9 dicembre forconi: 06/16/16

giovedì 16 giugno 2016

Quattro amici al bar per cambiare la Costituzione

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Avevano vissuto in esilio, in galera, in clandestinità. Erano andati sui monti a testimoniare un’opposizione libertaria. Alcuni di loro morirono. E il 2 giugno alcuni di loro furono eletti all’assemblea costituente. In un anno e mezzo, nonostante le grandi differenze ideologiche, scrissero la carta costituzionale, 144 articoli, di cui 5 furono poi abrogati. Erano uomini con esperienze differenti, con aspettative differenti e ci misero 18 mesi. 

Ora quattro gatti sconosciuti ai più vogliono cambiare 51 articoli.

Per farli erano in 556, ora solo altrettanti a votare sì/no, ma il dibattito sul merito non lo ha visto nessuno.
Ogni tanto in qualche talk show arriva il solito bene informato che ci dice il perché e il per come. Ma un dibattito sul merito, sulle conseguenze, sui buchi eventuali che si creano, questo no. Non ho mai sopportato Baffino, troppo supponente per poi essere preso in giro dall’ex tutto (ex cavaliere, ex premier, ex milan e quasi ex mediaset), ma almeno lui per riformare la Carta, una Costituente la voleva.

Questo bimbo-minchia, drogato di parole, pretende di fare con i quattro amici al bar. Che di regola sono quelli che fanno a chi le spara più grosse.

E forse ha ragione, se si pensa che sempre quel 2 giugno quasi 11 milioni di italiani votarono per la monarchia, ovvero per quel re che aveva regalato l’Italia a Mussolini, che poi scappò a Salerno, lasciando l’esercito senza indicazioni, allo sbando e al massacro dei tedeschi (Cefalonia, tanto per dire). Era anche fisicamente una macchietta, eppure era il re e 11 milioni di italiani, magari con morti, mutilati o deportati in famiglia, votarono per lui.

Questo spiega anche perché la nostra Costituzione sia rigida e lunga. Forse mostra i segni del tempo, forse.

Perché forse è il nuovo che avanza che vuole qualcosa di differente. Il nuovo è visto come positivo, balle.

I 556 eletti lo furono nella stragrande maggioranza per le loro idee. Oggi lo sono per la loro appartenenza. 

La Finanza nel ’46 era la Guardia di…, oggi è tutto, compra tutto e vuole tutto.

Quello che non vuole, sono uomini pensanti e indipendenti.

Quindi non vogliono che votiamo per decidere se il TTIP ci va bene, come non ci hanno interpellato per il WTO, neppure sull’apertura a nuovi Stati membri in Europa, hanno chiesto il nostro parere.


Per aver mano libera, mettono ora mano a quello che li può fermare: i principi fondanti di uno Stato, il nostro. 
Riformare non vuol dire stravolgere e non vuol dire farlo, senza aver sentito la Corte Costituzionale ( sennò cosa la paghiamo a fare). Sul merito mi informerò, per quegli uomini (di allora, che poi cambiarono molto e molto spesso in peggio) e per l’arroganza del modo, è in partenza un NO secco.

Fonte: qui

La Svizzera ritira ufficialmente la domanda di adesione all'UE

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La Svizzera ha ritirato ufficialmente la domanda di adesione all'Unione Europea presentata 24 anni fa.

La proposta ha ricevuto il sostegno di 27 membri della Camera alta del Parlamento su 46.

I media locali riferiscono che 27 membri della Camera alta del Parlamento su 46 hanno dato il proprio sostegno all'iniziativa, in precedenza sostenuta dal Consiglio Nazionale, la Camera bassa del parlamento svizzero.
La Svizzera aveva presentato la domanda di adesione il 25 maggio 1992 congelandola in seguito alla contrarietà espressa dai cittadini elvetici tramite referendum.
La mossa della Svizzera arriva una settimana prima del referendum, previsto per il 23 giugno, sulla membership Ue del Regno Unito.    

