9 dicembre forconi: 12/01/16

giovedì 1 dicembre 2016

ESPLODE UNA RAFFINERIA ENI IN PROVINCIA DI PAVIA, UNA DELLE PIU' GRANDI D'ITALIA


L'AVVISO AI RESIDENTI: "NON USCITE DI CASA" 

AL MOMENTO NON VENGONO SEGNALATI FERITI, MA NON SONO ESCLUSI



raffineria eni in fiammeRAFFINERIA ENI IN FIAMME
Esplosione intorno alle 16 all'interno della raffineria Eni di Sannazzaro de' Burgondi, una delle più grandi d'Italia. Secondo le prime notizie, che trovano conferma anche nelle parole del sindaco Roberto Zucca non ci sarebbero feriti. Sul posto stanno convergendo vigili del fuoco da tutta la provincia per dare manforte alle squadre interne: al lavoro ci sono circa quaranta pompieri al lavoro. Sono tutte da valutare le conseguenze ambientali.

Le ambulanze, precisa l'azienda Azienda Regionale Emergenza Urgenza, Areu, sono sul posto per eventuali ricadute sanitarie delle persone che abitano vicino alla raffineria e che possono eventualmente aver inalato fumi. Dalla raffineria si è innalzata una colonna di fumo nero visibile a decine di chilometri di distanza. I vigili urbani stanno girando per le strade di Sannazzaro invitando i residenti a non uscire dalle proprie case per via del fumo. Mentre il Comune di Sannazzaro ha pubblicato sulla propria pagina Facebook un avviso nel quale si invitano gli abitanti a non uscire di casa.


raffineria eni paviaRAFFINERIA ENI PAVIA

L'incidente è avvenuto alle 15.40 nella zona denominata Cantiere Est 2 della raffineria, una parte dell'impianto di recente realizzazione. Secondo quanto riferito da testimoni, si è generata una 'palla di fuoco' alta decine di metri.

Fonte: qui



La banca, la crisi, e le pentole


Sono andato più di una volta a sentire le presentazioni pubbliche dove la banca dove ho messo i miei risparmi fa parlare degli esperti di finanza. Pur nei limiti di questo tipo di cose, spesso ho trovato che questi esperti mi hanno dato delle utili dritte, raccontando cose che poi si sono verificate sul serio.

Così, l'altra sera sono andato a sentire un'altra di queste presentazioni. Vi dirò francamente, è stata un disastro totale. Non che non ce l'avessero messa tutta. C'era il loro mega-presidente, un professore universitario, due giornalisti finanziari, tutti belli incravattati e microfonati. E sono riusciti a dare l'impressione di essere dei venditori di pentole a una sagra di paese.

Il problema è che le banche sono sempre vissute su questa idea che ti regalano qualcosa, un po' come Babbo Natale. Tu gli dai 1000 lire, dopo un po' di tempo te ne rendono 2000. Vi ricordate quando c'erano i buoni postali "fruttiferi"?

Ma ora, tutto è cambiato: siamo ai tassi negativi.

Ed è difficile per la banca spiegare ai clienti come mai se tu gli dai 1000 euro, dopo un po' loro te ne rendono 500.

E' come accorgersi che Babbo Natale non solo non ti ha portato regali, ma ti ha anche svaligiato il frigorifero.

E così, in questa presentazione il mega-presidente e gli altri non han trovato di meglio che rifugiarsi nei discorsi che fanno i nostri presidenti del consiglio negli ultimi 15 anni che, ogni anno, si trovano a dire "si, quest'anno è andata malissimo, ma l'anno prossimo la crescita ritornerà". Quindi, si lanciati a spiegare che, se in Italia le cose vanno male, nel resto del mondo c'è crescita, quindi le cose vanno bene. E hanno fatto vedere una mappa del mondo dove tutti i paesi in crescita erano in verde, con solo l'Italia e pochi altri in rosso. Veniva voglia di chiedergli se non fosse allora il caso di investire in Iraq (bello verde) oppure nella banca di Aleppo, in Siria (anche quella, bella verde).

