9 dicembre forconi: 08/29/16

lunedì 29 agosto 2016

Il "bivio" che avvicina la resa dei conti

È sempre più netta in Italia la differenza tra chi parla e chi fa. 


Fatto reso ancor più evidente dalla tragedia del terremoto, nella quale l'Ue si dimostra inutile


Dunque, giovedì sera a Porta a porta, si celebrava il terremoto come motore per il Pil. Non mi stupisce, le logiche romane sono quelle. Ovvio, certe cose occorre dissimularle, quindi si faceva riferimento alla necessità di ottimismo, alla voglia di fare: ma di chi? In un Paese normale, il Parlamento sarebbe stato riaperto, i 41 giorni di ferie di deputati e senatori fatti finire in anticipo e si sarebbe fatto il punto della situazione, attivando le Commissioni competenti. 

Qui no, qui si va a dire idiozie in tv. 

O a farsi i selfie con le macerie come sfondo. 

Dicono che le disgrazie fanno uscire allo scoperto l'Italia migliore, a me pare che le disgrazie servano solo a fiaccare ancora di più lo spirito della brava gente che abita in stragrande maggioranza questo Paese, ma che è governata, da anni ormai, da incapaci assoluti. E in malafede. 

Basta guardare le dirette dai luoghi del terremoto: per un intero giorno ci hanno trapanato il cervello con il fatto che 20 migranti ospitati ad Ascoli avevano voluto unirsi ai soccorritori(video peraltro costruito ad arte!), spacciandoci questo nulla come vittoria dell'integrazione. Venti persone: quanti sono i clandestini ospitati a nostre spese nel solo Centro Italia? Penso un pochino più di 20, soltanto al vecchio centro Baobab di Roma si parla di centinaia. Sono andati volontari in 20, oltretutto perfettamente a favore di telecamera e uno di loro stava diligentemente spostando erbacce con un rastrello. Ci avete preso tutti per imbecilli, per caso? 

Matteo Renzi ha fatto la sua bella comparsata di 20 minuti e poi arrivederci e grazie, un bel selfie con i vigili del fuoco e passa la paura. In compenso, ha stanziato 50 milioni per i primi interventi: 50 milioni, mentre il suo aereo di Stato ne è costai 175. Ma va bene così, l'Italia ormai è questo, un Paese stanco e moribondo retto da inetti. 

C'è però un problema: la gente non è stupida e basta andare al bar a bere il caffè o al supermarket a fare la spesa per rendersene conto. Le parole sono sempre meno misurate, i concetti sempre più duri, la rabbia sempre più palpabile: ho la netta impressione che il punto di non ritorno stia avvicinandosi a tappe forzate. 


Alcune formazioni di estrema destra, su tutte Casapound e LealtàAzione, hanno immediatamente dato vita a raccolte di generi alimentari e abbigliamento per i terremotati: fino a un paio d'anni fa, avrebbero avuto successo, ma ci sarebbero voluti giorni prima di far partire il primo camion. Oggi sono già alla decima spedizione di generi di conforto, partono nel cuore della notte e arrivano all'alba, stracarichi di ogni bene necessario. La gente compra e porta ai punti di raccolta, fregandosene se sono "fascisti": sanno che sono gli unici a mettere le mani nel fango, sanno che sono gli unici a fare qualcosa di concreto, sanno che sono gli unici ancora così stupidi da non farci la cresta. 

Sta cadendo anche il discrime ideologico, stanno crollando i pregiudizi, stanno liquefacendosi tutte le barriere: il discrimine è tra chi fa e chi parla. 


Dove sono i No Borders? Dove sono i centri sociali? Dove sono i No Tav? Aiutare connazionali che hanno perso tutto non è abbastanza esotico, forse? Questo terremoto, per la politica, è una manna: come farà l'Europa a non garantirci maggiore flessibilità, di fronte a quasi 300 morti e tre paesi rasi al suolo? E non datemi del cinico, perché questo è lo stesso Paese che ha sentito le intercettazioni di chi festeggiava al telefono per il terremoto de L'Aquila e per il business della ricostruzione, la verginità l'abbiamo persa da tempo. 