UE, Stati per ritiro richiesta adesione

 mercoledì 15/06/16 12:57
La Svizzera deve ritirare ufficialmente la domanda d'adesione a suo tempo presentata all'Unione europea. E' la posizione espressa dal Consiglio degli Stati che oggi, mercoledì, ha approvato con 27 voti contro 13 una mozione in tal senso del parlamentare Lukas Reimann (UDC/SG).Essa era già stata adottata lo scorso marzo dal Consiglio nazionale con una netta maggioranza: 126 erano stati i voti favorevoli, 46 i contrari e 18 le astensioni.L'istanza in questione era stata inoltrata a Bruxelles 24 anni fa, quando l'UE aveva ancora la denominazione di Comunità economica europea (CEE). 

Fonte: rsi.ch

Pensioni: Prestito per anticipo, rata fino a 15% assegno. Si pagherà fino a 84 anni

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Giudizio positivo del presidente dell’Inps, Tito Boeri, sull’esito della riunione tra governo e sindacati sulle pensioni. Dare libertà di scelta alle persone sull’accesso alla pensione, rileva, “è una cosa importante”. Lo afferma il presidente Inps, Tito Boeri, a proposito dell’incontro di ieri tra governo e sindacati sulla possibilità di accedere alla pensione tre anni prima dell’età di vecchiaia grazie a un prestito pensionistico da restituire in 20 anni. “Sono soddisfatto – entrando alla Stampa Estera per la firma di un protocollo con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi – che il governo affronti seriamente la questione”.

Critica, invece, la Lega con il capogruppo alla Camera, Massimiliano Fedriga.

Il governo delle banche – dice – ha colpito ancora e per far andare i lavoratori in pensione chiede loro il pizzo. Una mossa, l’ennesima, a danno dei cittadini che in sostanza si pagheranno da soli l’uscita pensionistica con annessi interessi. Altro che 80 euro ai pensionati il governo si frega le pensioni facendo pagare anche gli interessi”.

Lo afferma il capogruppo alla Camera della Lega Nord, Massimiliano Fedriga. L’Ape proposto da Renzi “non prevede, infatti, una semplice penalizzazione ma un vero e proprio pizzo che può arrivare fino al 15% dell’assegno pensionistico. Vergognoso. Non solo, in questo modo non si mette mano alla Legge Fornero ma si avalla uno scippo a danno di chi ha lavorato una vita. Un furto legalizzato dal governo che cala la sua mannaia su lavoratori e pensionati. Ci sorprende anche il plauso servile dei sindacati che invece di difendere i lavoratori sembrano più intenzionati a dire sì al despota Renzi che pensa più alle banche che ai cittadini”.

PRESTITO VENTENNALE, ECCO COME FUNZIONERA’ –

Dal prossimo anno sarà possibile uscire dal lavoro fino a tre anni prima dell’età di vecchiaia con l’anticipo pensionistico (Ape) da restituire in 20 anni.

Ma per chi lascia l’impiego volontariamente la rata di prestito potrebbe arrivare fino al 15% dell’assegno per quei 20 anni: è quanto emerso all’incontro tra Governo e sindacati sulla previdenza.

Il Governo ha ribadito la necessità di tenere insieme l’equilibrio dei conti pubblici con l’equità sociale e l’intenzione di concentrare le risorse sulle situazioni più problematiche e quindi soprattutto su chi a pochi anni dall’età di vecchiaia ha perso il lavoro o rischia di perderlo.L’intenzione è di introdurre flessibilità in uscita senza modificare la legge Fornero, utilizzando strumenti finanziari (considerando che la stima dei costi è di 10 miliardi).
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ha spiegato che il meccanismo di anticipo pensionistico sarà sperimentale per tre anni e che riguarderà l’anno prossimo i nati tra il 1951 e il 1953 (si estenderà nel 2018 ai nati nel 1954 e nel 2019 ai nati nel 1955). In pratica chi è distante meno di tre anni dall’accesso alla pensione potrà chiedere all’Inps di certificare il requisito e di accedere allo strumento. Il montante pensionistico sarà quello raggiunto al momento della richiesta dell’anticipo mentre il coefficiente di trasformazione sarà quello del momento nel quale si raggiunge l’età di vecchiaia.

