9 dicembre forconi: Attenti ai titoli di Stato, le regole sono cambiate

martedì 25 settembre 2018

Attenti ai titoli di Stato, le regole sono cambiate

L’allarme dell’economista Fabrizio Zampieri: ”se avete acquistato titoli di Stato italiani state attenti. I vostri risparmi sono a rischio”. Dal Bollettino della Banca di Italia il debito pubblico si è attestato a 2.323,3 miliardi di euro e ”le banche italiane sono scese in campo”.

La BCE ci informa che le disponibilità di debito italiano da parte di investitori stranieri sono diminuite di 38 miliardi di euro nel mese di giugno e di 34 miliardi a maggio; nel frattempo la proprietà netta delle banche italiane è aumentata di 40 miliardi nel secondo trimestre del 2018”.


L’economista della Federcontribuenti, prof Fabrizio Zampieri, allerta i correntisti italiani sui rischi che corrono: ”il mercato dei titoli di Stato in Italia sta diventando praticamente un affare domestico. Questo vuole dire che i titoli venduti dagli investitori stranieri sono in gran parte ricomprati dalle istituzioni finanziarie italiane ma, a loro volta, le banche italiane hanno come garanzia il denaro di risparmiatori e obbligazionisti che risponderebbero con i propri capitali e risparmi in caso di dissesti finanziari, grazie alla procedura del bail in. Molti titoli di Stato, ricorda lo studio di Federcontribuenti, dipendono dalle banche.

Se dovesse succedere qualche evento negativo – rileva il prof. Zampieri – potrebbero essere ancora i conti correnti dei risparmiatori italiani a pagarne le conseguenze. La vera minaccia per i risparmiatori italiani viene dal Decreto n. 96717, del 7 Dicembre 2012, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n.294 del 18.12.2012. ”Con questo decreto, per i nuovi titoli di Stato, a partire dal 1° gennaio 2013, sono state introdotte le clausole di azione collettiva (CACs). ”Si tratta, quindi – fa presente Zampieri – di clausole inserite nei prospetti o nei regolamenti dei titoli di Stato di nuova emissione che consentono ad uno Stato in difficoltà finanziarie di ristrutturare il proprio debito, ad esempio allungando le scadenze, riducendo i tassi, modificando o cancellando l’importo da rimborsare, o proponendo lo scambio con altre obbligazioni, attraverso una procedura prestabilita.


Un esempio al riguardo è quello della Grecia.
In altre parole l’Italia, in caso di difficoltà finanziarie e addirittura di default, potrebbe non pagare i suoi titoli a chi li detiene. All’interno del Decreto si parla, quasi elegantemente, di “rinegoziazione del debito” che, in parole povere, significa che si possono prendere i soldi dei risparmiatori.

”Proprio per questi motivi – conclude il prof. Zampieri – se fossi un possessore di titoli di Stato italiani, specialmente a tasso fisso, non dormirei certo sonni tranquilli e mi attiverei sin da subito per rivedere i miei piani finanziari di medio-lungo periodo”.
Conclude il presidente Marco Paccagnella: ”Il miglior cliente per una banca è uno Stato che come un giocatore incallito gli ricorre per ogni prestito.


Investimenti usati malissimo considerata la poca crescita occupazionale, le infrastrutture carenti o assenti, i tagli nel SSN, nelle scuole o la lentezza nella ricostruzione delle zone terremotate. Abbiamo bisogno di poche, chiare regole di mercato, più specificatamente la tradizionale attività di credito operata dalle banche va divisa da quella che viene invece svolta nel campo finanziario.
Il tutto richiede competenza e correttezza da parte di ogni operatore del mercato. Non vi è mercato che possa funzionare senza regole, né vi può essere prudente gestione senza correttezza; quest’ultima si sostanzia non solo nel rispetto scrupoloso della legge e delle regole di vigilanza, ma anche nell’aderenza piena all’etica degli affari.

