you name it, can crack the façade of normality that rising asset prices create.
Fonte: qui

PERICOLO SCONGIURATO: GLI ITALIANI NON RIMARRANNO AL FREDDO

RIPRISTINATO IL FLUSSO DI GAS DOPO L’INCIDENTE IN AUSTRIA 

ECCO DOVE COMPRIAMO I 62 MILIARDI DI METRI CUBI DI GAS SUI 70 CHE CONSUMIAMO OGNI ANNO 

IL "TAP", I FORNITORI, IL RUOLO DI PUTIN

1. RESTIAMO AL FREDDO PER COLPA DEI NO GLOBAL
Nicola Porro per il Giornale

L' incidente su una tratta secondaria della rete del gas austriaca avvenuto ieri, ha creato un gran pasticcio sul mercato dell' energia ieri in Europa, compresa l' Italia. I prezzi sono ovviamente saliti. Fino a quando non verrà rimesso in sesto il tubo, sul mercato resteranno tensioni. L' Italia ha una domanda di gas all' anno superiore ai 70 miliardi di metri cubi. Un'enormità. Siamo un Paese industrializzato, grazie al cielo, e le nostre case sono riscaldate a gas, per ridurre l' inquinamento.

BaumgartenBAUMGARTEN
Purtroppo nella nostra penisola se ne produce solo una frazione: 8 miliardi di metri cubi. La maggior parte dunque la dobbiamo importare. Circa trenta miliardi arrivano per gli snodi austriaci, targati Russia. Dipendiamo dal gas russo e questa non è una novità. Quando ci furono le tensioni geopolitiche con l' Ucraina, ne sentimmo le conseguenze anche sul nostro mercato.

Per questo un' ex azienda pubblica, la Snam, ha fatto un ottimo lavoro nel costruire siti di stoccaggio, che ci mettano al riparo da imprevisti. Oggi questi serbatoi hanno circa 12 miliardi di gas stoccati. Come si sarebbe detto un tempo: è la nostra riserva di guerra.

BaumgartenBAUMGARTEN
Ma restiamo fragili. Nonostante una rete impressionante di tubi (32mila chilometri) che innervano l' Italia, siamo troppo dipendenti da un nucleo ristretto di fornitori. Per questo ieri, a buona ragione, il ministro Calenda ha detto che il tubo di Lecce, il cosiddetto Tap, è strategico. Si tratta dell' ultima tratta di un gigantesco gasdotto da più di 800 chilometri che dovrebbe portare nel 2020 il gas dall' Azerbaigian all' Italia. Sono otto modesti chilometri, interrati, senza alcun impatto visivo e ambientale, contro i quali un nugolo di fanatici sta facendo un gran baccano. Il tubo leccese, come dimostra il caso avvenuto ieri, è strategico.

Non possiamo dipendere solo dai russi, dobbiamo avere più fornitori. I dieci miliardi di metri cubi che ci potrebbe garantire lo sbarco in Puglia, non solo ci mettono al riparo da un monofornitore, ma contribuirebbero a calmierare il mercato. Le nostre case, le nostre centrali (sempre meno a carbone e che ormai residualmente bruciano petrolio) e le nostre imprese sono affamate di gas e il Tap per loro è fondamentale.

La battaglia contro il Tap non è solo antistorica, basata su fake news, ma è soprattutto antieconomica e miope. Non sarà l' incidente austriaco a fare cambiare idea ai fanatici, ma speriamo che illumini quei politici locali (compreso il governatore Emiliano) perché dire di no sempre a tutto può generare qualche momentaneo applauso, ma nel lungo periodo è pericolosissimo. Il prezzo del «non fare» lo pagheranno le prossime generazioni, sulle pelle delle quali troppi politici oggi speculano.

2. SOTTO IL RICATTO DI PUTIN
Stefano Agnoli per il “Corriere della Sera”

ulivi meledugno tap pugliaULIVI MELEDUGNO TAP PUGLIA
Se tutto andrà come sembra, con la ripresa del flusso dal gasdotto austriaco annunciata per la mezzanotte di ieri, anche questa volta l' Italia l' avrà scampata. Ma l' esplosione a Baumgarten non fa che mettere in risalto l' antica debolezza del sistema energetico nazionale.

Dal quale dipendono i riscaldamenti delle abitazioni e l' attività delle industrie. Premessa necessaria: l' Italia è un Paese di storica dipendenza, visto che il 90% del suo fabbisogno viene dall' estero. E il gas gioca un ruolo fondamentale: copre il 35% dei consumi nazionali e con esso si produce il 42% dell' elettricità. Logico che ogni incertezza faccia scattare parecchia apprensione.

