LA DIETA DEGLI ANTICHI ROMANI PER COMBATTERE VECCHIAIA, MALATTIE E PURE I NEMICI
I CENTURIONI MANGIAVANO PIU’ DEI SOLDATI DI OGGI, MA I BARBARI ERANO PIU’ FORTI
IL SEGRETO? CENARE ALLA LUCE DEL SOLE E DIGIUNARE...
«Ecco quattro valletti accorrere danzando a suon di musica e togliere il coperchio. Ciò fatto, vediamo lì dentro capponi e pancette, e in mezzo, a far da Pegaso, una lepre fornita d’ali. Li seguiva un’alzata, dov’era deposto un cinghiale di prima grandezza e con tanto di berretto, dalle cui zanne pendevano due canestrini intrecciati di palme, uno pieno di datteri freschi, l’altro di datteri secchi. Intorno, poi, dei cinghialetti di pasta dura, come appesi alle mammelle, stavano ad indicare che si trattava di una femmina».
BANCHETTI ROMANI
E’ un passo dalla famosa Cena di Trimalcione, dal «Satyricon» di Petronio e descrive il pantagruelico banchetto del liberto romano. Tuttavia, fra gli eccessi alimentari dei ricchi e la frugalità del popolo, che consumava soprattutto pane, olive, formaggio, verdure, frutta secca, vi era un abisso e per questo motivo abbiamo chiesto ad alcuni noti dietologi ed esperti di nutrizione, di individuare buone e cattive abitudini a tavola dei nostri antichi progenitori.
IL FRUMENTO DI OGGI E IL GRANO DELL’ANTICHITA’
Secondo la dottoressa Debora Rasio, medico oncologo e ricercatore spesso presente nei programmi televisivi, l’alimentazione media dei Romani – non certo quella delle classi abbienti - era prevalentemente vegetariana, prediligendo il consumo di verdure, cereali, frutta ai quali si affiancavano latticini e uova e, più sporadicamente, pesce e carne.
PRANZO LEGIORNARI ROMANI
Era una nutrizione più sana rispetto a quella attuale, principalmente perché le materie prime non erano così trasformate. Ad esempio, il frumento che consumiamo oggi è profondamente diverso dal grano antico essendo stato modificato geneticamente nei laboratori dell’ENEA nei primi Anni 70 attraverso l’uso di radiazioni ionizzanti che hanno dato vita a un nuovo grano duro mutato, detto “Creso”.
Esso è di taglia più piccola (misura in altezza 70-80 cm contro i 150-180 dei grani duri fino ad allora coltivati) è resistente alle malattie e all’allettamento - il piegamento della pianta fino a terra – e quindi con un’elevata produttività. Dal Creso sono successivamente derivate numerosissime varietà coltivate in tutto il mondo. Si ritiene non sia un caso che, parallelamente alla diffusione del consumo di varianti di grano con profilo proteico modificato, si è assistito ad un preoccupante aumento di reazioni avverse al glutine: dalla celiachia, all’allergia, alla cosiddetta «sensibilità al glutine».
PRANZO LEGIONARI ROMANI1
Il Creso, pur essendo modificato geneticamente, non è considerato OGM e con esso in tutta Italia vengono prodotti pasta, pane pizza e dolci. I Romani non avevano questo problema e consumavano, oltre al grano, altri cereali come farro e orzo.
IL DOLCE PER IL PALATO DEGLI ANTICHI E I BENEFICI DEL DIGIUNO
Un’altra buona abitudine era la completezza dei sapori: nel pasto dei Romani vi era sempre la presenza di qualcosa di dolce, come la frutta secca, ad esempio. Questo sapore ricorreva anche nella preparazione delle carni. In tal modo il soddisfacimento del palato, a fine pasto, era più completo.
«C’è anche da dire – spiega la dottoressa Rasio - che gli antichi mangiavano meno rispetto a noi, circa tre pasti al giorno (uno importante e due frugali) rispetto ai cinque/sei che oggi vengono spesso consumati e che comportano un aumentato apporto calorico e l’aumento di peso. Un’altra ottima abitudine era quella di cenare presto, seguendo un’alimentazione circadiana che rispetta i ritmi biologici. Anche noi dovremmo mangiare finche c’è il sole - consiglia la dottoressa Rasio - In questo modo si dorme meglio».