L’istituto di previdenza(quale venditore conto terzi di denaro!) si interfaccerà con istituti finanziari che anticiperanno il capitale.

Il prestito, ha spiegato Nannicini, sarà “senza garanzie reali” e in caso di premorienza non ci si rivarrà sugli eredi. Sarà pagato con una rata sulla pensione, ma si ragiona anche su una detrazione fiscale in modo da ridurre i costi di questo meccanismo, in particolare per “i soggetti più deboli e meritevoli di tutela”.
I tempi per la restituzione del prestito dovrebbero essere di 20 anni, quindi nel caso di uscita a 64 anni si pagheranno rate fino a 84.
“Lo strumento – ha spiegato Nannicini – è molto flessibile. La detrazione fiscale potrà essere modificata per categorie diverse”. In pratica ci saranno costi minori per chi ha perso il lavoro e costi più alti per chi decide volontariamente di lasciare l’impiego prima dell’età di vecchiaia.
“La penalizzazione è implicita”, è costituita cioè dalla stessa rata di ammortamento, ha inoltre affermato. “E’ stata una giornata positiva – ha detto il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti – di lavoro importante. Siamo passati dall’elenco delle tematiche a una valutazione di merito”.
Il confronto sulla previdenza prosegue il 23 giugno, mentre il 28 giugno ci sarà un focus più specifico sulla rivalutazione delle pensioni già in vigore.
Il 30 giugno è prevista una riunione sulle politiche attive per il lavoro.
I leader di Cgil, Cisl e Uil intanto apprezzano l’avvio del confronto di merito, che proseguirà con gli altri appuntamenti in calendario. “C’è la disponibilità del governo ad entrare nel merito di vari aspetti”, ha commentato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, auspicando che il confronto “produca dei risultati. Ad oggi abbiamo iniziato. C’è qualche novità positiva”. Comunque “abbiamo bisogno di un quadro di insieme e abbiamo ribadito che il nostro obiettivo è andare ad una modifica effettiva della legge Fornero”. Parla di “clima cambiato” il numero uno della Cisl, Annamaria Furlan, perché “si è attivato un confronto vero. Credo che dovremo proseguire con questo spirito. Abbiamo iniziato un percorso e cerchiamo di farlo fruttare”. “Non abbiamo ancora un giudizio complessivo, perché occorre ancora scandagliare il merito”, ha detto il leader della Uil, Carmelo Barbagallo, tuttavia “di positivo vedo” il fatto che i futuri pensionati non avranno un rapporto diretto con banche e assicurazioni ma continueranno a raffrontarsi con l’Inps. “Il Paese – ha rimarcato – si aspetta qualcosa di buono, vediamo di non deluderlo”.

Fonte: Ansa

P.S. un Governo, come i sindacati, prono ed al servizio delle banche, con la conseguenza che ogni strumento governativo, in campo economico, è creato al fine di aumentare il giro d'affari dei banchieri.

E SE IL 23 GIUGNO SI VOTASSE ANCHE IN ITALIA PER L'USCITA - IN UN COLPO SOLO - DA UE E EURO, CHE ACCADREBBE?

ar_image_4901_lmercoledì 15 giugno 2016
Lunedì scorso, il principale quotidiano economico nazionale, nella sua versione cartacea, riguardo al possibile successo del Brexit al referendum del 23 giugno scriveva testualmente “L’unica cosa certa è che si cercherebbe di dare all’Inghilterra una lezione durissima, facendole pagare cara l’uscita, nella speranza di dissuadere i cittadini europei dal cercare simili avventure”.

