9 dicembre forconi: 04/17/18

martedì 17 aprile 2018

DE MAGISTRIS SI INFURIA PERCHE’ SEI DEGLI OLTRE CENTO MISSILI LANCIATI SULLA SIRIA SONO PARTITI DA UN SOTTOMARINO USA CHE, ALCUNE SETTIMANE FA, SOSTAVA A NAPOLI

MA DALLE BASI STATUNITENSI IN ITALIA NON È PARTITO NESSUNO DEGLI 85 MISSILI (66 TOMAHAWK NAVALI) LANCIATI DAGLI AMERICANI CONTRO DAMASCO

Gianandrea Gaiani per “il Messaggero”

de magistrisDE MAGISTRIS
Sei degli oltre cento missili che hanno colpito la Siria sono stati lanciati da un sottomarino nucleare americano dislocato nel Mediterraneo che, alcune settimane prima, si trovava in rada a Napoli. Una circostanza che ha scatenato le reazioni del sindaco Luigi De Magistris, secondo il quale il transito di questo tipo di mezzi «non è gradito e non deve essere autorizzato», perché si tratta di navi a propulsione nucleare.

La Capitaneria di porto, chiamata in causa dal primo cittadino, ha replicato di non avere competenza su decisioni simili. Anche perché la polemica ha poco a che fare con il ruolo del battello nell' attacco alla Siria, avvenuto in tempi successivi alla sosta a Napoli che ha fatto seguito alla conclusione di un' esercitazione Nato Dynamic Manta, nel marzo scorso, a cui parteciparono navi di superficie e sottomarini di diverse marine alleate.

SOTTOMARINO AMERICANOSOTTOMARINO AMERICANO
NESSUN INTERVENTO

Impossibile processare le imbarcazioni militari per le guerre combattute prima o che combatteranno dopo l' ingresso in un porto di uno Stato alleato, e di certo il sottomarino Warner non ha lanciato i 6 missili da crociera contro gli obiettivi in Siria dall' interno di un porto o nelle acque territoriali italiane.

Il lancio è avvenuto in mare aperto e in immersione, come è previsto per ogni battello subacqueo impiegato in operazioni belliche. Dalle basi statunitensi in Italia non è partito quindi nessuno degli 85 missili (66 Tomahawk navali) lanciati dagli americani contro Damasco e Homs né sono decollati i bombardieri B-1B che hanno lanciato i 19 missili aria-terra Jassm ER impiegati nel blitz dalle forze aeree di Washington: tali bombardieri sono decollati molto probabilmente dalla base qatarina di al-Udeid e del resto non sono mai stati basati in Italia.
la nave uss porter lancia un tomahawkLA NAVE USS PORTER LANCIA UN TOMAHAWK

Neppure l' aeroporto di Aviano (Pordenone) ha avuto un ruolo nelle missioni sulla Siria, così come i fanti aeromobili della 173a brigata dell' Us Army basati a Vicenza o i mezzi e le munizioni stoccate a Camp Darby (Pisa).

L'attacco unilaterale condotto nella notte tra venerdì e sabato scorsi da forze missilistiche anglo-franco-americane ha coinvolto solo indirettamente le basi italiane. Le ragioni sono evidenti: se queste installazioni sono risultate indispensabili per le forze aeree e navali statunitensi e Nato in occasione degli attacchi contro i serbi in Bosnia (1995), Kosovo (1999) e soprattutto durante le operazioni contro il regime libico di Muammar Gheddafi (2011), per intervenire in Siria i nostri alleati hanno potuto utilizzare installazioni ben più vicine al teatro operativo.
attacco in siriaATTACCO IN SIRIA

I britannici conservano due basi aeree a Cipro, gli statunitensi dispongono di una rete di aeroporti a Creta, in Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Giordania e Turchia, come del resto i francesi che hanno però preferito far decollare i propri aerei coinvolti nel blitz dal territorio metropolitano.

Quanto alle navi ha poco senso valutarne il ruolo in termini di basi poiché le unità navali statunitensi coinvolte nell' attacco hanno lanciato i propri missili dalle acque del Golfo Persico e del Mar Rosso, mentre solo il sottomarino d' attacco a propulsione nucleare John Warner ha lanciato sei missili Tomahawk dalle acque del Mediterraneo.
attacco in siria 1ATTACCO IN SIRIA 1

L'unica base che ha ricoperto un ruolo di supporto all' attacco alla Siria è quella di Sigonella. L' aeroporto siciliano ha visto il decollo degli aerei spia U-2 e dei droni a lungo raggio per la ricognizione strategica Global Hawk. Anche i pattugliatori marittimi P-9 Poseidon sono decollati dalla base siciliana per tenere d' occhio la quindicina di navi e sottomarini russi che hanno lasciato il porto siriano di Tartus nelle ore precedenti il blitz missilistico.