BANCHETTI ROMANI
Mangiare in un arco ristretto di tempo è, anch’esso, una forma di digiuno che si è rivelata benefica per la salute, non a caso i medici dell’epoca prescrivevano ai ricchi questa pratica di astinenza a correzione dei loro abusi alimentari. I benefici del digiunare sono documentati: si può farlo in vari modi, per uno o più giorni, assumendo brodi vegetali o acqua d’orzo.
CAVOLI CONTRO RADICALI LIBERI ED EFFETTI DELL’ALCOL
Un vero alimento toccasana era il cavolo (brassica) fortemente consumato e consigliato. «I Romani avevano capito – spiega la dottoressa Rasio - che si trattava di una verdura speciale, come tutte le crucifere. Esse sono particolarmente ricche di micronutrienti e aiutano a contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi; possiedono un alto contenuto di sali minerali, fibre e vitamina C; hanno la capacità di attivare degli enzimi a livello epatico fondamentali per la detossificazione. Per questo, i Romani erano soliti iniziare i banchetti con insalate di cavolo crudo: avevano notato che consentiva di sopportare meglio gli effetti dell’alcool».
PANE DI FARRO
LE SPEZIE: DEPURANO, SGONFIANO E COMBATTONO INFEZIONI
L’uso delle spezie era anche molto più diffuso rispetto alle nostre abitudini, con rosmarino, alloro, prezzemolo, origano, aglio, basilico, salvia, chiodi di garofano, cumino, paprika, peperoncino, zafferano, cannella e noce moscata: contengono proprietà antiossidanti, sali minerali, vitamine e sono efficaci per la cura e la prevenzione di tante malattie diverse. Inoltre, depurano, disintossicano, sgonfiano e riducono il rischio di infezioni.
FONDAMENTALE LA CONVIVIALITÀ MA PERICOLOSI GLI ECCESSI
Il professor Nicola Sorrentino, specialista in Scienza dell’Alimentazione e Dietetica, anche lui volto noto della tv, pone l’accento su altri particolari: «La convivialità dei Romani era un aspetto che oggi andrebbe rivalutato. Viviamo in un mondo frenetico e dedichiamo troppo poco tempo ai pasti, mentre il piacere di condividere il tempo per la nutrizione insieme agli altri, è uno degli elementi fondamentali della “dieta mediterranea”, tanto da essere stata posta alla base della “nuova piramide alimentare” proposta dall’INRAN (Istituto Nazionale per la Ricerca degli Alimenti e della Nutrizione)».
GLADIATORE
Grazie al mangiare insieme si rafforza il fondamento culturale delle relazioni interpersonali, a garanzia dell’identità e della continuità sociale e culturale sia delle comunità, sia degli individui che le compongono.
I BANCHETTI
«Un’abitudine perniciosa – continua il prof. Sorrentino - era invece quella di provocare il vomito durante i banchetti più fastosi. Oggi, questa pratica rimane appannaggio soprattutto di persone affette da patologie psicologico-alimentari come anoressia e bulimia, ma continua ad essere estremamente dannosa. Molte le complicanze: deficit di vitamina B12, di folati e ferro, squilibri idroelettrolitici, squilibri del metabolismo acido-base, complicanze esofago-gastro-intestinali, erosione dei denti».
LE MALATTIE DEI POPOLI ANTICHI: OBESITA’, DIABETE, CARIE E CANCRO
Secondo il giornalista Adriano Panzironi, autore del best seller «Life 120», l’alimentazione dei Romani, così come quella di tante altre popolazioni antiche mediterranee era invece fondamentalmente scorretta e causa di numerose malattie. Panzironi è il capofila, in Italia, dei sostenitori dell’«alimentazione ancestrale» che pone a confronto la nutrizione dell’uomo cacciatore-raccoglitore, protrattasi per due milioni e mezzo di anni, con quella dell’uomo allevatore-coltivatore degli ultimi 10.000 anni.
PATATE
«Come tutte le popolazioni che basavano la propria alimentazione su cereali e legumi – commenta Panzironi - anche i Romani soffrivano di patologie collegate a questi consumi: obesità, diabete, carie, malattie cardiovascolari e cancro, anche se molti di loro non raggiungevano l’età critica per questo genere di malattia.