Poi, tutta la storia è stata che l'attuale crisi è soltanto un'oscillazione momentanea, che l'economia è sempre cresciuta e quindi per forza tutto riprenderà a crescere. Dunque ci vuole fiducia e "far lavorare i propri soldi". Questo veniva dimostrato con dei grafici dove si faceva vedere la crescita a lungo termine di vari fondi, senza mai preoccuparsi di specificare se i dati erano corretti per l'inflazione oppure no. E poi, hanno detto, da qui al 2050 la popolazione aumenterà a 11 miliardi e ci saranno 3 miliardi e mezzo di persone in più che consumeranno e produrranno benessere. Il tutto condito con dei filmati in cui si vedeva una famigliola benestante, padre, madre e figlioletto, talmente lisci e azzimati che sembravano l'ultimo modello di androide dal film "Io Robot".

La cosa peggiore è stata quando il Mega-Presidente si è messo a raccontare che non ci sono limiti alla crescita e che già negli anni '70 avevano previsto la fine del petrolio in trent'anni, ma che abbiamo trovato dei nuovi pozzi, Non solo, ma ora possiamo estrarre più petrolio dagli stessi pozzi di prima.

E poi scaveremo altri buchi per terra e avremo tanta energia che non sapremo cosa farne, come dimostrato dai bassi prezzi del petrolio. E con questa energia desalinizzeremo l'acqua e irrigheremo zone che ora non sono coltivate e daremo da mangiare a quei tre miliardi e mezzo in più. Non solo questo, ma avremo bistecche sintetiche che non producono gas serra (lo giuro, l'ha detto!). A questo punto, qualcuno sul palco ha detto che lui non le vorrebbe mangiare, al che hanno detto che la gente nei paesi in via di sviluppo sarà ben contenta di mangiarle (giuro che hanno detto anche questo!!!)

Bene, non vi so dire come è andata a finire, a un certo punto non ne ho potuto più e sono andato via. 

Magari alla fine hanno veramente tirato fuori una batteria di pentole in vendita. Ho visto molta altra gente che lasciava la sala, un tantino (tanto?) perplessa.

In effetti, l'aura di disperazione che aleggiava sul pubblico era abbastanza evidente.

Poi, non è che voglio dir male di queste persone che stavano sul palco e non credo volessero imbrogliare nessuno. Se chiedete a me, ho l'impressione che credessero veramente a quello che dicevano.

Ma la faccenda dei tassi negativi è stata dirompente un po' per tutti, incluso per i dirigenti delle banche.

E quindi, ci troviamo tutti a navigare senza bussola in un mondo che cambia continuamente e in cui quelli che dovrebbero essere al timone ne sanno meno dei passeggeri che vorrebbero essere traghettati verso qualche porto sicuro. Che ci volete fare?


Da qualche parte finiremo per arrivare, magari con una batteria di pentole nuove in cucina. 


Ugo Bardi

Italia: il disastro “a tutto tondo” dell’austerità

Italia: il disastro “a tutto tondo” dell'austerità

L’austerità, da qualcuno detta espansiva e proposta come soluzione alla crisi, ha avuto, in realtà, effetti espansivi; ma non nella direzione che ci si aspettava.

E l’espansione è stata, principalmente, per gli effetti negativi.