ATTACCO SIMBOLICO
L'attacco delle potenze Occidentali è stato simbolico e non ha comportato scontri diretti con mezzi e armi russi ma se i P-8 avessero aperto il fuoco contro le navi di Mosca automaticamente la loro base di partenza in Sicilia sarebbe diventata un obiettivo legittimo per una ritorsione missilistica.

attacco in siriaATTACCO IN SIRIA
Per questa ragione in termini politico-strategici la vera questione in ballo circa l' utilizzo delle basi italiane da parte delle forze statunitensi non riguarda tanto l'autorizzazione o meno del nostro governo all'impiego per azioni belliche ma la valutazione, che prima o poi dovrà essere fatta a Roma, se corrisponda o meno ai nostri interessi appoggiare iniziative militari unilaterali statunitensi e delle potenze nucleari europee che aumentano la destabilizzazione alle porte dell' Italia, nel nostro giardino di casa. 

Una riflessione che non metterebbe in discussione la fedeltà alla Nato, poiché il blitz sulla Siria non ha coinvolto l' alleanza considerato che nessuno Stato membro è stato invaso o minacciato.

Fonte: qui

L’ATAC, CHE GESTISCE IL TRASPORTO PUBBLICO NELLA CAPITALE, RISCHIA DI VEDERSI REVOCATA LA CONCESSIONE

LA MUNICIPALIZZATA PIÙ GRANDE D’ITALIA, CHE GIÀ BALLA SUL BARATRO DEL FALLIMENTO CON UN CONCORDATO PREVENTIVO DA 1,3 MILIARDI DI EURO, DEVE TROVARE 10 MILIONI DI EURO ENTRO IL 30 MAGGIO

Simone Canettieri per “il Messaggero”

virginia raggiVIRGINIA RAGGI
Scendete alla prossima: il servizio di trasporto pubblico della Capitale è a rischio revoca.
Nelle pieghe di un burocratico carteggio tra la Motorizzazione di Roma (braccio locale del ministero dei Trasporti) e il Campidoglio a trazione M5S spunta l' ennesima grana per Atac. La municipalizzata più grande d' Italia, che già balla sul baratro del fallimento con un concordato preventivo da 1,3 miliardi di euro che deve essere accettato dal tribunale, adesso si trova davanti a un aut aut.

Ovvero: l' azienda ha tempo fino al 30 maggio per tornare a essere iscritta nel Registro elettronico nazionale (Ren). L' atto è già scaduto da sei mesi. Ora ce ne sono altri due scarsi. Nel frattempo, come atto dovuto, sono già iniziate le procedure di revoca della concessione del servizio di trasporto pubblico. Come nasce questo problema? Per ottenere l' iscrizione al Registro servono delle garanzie finanziarie che al momento non si trovano nella pancia di Atac. 

In alternativa, il Campidoglio, per conto della sua controllata, dovrebbe presentare una fideiussione bancaria da 10 milioni di euro.
atacATAC

Finora, però, il giro presso le banche non ha prodotto alcun tipo di risposta. Proprio perché si parla di Atac, società dai conti rossi che più rossi non si può, per la quale nessuno se la sente di fare da garante. E così è nato il problema che alla fine ieri pomeriggio, complice un lancio dell' agenzia Dire, è esploso.

Uscendo dai binari della burocrazia per arrivare fino a Via Nomentana, sede del ministero dei Trasporti. La linea di Graziano Delrio, titolare uscente del dicastero, non è quella dello scontro, vista anche la delicatezza del momento e le possibili ricadute concrete sulla Capitale. Allo stesso tempo l' esponente dem sottolinea come la pratica fosse «nota da tempo al Comune» e che dunque Virginia Raggi non può essere parte passiva della vicenda ma propositiva».

atacATAC
In poche parole: il Comune doveva muoversi prima, invece di arrivare a questa situazione.
Che rimane molto complessa e dunque i toni sono bassi e votati alla ricerca di un accordo per uscire dal tunnel. Stessa linea del Campidoglio che, non a caso, minimizza.

E si limita a dire che «l' ufficio della Motorizzazione ha soltanto riconosciuto ad Atac un termine di 60 giorni entro cui presentare memorie o documenti per riscontrare la propria idoneità finanziaria all' esercizio del trasporto pubblico». Si tratta, è la linea soft che esce dalle stanze della sindaca Raggi, «di un adempimento previsto dalla legge al quale l' azienda sta ottemperando, d' intesa con Roma Capitale».

ATAC ROMAATAC ROMA
L' unica via di uscita, nel caso in cui non si trovasse una banca disposta a firmare una fideiussione, porta al tribunale. Con il via libera al concordato preventivo il patrimonio di Atac tornerà in attivo e l' iscrizione al Registro sarebbe automatica. Fino a quel momento servono gli istituti di credito.

