ECCO DOVE COMPRIAMO I 62 MILIARDI DI METRI CUBI DI GAS SUI 70 CHE CONSUMIAMO OGNI ANNO
IL "TAP", I FORNITORI, IL RUOLO DI PUTIN
1. RESTIAMO AL FREDDO PER COLPA DEI NO GLOBAL
Nicola Porro per il Giornale
L' incidente su una tratta secondaria della rete del gas austriaca avvenuto ieri, ha creato un gran pasticcio sul mercato dell' energia ieri in Europa, compresa l' Italia. I prezzi sono ovviamente saliti. Fino a quando non verrà rimesso in sesto il tubo, sul mercato resteranno tensioni. L' Italia ha una domanda di gas all' anno superiore ai 70 miliardi di metri cubi. Un'enormità. Siamo un Paese industrializzato, grazie al cielo, e le nostre case sono riscaldate a gas, per ridurre l' inquinamento.
Purtroppo nella nostra penisola se ne produce solo una frazione: 8 miliardi di metri cubi. La maggior parte dunque la dobbiamo importare. Circa trenta miliardi arrivano per gli snodi austriaci, targati Russia. Dipendiamo dal gas russo e questa non è una novità. Quando ci furono le tensioni geopolitiche con l' Ucraina, ne sentimmo le conseguenze anche sul nostro mercato.
Per questo un' ex azienda pubblica, la Snam, ha fatto un ottimo lavoro nel costruire siti di stoccaggio, che ci mettano al riparo da imprevisti. Oggi questi serbatoi hanno circa 12 miliardi di gas stoccati. Come si sarebbe detto un tempo: è la nostra riserva di guerra.
Ma restiamo fragili. Nonostante una rete impressionante di tubi (32mila chilometri) che innervano l' Italia, siamo troppo dipendenti da un nucleo ristretto di fornitori. Per questo ieri, a buona ragione, il ministro Calenda ha detto che il tubo di Lecce, il cosiddetto Tap, è strategico. Si tratta dell' ultima tratta di un gigantesco gasdotto da più di 800 chilometri che dovrebbe portare nel 2020 il gas dall' Azerbaigian all' Italia. Sono otto modesti chilometri, interrati, senza alcun impatto visivo e ambientale, contro i quali un nugolo di fanatici sta facendo un gran baccano. Il tubo leccese, come dimostra il caso avvenuto ieri, è strategico.
Non possiamo dipendere solo dai russi, dobbiamo avere più fornitori. I dieci miliardi di metri cubi che ci potrebbe garantire lo sbarco in Puglia, non solo ci mettono al riparo da un monofornitore, ma contribuirebbero a calmierare il mercato. Le nostre case, le nostre centrali (sempre meno a carbone e che ormai residualmente bruciano petrolio) e le nostre imprese sono affamate di gas e il Tap per loro è fondamentale.
La battaglia contro il Tap non è solo antistorica, basata su fake news, ma è soprattutto antieconomica e miope. Non sarà l' incidente austriaco a fare cambiare idea ai fanatici, ma speriamo che illumini quei politici locali (compreso il governatore Emiliano) perché dire di no sempre a tutto può generare qualche momentaneo applauso, ma nel lungo periodo è pericolosissimo. Il prezzo del «non fare» lo pagheranno le prossime generazioni, sulle pelle delle quali troppi politici oggi speculano.
2. SOTTO IL RICATTO DI PUTIN
Stefano Agnoli per il “Corriere della Sera”
Se tutto andrà come sembra, con la ripresa del flusso dal gasdotto austriaco annunciata per la mezzanotte di ieri, anche questa volta l' Italia l' avrà scampata. Ma l' esplosione a Baumgarten non fa che mettere in risalto l' antica debolezza del sistema energetico nazionale.
Dal quale dipendono i riscaldamenti delle abitazioni e l' attività delle industrie. Premessa necessaria: l' Italia è un Paese di storica dipendenza, visto che il 90% del suo fabbisogno viene dall' estero. E il gas gioca un ruolo fondamentale: copre il 35% dei consumi nazionali e con esso si produce il 42% dell' elettricità. Logico che ogni incertezza faccia scattare parecchia apprensione.