Abbiamo già detto che con l’avvento della crisi, per uscire dalla stessa o, almeno, per contenerne gli effetti negativi, si è seguita un’impostazione di finanza convenzionale.
Cioè, si sono utilizzate le politiche fiscali per contenere la crescita del rapporto debito/PIL, mentre si è lasciato alle politiche monetarie il compito di stimolare la domanda aggregata.
Questo genere di approccio è tipico di quella che viene chiamata la “trickle-down economics”, l’economia che “sgocciola verso il basso”. La stessa viene rappresentata e semplificata, a livello “grafico”, come una serie di bicchieri disposti a piramide mentre con una bottiglia si riempie il bicchiere al vertice.
Una volta che questo sarà pieno, il “liquido” comincerà a defluire nei bicchieri sottostanti portando l’effetto di sgocciolamento. Le cose, per tutta una serie di ragioni, non sono andate in questo modo e non c’è stato nessun effetto di sgocciolamento, tanto da far ritenere, metaforicamente, che al vertice della piramide ci fosse una damigiana invece di un bicchiere.
Quindi, le politiche di austerità non hanno portato a nessuno sgocciolamento verso il basso; e non avrebbero potuto farlo nemmeno a seconda di quella che, in un post semplice e molto ben fatto del Prof. Alberto Bagnai, viene chiamata l’aritmetica del debito pubblico.
Partiamo proprio da qui. È necessario considerare il fatto che la spesa pubblica, con i consumi, gli investimenti e la bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni) rientrano nella funzione del PIL
Pertanto, tagliare la spesa pubblica significa tagliare, tout court, anche il PIL.
Questo, poi, in ragione del moltiplicatore fiscale, determinerà quanto PIL si perderebbe in relazione al taglio di spesa. E qui entrano in gioco le previsioni del Fondo Monetario Internazionale
Infatti, lo stesso prevedeva, per es., per la Grecia, una perdita di 0,5 euro di PIL per ogni euro di spesa tagliata.
Neanche a dirlo, le previsioni del FMI non sono state rispettate. Invero, in Grecia, a seconda delle fonti, per ogni euro di spesa pubblica tagliata si sono persi dagli 1,3 agli 1,7 euro di PIL.
Ma, proprio come fatto dal Prof. A. Bagnai, facciamo i signori e immaginiamo un moltiplicatore fiscale neutro di uno a uno: cioè un euro di PIL perso, per ogni euro di spesa tagliata.
Se partiamo da uno Stato che ha un PIL di 5 e un debito di 6, cioè un rapporto debito/PIL del 120%, e impostiamo delle politiche di austerità, tagliando la spesa di uno, per far diminuire il debito di uno, il rapporto debito/PIL non diminuirà, bensì aumenterà.
Questo perché il taglio della spesa porterà il debito da 6 a 5, ma anche il PIL da 5 a 4; e questo corrisponde ad un livello di indebitamento del 125%.
Al contrario, se aumentassimo la spesa di uno, considerando sempre un moltiplicatore “neutro” di uno a uno, avremmo un aumento del debito che passerebbe da 6 a 7, ed un aumento del PIL che passerebbe da 5 a 6.
Ciò equivale ad un rapporto debito/PIL del 116,666%.
Vediamo, pertanto, che, nel caso dell’Italia, con un moltiplicatore fiscale neutro, un taglio della spesa corrisponde ad un aumento del rapporto debito/PIL, mentre un aumento della prima porta ad una diminuzione del secondo.
Il tutto è confermato anche nel libro di H.P. Minsky, dal titolo “Combattere la povertà”, dove si sottolinea come sia proprio ad alti livelli di debito/PIL che gli effetti dei tagli sono più deleteri, perché – per dirla semplicemente - il numeratore (debito) prevale sul denominatore (PIL).
Pertanto, le politiche di austerità non avrebbero potuto funzionare, in Italia, per questioni di semplice aritmetica e anche in ragione dell’alto rapporto debito/PIL.
Ma, siccome troppe volte le parole non bastano, nemmeno supportate da una semplice aritmetica, si ritiene necessario allegare anche qualche altro dato che possa dimostrare come l’austerità non solo non abbia avuto nessun effetto espansivo (“austerità espansiva” qualcuno si è persino spinto a dire) ma, bensì, abbia avuto effetti deleteri a tutto tondo.
Prendiamo come inizio il 2008, vediamo alcuni parametri e come sono variati in relazione alle politiche implementate da quell’anno. Cominciamo proprio con il rapporto debito/PIL.
Rapporto debito/PIL Italia

Il rapporto debito/PIL era al 102,3% nel 2008 e nel 2015 al 132,7%
Ergo: le politiche di austerità non hanno contenuto la crescita dello stesso.
Tasso di disoccupazione Italia

La disoccupazione generale era appena sopra il 6% nel 2008, mentre nel 2016 è appena sotto il 12%. Questo vuol dire che è quasi raddoppiata
Pertanto le politiche di austerità, unite a quelle di precarizzazione (come il jobs act), non hanno avuto nessun effetto se non quello di peggiorare la situazione. E la condizione della disoccupazione giovanile è anche peggiore.
PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto

Si può facilmente notare che il PIL pro-capite, a parità di potere d’acquisto, è fortemente diminuito dall’inizio della crisi e l’inversione di tendenza del 2015 non può essere, al momento, considerata significativa, dato che si era verificata anche nel 2010 e nel 2011, per tornare, poi, a invertire ancora il suo trend con un’ulteriore diminuzione.
PIL Italia (in miliardi di dollari)