Ma se non dovessero esserci e se soprattutto la procedura fallimentare finisse nel peggiore dei modi, allora il banco salterebbe. Forza Italia, con il consigliere regionale Antonello Aurigemma, è pronta a rivolgersi al prefetto Paola Basilone perché «il servizio pubblico della Capitale è a repentaglio». Il Pd coglie l'occasione per andare allo scontro. E con il capogruppo in Campidoglio Giulio Pelonzi chiede «che la sindaca e l'assessore Meleo riferiscano in Aula domani (oggi, ndr)».

ATAC ROMAATAC ROMA
La dem Ilaria Piccolo, sostiene, che questa faccenda «mostra ancora una volta i pasticci, l'inadeguatezza e il pressappochismo che caratterizzano l'amministrazione Raggi». La polemica apre un fronte già scavato, quello di Atac, appunto. Nemmeno i radicali, promotori del referendum del 3 giugno sul futuro del trasporto locale a Roma, stanno a guardare. Il deputato Riccardo Magi dice che tutta questa «cagnara» serve a coprire la corretta informazione che il Comune dovrebbe dare ai romani sulla consultazione referendaria.
VIRGINIA RAGGI ATACVIRGINIA RAGGI ATAC



Dal Campidoglio giocano una doppia strategia. Da una parte gettano acqua sul fuoco e spiegano: «Il servizio non è a rischio, i bus continueranno a correre normalmente» (affermazione che si presta a ironia). Dall'altra, i grillini sottolineano tra le righe che di fatto la cancellazione dell' iscrizione al Ren è un motivo in più per fare in modo che il concordato vada in porto e il Tribunale dia il via libera. 

Rimangono i fatti: la Motorizzazione ha attivato le procedure di revoca del servizio, il Comune è alla ricerca di una sponda tra le banche che non si fidano, Atac continua a correre verso l' ignoto. Come possono confermare romani e turisti.

Fonte: qui

PARLA LA PRIMA CONSIGLIERA CAPITOLINA ESPULSA DAI CINQUESTELLE, CRISTINA GRANCIO, DOPO I VOTI IN DISSENSO SULLO STADIO DELLA ROMA: 

"IL MOVIMENTO E’ AVVELENATO DAL PORTERE. PRIMA O POI LA GENTE APRIRÀ GLI OCCHI"

Mauro Favale per la Repubblica - Roma

Dice adesso Cristina Grancio, la prima consigliera capitolina espulsa dal gruppo M5S, che «questo Movimento è una grande illusione e prima o poi tutti apriranno gli occhi».

Lei, racconta, li ha aperti poco più di un anno fa, quando non partecipò al voto sullo stadio della Roma a Tor di Valle esprimendo «perplessità sulla proprietà dei terreni». Una posizione che ha dato il via a una procedura di espulsione che si è conclusa pochi giorni fa, quando il gruppo M5S le ha dato il benservito durante una riunione alla quale, dice la Grancio, «io non sono nemmeno stata invitata».

Ha saputo tutto quando le è stata formalizzata l' espulsione con un documento protocollato e datato 12 aprile 2018 che riportava questa motivazione: « Per le sue posizioni in difformità alle indicazioni e alle direttive del gruppo M5S » .

«Ma io - ribatte - ho votato in conformità col programma elettorale del Movimento » . E dunque, sì allo stadio ma non a Tor di Valle, no al nuovo palazzo in piazza dei Navigatori: due questioni urbanistiche di cui la Grancio si è sempre occupata molto da vicino, fin dalla sua esperienza nei meet up territoriali.

cristina grancio-4CRISTINA GRANCIO-4
«Avevamo un ambizioso programma che potevamo portare avanti aprendoci all' opinione pubblica. E invece ci siamo chiusi, abbiamo chinato la testa e ci siamo piegati ai poteri forti».

«Un M5S avvelenato dal potere» si intitola il suo post su Facebook in cui comunica il suo destino. In Aula Giulio Cesare passerà al gruppo misto e si siederà sul banco dov' era seduta Virginia Raggi quando era all' opposizione. Un gesto simbolico con il quale sfida i suoi ex colleghi che hanno firmato compatti la sua espulsione. « Ha ostacolato il nostro percorso di cambiamento. Va contromano in autostrada mentre tutti vanno dalla parte giusta » , è stato il commento del capogruppo Paolo Ferrara sulla Grancio, prima sospesa, poi riammessa, nel frattempo ostracizzata dal gruppo, esclusa dalle chat e dalle riunioni più importanti come quella di qualche giorno fa, con il capo politico del Movimento, Luigi Di Maio in Campidoglio.

cristina grancioCRISTINA GRANCIO
« Subisco quello che di fatto viene definito mobbing», aggiunge.
D' altra parte, lei, la dissidente, una scelta di campo l' aveva già fatta, non seguendo i suoi colleghi nella nuova associazione M5S ( quella nata a fine 2017) e, anzi facendo causa per l' uso del simbolo.

«Lo statuto del 2009 è stato stravolto - spiega - e il capo politico può porre veti rispetto alle decisioni prese da una pseudo democrazia diretta » . 