Nemmeno i dispacci delle SS ai tempi bui del nazismo arrivavano a simili livelli di arrogante violenza nei confronti della libera espressione democratica del volere popolare.

Semmai ve ne fosse bisogno, si tratta dell’ennesima dimostrazione che la ue NON è una struttura democratica, ma un regime dittatoriale asservito alle élites finanziarie (che sono ben diverse dai ceti imprenditoriali e capitalistici tradizionalmente intesi) che guadagnano e speculano su una realtà economica “virtuale” scaricando le perdite sulla popolazione ed incamerando guadagni impressionanti.

Non è un caso se l’ex sindaco di Londra Boris Johnson abbia dimostrato che il top management delle aziende quotate del FTSE100 arrivi a guadagnare 150 volte lo stipendio medio di un loro dipendente, contro le 25 volte di inizio anni 80. E’ chiaro che le oligarchie non vogliano mollare la presa e siano disposte a tutto, pur di mantenere la popolazione europea nella loro morsa d’acciaio costituita da alta disoccupazione, bassa crescita e fortissima immigrazione.

E l’Italia?

L’Italia sta infinitamente peggio dell’Inghilterra: per la prima volta nella sua storia, la speranza media di vita è scesa, ben 11.000.000 di italiani rinunciano a cure mediche per mancanza di soldi ed il 10% della popolazione non sa se il giorno successivo sarà in grado di mangiare.

Un panorama desolante come neppure la Seconda Guerra Mondiale ci aveva lasciato, simile, forse, solo alla situazione dei paesi dell’ex blocco sovietico all’indomani del crollo del muro di Berlino. Naturalmente, mentre gli italiani rinunciano a curarsi, questo governo di non eletti, spende 7 miliardi di euro per l’accoglienza di sedicenti “profughi” belli in carne e robusti che pretendono aria condizionata, televisione satellitare e ogni altra comodità.

Tutto questo per spiegarvi che all’interno di questa Ue NON esiste speranza per l’Italia.

Ma cosa accadrebbe in caso di italexit?

Proviamo ad immaginare che il 23 giugno si votasse da noi e vincessero i fautori dell’uscita dalla Ue e dall’euro. In base ai trattati della Ue, verrebbero negoziati i tempi per l’uscita dell’italico stivale dalla cortina di ferro ed il ritorno alla lira. Sarebbe morte distruzione e rovina? Decisamente no, e vediamo perché:

Svalutazione della lira rispetto ad euro e dollaro, ovvero crescita del PIL: si tratterebbe del riequilibrio del cambio, ora decisamente sopravvalutato rispetto alla nostra realtà. Accadrebbe né più né meno di quanto accaduto nel 1992 a seguito della speculazione di Soros: la svalutazione della lira fece da preambolo ad una robusta crescita del PIL nel 1994 e 1995 (+2,2% e +2,9%) ed al boom delle esportazioni nei tre anni successivi (+8,7% nel 1993, + 9,6% nel 1994, +12,5% nel 1995).
Questo accadde perché la svalutazione della lira rese competitivo il made in Italy in tutto il mondo e fu il motivo per cui i tedeschi, per accoglierci nel “paradiso” dell’euro pretesero una fortissima (e artificiosa) rivalutazione della lira tramite il rapporto di cambio lira/euro che di fatto estromise le nostre aziende dai mercati internazionali a favore di quelle teutoniche.
Rischio di inflazione quasi nullo: a quanti paventano l’iperinflazione, è bene ricordare che l’euro ha perso quasi il 30% del suo valore dai massimi, ma l’Italia e quasi tutta la ue è in deflazione, per cui il rischio di un’inflazione a due o tre cifre è solo nella mente in malafede dei prezzolati filo ue che vogliono mantenervi in uno stato di miseria e depressione. Qualora il prezzo del petrolio dovesse salire o il rapporto nuova lira /dollaro mettere a rischio il prezzo dell’energia, sarebbe sufficiente togliere qualche accisa messa dal trio infernale monti-letta-renzi per riequilibrare la situazione.
Sovranità monetariala Banca d’Italia dovrebbe tornare prestatore di ultima istanza, esattamente come la Banca d’Inghilterra o la Banca del Giappone, ovvero garantire l’emissione dei titoli di stato monetizzando l’eventuale invenduto. Anche in questo caso, il rischio d’inflazione è nullo data la situazione in cui versa il paese. Grazie alla sovranità monetaria, il governo potrebbe avviare una serie di investimenti per modernizzare il paese: banda larga, manutenzione delle strade e delle ferrovie, ritorno ad una sanità pubblica degna di questo nome, tutela delle pensioni e degli anziani.
Riforma fiscalealiquote progressive fino ad un max del 25% e taglio dell’iva sui generi primari, con conseguente inasprimento delle pene per gli evasori, in particolare per le grandi imprese e le banche.
Salvataggio delle banchenazionalizzazione delle banchecon arresto immediato e confisca dei beni per tutti gli amministratori delle banche in dissesto e condanna a pene esemplari. Questo perché ad essere tutelati devono essere i risparmiatori e non i pessimi manager.
Aumento dei consumi interni di prodotti nazionali: la svalutazione della nuova lira renderebbe più conveniente acquistare prodotti realizzati in Italia piuttosto che in Germania e questo favorirebbe le aziende italiane ed il riassorbimento della disoccupazione.
Tutto questo potrebbe essere attuato solo in caso di uscita dell’Italia dalla ue e dall’euro.
Minacce di rappresaglia? Dazi doganali? Siamo sicuri che a rimetterci non sarebbero i paesi nordici, Germania in testa?
Chiaramente, se il governo Merkel dovesse imporre dazi ai prodotti italiani, noi faremmo altrettanto contro i prodotti provenienti dalla Germania (sarebbero già oggi d’obbligo, visto che molti prodotti tedeschi sono truffaldini, vedasi i motori volkswagen!) e siamo proprio sicuri che le case automobilistiche germaniche sarebbero disposte a rinunciare ad uno dei principali mercati di sbocco dei loro prodotti? L’idiozia tedesca è un fatto storico, come la sua ottusità, ma se non vendi, non puoi far mangiare lamiera ai tuoi operai e sanzioni contro l’Italia porterebbero dritto a questo.
Speculazioni finanziarie, vendetta dei “mercati” come auspicato al Sole24ore?
I “mercati” sono uomini che speculano dietro un computer sulla pelle della gente e compito della politica è regolamentare i “mercati” che sono tutto tranne che un’entità astratta, anche attraverso il carcere.
Per la cronaca, quanto illustrato qui non è fantascienza, ma manovre politiche ed economiche attuate da paesi con tassi di crescita decisamente migliori dei nostri, che hanno deciso di non svendere la loro sovranità ed il benessere dei propri cittadini ai gangsters della finanza.

Ora, cari italiani, dovete decidere se riprendervi il vostro benessere e la vostra speranza di vita o se morire di stenti e sacrifici per servire i “padroni” della Ue. E’ tempo di decidere del vostro futuro e di quello dei vostri figli, non di agitarvi per un rigore non concesso.

Luca Campolongo
Fonte: ilnord.it
http://www.kushnirs.org/macroeconomics_/it/italy__export.html
http://www.kushnirs.org/macroeconomics_/it/italy__gdp.html#main
http://www.telegraph.co.uk/opinion/2016/03/16/boris-johnson-exclusive-there-is-only-one-way-to-get-the-change/
http://www.tempi.it/qual-e-il-paese-europeo-che-cresce-di-piu-ebbene-si-limpresentabile-ungheria-di-orban#.V2ALz_mLTIU
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/sanit-undici-milioni-rinunciano-cure-1269080.html