C'è poco da fare, la realtà è testarda e viene sempre a chiedere il conto, prima o poi: il Paese è a un punto di svolta, la ricreazione è finita, la gente è esasperata. E non capirlo, non vederlo, è quanto di più pericoloso possa compiere un politico: lentamente, lo scollamento tra popolo e suoi rappresentanti sta toccando vertici mai toccati. Non servono politologi dai titoli accademici roboanti per rendersi conto che il supporto al Movimento 5 Stelle è frutto solo di questo, dell'esasperazione: finora, la rabbia e la delusione si sono incanalati in percorsi democratici, nel voto di protesta, ma ci vuole davvero poco per arrivare ad altro. Non si può massacrare una nazione per mera volontà di potere, non si può rendere la vita di chi lavora sempre più dura soltanto perché ce lo chiede l'Europa: quale Europa? 

Ha detto nulla l'Europa sul terremoto? 

Ci ha messo cinque ore prima di alzare il telefono, Putin ci ha messo 5 minuti. 

Scrivo queste parole per il semplice fatto che sono certo che, stante la situazione economica del Paese, quest'anno dovremo fare i conti con le clausole di salvaguardia, quindi con un ulteriore aumento di accise e tasse: se non mandiamo Bruxelles a quel paese, l'Italia muore. E qui non serve fare discorsi su euro o non euro, la questione è che gli interessi dell'Ue non sono i nostri: punto. 


E per evitare che demagoghi da quattro soldi tipo Salvini (a proposito, non vedo pletore di camicie verdi ad aiutare negli scavi, né tantomeno il nostro eroe sui luoghi della disgrazia a portare conforto) capitalizzino da questa situazione, occorre avere il coraggio di reagire anche in maniera drastica: ma non accadrà, perché quel Forza Renzi sulla prima pagina de Il Giornale tre giorni fa, ci fa capire che questo dramma sarà il balsamo per rivitalizzare l'inciucio del Nazareno. Si andrà avanti a geometrie variabili, un Verdini di qua, un Verdini di là e il governo in qualche modo sta in piedi, soprattutto ora che Berlusconi ha bisogno della sponda dell'esecutivo dopo la fregatura rifilata a Mediaset da Vivendi. Il bene del popolo? Zero, chissenefrega. 

Vi faccio un esempio. Mentre il Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) raccomanda di osservare un minuto di silenzio negli stadi per commemorare le vittime del sisma, gli ultras di tutte le squadre d'Italia si sono mobilitati per raccogliere beni di conforto e portarli nei luoghi del dramma: la differenza tra palazzi del potere e Paese reale è questa, c'è chi parla e c'è chi fa. Ma a SkyTg24 o su RaiNews non lo dicono, perché gli ultras vanno bene solo quando succede qualcosa di brutto allo stadio, la priorità attuale è quella dei 20 migranti in gita ad Amatrice a far finta di dare una mano. Lo so che sono parole dure le mie, ma guardatevi attorno e ditemi se riconoscete il Paese in cui vivete, se avete almeno 40 anni: siamo sull'orlo di un precipizio valoriale e morale prima ancora che economico, siamo in un limbo di indifferenza mista a opportunismo che rappresenta il cocktail peggiore che un popolo possa bere. 

Come vedete, non ho nemmeno sfiorato la polemica sui terremotati in tenda e clandestini in hotel, per il semplice fatto che è un non-sense: ormai sono qui, il problema era avere un governo serio che i soldi li usasse per respingimenti ed espulsioni e non per far mangiare cooperative amiche, visto che l'80% abbondante di chi è qui a lamentarsi per il wi-fi lento non scappa da nessuna guerra e quindi va rispedito a casa sua. 

La corda sta per spezzarsi, tutti avvisati. 