Punta il dito contro « lo staff», un' entità non meglio definita « a cui dovevo rendere conto, mentre io pensavo che bisognasse rendere conto agli elettori».

gala villa miani formula E raggiGALA VILLA MIANI FORMULA E RAGGIROMA STADIO TOR DI VALLEROMA STADIO TOR DI VALLE
Ora, dice, si sente più «libera» e voterà «spesso» contro le decisioni della giunta e del gruppo M5S. Intanto ha ricevuto la solidarietà di Stefano Fassina, Sinistra italiana, e di Andrea De Priamo, Fratelli d' Italia. «Andare controcorrente è sempre più difficile - afferma il primo - Grancio è stata espulsa perché coerente e coraggiosa». «La violenza con la quale la Grancio è stata prima emarginata ed ora espulsa - afferma invece l' esponente di Fdi - rappresenta un segnale chiaro dei germi di ortodossia e mancanza di cultura democratica ben visibili nella gestione quotidiana della maggioranza capitolina».

Fonte: qui
cristina grancioCRISTINA GRANCIOgala villa miani formula E raggiGALA VILLA MIANI FORMULA E RAGGI

“LA KYENGE È RIUSCITA A VEDERE DEL RAZZISMO ANCHE NELLA MERDA DEL SUO CANE”

FACCI IRONIZZA SULLA FIGURACCIA DELL’EX MINISTRO: "LO STERCO SUL MURO DELLA SUA CASA ERA COLPA DI UN VICINO ESASPERATO. 

MA LEI STREPITA: ‘MI ODIANO PERCHE’ SONO NERA. RACCOLGO LE FORZE PER PORTARE AVANTI IL MIO LAVORO’. 

E’ L’UNICA COSA CHE LA KYENGE RACCOGLIERA’ DI SICURO"

FILIPPO FACCI per Libero Quotidiano

FILIPPO FACCIFILIPPO FACCI
C' è il problema del linguaggio da usare (qui nell' articolo) perché scrivere per cinquemila battute «escrementi» o «deiezioni» o «feci» è una roba che fa schifo da ogni punto di vista: la lingua italiana ha questo difetto, spesso le manca una via di mezzo tra il parlato volgare e il manuale scientifico. Quindi ci permetteremo una sola volta - una sola - di dirlo come lo diremmo a un amico o a un buon conoscente: l' ex ministro Cecile Kyenge è riuscita a vedere del razzismo anche nella merda del suo cane. Stop, ora possiamo tornare a a una lingua da veterinari.

martina kyenge alla marcia di milanoMARTINA KYENGE ALLA MARCIA DI MILANO
Allora: lunedì, sulla Stampa, è uscita un' incredibile intervista appunto a Cecile Kyenge (l' ex ministra e ora europarlamentare che fa notizia solo per il colore della pelle) e il titolo era «Io, presa di mira dagli xenofobi perché esempio per i migranti». Sottotitolo: «L' ex ministro dopo la casa imbrattata: mi odiano in quanto donna, di colore e di successo».

Spiegazione: nell' intervista, la farmacista congolese (perché è laureata in farmacia, ed è del Congo) ha spiegato che qualcuno venerdì notte ha imbrattato di escrementi il suo uscio di casa - a Gaggio di Castelfranco, nel modenese - e sarebbe solo l' ennesimo di innumerevoli episodi che iniziano nel 2013 e che la vedono parte civile «con un avvocato pagato da me», diversamente dalla scorta che invece è pagata dallo Stato.
filippo facci selfieFILIPPO FACCI SELFIE

TUTTI INDIGNATI Altri giornali e siti internet avevano già commentato «l' assalto razzista» (con solidarietà dell' intero arco parlamentare, compreso Mario Borghezio e vari eurodeputati) e spiccava in particolare Piero Fassino (Pd) nel compiangere la «vittima di atti vandalici per il suo impegno a favore della convivenza e dell' integrazione multiculturale». Ovviamente sono scattate immediatamente le indagini, curate da alcuni funzionari delle Fiamme Gialle che hanno fatto delle foto (alle feci) e raccolto alcune importanti testimonianze. E forse è già qui che si poteva intuire qualcosa: per la freddezza del vicinato, se non altro.

Silvano, l' anziano dirimpettaio della villetta della Kyenge, non si diceva preoccupato: «Sono dei balordi, questa è una zona tranquilla, non è mai accaduto niente». «Non so nulla e non voglio sapere nulla» aggiungeva una signora, mentre altri facevano chiaramente capire che ritenevano la Kyenge una vicina di casa un po' ingombrante. La Gazzetta di Modena, avendo il problema di scriverci un intero articolo, si lanciava anche in ragionamenti investigativi: «Difficilmente il raid è stato opera di una sola persona: la materia prima era tanta, ed è stata lanciata anche dall' alto, da sopra il cancello». C' è di buono che la pista si percepiva chiaramente.
COSIMO TORLO E CECILE KYENGECOSIMO TORLO E CECILE KYENGE

Bene, facciamola breve: era tutta una cazzata. Era solo colpa di un vicino furibondo perché i coniugi Kyenge (il marito in particolare) a quanto pare hanno un cane enorme che lascia spaventose tracce del suo passaggio, senza che i proprietari le raccolgano (le tracce, le feci) come le regole vorrebbero. Il vicino, un giorno, ha pestato una tale torta di feci che si è incazzato e ha scaraventato tutto il prodotto della bestia nel giardino della Kyenge.