In questo caso la perdita di PIL (nominale) ci sembra così evidente da non dover nemmeno essere commentata.
Investimenti fissi lordi Italia

Possiamo dire, in questo caso, che l’austerità non ha fatto tornare la “Fata della fiducia” e gli investimenti sono restati al palo.
C’è poi tutta un’altra serie di parametri relativi, per es., alla crescita dei salari, alla produzione industriale e in altri comparti, alla confidenza nel business, ecc. ecc., che testimoniano come l’austerità non abbia avuto nessun effetto eclatante sugli stessi.
Per cui, l’austerità non ha funzionato, non funziona e non funzionerà.

Nonostante questo, si continua a ripetere il mantra dell’austerità e del taglio di spesa pubblica che farà diminuire il rapporto debito/PIL, rilancerà l’economia e, con la stessa, la crescita del PIL, l’occupazione, gli investimenti, ecc. ecc.
Questo ci sembra vada oltre ogni logica e sensatezza, in quanto la crisi è cominciata nel 2008 e, considerando anche lo stesso, siamo ormai a ben nove anni di crisi – cioè siamo nel lungo periodo; e anche da un bel po’.
Nove anni nei quali ci siamo sentiti ripetere sempre le stesse cose che poi sono state sistematicamente, sempre e ineluttabilmente, smentite dai fatti.
Di poi, per concludere, a parte il famoso “nel lungo periodo saremo tutti morti” di J.M. Keynes, dobbiamo ricordare, sempre attingendo dallo stesso autore, che il lungo periodo è fatto di tanti brevi periodi; e che se non implementiamo buoni provvedimenti nel breve periodo, difficilmente avremo buoni risultati nel lungo.
Per cui, forse sarebbe meglio prendere coscienza del fatto che non possiamo proseguire su questa strada e che dobbiamo uscire da quel modello di new consensus che ci impone un surplus commerciale accompagnato da un surplus di bilancio (sottolineiamo ancora una volta che l’Italia è in avanzo primario dal 1992), per tornare ad un modello di finanzia funzionale dove siano le politiche fiscali a stimolare la domanda aggregata e quelle monetarie a contenere la crescita del rapporto debito/PIL.

Fonte: qui

Italia campo di battaglia: guerre finanziarie all’ombra dell’egemonia nel Mediterraneo

mercati









Il 2017 potrebbe essere l’anno risolutivo della lunga guerra d’Italia iniziata con Mani Pulite e il referendum per il maggioritario indetto da Mario Segni del 1992. Oggi come allora, ritroviamo quasi gli stessi protagonisti, da una parte la Gran Bretagna, dall’altra l’asse franco tedesco, entrambi protagonisti della perdita di quel minimo di sovranità garantita nella Prima Repubblica. 
Ma oggi, sullo sfondo, troviamo la nuova amministrazione Trump, la Russia di Putin e, in maniera defilata, la Cina. Tutti vogliono mettere un alfiere nello scacchiere Italia, portaerei militare e commerciale dell’intero bacino del Mediterraneo, area che da qui a pochi mesi sarà protagonista di una nuova spartizione tra Usa e Russia con una nuova Yalta, che abbraccia Iran, Siria, Israele, Libia, Egitto e, appunto, Italia. Il referendum del 4 dicembre costituisce lo spartiacque come quello promosso da Segni nel 1992. Del resto lo stesso Renzi pochi giorni fa dichiarava che un accordo Trump Putin apriva scenari nuovi per il nostro Paese, assieme alla Brexit.  Cerca di districarsi tra  Berlino e Londra-Washington, tra Mosca e Pechino, ma è un gioco più grandi di lui, al quale non ha saputo nemmeno giocare visto che aveva fatto il tifo per la Clinton e lui, assieme alla Merkel, era il referente in Europa del Partito democratico americano.

