“AUTOSTRADE” HA TAGLIATO DEL 98% GLI INVESTIMENTI SUL PONTE: CON LO STATO SI SPENDEVANO IN MANUTENZIONE 1,3 MILIONI L'ANNO, CON I BENETTON APPENA 23.000 EURO
BELPIETRO: “IL CROLLO DEL PONTE MORANDI NON È STATO UNA TRAGICA FATALITÀ. IL PERICOLO ERA RISAPUTO DA SEMPRE, MA PER MOLTI LUNGHI ANNI SI È PREFERITO INCASSARE PIÙ CHE RISANARE. UN CASO PERFETTO DI CAPITALISMO DA RAPINA”
Che il ponte Morandi fosse a rischio di caduta lo sapevano da anni e nonostante lo sapessero le spese di manutenzione diminuirono verticalmente, passando dagli 1,3 milioni l' anno spesi dallo Stato ai 23.000 euro l' anno spesi dalla nuova gestione formato Benetton. L' atto d' accusa, quasi una sentenza, è scritto nero su bianco nella relazione della commissione d' inchiesta voluta dal ministero.
FRATELLI BENETTON
C' è scritto che dal 1982 a oggi, per la conservazione del viadotto di Genova, sono stati spesi oltre 24 milioni, ma dalla privatizzazione al momento del disastro la cifra investita è stata di soli 470.000 euro. Il confronto è da paura. Soprattutto se si tiene conto dell'invecchiamento dell' opera e dei rischi manifesti di un collasso. Il pericolo era noto almeno dal 2017, cioè quando fu messo a punto dalla società concessionaria un progetto di ammodernamento del viadotto.
Tuttavia, nonostante ci fosse un' evidente minaccia di crollo, Autostrade sottovalutò «l'inequivocabile segnale d' allarme», «minimizzando o celando» la gravità della situazione al ministero delle Infrastrutture, senza «adottare alcuna misura precauzionale a tutela dell'utenza». A scrivere è ancora una volta la commissione d' inchiesta.
Nel documento, reso pubblico ieri sul sito del ministero guidato da Danilo Toninelli, i tecnici a cui è stata affidata la prima perizia dopo il disastro di Genova puntano il dito contro Autostrade per l'Italia, mettendo in luce una serie di gravi carenze della società.
Tanto per cominciare «non esisteva, non essendo mai stata eseguita, la valutazione di sicurezza del cavalcavia sul fiume Polcevera».
LA FAMIGLIA BENETTON SU VANITY FAIR
Già, perché al contrario di quanto il 23 giugno del 2017 aveva comunicato l' azienda, la commissione ha scoperto che nessuno si era mai preso la briga di eseguire con una perizia tecnica la valutazione di sicurezza. Altro che costante monitoraggio, come sui giornali sensibili alla pubblicità multicolore della famiglia di Ponzano Veneto si è detto e scritto. Sul ponte, che da anni era giudicato «ammalorato» a causa della salsedine e delle sollecitazioni di un traffico più che quadruplicato, nessuna misura per garantire la sicurezza dei viaggiatori è stata messa in atto.
IMPERO DELLA FAMIGLIA BENETTON
I tecnici della commissione, a questo proposito, non dimostrano di avere dubbi, al punto da sostenere che le funzioni di controllo affidate al Comitato tecnico del provveditorato, ossia le verifiche sulla stabilità del manufatto, non sono state eseguite in quanto Autostrade non ha mai segnalato alcuna criticità. Dicono i commissari: «Emerge, nel caso concreto, che esse non si sono potute espletare in modo compiuto a causa della omissione della segnalazione delle criticità non riportate con la dovuta evidenza negli elaborati progettuali presentati da Aspi».
I MEME SUI BENETTON E IL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA
Tradotto, significa che la commissione accusa Autostrade per l'Italia di aver taciuto, evitando di avvisare il ministero, forse per timore di controlli o forse proprio perché neppure l' azienda posseduta dai Benetton ha mai effettuato verifiche. Di più: secondo i tecnici nominati per conoscere le cause del crollo del 14 agosto e le eventuali omissioni della società, «la procedura di controllo della sicurezza strutturale delle opere documentata da Aspi, basata su ispezioni, è stata in passato ed è tuttora inadatta a prevenire crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso».
I MEME SUI BENETTON E IL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA
Ma il peggio è costituito dal passaggio in cui i commissari spiegano che fino al 1994, cioè fino a quando la società era nelle mani dello Stato, sono stati eseguiti lavori strutturali, dunque di mantenimento in sicurezza del ponte. Poi, dal 2005 a oggi, la spesa per interventi sulle strutture è scesa a 440.000, cioè poco più di 30.000 l' anno. «Nonostante la vetustà dell' opera e l' accertato stato di degrado», scrivono i tecnici, «i costi degli interventi strutturali fatti negli ultimi 12 anni sono trascurabili».
Insomma, il ponte invecchiava e rischiava di essere minato nella sua stabilità, ma l' azienda dei Benetton fece investimenti risibili. E dire che nel 2017, nella relazione della stessa Autostrade, «emergevano elementi che avrebbero dovuto spingere la società a prendere un provvedimento di messa in sicurezza improcrastinabile». E invece non fu fatto niente. Anzi, qualcosa fu fatto: si continuò a incassare il pedaggio sul transito di milioni di veicoli invece di bloccare il traffico.