ESCALATION La testimonianza, anonima ma certa, è stata pubblicata da diversi giornali: «È stato un gesto di esasperazione verso un atteggiamento incivile. Me ne scuso, ma quando sale la rabbia cedi a reazioni spropositate... il marito non raccoglie mai le deiezioni del loro grosso cane, e all' ennesimo episodio non ci ho visto più, ho rimosso le feci e le ho gettate nel giardino».
COSIMO TORLO E CECILE KYENGECOSIMO TORLO E CECILE KYENGE

Ma così, senza preavvisi? «Più di una volta abbiamo visto il marito che lasciava che il cane la facesse dove capitava, l' abbiamo invitato a smetterla, ma niente. Finché la fa nell' erba passi, ma quando ci ritroviamo le feci sulla ciclabile o sulla strada dove camminiamo coi bambini, beh, non sono l' unico a essermi stancato». Anche perché l' escalation non è stata di razzismo - come diceva la Kyenge - ma di altro.

kyengeKYENGE
Due settimane fa ci sarebbe stato l' ennesimo scontro: «Ho visto che ancora non aveva raccolto gli escrementi, l' ho richiamato e lui ha detto che non se n' era accorto. Non gli ho creduto». Poi giovedì scorso ancora: «Camminavo sulla ciclabile e sono finito col piede dritto sui grossi bisogni. Più avanti c' erano altre tracce, e, come sempre, nulla era stato pulito. Mi si è chiusa la vena: ho raccolto tutto e l' ho gettato nel loro giardino sporcando anche il muro. Non è stato un bel gesto, lo so, ma non avete idea quante volte ci siamo ritrovati in queste condizioni».

Finita? Macché: il giorno dopo, di nuovo: «Ero fuori col cane e nello stesso punto c' era lo stesso spettacolo, con addirittura accanto un grumo di pelo della loro bestia. Ho mantenuto la calma, ho messo tutto in un fazzoletto e l' ho lasciato davanti al cancelletto della villa.
Non sono mai entrato nel giardino della loro abitazione».
kyenge alla direzione pdKYENGE ALLA DIREZIONE PD

COMICA SMENTITA Finita? No, perché nel pomeriggio di ieri è arrivata una lunga e oggettivamente comica «smentita» della Kyenge: il titolo era «Rapporti coi vicini eccellenti, verifichino forze dell' ordine». E dev' essere bellissimo vedersi capitare i carabinieri in casa per verificare quanto tu e il mandante siate in buoni rapporti. Posto che la Kyenge non è praticamente mai a casa (il marito l' ha ripetuto più volte) l' ex ministra ha ricalcato la gravità circa gli «episodi delittuosi di spargimento di escrementi sui muri e sui cancelli» e ha parlato di «presunti escrementi del nostro cane» di cui il vicino anonimo «è l' unico a conoscere l' origine».
Kyenge maritoKYENGE MARITO

Di chi saranno gli escrementi? Beh, la polizia scientifica è pagata per questo: si vedrà.

Ma non cessi la vigilanza: si tratta chiaramente di «un tentativo di attribuire al nostro cane le responsabilità di un gesto d' odio compiuto contro di me». Demoralizzante, ma la Kyenge non demorde: «Raccolgo le forze per portare avanti il mio lavoro». È l' unica cosa che la Kyenge raccoglierà di sicuro.

Finita? Speriamo, anche perché è ormai probabile che il razzismo non c' entri, ma la razza sì: quella del cane, Zibi, una bestia tipo Birillo di Amici Miei.

Fonte: qui
C KYENGEC KYENGEDOMENICO GRISPINO MARITO DI CECILE KYENGE.DOMENICO GRISPINO MARITO DI CECILE KYENGE.

IN CARCERE ANCHE PASQUALE MAIETTA, EX DEPUTATO DI FRATELLI D’ITALIA, GIÀ PRESIDENTE DEL CLUB, RITENUTO L’IDEATORE DI UNA TRUFFA TRIBUTARIA DEL VALORE DI 200 MILIONI


“RICICLAGGIO PER FINANZIARE IL LATINA CALCIO”, ARRESTATE 13 PERSONE

Marco Cusumano e Giovanni Del Giaccio per il Messaggero



L' OPERAZIONE LATINA La squadra di calcio che sfiora la serie A, i tifosi in visibilio, il riscatto di un territorio nato dalla palude e arrivato alla soglia del sogno. Tutto finito con un fallimento - un anno fa circa - e la retrocessione. Inevitabile, perché era tutto finto e frutto di raggiri.