Dopo non lamentiamoci delle derive populiste o dell'estremizzazione dello scontro, perché quando si poteva intervenire si è preferito voltarsi dall'altra parte, certi che l'elemosina degli 80 euro sarebbe stata sufficiente a rabbonire la gente. La sciarada è finita e quando a ottobre i primi nodi verranno al pettine, non basteranno tutti i selfie del mondo per evitare il redde rationem


MAURO BOTTARELLI
Fonte: qui

BRZEZINSKI RINUNCIA ALL’IMPERO AMERICANO

Counterpunch commenta un recente articolo di Zbigniew Brzezinski, noto politologo e geostratega americano, consigliere sotto diverse amministrazioni, famoso per aver teorizzato nel 1997 la strategia (successivamente adottata) per consolidare la supremazia “imperiale” degli USA nella prima metà del XXI secolo – strategia di cui la Clinton è una delle principali promotrici.

In questo articolo, Brzezinski fa un’inversione a U: gli USA non sono più una superpotenza, sostiene, si sta formando una vasta coalizione anti-americana e perseguire il progetto originale nelle mutate condizioni potrebbe portare caos e guerra in tutto il globo. Meglio collaborare con Russia e Cina e cercare di preservare la leadership americana.

Una svolta letteralmente storica nell’indirizzo geostrategico di una parte dell’establishment americano, che prospetticamente lascia Hillary Clinton sola ad inseguire un progetto imperiale sconfessato dal suo stesso ideatore.

di Mike Whitney, 25 agosto 2016

L’architetto principale del piano di Washington per governare il mondo ha abbandonato il progetto e ha richiesto la creazione di legami con la Russia e la Cina.

Anche se l’articolo di Zbigniew Brzezinski su The American Interest dal titolo “Towards a Global Realignment” [“Verso un riallineamento globale”, ndT] è stato ampiamente ignorato dai media, esso dimostra che membri potenti dell’establishment decisionale non credono più che Washington prevarrà nel suo tentativo di estendere l’egemonia degli Stati Uniti in tutto il Medio Oriente e in Asia. Brzezinski, che è stato il principale fautore di questa idea e che ha redatto il progetto per l’espansione imperiale nel suo libro del 1997 “La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici“, ha fatto dietro-front e ha richiesto una incredibile revisione strategica. Ecco un estratto dal l’articolo del AI:

“Mentre finisce la loro epoca di dominio globale, gli Stati Uniti devono prendere l’iniziativa per riallineare l’architettura del potere globale.

Cinque verità fondamentali per quanto riguarda l’emergente ridistribuzione del potere globale e il violento risveglio politico in Medio Oriente stanno segnalando l’arrivo di un nuovo riallineamento globale.

La prima di queste verità è che gli Stati Uniti sono ancora l’entità politicamente, economicamente e militarmente più potente del mondo, ma, dati i complessi cambiamenti geopolitici negli equilibri regionali, non sono più la potenza imperiale globale.” (Towards a Global Realignment, Zbigniew Brzezinski, The American Interest)

Ripetete: gli Stati Uniti “non sono più la potenza imperiale globale”.

Confrontate questo giudizio con quello che Brzezinski ha dato anni prima, ne La Grande Scacchiera, quando affermava che gli Stati Uniti erano “il massimo potere a livello mondiale.”

“… L’ultimo decennio del ventesimo secolo è stato testimone di uno spostamento tettonico nelle relazioni internazionali. Per la prima volta in assoluto, una potenza non eurasiatica è emersa non solo come giudice chiave delle relazioni di potere eurasiatiche, ma anche come il massimo potere a livello mondiale. La sconfitta e il crollo dell’Unione Sovietica sono state il passo finale nella rapida ascesa di una potenza dell’emisfero occidentale, gli Stati Uniti, come l’unica e, in effetti, la prima potenza veramente globale” (“La Grande Scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici”, Zbigniew Brzezinski, Il Saggiatore, 1997, p. xiii)

Qui altro ancora dall’articolo del AI:

“Il fatto è che non c’è mai stata una vera e propria potenza “dominante” globale fino alla comparsa dell’America sulla scena mondiale… La nuova, determinante realtà globale è stata la comparsa sulla scena mondiale dell’America come giocatore allo stesso tempo più ricco e militarmente più potente. Durante l’ultima parte del 20° secolo nessuna altra potenza gli si è nemmeno avvicinata. Quell’epoca sta ormai per finire.” (AI)

Ma perché “quell’epoca sta ormai per finire”?

