9 dicembre forconi: 06/09/18

sabato 9 giugno 2018

Perchè i mercati temono il G7?

Mercati sotto pressione, l'inizio del G7 sta creando più di un nervosismo. 

Perchè i timori? 

Il motivo di tutto questo, come accennato, è l'avvio dei lavori del G7 in Canada, un meeting che, a differenza degli altri appuntamenti, ha in serbo più di un argomento scotante sul tavolo. A Chalevoix, nel Québec in Canada ci sarà un confrotno serrato (con ogni probabilità nemmeno pubblico) tra i vari paesi colpiti dai dazi voluti dagli Usa e questi ultimi, che tra l'altro vedranno il proprio presidente dire addio in anticipo ai lavori per raggiungere Singapore e prepararsi all'appuntamento storico con la Corea del Nord. Partendo da questo punto, però, i mercati avvertono le tensioni e già sanno che la partenza di Trump sarà un elemento in più che impedirà il raggiungimento di un accordo positivo per il commercio internazionale. Ma questo pone anche un altro interrogativo: è in arrivo un riequilibrio mondiale? La dimostrazione più lampante potrebbe arrivare dalla decisione presa dallo stesso Trump di dar vita a colloqui bilaterali (in particolar modo sul commercio) invece che chiudere intese internazionali in modo da poter far valere un “potere contrattuale” palesemente superiore per gli Usa. La domanda però nasce spontanea e riguarda i costi e le dinamiche: nei singoli contratti a due le singole nazioni coinvolte cercano per ovvi motivi il proprio vantaggio, estromettendo un bene collettivo che, proprio per a natura del contratto a due, non esiste.

Un passo indietro

Conseguenza: dinamiche più complesse negli scambi internazionali e costi molto più alti, così come anche tempi più lunghi per rinegoziare con ogni singola delegazione. A discapito del commercio internazionale e, con ogni probabilità, anche dei rapporti diplomatici, anche perché, come hanno fatto notare dal G7, il mercato rappresentato dalle rimanenti potenze è un mercato più ampio e forte di quello Usa, il che significa dall'inizio che le forze in campo sono pronte a darsi battaglia anche al rischio di non raggiungere un accordo e di non firmare un comunicato congiunto alla fine dei lavori. Paradossalmente un pietra d'inciampo è rappresentata anche dall'Italia che con l'arrivo dei partiti di impronta se non anti-euro comunque con tendenze di simpatia per le politiche nazionaliste, rappresentano un elemento di rottura rispetto al passato. A chiudere il cerchio anche i dati macro delle singole nazioni europee che, nello specifico Germania e Francia, confermano un calo della produzione industriale che a maggio ha visto un -1% per la Germania e un -0,5% contro attese che proiettavano un +0,3% per entrambi i casi.

Il commercio internazionale

La fuga di Donald e la volontà più o meno palese di non portare avanti colloqui in via ufficiale per ricomporre l'innegabile frattura creatasi con la politica sui dazi fanno pensare non solo che all'orizzonte possa materializzarsi un possibile duopolio (se non tre vertici) ma che gli Usa stessi possano presto avere difficoltà a difendere la propria posizione dominante all'interno del quadro internazionale. Un'eventualità che si presenterebbe mentre Washington vanta, a differenza della gran parte delle potenze mondiale, un ritorno alla crescita e un rafforzamento del settore lavorativo, oltre ad essere la prima nazione la cui banca centrale si è incamminata con sicurezza sul sentiero della normalizzazione monetaria a differenza invece della Bce la quale, proprio per i timori di un rallentamento dell'economia del Vecchio Continente potrebbe essere costretta a prorogare ulteriormente ogni decisione per quanto le dinamiche di una possibile exit strategy saranno sul tavolo del board alla prossima riunione del 14 giugno.
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SCOPPIA, SCOPPIA LA BOMBA TEDESCA

Giorni addietro pubblicavamo l'articolo Perché Deutsche Bank è la banca più pericolosa al mondo.