Come è accaduto ieri: nei Paesi dell' Unione Europea vale la cosiddetta «regola N-1», incorporata anche nel «Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale». Il che significa che se un' importante fonte di approvvigionamento si interrompe in modo imprevisto il ministero dello Sviluppo deve dichiarare lo stato di emergenza, saltando ovviamente a piè pari quelli di preallarme e di allarme. Ma è così rilevante il gasdotto che viene dalla Russia malgrado tutte le incertezze del passato (e quelle attuali inasprite dal regime di sanzioni dopo l' annessione della Crimea)?

ulivi in puglia la protesta dei no tap 6ULIVI IN PUGLIA LA PROTESTA DEI NO TAP 
Lo è, eccome: malgrado le crisi del 2006-07 e del 2009, quando il sistema nazionale è andato a un passo dal crac, l' import di gas dalla Russia negli ultimi anni è cresciuto. In un giorno lavorativo «normale» come lunedì scorso, il gas proveniente dai giacimenti siberiani della penisola di Yamal ha coperto poco meno della metà dell' import, circa 107 milioni di metri cubi sui 224 arrivati ai confini nazionali da altri quattro Paesi: Algeria, Libia, mare del Nord e Qatar (via nave sotto forma liquida fino al delta del Po).

Senza dimenticare poi l' apporto della produzione nazionale, peraltro sempre più vituperata: alla fine del secolo scorso (il suo momento d' oro) copriva quasi un terzo dei consumi italiani, ora è abbondantemente sotto il 10%. Se si vuole un panorama su base annua, nel 2016 dalla Russia è arrivato il 40% del gas bruciato in Italia. Dall' Algeria, in passato primo fornitore, è giunto il 27%, dall' Olanda meno del 10%. Ce la farebbe il nostro Paese a cavarsela anche senza il gas russo per un lungo periodo?

ulivi in puglia la protesta dei no tap 3ULIVI IN PUGLIA LA PROTESTA DEI NO TAP 
La risposta può venire dalla «Strategia energetica nazionale 2017» approvata proprio poche settimane fa. Lì si legge che «nel caso di una sospensione totale e prolungata delle importazioni dalla maggiore delle fonti di approvvigionamento (ad esempio blocco o incidente rilevante dei gasdotti che attraverso Ucraina, Slovacchia ed Austria portano il gas russo in Italia), è molto difficile ipotizzare di poter approvvigionare circa 27-30 miliardi di metri cubi da fonti di approvvigionamento diverse, anche accettando (come è subito avvenuto ieri, ndr) un sensibile innalzamento dei prezzi».

Difficile che le altre rotte del gas possano colmare un eventuale «buco» lasciato dalla Russia: in Libia la guerra civile tra le fazioni imperversa dal 2011; da Olanda e Norvegia non c' è da attendersi aumenti di produzione; con l' Algeria i rapporti non sono ottimali in vista di importanti scadenze contrattuali previste per il 2019; il Gnl adriatico lascia spazi di manovra limitati. Che altre soluzioni ha di fronte l' Italia?
NO TAPNO TAP

In attesa che la transizione verso le fonti rinnovabili sia in grado di sostituire il gas, che alternative ci sono? Intanto va considerato che il sistema italiano è quello che più in Europa può basarsi su ingenti riserve: gli «stoccaggi» (gas iniettato d' estate in vecchi giacimenti esauriti che servono da contenitori, pronti per essere chiamati in causa d' inverno) che proprio ieri sono entrati in funzione. Si tratta di 11,5 miliardi di metri cubi «commerciali» e di altri 4,5 miliardi «strategici», che ieri erano ancora pieni all' 80%.

GASDOTTI NABUCCO NORTH E SOUTH STREAMGASDOTTI NABUCCO NORTH E SOUTH STREAM

E poi c' è il tema delle nuove infrastrutture. Non solo quella in arrivo dall' Azerbaigian, il famigerato Tap. Ma anche le prospettive che vengono dal Mediterraneo orientale, con i ritrovamenti nelle acque tra Egitto, Cipro e Israele. Ultima annotazione: l' Europa, e la Germania, con il progetto del raddoppio del Nord Stream 2 (il gasdotto baltico) non ci aiutano molto. Se tutto il gas russo poi passasse di lì, per evitare l' Ucraina, l' Italia finirebbe per pagarlo di più. Ecco perché, paradossalmente, ci potrebbe servire il Turk Stream. Sempre gas russo, ma dal mar Nero. Effetti della geopolitica.

Fonte: qui