Che cosa è cambiato dal 1997, quando Brzezinski si riferiva agli Stati Uniti come il “massimo potere a livello mondiale”?

Brzezinski indica l’ascesa della Russia e della Cina, la debolezza dell’Europa e il “violento risveglio politico tra i musulmani post-coloniali”, come le cause approssimative di questa improvvisa inversione. I suoi commenti sull’Islam sono particolarmente istruttivi in quanto egli fornisce una spiegazione razionale per il terrorismo, invece dell’aria fritta governativa sull'”odiare le nostre libertà”. A suo merito, Brzezinski vede lo scoppio del terrore come lo “sgorgare di lamentele storiche” (da un “senso di ingiustizia profondamente sentito”), non come la violenza cieca di psicopatici fanatici.

Naturalmente, in un breve articolo di 1.500 parole, Brzezniski non può coprire tutte le sfide (o minacce) che gli Stati Uniti potrebbero affrontare in futuro.
Ma è chiaro che quello che più lo preoccupa è il rafforzamento dei legami economici, politici e militari tra la Russia, la Cina, l’Iran, la Turchia e gli altri Stati dell’Asia centrale. Questa è la sua principale area di preoccupazione; infatti, ha anche anticipato questo problema nel 1997, quando scrisse La Grande Scacchiera. Ecco cosa disse:

“D’ora in poi, gli Stati Uniti potrebbero dover stabilire come far fronte a coalizioni regionali che cercano di spingere l’America fuori dall’Eurasia, minacciando in tal modo lo status degli Stati Uniti come potenza mondiale” (P.55)

“… Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi, i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale sono di prevenire la collusione e mantenere la dipendenza sulla difesa tra i vassalli, tenere i tributari docili e protetti, e impedire che i barbari si uniscano”(p.40)

“… prevenire la collusione… tra i vassalli”. Questo dice tutto, non è vero?

La politica estera sconsiderata dell’amministrazione Obama, in particolare il rovesciamento dei governi in Libia e in Ucraina, ha notevolmente accelerato la velocità con cui si sono formate queste coalizioni anti-americane.

In altre parole, i nemici di Washington sono apparsi in risposta al comportamento di Washington. Obama può biasimare solo se stesso.

Il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha risposto alla crescente minaccia di instabilità regionale e al posizionamento delle forze NATO ai confini della Russia, rafforzando le alleanze con i paesi perimetrali della Russia e in tutto il Medio Oriente. Allo stesso tempo, Putin e i suoi colleghi dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) hanno istituito un sistema bancario alternativo (BRICS Bank e AIIB) che finirà per sfidare il sistema dominato dal dollaro, che è la fonte del potere globale degli Stati Uniti.

È per questo che Brzezinski ha fatto una rapida svolta a U e ha abbandonato il piano egemonico degli Stati Uniti; è perché egli è preoccupato per i pericoli di un sistema non basato sul dollaro che sta nascendo tra i paesi emergenti e i non allineati, che dovrebbe sostituire l’oligopolio della Banca Centrale occidentale.

Se ciò accadrà, allora gli Stati Uniti perderanno la loro morsa sull’economia globale e il sistema di estorsione nel quale biglietti verdi buoni per incartare il pesce vengono scambiati per beni e servizi di valore sarà giunto al termine.

Purtroppo, è improbabile che l’approccio più cauto di Brzezinski sarà seguito dal candidato presidenziale favorito Hillary Clinton, che è una convinta sostenitrice dell’espansione imperiale attraverso la forza delle armi.

E’ stata la Clinton che per prima ha introdotto la parola “pivot” [perno, ndT] nel lessico strategico in un discorso che ha tenuto nel 2010 dal titolo “America’s Pacific Century” [Il secolo pacifico dell’America, ndT]. Ecco un estratto dal discorso che è apparso sulla rivista Foreign Policy:

“Mentre la guerra in Iraq si esaurisce e l’America comincia a ritirare le sue forze dall’Afghanistan, gli Stati Uniti si trovano ad un punto di svolta. Negli ultimi 10 anni, abbiamo stanziato risorse immense in questi due teatri.