LA CONFERMA CHE STA PER SCOPPIARE DATA INIZIALMENTE  DAL FINANCIAL TIMES, VIENE OGGI RIBADITA DAL SOLE 24 ORE — con una tabella istruttiva che mostra come la banca teutonica sia messa peggio di MPS. Il "problemino"? La DB è piena di titoli tossici

I "morigerati" banchieri tedeschi sono stati infatti, tra gli speculatori globali, i più spregiudicati. Se la Federal Reserve USA ha inserito la Deutsche Bank tra le banche sull'orlo del fallimento dipende infatti da come essa si sovraespose nel mercato finanziario americano prima della crisi dei mutui subprime. Quello dell'implosione della DB, date le sue enormi dimensioni, è un "problemone", non solo per la Germania, rischia di esserlo per tutta la Ue...

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Deutsche Bank 
dopo il tracollo in Borsa è a sconto anche rispetto a Mps
di Andrea Franceschi 
 

Mentre in Italia l’attenzione era tutta concentrata sulle vicende politiche e sui contraccolpi finanziari della partita tra il presidente Mattarella e e i partiti della maggioranza giallo-verde, è passato quasi sotto traccia il tracollo in Borsa del titolo Deutsche Bank. Le azioni della banca tedesca, da inizio anno in calo di quasi il 40%, nella seduta di giovedì 31 maggio sono piombate ai minimi storici di 9,28 euro per azione.

Un crollo innescato da due notizie: la prima è stata pubblicata dal Financial Times proprio quel giorno e riguarda la decisione della Federal Reserve americana di inserire la controllata americana della banca tedesca nell’elenco delle banche problematiche (quelle la cui debolezza è tale da metterne in dubbio la stessa sopravvivenza). La seconda è uscita venerdì 1 giugno e riguarda la decisione dell’agenzia Standard & Poor’s di tagliare il rating della società da A- a BBB+.

 Nella tabella                       
 Andamento del rapporto         prezzo/patrimonio dei titoli     di Deutsche Bank                      

Dai minimi di giovedì scorso il titolo ha recuperato più del 4% ma le cicatrici sono ancora evidenti al punto che oggi le valutazioni di mercato della banca tedesca risultano a sconto persino rispetto a quelle di Banca Mps, l’istituto italiano salvato dal crack grazie all’ingresso nel capitale dello Stato italiano. Il rapporto prezzo/patrimonio di Deutsche Bank(0.30x) è inferiore a quello della banca senese (0,34x). In altre parole il mercato considera Deutsche a sconto rispetto a uno degli istituti simbolo della crisi dei crediti deteriorati delle banche italiane.

Se per le banche italiane il problema è stato l’ondata di crediti inesigibili eredità della recessione, per Deutsche Bank i problemi risalgono ancora alla crisi dei mutui subprime che portò al collasso i mercati mondiali a seguito del crack di Lehman Brothers. I contenziosi legali e le multe eredità di quella crisi e altri scandali finanziari che hanno coinvolto la banca in questi anni sono costati qualcosa come 15 miliardi di euro in cinque anni. Se a questi si sommano altri 9,5 miliardi di svalutazioni iscritte a bilancio dal 2012 al 2017 il conto sale a 24,5 miliardi. Le cicatrici di quella crisi sono ancora ben visibili nel patrimonio della banca tedesca. Gli asset illiquidi (più volgarmente detti titoli tossici) valgono ancora un terzo dei 66 miliardi di patrimonio netto della banca.

I problemi non riguardano solo il passato della banca ma anche il futuro. Dopo appena tre anni il ceo John Cryan è stato sostituito con Christian Sewing che a fine maggio ha annunciato una ristrutturazione pesante che prevede il taglio di 7000 posti di lavoro. In buona parte nel segmento corporate e investment bank. «Siamo in un circolo vizioso fatto di ricavi in calo, costi eccessivi, basso rating e alti oneri di rifinanziamento ma abbiamo l’opportunità di uscirne» ha dichiarato di recente il chief financial officer James von Moltke. Secondo S&P la ristrutturazione annunciata è positiva ma i suoi frutti si vedranno solo dal 2021.

Federal Reserve: ci credereste che nel mondo mancano i dollari? Ecco cosa sta accadendo

Federal Reserve
La Federal Reserve ha cominciato a rialzare i tassi
Mancano i dollari! E’ la globalizzazione ragazzi – di Maurizio Blondet
Dopo tutti i trilioni di trilioni che la Federal Reserve, la banca centrale americana, ha “stampato” in anni di allentamento, ci credereste che nel mondo, di colpo, mancano dollari?
Anzi, sono “evaporati”, secondo l’espressione del governatore della banca centrale dell’India, Urijt Patel. Il motivo è essenzialmente che la Federal Reserve ha cominciato a rialzare i tassi prima bassissimi, per restringere gradualmente la sua espansione monetaria, mentre allo stesso tempo il Tesoro Usa, alle prese col debito più grande della storia, ha messo sui mercati una maggior offerta dei suoi buoni del Tesoro.
Risultato: tutti i capitali roventi in dollari che irrigavano la speculazione nel mondo, si sono precipitati in Usa, risucchiati (attratti) dai rendimenti più alti e dalla maggiore offerta di titoli di debito a più alto rendimento. 