Studiati e messi in atto da Pasquale Maietta, 47 anni, commercialista, socio prima e presidente poi dell' Us Latina calcio, deputato nella scorsa legislatura di Fratelli d' Italia. Il suo studio era il fulcro di cooperative nate e scomparse, società scatola, prestanome da trovare. Ne era stato chiesto l' arresto in occasione dell' operazione Olimpia che aveva riguardato il Comune - nel quale dopo essere stato eletto con record di preferenze era anche diventato assessore - e la gestione degli impianti sportivi piegata ai voleri del Latina.

maiettaMAIETTA
La Camera rinviò in un paio di occasioni, poi l' ordinanza fu annullata. Quella e l' operazione Starter - a novembre 2016 - sono state il preludio delle misure eseguite ieri. A Maietta l' arresto è stato notificato in una clinica romana, è convalescente dopo un incidente in giardino, ma appena dimesso andrà in carcere.

LE ACCUSE L' ex deputato e altre dodici persone sono accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio aggravato dalla transnazionalità, al trasferimento fraudolento di valori, alla bancarotta e ad altri reati tributari e societari. Sette i soggetti destinatari di ordinanze di custodia cautelare in carcere. Tra loro Paola Cavicchi, 57 anni, imprenditrice nel settore degli autotrasporti, anche lei ex presidente del Latina calcio, e il figlio Fabrizio Colletti, 36 anni, avvocato. Carcere anche per Fabio Allegretti, 47 anni, imprenditore romano nel settore dei trasporti. Sei persone sono ai domiciliari, per una c' è l' obbligo di firma.

pasquale maietta_latina_calcioPASQUALE MAIETTA_LATINA_CALCIO
L' operazione è stata condotta dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza. «Una perfetta sinergia» - ha sottolineato il procuratore capo di Latina, Andrea De Gasperis. Due filoni di indagine - uno partito dalle coop di trasporti e uno dalle società in svizzera - si sono incastrati perfettamente come in un puzzle. Un' evasione fiscale di circa 200 milioni di euro.

Attraverso una rete di fiduciari e prestanome, erano state costituite società fittizie in Svizzera e a Latina, che servivano per movimentare ingenti capitali usati per arricchimento personale e per il finanziamento occulto della società di calcio I ricavi derivanti dall' evasione fiscale di cooperative che si occupavano di trasporto finivano nei conti di società anonime svizzere con sede a Lugano, presso una fiduciaria che si occupava di gestione patrimoni.

Il denaro tornava poi in Italia attraverso bonifici a favore di società speculari a quelle svizzere, intestate a prestanome, che si occupavano di gestione di beni immobili ed erano partecipate da quelle estere.

Nella stessa operazione è stato effettuato un sequestro per equivalente a carico di alcuni indagati per 40 milioni di euro. Sotto sequestro anche 20 abitazioni, di cui due ville, 19 immobili commerciali, magazzini e autorimesse, 3 terreni, 8 veicoli, 7 società, per un valore complessivo di 25 milioni di euro.

maiettaMAIETTA
IL SUICIDIO L' inchiesta era già iniziata quando - a dicembre 2015 - si è ucciso l' avvocato Paolo Censi. L' operazione non riguarda quella morte ancora avvolta nel mistero, ma agli atti ci sono i biglietti trovati nel suo studio, in cui si evince che era a conoscenza delle indagini in corso sulle società svizzere e quelle italiane. A segnalare a Maietta e i suoi sodali che c' erano accertamenti in corso, due finanzieri infedeli, arrestati da tempo. Il sogno del calcio che conta era già finito.

Fonte: qui

COME FA BERLUSCONI A TENERE AL GUINZAGLIO MATTEO SALVINI?

Estratto dell’articolo di Gianni Barbacetto per il “Fatto quotidiano”

gianni barbacetto (2)GIANNI BARBACETTO (2)
Silvio Berlusconi […] continua a presidiare la scena e a tenere congelato il quadro politico, permettendosi perfino di umiliare gli alleati con le sue squinternate gag al Quirinale. Perché resta, malgrado tutto, così forte? Perché ha ancora una dote di voti e un nutrito gruppo di fedeli in Parlamento. Perché i suoi alleati continuano a essergli grati per aver portato la destra e la Lega al governo. Ma ci sono anche altri, più invisibili motivi?