Nei prossimi 10 anni, dobbiamo essere intelligenti e sistematici su dove investiremo tempo ed energia, in modo da metterci nella posizione migliore per sostenere la nostra leadership, garantire i nostri interessi, e far avanzare i nostri valori. Uno dei compiti più importanti della politica americana nel prossimo decennio sarà quello di tenere al sicuro gli investimenti – diplomatici, economici, strategici, e di altro tipo – sostanzialmente aumentati nella regione Asia-Pacifico …

Sfruttare la crescita e il dinamismo dell’Asia è centrale per gli interessi economici e strategici americani ed è una delle principali priorità per il presidente Obama. L’apertura dei mercati in Asia fornisce agli Stati Uniti opportunità senza precedenti per gli investimenti, il commercio, e l’accesso alla tecnologia d’avanguardia… le aziende americane (devono) sfruttare la vasta e crescente base di consumatori dell’Asia…

La regione genera già oltre la metà della produzione mondiale e quasi la metà del commercio mondiale. Mentre ci sforziamo di soddisfare l’obiettivo del presidente Obama di raddoppiare le esportazioni entro il 2015, siamo alla ricerca di opportunità per fare ancora più affari in Asia … e delle nostre opportunità di investimento nei dinamici mercati dell’Asia. ”

(“America’s Pacific Century”, il segretario di Stato Hillary Clinton, Foreign Policy Magazine, 2011)
Confrontate il discorso della Clinton coi commenti fatti da Brzezinski ne “La Grande Scacchiera” 14 anni prima:

“Per l’America, il premio geopolitico principale è l’Eurasia … (p.30) … l’Eurasia è il più grande continente del globo ed è l’asse geopolitico. Una potenza che domini l’Eurasia controllerebbe due delle tre regioni più avanzate ed economicamente produttive del mondo. … 

Circa il 75 per cento della popolazione mondiale vive nell’Eurasia, e la maggior parte della ricchezza fisica del mondo sta lì, sia nelle sue imprese che sotto il suolo. L’Eurasia conta per il 60 per cento del PIL mondiale e circa tre quarti delle risorse energetiche conosciute al mondo”. (p.31)

Gli obiettivi strategici sono identici, l’unica differenza è che Brzezinski ha fatto una correzione di rotta sulla base di circostanze mutevoli e della crescente resistenza al bullismo, al dominio e alle sanzioni statunitensi. Non abbiamo ancora raggiunto il punto di svolta per il primato degli Stati Uniti, ma quel giorno si sta avvicinando velocemente e Brzezinski lo sa.

Al contrario, la Clinton è ancora completamente impegnata ad ampliare l’egemonia degli Stati Uniti in tutta l’Asia. Non capisce i rischi che ciò comporta per il paese o per il mondo. E’ intenzionata a continuare con gli interventi fino a quando il titano combattente Stati Uniti si immobilizzerà di colpo, cosa che, a giudicare dalla sua retorica iperbolica, accadrà probabilmente dopo un po’ di tempo durante il suo primo mandato.

Brzezinski presenta un piano razionale ma opportunista per fare marcia indietro, ridurre al minimo i conflitti futuri, evitare una conflagrazione nucleare e mantenere l’ordine globale (cioè il “sistema del dollaro”).

Ma la sanguinaria Hillary seguirà il suo consiglio?
Fonte: qui

LA CAMPANA TEDESCA SUONA A MORTO

I consiglieri economici della Merkel, cosiddetti "i Cinque saggi", capeggiati da Lars Feld [nella foto],  se ne sono usciti con una proposta sulla ristrutturazione del debito pubblico italiano che ricalca il meccanismo del bail-in bancario. 

Ai piani alti del Palazzo tedesco, dando per scontato che il Fiscal compact non funzioni si pensa oramai al dopo Eu e al dopo euro. 

La strategia è semplice: "si salvi chi può". Un messaggio anche per Draghi e la Bce:  "quando la finiamo con il Quantitative easing?".