Per otto anni, dalla crisi del 2008 fino ad oggi, l’amministrazione americana ha dato il dominio sull’Europa alla Germania, in funzione antirussa. Ma ora le carte si sono mescolate, dalla Brexit, a causa del quale la Germania potrebbe perdere un mercato che vale 110 miliardi di sue esportazioni, alla politica commerciale e valutaria di Trump, finalizzata ad abbattere i surplus dei paesi mercantilisti, in primis proprio la Germania, che ha un avanzo delle partite correnti pari alla sbalorditiva percentuale dell’8.9%.
Poi, l’accordo con Putin, che ne farebbe il dominus in Europa proprio a scapito dell’asse franco tedesco. In questo scenario troviamo la strategica media potenza italiana, oggetto di bramosia delle massime potenze e che è percorsa da anni da una guerra finanziaria finalizzata ad espropriarla del suo bene più prezioso, quei 4 mila miliardi di euro di risparmio.
La Francia si sta attrezzando non solo avendo preso la Bnl e Parmalat, ma ora ha le sue mire su Telecom, Generali, Unicredit e Mediaset. Se il colpo gli riuscisse con gli asset italiani potrebbe affrontare quasi alla pari la Germania, oltretutto mettendo preziose pedine economiche, finanziarie e politiche su di un paese mediterraneo. Contraria a questo disegno è la Gran Bretagna, che vuole cacciare l’asse franco-tedesco dal Mediterraneo e sedere al tavolo delle trattative con Putin e Trump.
La Germania, con i Quisling italiani, da Monti a Prodi, da Renzi a Letta, vorrebbe continuare a dominare il paese come negli ultimi 8 anni perché si vede isolata, ad est con l’inimicizia russa, ad ovest con la Brexit, a sud con le opinioni pubbliche greche e italiane stufe del suo dominio. In ogni caso sarebbe fuori dalla nuova Yalta Putin e Trump.
Le battaglie scatenate intorno alle banche hanno questo obiettivo, simile a quelle sui titoli di stato del 2011, quale potenza straniera avrà messo il suo alfiere nello scacchiere Italia, strategica a seguito del raddoppio del canale di Suez e con l’Asia unica area ad avere masse sterminate di popolazioni con moneta pagante, l’unica che serve al modo di produzione capitalistico.
Ed in ogni caso un concorrente industriale da eliminare, obiettivo chiaro già dal 1992.  Sullo sfondo troviamo l’onnipresente USA che ha dato un regalino all’asse franco tedesco: il nuovo capo della CIA è l’italo americano Pompeo, mentre il nuovo responsabile del Dipartimento Giustizia dovrà pronunciarsi sulle sanzioni a Deutsche Bank.
Guido Salerno Aletta (L’Italia ritorna pivot, Milano Finanza 19.11.2016) ipotizza un altro scenario per l’Italia, vale a dire un contemporaneo arretramento dell’asse franco tedesco e della stessa UK e una triangolazione sullo scacchiere italiano USA – Russia – Cina come fine del Novecento europeo.
Quest’ultima è la sola che darebbe al paese margine di manovra e permetterebbe la fuoriuscita dalla devastante crisi economica che dura da 9 anni. Le altre opzioni ci spolperebbero. Può darsi che si scannino tra loro, come già stanno facendo, ma che alla fine verrebbe un Pompeo qualsiasi a sbrogliare la matassa.
Tifiamo no al referendum contro i Quisling italiani, e tifiamo per una nuova Yalta. Avremmo tutto da guadagnare. Finirebbe la guerra dei 25 anni in Italia e forse avremmo modo di ricostruire il Paese, distrutto a seguito della firma del Trattato di Maastricht del 1991 e dell’adesione all’euro. Non c’è niente da fare, l’alleanza con la Germania non ha mai dato buoni frutti all’Italia. Che ora si scopre al centro di un gioco mondiale e che se avesse buoni giocatori potrebbero dare una chance alle sterminate masse di disoccupati e sottooccupati italiani.

Fonte: Contropiano

ECCO COME I CINESI IN ITALIA RICICLANO I SOLDI SPORCHI

IL DENARO VIENE TRASFERITO IN PATRIA TRAMITE AGENZIE LONDINESI DI MONEY TRANSFER, DOVE I CONTROLLI SONO MOLTO BLANDI 

NEGLI ULTIMI DUE ANNI E’ SGUSCIATO VIA UN ‘TESORO’ DI 2,7 MILIARDI DI EURO, UNA MEDIA DI 3,7 MILIONI DI EURO AL GIORNO

Francesco Spini per “la Stampa”

MONEY TRANSFERMONEY TRANSFER
Un via vai di soldi, in piccoli e spesso anonimi negozietti di via Paolo Sarpi e dintorni, a Milano, o delle omologhe strade della più piccola Chinatown romana. Sulla porta due parole magiche: Money transfer. Sono edicole, piccoli bazar trasformati in agenzie per trasferire denaro da cui negli ultimi due anni - attraverso versamenti in contanti tutti da 999 euro, un filo sotto la soglia legalmente ammessa, con l' aiuto di prestanome talvolta ignari - ha spiccato il volo un vero e proprio «tesoro»: 2,7 miliardi di euro, una media di 3,7 milioni al giorno.