ROBERTO MARONI ATTILIO FONTANAROBERTO MARONI ATTILIO FONTANA
[…] È Roberto Maroni - oggi leghista più vicino a Berlusconi che a Salvini - a raccontare un episodio che illumina il lato nascosto della forza di Silvio. Dopo aver fatto per 226 giorni il suo ministro dell' Interno, nel 1995 rivela in un'intervista di aver visto molti dossier. "Ne giravano tanti". Ferveva il lavorio sotterraneo della delegittimazione, che non risparmiava neppure le più alte cariche dello Stato: "Ce n'era uno anche su Oscar Luigi Scalfaro". […]

salvini e berlusconi in conferenza stampaSALVINI E BERLUSCONI IN CONFERENZA STAMPA
CONTRO MANI PULITE
La macchina del fango comincia a lavorare prima del suo arrivo al governo. Innanzitutto contro Antonio Di Pietro, il magistrato di Mani pulite. […] Il mondo Fininvest si era messo in moto per dossierare il magistrato che stava rivelando Tangentopoli. […] Tra i più attivi c'è Antonio D' Adamo, ex manager Fininvest. I suoi affari immobiliari andavano male, ma il Cavaliere lo sostiene con aiuti consistenti. In cambio, riceve un memoriale in cui si rivela che Di Pietro ha ricevuto soldi da un suo indagato, il banchiere Francesco Pacini Battaglia.
ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO

C' è anche un nastro con la registrazione delle confidenze di D'Adamo, confezionato con un "taglia e cuci" da cui si capisce che il magistrato sarebbe stato corrotto dal banchiere. Ci vorrà una lunga indagine a Brescia per prosciogliere Di Pietro e stabilire, nel 1999, che "il fatto non sussiste".

LA LEGA IN PUGNO
BOSSI BERLUSCONIBOSSI BERLUSCONI




In quegli anni, si stringe un rapporto forte tra Berlusconi e Umberto Bossi, il leader della Lega Nord. Insieme vincono le elezioni del 1994, ma poi è Bossi a staccare la spina al governo, mentre il giornale del Carroccio, La Padania, comincia a chiamare Berlusconi "il mafioso di Arcore". Nell' agosto del 1998 pubblica con grande evidenza dieci domande sull' odore dei soldi e sulle imbarazzanti relazioni siciliane del fondatore di Forza Italia. Nel 2000, il clima cambia. Bossi e Berlusconi siglano un patto di ferro che li porterà al trionfo elettorale del 2001.

tavaroliTAVAROLI
"L' accordo potrebbe essere raggiunto in tempi brevi. Si può dire che è stato raggiunto, in parte è già scritto", dichiara Bossi a Repubblica il 27 gennaio 2000. "Ma lo avete depositato del notaio, come scrive qualcuno?", gli chiede l' intervistatore. Il leader del Carroccio lo gela: "A che cosa serve il notaio in politica? Sono cose da matti, invenzioni fantasiose". Eppure la notizia dell' esistenza di un patto scritto circola da subito. E arriva dall' interno della Lega. Qualcuno favoleggia di un accordo con una parte anche finanziaria: una fideiussione, debiti appianati, bilanci risanati. "Cose da matti, invenzioni fantasiose", come dice Bossi.

fiorani fazioFIORANI FAZIO
Qualche anno dopo, si saprà che all' esistenza di quel patto scritto credeva anche la security Telecom guidata da Giuliano Tavaroli, che lo ha cercato a lungo. Quando nel 2007 arrestano un collaboratore di Tavaroli, il giornalista di Famiglia cristiana Guglielmo Sasinini, tra i documenti che gli sequestrano ci sono anche appunti sul presunto patto Berlusconi-Bossi. Dicono: "In quel periodo pignorata per debiti la casa di Bossi". E poi: "70 miliardi dati da Berlusconi a Bossi in cambio della totale fedeltà".

signoriniSIGNORINI







[…] Ma i soldi per la Lega qualcuno li ha tirati fuori. È Gianpiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi che nel 2005 guida gli assalti dei "furbetti del quartierino". È lui che salva la Lega arrivata a un passo dalla bancarotta a causa di investimenti sbagliati: un villaggio turistico in Croazia, ma soprattutto una banca (Credieuronord) che in soli tre anni brucia oltre 10 milioni e riesce a perdere quasi per intero il capitale sociale, con le azioni pagate 25 euro l'una che alla fine dell' avventura crollano a 2,16 euro. I capi leghisti rischiano, con la bancarotta, di rimetterci la faccia e magari anche i patrimoni. Ma arriva il salvatore: Fiorani. Nel 2004 compra Credieuronord e annega i debiti della banchetta leghista nell' accogliente pancia della Popolare di Lodi. Le finanze leghiste restano comunque fino a oggi un oggetto misterioso. […]
elisa isoardi bacia matteo placidiELISA ISOARDI BACIA MATTEO PLACIDI

IL BACIO DI ELISA
Anche l' uomo nuovo della Lega, Matteo Salvini, ha assaggiato il potere delle armate berlusconiane.
Oggi la sua fidanzata, la conduttrice tv Elisa Isoardi, ritrae se stessa sui social mentre gli stira le camicie. […] È il settimanale Chi diretto da Alfonso Signorini, ala gossip del vasto schieramento mediatico berlusconiano, che nel luglio dello scorso anno sbatte in prima pagina un bacio a Ibiza di Elisa Isoardi: peccato che a riceverlo fosse il Matteo sbagliato, l'avvocato milanese Matteo Placidi. È subito crisi. […] Il tempo ha curato le ferite ed Elisa, di chiunque sia la camicia stirata, è tornata da lui. Ma intanto ha capito il messaggio.
FINI E LA CASA DI MONTECARLOFINI E LA CASA DI MONTECARLO