Anemizzando di colpo i mercati emergenti, come si dissangua un ferito a morte.
Le banche centrali dei paesi emergenti cercano di tamponare la ferita alzando disperatamente i tassi per attrarre un po’ di capitali; banche centrali minori (come la Nigeria o Bangladesh) stanno comprando dollari per scongiurare la mancanza di liquidità delle loro banche, con ciò naturalmente aggravando il problema: aumentala domanda di dollari.
La cosa è talmente preoccupante che il governatore Patel ha scritto un editoriale sul Financial Times lunedì, in cui letteralmente implora la Federal Reserve di rallentare la stretta monetaria, e il Tesoro Usa di coordinarsi con la Federal Reserve: “Data la rapida crescita della misura del debito Usa, la Fed deve rispondere rallentando i suoi piani di restrizione.
Se non lo fa, i Buoni del Tesoro Usa assorbiranno una tale porzione della liquidità in dollari, da rendere inevitabile una crisi dei titoli di debito nel resto dei mercati del dollaro”.
Anche il governatore della banca centrale dell’Indonesia (261 milioni di abitanti), Perry Warijo, s’è unito alla urgente supplica del collega indiano: “Il dollaro è ancora re ”.
La valuta argentina e quella brasiliana sono crollate; il collasso della lira turca è stato per adesso tamponato dalla banca centrale di Ankara alzando i rendimenti dal 16,5 al 17,75%: un rialzo mai visto.
Ma anche l’Europa subisce un forte deflusso di capitali verso gli Stati Uniti: dal 2012, regolarmente, il 3 per cento del Prodotto Interno Lordo della zona euro sta andando a finanziare – udite udite – il deficit di Usa e Regno Unito.
Perché i rendimenti attesi sono più alti in Usa che in Europa. E i massimi esportatori di capitale – detto altrimenti, i colpevoli di fuga dei capitali – sono i tedeschi.
I ricchi impiegano l’enorme surplus di capitali lucrato con l’export per finanziare il deficit americano: interessante contrappasso per una Germania moralista che impone agli europei del Sud, le cicale, di non superare il deficit del 3%, “fare le riforme” (tagliare salari), serrare ancor più l’austerità.
E’ la deflazione di Merkel. Ma è proprio qui il motivo della fuga: la politica di deflazione e restrizione dei consumi che impone dogmaticamente l’ordoliberismo di Berlino, anzitutto ai propri lavoratori (“moderazione salariale” per esportare) e in paesi come Italia, Spagna Grecia la “recessione permanente” da blocco della spesa pubblica, hanno ridotto a poco o nulla le occasioni di investimento redditizio, in Europa, degli enormi capitali accumulati dai tedeschi con l’export.
Sicché il sangue che Berlino non consente venga ad irrigare i popoli europei, viene mandato ad irrigare i consumi americani.
Adesso naturalmente le teste (non) pensanti della BCE a trazione tedesca annunciano, ordinano, esigono, una riduzione dell’allentamento monetario anche dell’euro; già da giugno, la vogliono; effettivamente, occorre alzare i tassi per renderli più appetibili di quelli americani; ovviamente il risultato sarà di dissanguare l’Italia che pagherà più interessi sul suo enorme debito, e anche Grecia e Spagna e non ultima, la Francia. 