Quel che sembra il fatturato di una multinazionale era invece il frutto di affari illeciti della comunità cinese: si guarda al commercio di marchi contraffatti, ad attività in nero, alla prostituzione, al gioco d' azzardo. Una montagna di denaro che, quando non viene trattenuta in Italia, lontano da occhi indiscreti, prende la via della Cina, in una gigantesca operazione di "lavanderia" di denaro sporco.
MONEY TRANSFERMONEY TRANSFER

A metterla in piedi un' organizzazione che si è insinuata nelle pieghe della legge. Mentre la normativa prevede la stretta sorveglianza della Banca d' Italia per gli istituti di pagamento italiani e per le relative agenzie di money trasfer, nei confronti degli istituti "comunitari" delega la sorveglianza alle autorità del Paese d'origine.

La quarantina di money transfer protagonisti di questa storia sfrutta questa caratteristica e si lega a istituti di pagamento con sede formale (e fittizia) in Inghilterra - dove la locale autorità, la Fca, sembra essere piuttosto lasca nei controlli e nelle formalità - ma con tutti gli interessi in Italia.

A scoperchiare il traffico sono stati gli uomini della polizia del vice questore Marco Ciacci e i militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza agli ordini del colonnello Gabriele Procucci che, nell' ambito di un' indagine della Procura di Milano, hanno individuato le presunte menti della "lavanderia": un cittadino italo-paraguaiano, Javier Baddouh è stato fermato, Luigi Del Principe, un esperto del settore, ex referente di una società del settore, la Lcc, è stato messo ai domiciliari così come un cinese - il probabile raccordo con la comunità - Jiaqui Liu.

Per tutti l' accusa è di associazione a delinquere finalizzata all' abusivo esercizio di attività finanziarie, abusiva prestazione di servizi di pagamento, riciclaggio, autoriciclaggio più svariati reati tributari. Un sodalizio che coinvolgerebbe un quarto soggetto rimasto all' estero più alcuni professionisti collegati.

Cinesi in italiaCINESI IN ITALIA
I sospetti sorgono circa un anno fa quando da alcune banche italiane - a cui i portavalori riversano il denaro raccolto nelle agenzie - giungono segnalazioni antiriciclaggio. In due anni le società di pagamento a cui i money transfer cinesi sono collegati si avvicendano. Compaiono così, per citarne alcune, la Cronosprint Sas, le londinesi Global Worldwide Forex Limited, la Transferplus Limited, collezioniste di denaro e, si sospetta, di evasione fiscale.

Il denaro sporco veniva spedito a Londra, in un maxi conto (presso Barclays e altri istituti locali) di una piattaforma internazionale: The Currency Cloud. La quale - non senza segnalare perplessità - mandava le somme in Cina alla Bank of China e alla Construction Bank. Dove se ne perdevano le tracce. Un via vai rilevante, al punto che anche a Pechino si sono fatti domande sul tesoro italiano che pareva inesauribile.

Fonte: qui

LE SCELTE FOLLI DEI NOSTRI GOVERNANTI - LA GRANDE FUGA DAGLI OSPEDALI

TRA BLOCCHI DELLE ASSUNZIONI E NUMERI CHIUSI NELLE SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE NEI PROSSIMI DIECI ANNI RISCHIANO DI SPARIRE 40MILA SPECIALISTI (SOPRATTUTTO CHIRURGHI, GINECOLOGI, PEDIATRI, INTERNISTI, SPECIALITÀ DELLE QUALI NON SI PUÒ FARE A MENO)

Paolo Russo per “la Stampa”

Dopo una passeggera crisi di vocazione i ragazzi hanno ripreso a fare a spinte per entrare nelle facoltà di medicina, ma tra blocchi delle assunzioni e numeri troppo chiusi nelle ancora più ambite scuole di specializzazione nei prossimi dieci anni dai nostri ospedali rischiano di sparire 40mila camici bianchi.