CASA A MONTECARLO
Di ben altro spessore i ricatti e i dossieraggi subiti dai nemici di Berlusconi o dagli amici che provano a diventare indipendenti. Nel 2006 tocca a Romano Prodi, l' unico che è riuscito a batterlo due volte alle elezioni. Avvengono alcuni misteriosi accessi (illegittimi) nell'anagrafe tributaria da cui sono estratte informazioni riservate.

[…] il giudice Raimondo Mesiano, che condanna la Fininvest a pagare un risarcimento di 750 milioni al gruppo De Benedetti per lo scippo della Mondadori, viene sbeffeggiato su Canale 5 per i suoi "comportamenti stravaganti" e i suoi calzini azzurri. Va molto peggio all'amico da punire perché ha cominciato a voler fare di testa sua: Gianfranco Fini, allora guida di An e presidente della Camera.
raimondo mesianoRAIMONDO MESIANO

Nel settembre 2009 comincia il direttore del Giornale Vittorio Feltri a minacciare di andare a ripescare oscuri dossier: "Fini ricordi che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio", scrive Feltri. "Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di An per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme".
DINO BOFFODINO BOFFO

Poi ci pensa il parlamentare Pdl Giorgio Stracquadanio a dichiarare al Fatto che Fini merita un "trattamento Boffo". L'accenno è al direttore dell' Avvenire Dino Boffo, diventato troppo critico verso il leader di Forza Italia. Scatta la reazione: Boffo viene infangato nel 2009 da Feltri e dalla solita batteria di giornali berlusconiani che raccontano una sua condanna per molestie. Contro Fini l'offensiva finale parte invece nel 2010: sulla casa di Montecarlo, lasciata in eredità al partito ma finita a Giancarlo Tulliani, fratello della compagna di Fini.

DISARTICOLARE I NEMICI DI B
Pio PompaPIO POMPA
Il caso più clamoroso di utilizzo improprio e illegale degli apparati istituzionali resta quello dell'archivio Sismi di via Nazionale, a Roma, guidato da Pio Pompa, ombra ("Shadow") del direttore del servizio segreto militare Nicolò Pollari. A partire dal 2001, negli uffici di via Nazionale è stata accumulata una mole imponente di dossier illegali su magistrati, politici, intellettuali d'opposizione, giornalisti (tra cui anche chi firma questo articolo e il direttore di questo giornale): schede, citazioni, informative su persone considerate "nemiche" di Berlusconi, contro cui intervenire per "disarticolare, neutralizzare e dissuadere", anche con "provvedimenti" e "misure traumatiche".
Piero Marrazzo e Patrizia ManciniPIERO MARRAZZO E PATRIZIA MANCINI

Poi la "macchina del fango" si è rimessa in moto per azzoppare il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo. Nell' ottobre del 2009 viene diffusa la notizia che Marrazzo è ricattato da quattro carabinieri in possesso del video di un suo incontro con una transessuale. È la fine della sua carriera politica. Ma il primo a sapere della vicenda è Berlusconi, informato dal direttore di Chi Signorini, a cui era stato proposto un evidentemente impossibile acquisto del video.

"ABBIAMO UNA BANCA"
È Berlusconi in persona, allora presidente del Consiglio, a ricevere, la vigilia di Natale del 2005, un "regalo" molto particolare: il file audio con l'intercettazione segreta tra Piero Fassino, allora segretario dei Ds, e Giovanni Consorte, presidente di Unipol. "Allora, siamo padroni di una banca?", chiede Fassino. Si riferisce alla scalata in corso sulla banca Bnl.
piero fassino antonella parigiPIERO FASSINO ANTONELLA PARIGI

L'intercettazione non era ancora a disposizione neppure dei magistrati che stavano conducendo l'indagine sulle scalate bancarie dei "furbetti del quartierino". Ma ecco che arriva, nei primi giorni del 2006, sulla prima pagina del Giornale della famiglia Berlusconi. Diventa uno dei tormentoni della campagna elettorale, forse il più forte degli argomenti che permettono la clamorosa rimonta elettorale di Berlusconi alle elezioni politiche della primavera 2006: Prodi, che nei sondaggi prima di Natale aveva dieci punti di vantaggio, vince per una manciata di voti, tanto che il suo governo viene travolto soltanto 18 mesi dopo. Con questa lunga storia alle spalle, è normale che chi oggi è accanto a Berlusconi ci pensi due volte, e anche tre, prima di contrariare troppo il satrapo anziano in declino.

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