Ai tedeschi piace l'euro, almeno fino a quando continuerà a dargli i ben noti vantaggi che sappiamo. Ancor di più, ai tedeschi piacciono gli euri. Quelli che gelosamente custodiscono nelle loro casseforti, e che non intendono proprio scucire. Neppure se ciò dovesse servire a salvare l'euro, inteso questa volta come moneta unica dei 19 paesi dell'eurozona.

Ho l'impressione che vista da Berlino questa contraddizione tra euro ed euri cominci ad esser cosa seria assai. L'ultima notizia che ci giunge da quelle parti ce ne dà una conferma piuttosto lampante. Come riferisce Federico Fubini sul Corsera, il Consiglio tedesco degli esperti economici ha già in canna un colpo assai pesante per affondare le economie del Sud Europa, quella italiana in primo luogo.

Attenzione, perché il suddetto "Consiglio" non è un Think tank come tanti. No, questo organismo è composto da cinque economisti nominati direttamente dal governo di Berlino. I cinque non sono lì solo per "pensare", ma soprattutto per proporre. E le loro proposte dettano spesso le linee guida dell'azione di Schauble e Merkel.

In ogni caso l'ultima propostina è stata varata, ed ha un titolo abbastanza ghiotto: «Un meccanismo per regolare la ristrutturazione dei debiti sovrani». Ora, tra i nostri lettori nessuno sarà così ingenuo da pensare che questi rispettabili signori si occupino del debito di casa loro. 
In tutta evidenza la proposta ha per oggetto i debiti degli altri paesi dell'eurozona, quelli della sponda sud in maniera specifica. 

D'altronde in Europa c'è chi, come il governo italiano, deve chiedere il permesso anche per andare in bagno a casa propria, e chi può invece decidere sul destino di interi popoli riunendosi comodamente tra vecchi amici a Berlino. Il documento reca in calce la firma di Lars Feld, un tipo di cui ci siamo già occupati qui.

La proposta è molto semplice: abbiamo messo in campo il bail in bancario? 


Bene, adesso è il momento di passare al bail in sui titoli di Stato. 


Tutti sanno ormai che il bail in bancario prevede che uno Stato possa salvare una banca solo dopo che a tale salvataggio abbiano partecipato gli azionisti, gli obbligazionisti ed i correntisti sopra i centomila euro. Tralasciando qui per brevità i dettagli tecnici, l'importante è capire il principio ispiratore, quello secondo cui i creditori debbono pagare la loro parte per risanare una banca. 

Un principio in apparenza accettabile, se non fosse che tra i cosiddetti "investitori" vi sono spesso risparmiatori sostanzialmente ignari del meccanismo infernale in cui hanno collocato i loro averi. E se non fosse che grazie a tale meccanismo si tende a mandare in rovina il sistema bancario di alcuni paesi, anche per poterci poi mettere le mani sopra con qualche spicciolo.


Lo stesso giochino Lars Feld e soci lo vogliono ripetere con i debiti pubblici. In questo caso è in ballo il ruolo dell'Esm (European Stability Mechanism), il cosiddetto "fondo salvataggi europeo". In questo fondo i tedeschi hanno ovviamente la quota principale, e l'obiettivo della loro iniziativa è proprio quello di evitare ogni forma —fosse pure la più modesta— di condivisione del debito. 

La proposta dei Cinque è infatti netta: prima dell'intervento dell'Esm, gli Stati debbono ristrutturare il debito, sospendendo come prima misura i rimborsi dei titoli di Stato quando un governo dovesse chiedere aiuto al fondo europeo.


Ora, che prima o poi si renda necessaria una ristrutturazione del debito in paesi come l'Italia è cosa fin troppo ovvia. Ma che le regole di questo intervento vengano decise a Berlino sembrerebbe davvero troppo. Eppure la pretesa è proprio questa. 

Quali sarebbero le conseguenze per l'Italia, ma non solo, se la Germania (come di solito avviene) riuscisse anche in questo caso ad imporsi? La risposta è assai semplice. 