GILBERTO BENETTON
L'analisi dei commissari non lascia spazio a incertezze. Il crollo del ponte Morandi non è stato una tragica fatalità, un evento improvviso e non annunciato. Il pericolo era risaputo da sempre, ma per molti lunghi anni si è preferito incassare più che risanare.
Un caso perfetto di capitalismo da rapina. Ma anche un caso in cui lo Stato, cioè colui che doveva controllare, ha dimostrato tutta la propria inefficienza.
E a proposito di mano pubblica e di dinamismo, quando si svolsero i funerali delle 43 vittime della strage il governo in coro giurò che avrebbe fatto in fretta a ricostruire il ponte per consentire a Genova di non essere spezzata in due. È passato oltre un mese da quella promessa, ma a oggi non solo non è stato posto neppure un mattone, ma non è stata nominata la struttura che dovrà occuparsene.
A quanto si apprende, il decreto dovrebbe essere stato trasmesso al Quirinale, dopo gli ultimi litigi, solo nella notte. Il commissario forse si saprà oggi, i tempi non sono definiti, il progetto vedremo. Sono passati troppi giorni. Proprio come nella peggiore Italia, quella che ha consentito, nell' indifferenza generale, che il ponte crollasse e seppellisse la vita di 43 persone.
“LE TRAVI NON REGGONO PIÙ”
NEL 2017 UN INGEGNERE PRESENTÒ 62 OBIEZIONI AL PROGETTO DI RISTRUTTURAZIONE DI PONTE MORANDI: TRA QUESTE CLAUDIO BANDINI CHIEDEVA CONTO DEI RISULTATI DEI TEST FATTI DA SPEA, CHE EVIDENZIAVANO L'USURA DELLE TRAVI
Estratto dell’articolo di Marco Mensurati e Fabio Tonacci per “la Repubblica”
IL MONCONE CROLLATO DEL PONTE MORANDI
Nelle 62 obiezioni al progetto di ristrutturazione del ponte Morandi presentato da Autostrade nel 2017, sollevate da un ingegnere della stessa società e, adesso, contenute in un documento riservato allegato alla relazione finale della "Commissione Toninelli", c' è, secondo i tecnici del ministero delle Infrastrutture, la Prova.
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PONTE MORANDI PERQUISIZIONI AL POLITECNICO E AL CESI
Si tratta dell' esito dei test fatti da Spea (società del gruppo Atlantia, che controlla anche Autostrade) sulle travi del Morandi su cui poggiava la strada. (…) «La verifica non è soddisfatta», come dimostra la tabella "St002" che riporta una sfilza di cifre inferiori a 1, l' indice sotto il quale una struttura rischia di crollare perché non sostiene più il peso per cui è stata progettata. In particolare, alle prove della Spea, alcune travi del Morandi dettero come risultato 0,58.
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PONTE MORANDI
La tabella della Spea è allegata al progetto esecutivo della ristrutturazione delle pile 9 (quella crollata) e 10 che il cda di Autostrade approvò il 12 ottobre 2017. Secondo il Codice degli appalti, però, quel progetto avrebbe dovuto prima essere certificato da un organismo esterno, perché superiore di 159.344 euro, al tetto dei 20 milioni. Norma che, secondo la Commissione, Autostrade ignorò deliberatamente. Tant' è che incaricò della certificazione un interno, l' ingegner Claudio Bandini.
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IL PROGETTO DI RICOSTRUZIONE DI PONTE MORANDI DI STEFANO GIAVAZZI
Il suo compito era di scrivere un rapporto di validazione. E però, l' ingegner Bandini, quando vide quelle cifre, si spaventò. Rimandò l' incartamento ai mittenti, senza validarlo, ma accompagnandolo con 62 osservazioni e domande.
(…)
Rimediò, sia pure in burocratese, una rispostaccia: «L' intervento sugli stralli costituisce un' attività estremamente specialistica, il cui sviluppo si traduce in scelte costruttive e dimensionali fortemente presidiate in fase di progettazione. Pertanto non si ritiene necessario intervenire sugli aspetti sopra menzionati». In altre parole, Bandini si doveva fare gli affari suoi.
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Tra le sue osservazioni, vane, ce ne è una che la Commissione ha tenuto a sottolineare. La numero 3. Dove Autostrade scivola su una bugia. Bandini chiese se i progettisti fossero in regola con gli adempimenti in zona sismica. Risposta: «Gli adempimenti sono in corso». (…) Ecco l' incongruenza: Autostrade dà tre versioni diverse dello stesso fatto. La prima, del 23 giugno 2017: Autostrade con una nota comunica alla Direzione generale di Vigilanza sulle concessionarie autostradali, quindi al ministero, che gli adempiementi sismici «sono stati effettuati». La seconda, quella offerta all' ingegner Bandini: «Sono in corso». La terza, quella sostenuta due giorni fa da Autostrade: «Non erano necessari».