Una desertificazione di ambulatori e corsie che, insieme agli altri 16mila medici di famiglia mancanti da qui a sette anni, rischia di mandare in tilt il nostro sistema di assistenza sanitaria. Anche perché a mancare all' appello saranno soprattutto chirurghi, ginecologi, pediatri, internisti, specialità delle quali non si può fare a meno.

sala operatoriaSALA OPERATORIA
A lanciare l' allarme sulla fuga dagli ospedali d' Italia è uno studio condotto dall' Anaao, il più forte sindacato di categoria, pronto allo sciopero sotto le feste se il governo non metterà sul piatto proposte concrete per arginare il problema e soldi per rinnovare un contratto fermo al palo da sette anni.

Intanto i numeri dello studio parlano chiaro: tra il 2021 e il 2015 dalle attuali circa diecimila uscite l' anno si passerà a oltre 5.600 pensionamenti, perché attaccheranno il camice al chiodo i dottori figli del baby boom. Così in un decennio andranno in quiescenza 47.300 specialisti ospedalieri più 8.200 universitari e specialisti ambulatoriali. In tutto un esodo di 55.500 medici.
LISTE DI ATTESA OSPEDALELISTE DI ATTESA OSPEDALE

E siccome vige il parziale blocco delle assunzioni, che consente di sostituire solo un camice bianco su quattro, significa che all' appello mancheranno appunto 40mila dottori. Nemmeno a dire che a contenere le perdite serviranno gli stanziamenti dell' ultima legge di stabilità, visto che servono a stabilizzare settemila precari che già lavorano e non ad assumere nuova forza lavoro. Lo stesso dicasi delle tremila assunzioni programmate lo scorso anno dal Governo, quasi tutte ferme al palo perché la maggioranza delle regioni si è guardata bene dal presentare i dati sui propri fabbisogni.

Così nei nostri ospedali i medici iniziano a scarseggiare e a mettere sempre più capelli bianchi. Già oggi quasi la metà di loro, per l' esattezza il 48,7%, ha più di 55 anni, con gli ultrasessantenni sopra quota 20% mentre i giovani tra i 30 e i 34 anni sono appena l' 1,7%. «Medici più anziani di noi in Europa non li ha nessuno e nel mondo siamo secondi dietro solo ad Israele», rimarca il Vice segretario nazionale vicario dell' Anaao, Carlo Palermo, tra i curatori dell' indagine ancora inedita. E non trovando sbocchi in Italia sempre in maggior numero ripiegano il camice in valigia ed emigrano all' estero.

intervento chirurgicoINTERVENTO CHIRURGICO
A richiedere la documentazione per poter esercitare oltre confine erano solo in 369 nel 2009, sono diventati 1.836 lo scorso anno. «Ognuno di loro è costato sui 150mila euro per la formazione, è come dire che regaliamo 1.800 Ferrari l' anno agli altri Paesi», sottolinea Palermo.

Ma carenza e invecchiamento della nostra classe medica non sono solo colpa dei blocchi delle assunzioni imposti dalla finanziarie degli ultimi anni. A fare il resto c' è anche un «imbuto formativo», che a fronte di richieste d' ingresso sempre più pressanti e pensionamenti sempre più massicci continua a lesinare con il contagocce i posti disponibili nelle scuole di specializzazione. Oggi le porte si aprono a 6.100 laureati in medicina mentre ce ne sarebbe bisogno di 7.900 l' anno.

Come dire che continuando di questo passo in un decennio, qualora si tornasse pure ad assumere a piene mani, mancherebbero pur sempre quasi 20mila neo-specializzati a rimpiazzare chi esce.

OSPEDALE SAN CAMILLOOSPEDALE SAN CAMILLO
Intanto già ora quelli che ci sono non bastano. La riprova viene dalle oltre settemila segnalazioni sul mancato rispetto dello stop ai turni massacranti imposto dalla direttiva europea sull' orario di lavoro. Denunce che minacciano ora di avviare altrettanti ricorsi.

Fonte: qui