Spingerci tutti verso la bancarotta.
Tempi interessanti per Mario Draghi, Weidmann e i ministri delle Finanze dell’euro, chiamati a gestire le fasi terminali, implosive, della globalizzazione. E per noi che saremo travolti.
Ma possiamo almeno amaramente ridere: è la globalizzazione, ragazzi. L’assenza di confini per merci-uomini-capitali, deliberatamente voluta

L’immensa bolla di moneta-debito, pseudo-capitale creato dalle banche indebitando tutti (si può oggi apprezzare meglio la politica monetaria di Putin, che ha accumulato oro su oro).
Gli ideologi del liberismo globale hanno privatizzato la creazione monetaria, abolito ogni separazione tra banche speculative e banche commerciali; costruito un mercato unico senza paratie che circoscriva il contagio speculativo e le crisi, un Titanic che hanno voluto privo di compartimenti stagni, di dazi, di controllo sulle fughe di capitali, di ordine monetario, perché li vedevano come penalizzanti per i lucri.
Il risultato è che una decisione della Federal Reserve mette nei guai l’India e l’Indonesia, fa affondare la Turchia, diffonde il caos nei mercati emergenti e dissangua l’Europa.
E’ la globalizzazione, ragazzi. 
Successe qualcosa di simile negli anni ’20 e ’30. Gli Stati Uniti, durante la grande guerra (1914-18) erano i fornitori di tutti i materiali per gli alleati impegnati nel conflitto, Londra, Parigi, Roma, e quindi ne erano diventati i grandi creditori.
Fort Knox traboccava dunque di tonnellate di lingotti affluiti dai paesi debitori. Come normale conseguenza del Gold Standard, si sarebbe prodotta una montagna di dollari-carta, con conseguente inflazione in Usa.
La Federal Reserve e i grandi banchieri americani impedirono questo esito, esportando quei capitali di troppo. Il capitale americano, poco remunerato in patria, cercò nel mondo retribuzioni più alte.
Le trovò in Germania, il grande paese industriale sconfitto. Nel 1925, quando il tasso di sconto della Fed era del 3 %, in Germania era del 10%. Il denaro a prestito, che in America era pagato il 4%, in Germania era compensato l’8%, il doppio.
In più, i salari tedeschi erano bassi, e i salari bassi stimolano investimenti industriali. Il capitale americano finanziò il più impressionante rammodernamento dell’apparato industriale tedesco, la riorganizzazione del sistema ferroviario, una immensa bolla edilizia.
Nei pochi anni della Repubblica di Weimar (1919-1933) il lusso, i fiumi di champagne, le donnine allegre, tripudio di transex nei locali notturni berlinesi, insomma “la cultura” dell’edonismo che conosciamo, ebbe la sua prima edizione.
In quegli stessi anni, milioni di tedeschi dalle campagne furono risucchiati nelle città, come operai. Berlino passò da 2 a 6 milioni di abitanti. Abitanti i cui bassi salari erano falcidiati dal caro-affitti e dal rincaro dei generi alimentari.
Cosa avviene quando il capitale è retribuito a scapito del lavoro? Quella che il capitalismo chiama “sovrapproduzione”: merci sempre più abbondati trovano sempre meno acquirenti, perché le masse non hanno potere d’acquisto.
Anche allora, la dirigenza tedesca adottò, come terapia, la deflazione. Lo ha descritto Bruno Heilig, un giornalista ebreo che nel ’38 scampò ai nazisti con la fuga. “Ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo i salari e licenziando lavoratori”; sostituiti da macchinari, che aumentavano la “produttività”.
Ma “per ogni lavoratore licenziato, era anche un consumatore che spariva”. Nel 1931, invece di aumentare i salari, si prese la misura disperata di ridurre la produzione di merci.
Ma per gli industriali, “tasse, ammortamenti, affitti, gli interessi sul debito, ossia i costi fissi, divisi su un numero minore di beni, aumentarono in proporzione inversa sui profitti calanti, fino a divorarli”. Industrie fallirono a catena.
Frattanto la crisi del ’29 aveva prosciugati il flusso dei capitali facili americani. La banche tedesche cominciarono a fallire, perché gli imprenditori non pagavano più i debiti (oggi si parla di non performing loans, NPL).
La Angela Merkel o Schauble dell’epoca si chiamava Heinrich Bruning, cancelliere cattolico, allievo modello del capitalismo liberista: “Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15%”, raccontò Heilig.
La logica dietro questa crudele follia era: riducendo il potere d’acquisto dei lavoratori, anche i prezzi avrebbero finito per ridursi. Anche allora, il prezzo della riduzione alla fame dei lavoratori non parve indegno di essere pagato, come oggi dei greci.
Contrariamente a quel che credono gli pseudo-economisti della Rai, non fu l’iper-inflazione a portare Hitler al potere. Quella era avvenuta nei primi anni ’20. Fu la deflazione di Bruning.
Il numero dei deputati nazisti salì da 8 a 107. Nel gennaio ’33, Hitler salì al potere e operò quel miracolo economico che ho descritto nel mio saggio “Schiavi delle Banche”. 

