LA CINA GUARDA CON SOSPETTO ALLE APERTURE DI TRUMP VERSO TAIWAN E ALLE MINACCE DI DAZI SULL’EXPORT DI PECHINO
KISSINGER VUOLE PESARE LA SUA AUTOREVOLEZZA PER EVITARE UNA GUERRA COMMERCIALE TRA USA E CINA
Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera”
Sarà un caso, ma mentre Donald Trump parlava con la collega taiwanese sfidando la Cina, nella Grande Sala del Popolo di Pechino, seduto accanto a Xi Jinping c' era Henry Kissinger, l' uomo che con la sua diplomazia segreta portò all' incontro del 1972 tra Richard Nixon e Mao Zedong. «Dottor Kissinger, la sua visita è oltremodo tempestiva, siamo ansiosi di ascoltare il suo punto di vista sul futuro delle relazioni sino-americane», gli ha detto Xi.
Ed è interessante ricordare che il primo messaggio ufficiale spedito da Mao alla Casa Bianca, nel 1971, riguardava proprio il modo di ridurre la tensione per Taiwan, l'isola che per Pechino è solo «una provincia» da riassorbire.
Henry Kissinger, che tra visite segrete e ufficiali è stato in Cina almeno 80 volte, ha detto di non essere venuto come portavoce di Trump, ma prima di partire lo ha incontrato e questa è la sua impressione spiegata alla Cnn: «Questo presidente eletto è unico nella mia esperienza, perché non ha assolutamente un bagaglio di obblighi verso alcun gruppo particolare, è diventato presidente sulla base della sua strategia, con un programma che ha messo davanti agli americani e che i suoi concorrenti non avevano».
Trump ha minacciato dazi fino al 45% sull'export cinese e di dichiarare Pechino «manipolatrice della valuta». Il consiglio di Kissinger, riguardo alle minacce di guerra commerciale, è di «non cercare di inchiodare Trump a posizioni che ha tenuto in campagna elettorale su cui non insisterà da presidente... se invece insisterà bisognerà tenerne conto». Ora c' è il caso Taiwan e a Pechino sono nervosi.
Storia diplomatica e presente si intrecciano quando si tratta di Kissinger, che a 93 anni è il più profondo conoscitore americano della mentalità politica cinese. La sua prima visita a Pechino, il 9 luglio 1971, fu organizzata come un' azione di intelligence: il superconsigliere della Casa Bianca era partito di notte da un aeroporto militare in Pakistan, dopo aver sparso la voce di essersi sentito poco bene.
Non aveva portato bagaglio, nemmeno una camicia di ricambio per la sua missione cinese e durante il volo, per scaricare la tensione, un collaboratore gli disse: «Henry, non ti sei ancora seduto al tavolo con i cinesi e sei già senza camicia». Raccontano che un assistente gli diede una delle sue, fuori misura, tanto da «farlo sembrare un pinguino». E sul colletto c' era l'etichetta Made in Taiwan. Un altro segno del destino.
Accogliendolo, il carismatico Zhou Enlai, primo ministro di Mao Zedong, gli disse: «Dottor Kissinger, c'è una notizia speciale che la riguarda: sembra che lei sia disperso in Pakistan». Kissinger e Zhou si intesero bene e l'anno dopo Richard Nixon varcò la soglia della Città Proibita, cambiando il corso della storia. Fu il trionfo della «diplomazia triangolare» di Kissinger, che sfruttò la rivalità tra Cina comunista e Unione Sovietica per inserire il cuneo americano.
Da allora Kissinger ha incontrato tutti i leader che si sono succeduti a Pechino. È definito «un vecchio amico del popolo cinese» in segno di enorme rispetto. Un grande navigatore della geopolitica al quale chiedere lumi ora che si agita lo spettro della «Trappola di Tucidide».
Si tratta della teoria che ritiene quasi inevitabile un conflitto tra la potenza emergente e quella regnante, come successe ai tempi di Sparta e Atene. I cinesi sembrano i più preoccupati dal rischio, tanto da aver invitato Kissinger già la scorsa primavera a un seminario a Pechino dal titolo «Evitare la Trappola di Tucidide» (al quale il Corriere della Sera ha potuto assistere).
Allora Kissinger aveva sostenuto che «bisogna spostare il dibattito, non centrarlo su quale conflitto si potrà presentare, ma su come e dove collaborare» e aveva rivelato di aver fatto lo stesso ragionamento a Nixon. Kissinger ha appena dato un' intervista all' Atlantic dove aggiunge una visione pessimista: «I conflitti possono scoppiare, da una parte a causa di un graduale aumento della tensione e dall' altra perché gli Stati moderni si sono abituati alla norma che alla fine una soluzione si troverà sempre». Ma basta che una circostanza sfavorevole si verifichi e la guerra scoppia, dice Kissinger riandando alla Prima guerra mondiale.
Trump ha ancora un mese abbondante per mandare segnali chiari e rassicuranti alla Cina.
Poi potrebbe trovarsi a dover fronteggiare una sfida, per Taiwan, nel Mar cinese meridionale o sul fronte commerciale. Basterebbe una dichiarazione minacciosa su Taiwan da parte di Pechino (che tiene un migliaio di missili puntati verso l' isola) e le Borse mondiali affonderebbero. L' imprevedibile Trump ha scelto di rompere un tabù parlando con la leader di Taiwan; forse ha pensato di scoprire il bluff cinese.
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