Un dato incontestabile è che l’uomo, per milioni di anni, non si è cibato di pane, polenta, pasta, pizza che contengono l’80% di zucchero, bensì di verdura, radici, tuberi, frutta fresca e secca, carne, pesce e uova. L’uomo preistorico moriva giovane per cause legate ai predatori, alle carestie, al clima, ma non per malattie legate a un’alimentazione sbagliata. Se si vuole ritornare a una nutrizione naturale e sana, dobbiamo risalire alla vera storia biologica dell’uomo, svoltasi per due milioni e mezzo di anni, non per l’ultima manciata di millenni».
I BARBARI FISICAMENTE PIÙ FORTI: TUTTO BASATO SUL TIPO DI CIBO
BARBARI
Un dato significativo, a tal proposito, riguarda l’alimentazione militare dei Romani composta principalmente da pane, o da una pappa di cereali (puls) accompagnati da olive, cipolle, fichi vino e olio. Anche i legumi secchi consentivano al legionario di trasportare con poco peso e ingombro grandi quantità di cibo.
«I primi dati attendibili e dettagliati di cui disponiamo - spiega lo storico militare Flavio Russo - possono ricondurre la razione quotidiana del legionario a circa 5000 calore giornaliere per l’uomo intento a lavori di costruzione e a 6000 per il combattente».
ROMA ANTICA E I BARBARI
A quasi un kg e 300 g di cereali, si aggiungevano circa tre etti di carne che però i conquistatori dell’Impero non mangiavano volentieri. Quella dell’esercito romano era una razione più ricca rispetto alla media degli eserciti europei negli ultimi 500 anni, (pari, invece a circa 3500 cal. al giorno) e tendeva a fare del legionario un individuo corpulento, il cui sovrappeso non è solo una leggenda.
LA FORZA E L’AGILITA’
Gli si chiedeva soprattutto di occupare, di sopportare e di resistere. La sua forza (d’inerzia) proveniva dal poter rimanere immobile, ben corazzato, sotto i colpi del nemico. Quando l’esercito romano aveva bisogno di combattenti mobili, svelti e veloci, come ad esempio gli arcieri, impiegava gli alleati barbari.
I CAPPERI SONO I GERMOGLI DI QUESTO FIORE
La superiorità romana nelle imprese belliche era dovuta alla perfetta organizzazione della struttura militare e logistica, al rigore dell’addestramento, alle macchine da guerra e alle armature, alla strategia. Tuttavia, dal punto di vista della forza fisica, il legionario romano era inferiore ai Celti e alle popolazioni germaniche.
«Questo deriva dal fatto – continua Panzironi – che i barbari generalmente non coltivavano i campi, non si nutrivano di cereali e legumi come i Romani, bensì erano cacciatori-raccoglitori e consumavano selvaggina e vegetali. La loro energia, non derivante dal glucosio, ma dal glucagone, prodotto dal consumo dei grassi, durava molto di più e consentiva ai barbari una maggiore resistenza nel combattimento corpo a corpo».
OLIO ANTINFIAMMATORIO E CAPPERI ANTIOSSIDANTI
CAPPERI
Dell’alimentazione romana, Panzironi salva soprattutto l’olio: «Ha dimostrato di prevenire le malattie cardiovascolari. L’oleuropeina contenuta nelle olive nere, tra l’altro, è un polifeonolo che ha capacità antitumorali e antinfiammatorie. Anche i capperi, che i Romani consumavano spesso come aperitivo, sono un alimento preziosissimo dato che è straordinariamente ricco di quercetina, un flavonoide antiossidante e antistaminico».
GALENO, IL MEDICO ROMANO
GALENO
Non solamente oggi ci si preoccupa delle ricadute sulla salute del consumo dei cibi; anche gli uomini dell’antichità si erano accorti di questo stretto rapporto causa-effetto. Galeno (129-210 d.C.), medico personale dell’imperatore Marco Aurelio, fu l’artefice dei principali passi in avanti dell’arte medica in questa direzione. Nei suoi trattati, tradotti da una decina d’anni (Mark Grant «La dieta di Galeno» Ed Mediterranee), si descrivono infatti gli effetti esercitati da alcuni cibi sul corpo umano. Rileggere Galeno, oggi, può essere fonte di studio non solo per i classicisti e per gli storici, ma per tutte le persone interessate alla storia del cibo.