Qui da noi, i populisti sono arrivati forse troppo tardi e deboli(?). 

Il clima è cambiato, grazie al voto italiano


La UE deve capire che il populismo è il sintomo di reale fallimento politico

E’ la mancanza di riforma dell’Europa, non l’Italia, che romperà la zona euro”.

Non sono due titoli di giornaletti sovranisti sloveni. Il primo, è alla testa di una analisi del potente – e globalista-imperialista Royal Institute of  International Affairs, la leggendaria “Chatham House”.   Il secondo, è un titolo del Financial Times, il garante teologico del liberismo dogmatico, ed è firmato da una delle sue grandi firme, Wolfgang Munchau, che tra l’altro è un “europeista”, essendosi battuto contro il Brexit.
Com’è cambiato il clima. Il voto italiano ha  aperto la stura alle analisi critiche sulla Unione Europea a trazione tedesca, mai prima espresse in modo esplicito
Chataham House mette in guardia le  oligarchie di Bruxelles e  Berlino  dalla interpretazione sprezzante che stanno dando  della situazione politica italiana: una lettura di comodo, auto-assolutoria, che  – essendo sbagliata  – può solo portare a gravi conseguenze.  “Il termine populismo viene adottato  non come segnale  delle necessarie riforme politiche in Europa, ma come scusa conveniente per respingere le domande della società come incompatibili con la democrazia liberale”.
“La concentrazione ossessiva, da parte dei politici, dei dirigenti e del giornalismo contro il “populismo  illiberale”, tralascia l’aspetto più  importante della storia: che sempre o quasi il populismo è nutrito da direttive politiche  realmente fallimentari, e della reazione popolare legittima contro di esse. Questo è ancor più  vero nel contesto di una integrazione  europeista che diventa sempre più sbilanciato tra un Nord-Europa relativamente prospero e protetto, e una periferia sempre più impotente, che deve sopportare i costi dell’adattamento all’avversità economica e alla crisi migratoria”.
Sul Financial Times, la grande firma europeista invita caldamente le oligarchie di Bruxelles, Francoforte e Berlino a “piantarla di trattare l’euro come un atto di fede, e cominciare a sforzarsi per renderlo sostenibile”.
Il FT  elenca tutte le misure draconiane accettate dai governi italiani precedenti, troppo compiacenti e servili:
La contribuzione dell’Italia al Meccanismo di Stabilità, lo scudo di salvataggio della zona euro(circa 60 miliardi di Euro), calcolata all’interno del deficit massimo consentito. L’accettazione di una modalità di risoluzione delle banche (il bail-in) che lascia milioni di risparmiatori italiani senza la protezione della garanzia sui loro depositi. E peggio di tutto, l’accettazione nel 2012 del fiscal compact, che obbliga l’Italia ad avere bilanci senza deficit. Se i precedenti capi di governo fossero stati meno arrendevoli, la reazione anti-europea sarebbe stata meno dura”.
(non so se sapete chi erano: Ciampi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Padoan, Renzi…)

Cosa ci ha dato l’Europa. E cosa le abbiamo dato noi.

Per un paese in difficoltà come l’Italia”,   argomenta  il giornale, “è ragionevole restare nella zona euro fino a quando può mantenere  la minima speranza che questa relazione sia sostenibile.  Fino ad oggi, il miglior argomento perché l’Italia continui a restare nell’euro, è la speranza che sia, alla fine, riformata. Se si raggiunge la certezza che non lo sarà mai, allora l’argomento cambia. Non c’è nulla di male in  un piano B. Non è la politica in Italia che sta uccidendo l’euro,  la mancanza di riforme nella zona euro e l’enorme surplus tedesco”.
JPM Morgan, la banca d’affari,  al termine  di una complessa analisi, giunge alla “stupefacente conclusione” che “uscire dall’euro è forse l’opzione migliore per Roma”.
JPMorgan’s Stunning Conclusion: An Italian Exit May Be Rome’s Best Option
Anche il New York Times ricorda che  “L’austerità uccide”, parla  dei suicidi da disoccupazione in Italia, e dice che la Germania “predica l’austerità – per gli altri”.
E la Merkel?  ha riconosciuto che “l’Italia è stata lasciata sola dalla UE nell’accoglienza ai migranti” (che ha chiamato lei), e invitato il governo italiano a mantenere gli impegni europei alla  austerità e deflazione salariale. Poi ha elaborato vagamente la sua idea di riforma della UE: la creazione di un Fondo Monetario Europeo,replica del Fondo Monetario Internazionale, che darà prestiti  ai paesi che si  impoveriscono nell’euro e per l’euro, condizionandoli a riforme di “risanamento” secondo l’ordoliberismo tedesco. Un caso di autismo storico. O  psichiatria criminale?
Qui sotto, la solidarietà che i media tedeschi hanno mostrato verso la Grecia nel 2013. Focus,  mostra il dito indice  ai “truffatori della famiglia euro”. Spiegel titola: “la menzogna della povertà  – Come la Grecia nasconde la sua ricchezza per rubare alla Germania”. Nel 2015: “I nostri greci”,  immagine razzista di un greco che balla con un turista tedesco,preccupato dei suoi soldi (lui glieli ruberà).  Fonte: qui