Come è accaduto ieri: nei Paesi dell' Unione Europea vale la cosiddetta «regola N-1», incorporata anche nel «Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale». Il che significa che se un' importante fonte di approvvigionamento si interrompe in modo imprevisto il ministero dello Sviluppo deve dichiarare lo stato di emergenza, saltando ovviamente a piè pari quelli di preallarme e di allarme. Ma è così rilevante il gasdotto che viene dalla Russia malgrado tutte le incertezze del passato (e quelle attuali inasprite dal regime di sanzioni dopo l' annessione della Crimea)?
Lo è, eccome: malgrado le crisi del 2006-07 e del 2009, quando il sistema nazionale è andato a un passo dal crac, l' import di gas dalla Russia negli ultimi anni è cresciuto. In un giorno lavorativo «normale» come lunedì scorso, il gas proveniente dai giacimenti siberiani della penisola di Yamal ha coperto poco meno della metà dell' import, circa 107 milioni di metri cubi sui 224 arrivati ai confini nazionali da altri quattro Paesi: Algeria, Libia, mare del Nord e Qatar (via nave sotto forma liquida fino al delta del Po).
Senza dimenticare poi l' apporto della produzione nazionale, peraltro sempre più vituperata: alla fine del secolo scorso (il suo momento d' oro) copriva quasi un terzo dei consumi italiani, ora è abbondantemente sotto il 10%. Se si vuole un panorama su base annua, nel 2016 dalla Russia è arrivato il 40% del gas bruciato in Italia. Dall' Algeria, in passato primo fornitore, è giunto il 27%, dall' Olanda meno del 10%. Ce la farebbe il nostro Paese a cavarsela anche senza il gas russo per un lungo periodo?
La risposta può venire dalla «Strategia energetica nazionale 2017» approvata proprio poche settimane fa. Lì si legge che «nel caso di una sospensione totale e prolungata delle importazioni dalla maggiore delle fonti di approvvigionamento (ad esempio blocco o incidente rilevante dei gasdotti che attraverso Ucraina, Slovacchia ed Austria portano il gas russo in Italia), è molto difficile ipotizzare di poter approvvigionare circa 27-30 miliardi di metri cubi da fonti di approvvigionamento diverse, anche accettando (come è subito avvenuto ieri, ndr) un sensibile innalzamento dei prezzi».
Difficile che le altre rotte del gas possano colmare un eventuale «buco» lasciato dalla Russia: in Libia la guerra civile tra le fazioni imperversa dal 2011; da Olanda e Norvegia non c' è da attendersi aumenti di produzione; con l' Algeria i rapporti non sono ottimali in vista di importanti scadenze contrattuali previste per il 2019; il Gnl adriatico lascia spazi di manovra limitati. Che altre soluzioni ha di fronte l' Italia?
In attesa che la transizione verso le fonti rinnovabili sia in grado di sostituire il gas, che alternative ci sono? Intanto va considerato che il sistema italiano è quello che più in Europa può basarsi su ingenti riserve: gli «stoccaggi» (gas iniettato d' estate in vecchi giacimenti esauriti che servono da contenitori, pronti per essere chiamati in causa d' inverno) che proprio ieri sono entrati in funzione. Si tratta di 11,5 miliardi di metri cubi «commerciali» e di altri 4,5 miliardi «strategici», che ieri erano ancora pieni all' 80%.
E poi c' è il tema delle nuove infrastrutture. Non solo quella in arrivo dall' Azerbaigian, il famigerato Tap. Ma anche le prospettive che vengono dal Mediterraneo orientale, con i ritrovamenti nelle acque tra Egitto, Cipro e Israele. Ultima annotazione: l' Europa, e la Germania, con il progetto del raddoppio del Nord Stream 2 (il gasdotto baltico) non ci aiutano molto. Se tutto il gas russo poi passasse di lì, per evitare l' Ucraina, l' Italia finirebbe per pagarlo di più. Ecco perché, paradossalmente, ci potrebbe servire il Turk Stream. Sempre gas russo, ma dal mar Nero. Effetti della geopolitica.
Fonte: qui
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