A questo grande tavolo verde lasciamo giocare i piccoli risparmiatori italiani che ignari delle regole vengono chiamati a puntare con i propri sacrifici. Questo si chiama raggiro e va perseguito severamente”.
Autore: Pierpaolo Molinengo Fonte: News Trend Online

Fonte: qui

L’Italia vale molto meno di quanto crediate, e gli operatori lo sanno.

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Stimare quanto valga un sistema economico nazionale ricorrendo ad uno o più indicatori è cosa ardua, perché ciascuno di essi rappresenta i fenomeni considerati della loro definizione. In altri termini, sono verità parziali.

Ci aiuteremo ricorrendo a qualche esempio, da prendersi con sano buon senso.

Popolazione.

Secondo Eurostat l’Unione Europea assomma 513,162,753 persone. L’Italia avrebbe 60,665,551 abitanti, ossia l’11.82% dell’Unione.

Pil.

World Bank indica il pil 2017 dell’Unione Europea a 17,227,698 Usd, 1,934,798 Usd per l’Italia, ossia l’11.23% dell’Unione.

Pil ppa.

L’International Monetary Fund stima per il 2017 il pil ppa dell’Unione Europea a 20,982,857 Usd, essendo 2,310,902 Usd quello della Italia, ossia l’11.01% del pil ppa dell’Unione Europea.

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Come si constata, questi tre indici forniscono risultati percentuali ragionevolmente simili. Il pil ppa percentuale dell’11.01% è però significativamente minore dell’11.82% stimato sulla popolazione, segno non certamente buono.

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Se però invece si questi ectoplasmi finanziari si passasse alle vili contabilità, la musica suonerebbe del tutto differente.

La Banca di Italia pubblica regolarmente il Report: “TARGET2: il sistema dei pagamenti all’ingrosso“.

«Target2 si basa su una piattaforma unica condivisa (Single Shared Platform, SSP) – sviluppata dalle banche centrali di Francia, Germania e Italia – che regola gli ordini di pagamento provenienti dagli intermediari bancari e finanziari europei»: l’Italia dovrebbe svolgere ruolo dominante. Eccone il summary a fine 2017.»

– I partecipanti totali sono 1,073, dei quali 89 sono italiani: ossia l’8.29%.

– 350,000 pagamenti regolati in media ogni giorno, per una media giornaliera complessiva di 1,697 miliardi di euro: l’Italia rende conto di 34,000 pagamenti regolati in media ogni giorno, per una media giornaliera di 68 miliardi di euro.

Per numero di pagamenti 100 * 34,000 / 350,000 = 9.71%.

Per controvalore 100 * 68 / 1,697 = 4.01%.

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Se la percentuale del numero delle transazioni effettuate, 9.71%, è già molto sotto il valore atteso, quella del controvalore, 4.01%, è a livello di catastrofe incombente.

La conclusione è drammaticamente semplice.

L’Italia è un paese stagnante, ove la gente non opera. Denari ce ne sarebbero, ma nessuno arde dal desiderio di impiegarli, anzi, se li tengono belli stretti.

L’analisi di questi dati sarebbe lunga, complessa e molto tecnica. Ne riportiamo solo le principali conclusioni.

Se la percentuale del controvalore trattato scendesse sotto il 3%, e ci si è molto vicini, il sistema Italia collasserebbe: che andasse bene si ritornerebbe all’uso delle conchiglie cauri.

Obiettivo primario del Governo dovrebbe essere quello di rimettere in moto la produzione, unico comparto che genera transazioni e, quindi, ricchezza. Delegificazione, deburocratizzazione, abbassamento consistente della pressione fiscale, riduzione delle aliquote Iva, liberalizzazione del mercato del lavoro: queste dovrebbero essere le priorità del Governo.

Quando la rendita finanziaria è maggiore di quella economica, ossia, in linguaggio da osteria, si guadagna di più ad investire in borsa rispetto al comparto produttivo, la scelta è virtualmente obbligata: nessuno più intraprende né lavora.

Fonte: qui

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