Ladri, delinquenti, mercantilisti, truffatori, usurai e cialtroni, tedeschi ... che altro non sono!



L’AUSTRIA CHIUDE SETTE MOSCHEE ED ESPELLE GLI IMAM, ACCUSATI DI FINANZIAMENTO ILLECITO DALL’ESTERO

SALVINI APPLAUDE: “CREDO NELLA LIBERTÀ DI CULTO, NON NELL'ESTREMISMO RELIGIOSO. CHI USA LA PROPRIA FEDE PER METTERE A RISCHIO LA SICUREZZA DI UN PAESE VA ALLONTANATO” 

ERDOGAN: “ONDATA ANTI ISLAMICA E RAZZISTA”

L'AUSTRIA CHIUDE 7 MOSCHEE ED ESPELLE GLI IMAM
kurz e stracheKURZ E STRACHE
(ANSA) - Il governo di Vienna ha comunicato la chiusura di 7 moschee e l'imminente espulsione di alcuni imam. Come hanno spiegato il cancelliere Sebastian Kurz e il ministro degli Interni Herbert Kickl, i capi religiosi dell'associazione Atib sono accusati di finanziamenti illeciti dall'estero e di violazione della legge austriaca sull'islam. Inoltre una quarantina di imam dell'Atib, Unione turco-islamica per le collaborazione culturale e sociale in Austria, rischia di perdere i loro permessi di soggiorno.
matteo salvini armando siriMATTEO SALVINI ARMANDO SIRI

SALVINI: SI A LIBERTÀ CULTO, NO A ESTREMISMO RELIGIOSO
(ANSA) - - "Credo nella libertà di culto, non nell'estremismo religioso. Chi usa la propria fede per mettere a rischio la sicurezza di un paese va allontanato". Lo scrive il ministro dell'Interno Matteo Salvini su Twitter dopo l'annuncio dell'Austria della chiusura di 7 moschee e l'espulsione di alcuni imam. "Spero già la prossima settimana - aggiunge - di incontrare il collega ministro austriaco per confrontarci su linee d'azione".
erdoganERDOGAN

TURCHIA ATTACCA L'AUSTRIA, 'ANTI-ISLAMICA E RAZZISTA'
 (ANSA) - La chiusura delle moschee in Austria e l'espulsione degli imam "è il frutto dell'ondata anti-islamica, razzista, discriminatoria e populista" nel Paese. Così Ibrahim Kalin, portavoce di Recep Tayyp Erdogan, commenta su Twitter la decisione del governo di Vienna, accusandolo di voler "trarre vantaggi politici colpendo le comunità musulmane".

Fonte: qui

ROMA – ENNESIMO “FLAMBUS” NEL CENTRO DELLA CAPITALE

A PIAZZA PIO XI, VICINO AL VATICANO, UN AUTOBUS VA A FUOCO E MANDA IN TILT LA CIRCOLAZIONE

SERVONO SOLDI FRESCHI(SON DA OLTRE TRENT'ANNI CHE NON SI INVESTE SERIAMENTE PER CIO' CHE SERVE ALLA CITTADINANZA!) PER I SERVIZI ESSENZIALI, NON LE CHIACCHIERE ...

bus roma fiamme 20BUS ROMA FIAMME 

Un autobus è andato a fuoco in pieno centro a Roma, a piazza Pio XI, strada a due passi dal Vaticano.

