L' 80% ARRIVA DALL'ESTERO, L’ALLARME DELLA COLDIRETTI: "ATTENTI ALLE CONTRAFFAZIONI"
IL PANGASIO DEL MEKONG VENDUTO COME CERNIA E LO SQUALO SMERIGLIO SPACCIATO PER PESCE SPADA - I NAS: IL 70% DELLE INFRAZIONI RIGUARDA ASPETTI AMMINISTRATIVI
Maria Rosa Tomasello per la Stampa
Il pesce, si sa, è per definizione muto. Ma se potesse parlare, scopriremmo che non parla più italiano. Negli ultimi 25 anni, mentre la nostra flotta peschereccia perdeva progressivamente pezzi, passando da oltre 18.000 a circa 12.500 imbarcazioni, e i posti di lavoro calavano di 18mila unità, le importazioni crescevano di pari passo con l' aumento del consumo di pesce (che oggi si attesta a 28,9 kg pro capite), lievitando all' attuale 79%.
La realtà fotografata dalla Coldiretti sulla base dei dati Istat è sorprendente per una nazione che vanta quasi ottomila chilometri di costa e una gloriosa tradizione marinara: nei mari italiani si pescano oggi 180mila tonnellate di pesci, mentre le importazioni ammontano a oltre un milione di tonnellate (erano 582mila nel 1993, +84%), compresi prodotti congelati, essiccati e preparazioni, con Spagna, Paesi Bassi e Grecia sul podio dei Paesi esportatori e il 40% in arrivo da Paesi extra Ue. La quota del fresco ammonta a 290mila tonnellate.
Al primo posto tra i prodotti stranieri ci sono seppie e calamari (135mila tonnellate), seguiti dalle conserve di tonno e gamberetti. Una situazione in cui, secondo Coldiretti, il rischio principale sono gli inganni in agguato al ristorante dove «mangiamo il 50% del pesce che consumiamo» e dove, contrariamente a pescherie e supermercati, non esiste obbligo di indicare la provenienza.
«Serve un' etichetta d' origine anche sui menù, una vera e propria "carta del pesce"» chiede l' associazione, che mette in guardia anche da truffe e contraffazioni, perché «il prodotto proveniente dall' estero ha meno garanzie rispetto a quelle Made in Italy: basta pensare al pangasio del Mekong venduto come cernia, al polpo del Vietnam spacciato per nostrano o allo squalo smeriglio venduto come pesce spada».
E senza considerare il congelato contrabbandato come fresco o l' estero come nazionale. I risultati dei controlli certificano che il rischio di ritrovarsi a tavola prodotti «truccati» esiste, nonostante in Italia i controlli, dalle frontiere fino alle Asl, siano rigorosi. Nel corso del 2017 le Capitanerie di porto hanno effettuato 21.112 verifiche lungo tutta la filiera, rilevando 2.814 illeciti, più del 13%.
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Le insidie delle etichette Un focus dei carabinieri del Nas conferma che le irregolarità esistono e non solo sull' import: dal gennaio 2017 al giugno 2018 su 2.476 controlli effettuati sono state riscontrate 697 situazioni di «non conformità», circa il 27% (ristorazione esclusa), con 310mila kg di prodotti sequestrati e 70 strutture chiuse. Le irregolarità penali (237 i denunciati) vanno dalla tentata frode in commercio (pesce congelato venduto come fresco o in cattivo stato di conservazione) fino alle lesioni per aver somministrato ai clienti prodotti infestati dalla larva dell' anisakis o contaminati da istamina, sostanza che si sviluppa nel pesce vecchio o mal conservato e che può provocare una reazione allergica nota come "sindrome sgombroide".
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«Il 70% delle infrazioni - spiega il maggiore Dario Praturlon - riguarda aspetti amministrativi: le violazioni più frequenti sono carenze igieniche, mancanza di tracciabilità, che a volte nasconde anche il fenomeno del mercato clandestino o la pesca di frodo, e l' irregolarità dell' etichettatura». Gli esempi non mancano: nell' aprile 2017 i Nas di Milano denunciarono due dipendenti di un' azienda importatrice «perché sorpresi a sostituire etichette di prodotti provenienti dal Marocco per differire la data di confezionamento».