Così come il bail in bancario ha finito per mettere in ginocchio un sistema già in forte difficoltà per il lascito di 8 anni di crisi economica, l'eventuale bail in dei titoli di Stato avrebbe come primo effetto l'aumento dei tassi di interesse e dunque del costo del debito. In altre parole tornerebbe d'attualità il signor spread, tanto più che —molti se lo dimenticano ma la scadenza è ormai prossima— il quantitative easing della Bce dovrebbe terminare (o comunque rallentare) nel marzo del prossimo anno. 

Come noto, l'aumento dello spread non è solo uno svantaggio per paesi come l'Italia, ma è pure un vantaggio diretto per quelli come la Germania, che oltre a godere di tassi negativi sui titoli del proprio debito  ci guadagnano pure in competitività. 

Capite quanto sono disinteressati i Cinque? 

E quanto è solidale l'Europa?


«Voi italiani dovrete colpire i risparmi privati. E forse vi servirà un salvataggio Ue», affermava Lars Feld, braccio destro di W. Schauble in un'intervista al Corriere della Sera del 19 dicembre del 2015.
Qui accanto Il Sole 24 Ore del giorno grida allo scandalo

Se le ragioni tedesche sono tanto chiare quanto bieche, bisogna però chiedersi qual è lo scenario che fa da sfondo alle proposte dei consiglieri della Merkel. E qui la campana suona a morto, quantomeno per il fiscal compact. Mettendo il lutto, Fubini non può fare a meno di riconoscerlo. «La Germania» —ci informa— «semplicemente sta smettendo di credere al patto di stabilità ed ai suoi bizantini rituali». 

E ancora: «Lo scetticismo verso l'architettura del fiscal compact europeo è talmente profondo che poco sotto il testo di Feld e colleghi propone di non tenere conto del fatto che un Paese sia già soggetto - o no - a una procedura di Bruxelles sui suoi conti. La valutazione del fondo salvataggi sulla sostenibilità del debito di un governo - si legge - dev'essere "indipendente"». 

Insomma, a Berlino non si fidano troppo neppure della solitamente fida Commissione UE.

Dopo aver messo in luce i sicuri rischi di destabilizzazione economica della normativa proposta, uno sconsolato Fubini così conclude: «Ma l'obiettivo del documento di oggi non è stabilizzare l'area euro: è ridurre al minimo i fondi che la Germania rischia di dover trasferire per salvare altri Paesi in futuro». Di chi si stia parlando lo esplicita graziosamente il dott. Feld: «Grandi economie avanzate come l'Italia sono probabilmente troppo grandi per essere salvate in ogni caso».

La campana tedesca suona dunque a morto per l'economia italiana? 

Certamente sì, ma suona a morto anche per il fiscal compact, e dunque necessariamente anche per l'euro. 


Del fiscal compact abbiamo sempre evidenziato la sua insostenibilità - ed i fatti ci hanno dato ragione, come il patetico mendicare decimali di Renzi dimostra piuttosto bene. 


Ma abbiamo anche sempre detto un'altra cosa: che, per quanto folle, quel meccanismo era necessario per l'oligarchia eurista per tentare di salvare la moneta unica. 


Senza condivisone del debito, solo una sua forzosa convergenza (a questo doveva servire il fiscal compact) avrebbe potuto quantomeno allungare i tempi dell'agonia dell'euro.


Adesso il massimo pensatoio in terra di Germania prende atto dell'irrealizzabilità di quel disegno. Quando ne prenderanno atto i "pensatori" di casa nostra non sappiamo. Quel che sappiamo è che l'ora della verità si avvicina. 

E che le oligarchie europee non molleranno la presa sui popoli solo perché dovranno prima o poi mollare la loro moneta. 

A dispetto del totale fallimento del progetto monetario, per non parlare di quello politico che faceva da sfondo, quando il momento decisivo giungerà il loro piano sarà quello di mantenere in piedi, magari rafforzandola, la gabbia di regole che hanno costruito per assicurarsi il dominio su una società frantumata e impoverita, non solo materialmente, dalla spietata applicazione dei loro dogmi neoliberisti.

Dobbiamo impedirglielo. Ma per farlo occorre una risposta ed una forza politica. Il tempo stringe e conosciamo le difficoltà. Alternative però non ce ne sono.


Leonardo Mazzei

Fonte: qui