Un'alta coltre di fumo ha mandato in tilt la circolazione lungo le strade che costeggiano la piazza, con le fiamme che hanno avvolto l'automezzo destando sorpresa e paura tra i passanti e gli automobilisti. 

Sul posto, nel quartiere Aurelio, sono intervenuti vigili del fuoco e polizia. I pompieri stanno spegnendo le fiamme che hanno completamente avvolto il bus, mentre l'intensa coltre di fumo ha causato non pochi disagi nella zona.

Al momento non si segnalano persone coinvolte. Fonte: qui
bus roma fiamme 16BUS ROMA FIAMME bus roma fiamme 14BUS ROMA FIAMME 

Banche tedesche: quanto è costato salvarle?

Quanto è costato salvare le banche tedesche dopo la crisi finanziaria? Il punto della situazione alla luce delle difficoltà di Deutsche Bank.

Banche tedesche: quanto è costato salvarle?
Si parla sempre delle banche italiane e dei loro problemi, ma quanto è costato invece il salvataggio delle banche tedesche andato in scena dopo gli anni della crisi?

Il terremoto finanziario esploso definitivamente nel 2008 non ha risparmiato nessuno. Neanche i giganti del credito tedesco sono riusciti a sostenere l’onda d’urto e hanno più volte richiesto l’intervento dello Stato (e dunque l’utilizzo di soldi pubblici) per evitare di cadere nel baratro.

Le difficoltà di Deutsche Bank hanno riacceso l’attenzione del mercato sul settore del credito tedesco e, anche a fronte delle ripetute critiche nei confronti del Belpaese che certo non ha brillato quanto a solidità degli istituti, in molti sono tornati a chiedersi quanto è costato davvero il salvataggio delle banche tedesche messe in ginocchio dalla crisi.

In questo senso, l’esempio forse più lampante è quello di Commerzbank, sulla quale lo Stato è intervenuto non una ma due volte sborsando svariati milioni di euro. La banca, però, non è stata la sola a finire sull’orlo del baratro.

Banche tedesche: il costo del salvataggio

A far luce sui costi legati al salvataggio delle banche tedesche è stato il FMS, fondo pubblico tedesco creato nel 2008 per contribuire alla stabilizzazione dei mercati, che ha accumulato (al 2017) un passivo di 22,5 miliardi di euro.
Sulla cifra hanno pesato 14,6 miliardi riconducibili a Commerzbank, Deutsche Pfandbrief e Portigon. Per i contribuenti tedeschi i costi complessivi saranno definiti soltanto alla chiusura dello stesso fondo.
Ancor più preoccupanti i dati, meno recenti, della Commissione europea, secondo cui il salvataggio delle banche tedesche dal 2008 al 2016 è costato 197 miliardi di soldi pubblici (il 7% del Pil della Germania), compresi vari aumenti di capitale e rilevazioni di titoli tossici da parte dello Stato e dei Land. Un cifra già esorbitante, alla quale andrebbero però aggiunte anche le linee di liquidità offerte e le garanzie statali, il tutto per un totale di 465 miliardi di euro.

Non solo Commerzbank a pesare sul sistema

Più nello specifico, per Commerzbank sono stati sborsati 18 miliardi di euro di liquidità in due tranche, oltre che garanzie statali per circa 30 miliardi. Anche Dresdner Bank ha ricevuto aiuti di Stato, mentre stessa sorte è toccata poi alle Landesbanken - banche regionali che hanno determinato un esborso di almeno altri 123 miliardi di euro - e alle Sparkassen(casse di risparmio locali).
La lista è in realtà molto lunga. Come non citare ad esempio tutti i crediti e le garanzie pubbliche emessi a favore di Westdeutsche Landesbank, che è poi fallita comunque, o ancora l’intervento di UniCredit su HypoVereinsbank.
Tra i casi più recenti anche quello di Hsh Nordbank, che ha ricevuto un aiuto pubblico di di 3 miliardi in nuove garanzie statali. In molti hanno fatto notare come circa un terzo delle banche tedesche sia oggi nelle mani dello Stato.
Per dirla in altre parole, le banche italiane hanno sicuramente messo a dura prova il sistema finanziario europeo, ma alla luce di quanto è costato il salvataggio delle banche tedesche, è evidente che neanche Berlino è uscita così inerme dalla crisi finanziaria.

Fonte: qui