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Giuseppe Palma, medico veterinario e segretario generale di Assoittica, che rappresenta circa 100 aziende italiane con un fatturato di cinque miliardi di euro e tremila dipendenti, invita però a evitare allarmismi: «Non esiste Paese al mondo in cui ci sia maggior qualità dei controlli: io dico sempre che i sequestri ci sono perché ci sono gli accertamenti. Un rischio reale non c' è.
Tutta l' Europa importa: il pesce importato offre maggiore varietà, servizio e prezzi calmierati.Uno dei problemi principali non è la mancanza di pesce nostrano, ma che sono cambiate le abitudini alimentari degli italiani. Il pesce fresco va pulito, puzza, va consumato in fretta, e il consumatore si rivolge sempre di più verso un "prodotto con servizio": pulito, sfilettato. I nostri pescatori preferiscono invece venderlo fresco "tal quale"».
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La crisi delle risorse ittiche «Tutto è cambiato alla fine degli anni Ottanta, quando ci si è resi conto che le risorse ittiche non erano inesauribili, anche perché non c' eravamo solo noi, spagnoli e francesi a farla da padroni, ma erano cresciuti i Paesi del Nordafrica e quelli balcanici» racconta Tonino Giardini, direttore generale di Coldiretti Impresa Pesca.
Per evitare lo spopolamento del mare (oggi il 70% delle risorse del Mediterraneo è in crisi) la prima risposta è stato il fermo pesca, che in questi giorni tiene a terra le barche su Tirreno e Ionio (da Brindisi a Roma), riducendo la quantità del pescato italiano. Il passo successivo sono stati gli incentivi alla rottamazione dei pescherecci, che hanno contratto drasticamente la flotta: l' ultimo provvedimento per il 2014-2020 si è chiuso il 31 dicembre 2017, con il ritiro di 220 imbarcazioni, in maggior parte a strascico.
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«Ma l' obiettivo della sostenibilità ambientale non è stato raggiunto - osserva Giardini - E ora servono politiche di promozione per ricordare che la produzione italiana, sottoposta a vincoli di tempi e strumenti, rispetta l' ambiente». E la stagionalità contro le "mode" alimentari: «Questo è il periodo delle triglie: costano poco e sono ottime. Le seppie, per esempio, vanno acquistate tra marzo e aprile. Bisogna alfabetizzare i consumatori, che conoscono e mangiano poche specie». La Federpesca sta lavorando a protocolli di tracciabilità volontaria per evitare, dice il presidente Luigi Giannini, «di perdere ulteriori pezzi». «Siamo rimasti la Cenerentola. La situazione odierna è inaccettabile, frutto di un' operazione fallimentare che promana dall' Unione europea per incentivare in ogni modo l' abbandono del settore - accusa - Ma è stato un sacrificio unilaterale, perché alla riduzione di capacità di pesca italiana si è sostituita quella di altri Paesi rivieraschi, dove le flotte sono cresciute» in mancanza di regole tanto stringenti. Gilberto Ferrari, direttore di Federcoopesca, concorda: «Siamo troppo bravi in una realtà in cui Paesi amici che non lo sono. E così ci ritroviamo a proteggere il nasello e il gambero nel Canale di Sicilia mentre magari Tunisia ed Egitto li pescano al posto nostro».
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Uno scenario in cui il futuro sembra rappresentato dall' acquacoltura, che oggi produce circa 140mila tonnellate annue: «Il 50% di pesce importato viene dall' acquacoltura - fa notare Pier Antonio Salvador, presidente dell' Associazione Piscicoltori Italiani - e se non possiamo far crescere la pesca è questo il settore che dobbiamo sviluppare».
L' Italia vanta alcuni primati: è il primo produttore europeo di trote, come di vongole, il secondo produttore al mondo di caviale dopo la Cina: «Dobbiamo solo rassicurare i consumatori che mangiare i prodotti di acquacoltura è sicuro perché la qualità dei mangimi è sottoposta a regole severissime» .
Fonte: qui
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